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La storia degli spettacoli e della
letteratura drammatica in Grecia segue nelle grandi linee le
periodizzazioni della storia politica alle quali si � qui pertanto
attenuti. Dalla protostoria all'inizio dell'et� ellenistica (330 a.C.)
fino a tutto il periodo romano (30 a. C. - 395 d.C.) si svolge senza
soluzioni di continuit� la vita dello spettacolo dell'et� classica.
Nell'antichit� l'area linguistica greca, priva di unit� politica, ebbe
esclusivamente unit� culturale: a questa specie fino al IV secolo a. C,
contribuirono non poco i grandi giochi panellenici e le rappresentazioni
drammatiche, manifestazioni di primaria importanza nella vita pubblica e
religiosa, fornita da tratti sostanzialmente comuni in tutto il mondo
ellenico ed ellenizzato. 1. Lo spazio scenico 2. Macchine teatrali del teatro greco .3.
Temi della letteratura drammatica
4.
Ordine dorico, jonico, corinzio L'ordine dorico � un assieme di elementi articolati e strutturati in forma organica, secondo un rigore compositivo che resta esemplare. L'ordine jonico sembra abbia avuto origine nella zona anatolica della jonia, verso il VII/VI sec. a. C., ma solo nel V secolo giunge a completa maturazione. E' un ordine che si presenta con interpretazioni diverse, tra le quali � da ricordare quella della Jonia, che nella base della colonna si differenzia da quella greca. Come il dorico, anche lo jonico � diviso in tre parti: stilobate, colonna e trabeazione. Mentre la colonna dorica poggia direttamente sullo stilobate, la colonna ionica si erge sopra una base, ma con un rapporto molto pi� slanciato. Le scanalature non a spigolo vivo, sono generalmente 24. L'ordine jonico valorizza la decorazione: l'echino � spesso ornato da ovoli, anche l'abaco, pi� sottile che nel dorico, � decorato. Nel capitello, la caratteristica voluta jonica presenta una veduta frontale; quando � usata angolarmente viene modificata con l'inserimento a 45' di un altra voluta, in modo da presentare nei due prospetti sempre la visione migliore. L'architrave, o epostilo, � suddiviso in tre fasce orizzontali di grandezza degradante e sporgenti in maniera diversa; spesso la fascia superiore � decorata. Il fregio, assente negli esempi arcaici, appare verso la fine del VI secolo (Tesaurus di Siphnos a Delfi, 525 a. C.). Il timpano dell'ordine jonico, rispetto a quello dorico, presenta una pendenza meno accentuata. L'ordine corinzio si differenzia dallo jonico per la maggiore altezza del capitello e per il motivo a foglie d'acanto che lo decora; gli altri elementi sono analoghi. Sull'origine di questo capitello Vitruvio d� credito alla leggenda che lo attribuisce allo scultore Calimmaco. Pi� attendibile l'ipotesi avanzata da Rigl, che lo considera come risultato della elaborazione di diverse ornamentazioni di origine vegetale, molto diffuse nei paesi Medio-Orientali (Egitto - Mesopotamia ecc.). L'ordine corinzio, dopo alcuni esempi isolati del V secolo, giunge a completa maturazione nel IV secolo, come � evidenziato dal Monumento coragico di Lisicrate, del 335 a. C.
"1 2 Il poeta tragico non inventa i personaggi, e nemmeno l' intrigo, dato che, grosso modo, � l' intrigo tradizionale. Egli fa una cosa del tutto diversa: dispone una serie di azioni in modo tale che, una volta che avete visto l' inizio e il seguito, come dice Aristotele, capite che con ogni probabilit� o necessariamente accadranno una serie di avvenimenti drammatici. Gli eroi sono uomini a cui capitano delle catastrofi; la catastrofe � il rovesciamento completo di una situazione. E queste catastrofi non sono dovute alla cattiveria degli eroi: essi non sono cattivi, n� indegni, non sono kakoi, non sono caratteri "bassi", meschini; al contrario, hanno della grandezza. Ma il poeta tragico operer� un montaggio dell' azione, in modo che tutto d' un tratto le cose si svolgeranno con una specie di necessit� interna, ineluttabile, e lo spettatore vedr� tutto questo. Aristotele dir� che � una mimesis, una imitazione di un' azione. Per� il termine mimesis deve essere preso in un senso molto particolare: direi che si tratta di una simulazione. Penso profondamente che la tragedia � una simulazione nel senso in cui parliamo di simulazione in fisica, per esempio. In fisica si definisce uno spazio limitato, ma in questo spazio cercheremo di produrre delle condizioni estremamente chiare e nette, che ci permetteranno di capire come si svolge un certo fenomeno. Per esempio, si simuler� lo sbarco sulla luna, prima di tentare lo sbarco reale, in uno spazio limitato e controllato di cui conosciamo tutte le dimensioni; cercheremo di vedere le diverse possibilit� che potrebbero presentarsi una volta noti i dati primi. La tragedia fa la stessa cosa. La tragedia monta un' esperienza umana a partire da personaggi noti, ma li installa e li fa sviluppare in modo tale che -per riprendere ancora Aristotele - la catastrofe che si produce, quella sub�ta da un uomo non spregevole n� cattivo, apparir� come del tutto probabile o necessaria. In altri termini, lo spettatore che vede tutto ci� prova piet� e terrore, ed ha la sensazione che quanto � accaduto a quell' individuo avrebbe potuto accadere a lui stesso. Vale a dire, dietro le particolarit� dei personaggi, sono messi in questione gli uomini, lui e gli altri, insomma qualsiasi uomo. In qualche modo ogni uomo viene messo in scena in questo spazio privilegiato e controllabile, e lo svolgersi della catastrofe ineluttabile riveste allo stesso tempo -per lui spettatore- un carattere nuovo, essa diviene intelliggibile. 3 La tragedia fa un' altra cosa: essa d� un senso diverso da quello del mito. In effetti, che cosa capita ad Edipo? Edipo � un figlio che non sarebbe dovuto nascere, questa � la sua disgrazia. Quindi, sin dalla nascita, egli � oggetto di una specie di maledizione, egli � votato alla disgrazia, non avrebbe dovuto nascere. Perci�, qualsiasi cosa faccia, far� sempre male. Egli � colpevole senza aver fatto nulla di male, e questo � uno dei problemi posti dalla tragedia. Non c' � in ogni uomo, per il solo fatto di esistere, nella misura in cui egli dipende da tutti quelli che l' hanno preceduto, qualcosa che lo supera o lo sovrasta? Egli dipende da questo qualcosa, per cui le sue azioni non emanano direttamente da lui; in qualche modo le sue azioni si radicheranno aldil�, dietro di lui, o pi� in alto di lui. E questo � un senso tragico: infatti noi facciamo delle cose, siamo dei personaggi, e contemporaneamente i nostri atti -e persino noi stessi- ci sfuggono di mano. Un senso enigmatico, dato che Edipo � un decifratore di enigmi. Lui stesso lo dice: "sono io che ho indovinato, io sono l' uomo che sa", e difatti ci si rivolge a lui come ad un sapiente. D' altro canto � un uomo che vuol sapere; vuol sapere la verit�. E questo desiderio di conoscere, cos� come quella capacit� che lo rende superiore agli altri, faranno di lui una specie di mostro che imbroglia tutte le generazioni. Bisognerebbe seguire invece il corso del tempo, ognuno dovrebbe restare al suo posto, il figlio dovrebbe succedere al padre, soprattutto quando poi si tratta di re: Edipo sloggia il re e prende il suo posto quando il re � ancora sul trono, non nel momento in cui il padre lascia il posto libero. Questo significa l' assassinio del padre. Questa � la grande colpa. Ma la grande colpa di Edipo � anche l' incesto, perch� ha incontrato il seme del padre nel ventre della madre. Egli � dunque una specie di mostro, ed � un mostro senza aver fatto nulla di male! Le sue qualit� lo hanno portato fin l�. Da qui la risposta all' interrogazione sull' uomo: "eh si, che strana creatura! Come pu� accadere che essa sia abitata da questo legittimo desiderio di sapere e che questo desiderio di sapere ricopra un' ignoranza fondamentale?" Edipo non sapeva chi fosse. Colui che era re e padrone diventa l' ultima delle spazzature, un' impurit�, una macchia che bisogna cacciar via. 4 La tragedia -come vien detto, ed io sono d'accordo-� un genere letterario che, al contrario del genere epico, pone il problema dell' azione: perch� la tragedia presenta gli eroi davanti ai bivio dell' azione. Vale a dire, una delle domande che vediamo sorgere sempre nei testi tragici � "Che fare? Che cosa devo fare? Che cosa scegliere? Se scelgo questo, ecco cosa rischia di capitarmi. Se scelgo quello, ecco cosa rischia di capitarmi." Essa presenta l' uomo di fronte ad una decisione difficile. Si ha dunque la sensazione che nella tragedia cominci ad apparire l' idea di un potere pi� o meno autonomo nell' uomo, di agire e di decidersi in funzione del meglio, di quel egli crede essere il meglio. E' "boulomai", il verbo volere: "deliberare e allo stesso tempo decidere. Dunque, non pi� un influsso o un impulso di origine divina, ma una riflessione e una decisione. Ma allora si dir�, "bene, ma � quel che noi chiamiamo il volere, o volont�." Si, ma appunto, la tragedia mostra che questa volont� non � mai realmente autonoma. Allo stesso tempo, la tragedia mostra come in tutte le decisioni umane ci sia una deliberazione del soggetto che soppesa il pro e il contro - ma dietro, allo stesso tempo, c' � la presenza di tutte le decisioni divine, di tutti i progetti degli dei. Dietro ci sono tutti gli attori, gli dei che organizzano, che tirano le fila in qualche modo. Cos� che ogni azione umana si profila allo stesso tempo come un atto che emana dal soggetto, che traduce il suo carattere, il suo "ethos", la sua maniera interna d' essere ma che, allo stesso tempo, rappresenta il modo in cui gli dei l' hanno guidata senza che l' agente lo sappia. C'� una formula di Eraclito che dice che "ethos", il carattere, per l' uomo � "daimon", un demone. Si pu� intendere questa frase nei sensi pi� vari; ed essa pu� intendersi altrettanto bene nel senso che "gli uomini credono che un demone li guidi, ma invece � il carattere". E infine la formula pu� voler dire - e questo � il senso tragico -"quel che gli uomini chiamano carattere in realt� � una forza demoniaca". Edipo quindi � un personaggio paradigmatico perch� in Edipo, in modo magistrale, vediamo un uomo che � il campione della riflessione: � il re che ha saputo indovinare, che ha saputo capire, l' uomo che cerca di capire, che vuol sapere la verit�. E mentre persegue questa verit�, mentre segue il suo cammino, realizza che in realt� gli dei lo hanno guidato dall' inizio alla fine. Gli dei lo hanno guidato affinch� quella scienza si riveli in realt� la scienza di quel che accadde, affinch� la conoscenza dell' assassino di Laio si dichiari, si riveli come l' ignoranza di se stesso. Perch� lui � l' assassino di Laio, e di conseguenza veramente Edipo fissa il centro nel nucleo stesso della riflessione tragica. 5 Non si pu� proiettare il complesso di Edipo, nel senso freudiano, sulla tragedia antica. Bisogna trovare in certi passaggi del testo stesso della tragedia il punto di appoggio: si dovrebbe mostrare in che cosa quel che ha detto Freud permetterebbe di capire meglio certi passaggi i quali, senza le analisi freudiani, resterebbero poco chiari. Ma non si pu� leggere la tragedia convinti in anticipo dell' esistenza del complesso in Edipo. Invece � evidente che Edipo non ha complesso. In ogni caso, un' interpretazione psicoanalitica del testo non pu� dire "il personaggio Edipo ha il complesso omonimo". Un' interpretazione deve dire "Edipo non pu� avere il complesso perch� egli non ha mai conosciuto suo padre, n� sua madre, perch� � stato allevato da un altro padre e da un' altra madre, che lui chiamava 'padre' e 'madre'; perch� quando uccide suo padre non sa che si tratta di suo padre; e perch� quando va a letto con sua madre non accade perch� ne abbia voglia, � perch� questo gli viene imposto." Quel che � vero, invece, e che si pu� dire, � che la tragedia � costruita, questo s�, come la cura psicoanalitica di un complesso edipico non risolto: voglio dire che lo svolgimento stesso della tragedia, lo svolgersi del dramma da un punto di partenza di ignoranza fino ad un punto di arrivo in cui si sa, dispiega una specie di delucidazione progressiva di un complesso di Edipo. Ma questo complesso non � di Edipo, e nemmeno del pubblico: � il problema del rapporto tra padre e figlio, e di tutte le relazioni complicate che ne conseguono. Questo viene tradotto un po' dal mito quando esso spiega che il figlio deve prendere il posto del padre, ovviamente, ma che pu� prenderne il posto solo dopo un certo tempo, una volta date certe condizioni, quando la situazione giunge a maturazione. Ma allora siamo in un contesto che � molto diverso da quello della psicologia o della nevrosi. Siamo in un contesto molto pi� generale, molto pi� sociale. 6 Aristotele dice testualmente che c' � pi� verit� nella tragedia che nella storiografia. Perch�? Perch� necessariamente la storia -egli conosceva la storia scritta da Erodoto e da Tucidide-racconta ci� che ha avuto luogo, in un dato momento e in un dato luogo. Le cose si sono svolte in questo modo, punto. Vale a dire che la storia resta per vocazione, in qualche modo, confinata nel particolare, nel singolare, nell' accidentale. Mentre la tragedia mostra non quel che � accaduto, ma quel che doveva necessariamente e secondo ogni probabilit� accadere. Vale a dire, la tragedia � gi� dell' ordine del generale e del necessario, quindi molto pi� vicina al vero intellettualmente. Aristotele la pensa cos� contro Platone, il quale invece rifiuta la tragedia perch� � patetica. Allora Aristotele cercher� di mostrare che, anche in uno spettacolo incentrato su terrore e piet�, pu� svolgersi simultaneamente un processo intellettuale che si tradurr� in una purgazione del terrore e della piet�. Facendoci accedere ad una verit� intellettuale, la tragedia ci d� un insegnamento. Tutta la tessitura della tragedia, come simulazione ed estetizzazione, trasforma l' elemento bruto della passione in qualcosa che diventa intelligibile, e che produce un effetto di bellezza. Qquindi di produce una pacificazione nel ritorno all' ordine. Ma l' ordine che troviamo all' arrivo non � lo stesso di quello che c' era in partenza: nel frattempo abbiamo visto come un uomo per bene possa essere distrutto, o distruggersi da s�, probabilmente o necessariamente seguendo un ordine a cui ho assistito, e cos� ad ogni momento del processo ho capito quel che succedeva. Mentre terrore e piet� implicano obbligatoriamente una specie di opacit� agli eventi, e a me stesso che subisco gli eventi, al punto della catarsi no: provo s� terrore e piet�, ma allo stesso tempo queste due passioni sono purificate, per il fatto che vengono prodotte attraverso lo spettacolo, e lo spettacolo non � il reale. La padronanza di s� � sempre restato un ideale greco. Ma, pur rimanendo, si � tinta in modo diverso all' epoca della tragedia. La tragedia ha tradotto, quando essa era in piena espansione, questa visione del mondo, compresa questa nuova visione del divino: un mondo e un divino dilaniato da contraddizioni che pur bisogna cercare di assumere come si pu� e che, talvolta, vi spezzano se volete essere tutto da una parte o tutto dall' altra. La tragedia pu� allora essere un mezzo, per lo spettatore, attraverso la "catharsis", di ritrovare un certo equilibrio psichico. Terrore e piet�, purificate dal fatto che si ha un messaggio che � ad un tempo intelliggibile e che comporta una parte di verit� - di verit� sull' uomo." Tratto dall'intervista effettuata dalla RAI educational: "La tragedia greca oggi" - Parigi, abitazione, 9 maggio 1994 |