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teatro
Greco
1. Lo spazio scenico
2. Macchine teatrali del teatro greco
3. Temi della letteratura drammatica
4. Ordine dorico
Jonico
Corinzio
5. Jean-Pierre Vernant sul teatro greco e sull'attualit�

Romano
1. Storia della messa in scena e organizzazione degli spettacoli
2. Le origini
3. Il Teatro Marcello
4. Il Colosseo
5. Gli spazi scenici

6. I romani a teatro
7. Confronto fra gli ordini architettonici greci e romani

Medioevo e sacra rappresentazione

Rinascimento
1. Teatri di corte e scena dipinta
2. La scena mutevole
3. Il Rinascimento in Europa

Inghilterra
Francia
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Barocco
1. La scaena ductilis
2. L'edificio teatrale nell'et� barocca

Neoclassicismo, Romanticismo
1. I teatri meccanici
2. Stanislavskij e la crisi del realismo

Il Novecento
1. I pionieri Appia e Craig
2. Le avanguardie artistiche e gli sviluppi sull'edificio teatrale

cinema
Considerazioni sulla scenografia

televisione

Teatro Greco

 


Teatro di Epidauro, costruito da Policleto il Giovane nel 360 a.C.

 

 

 

La storia degli spettacoli e della letteratura drammatica in Grecia segue nelle grandi linee le periodizzazioni della storia politica alle quali si � qui pertanto attenuti. Dalla protostoria all'inizio dell'et� ellenistica (330 a.C.) fino a tutto il periodo romano (30 a. C. - 395 d.C.) si svolge senza soluzioni di continuit� la vita dello spettacolo dell'et� classica. Nell'antichit� l'area linguistica greca, priva di unit� politica, ebbe esclusivamente unit� culturale: a questa specie fino al IV secolo a. C, contribuirono non poco i grandi giochi panellenici e le rappresentazioni drammatiche, manifestazioni di primaria importanza nella vita pubblica e religiosa, fornita da tratti sostanzialmente comuni in tutto il mondo ellenico ed ellenizzato.
a) Giochi panellenici. Giochi a carattere panellenico si svolgevano in quattro localit�, ad Olimpia, a Delfi sull'Istmo e a Nemea. I giochi olimpici, collegati al culto di Zeus, Atena e Pelope, si tenevano nel santuario di Olimpia ogni 4 anni, tra la fine di giugno e i primi di luglio; ebbero inizio, secondo la tradizione, nel 776 a. C. e termine nel 385 d. C.
Le gare si svolgevano fuori dal sacro recinto, nello stadio e nell'ippodromo a est dell'altis. In Olimpia non si svolgevano agoni musicali, ma lacune gare, come il pentatro, erano accompagnate da flauti. Talvolta, durante l'assemblea estiva veniva, data lettura di opere in prosa (cos� avvenne per le Storie di Erodoto) o venivano esposti dipinti.
b) Agoni e feste locali. Accanto agli agoni panellenici, vi era una folla di manifestazioni agonali e feste a carattere encorico, alcune delle quali, come i giochi panatenaici e le cerimonie misteriche di Eleusi, assunsero eccezionale importanza. Il passaggi graduale da queste varie cerimonie � indicato dal processo evolutivo in cui la danza cede, a poco a poco, la sua posizione prevalente rispetto alla parola. Le emozioni, i pensieri, i sentimenti cominciano a trovare la loro via di comunicazione. Lo sforzo spirituale si accentua: nasce il coro  come espressione di uno stato d'animo collettivo. Quel coro che, attraverso le primitive esperienze dell'antico teatro ebraico e delle rappresentazioni dell'estremo oriente, porter� sulle spiagge dell'ade alla nascita della tragedia intesa come voce sacra della stirpe, in contrapposizione alle forze della natura oscuramente dominatrici.
Certo , alle origini, le azioni mitico-drammatiche legate al culto, dovettero avere come centro ispiratore l'immagine e le imprese di Dioniso, ma anche il mito si consuma. Lentamente la forma prevalse sulla sostanza e il rituale drammaturgico, assunta una sua definizione in senso tragico, abbandon� progressivamente l'esclusivit� dionisiaca e si rifer� ad una pi� generica mitologia, celebrando i rapporti tra uomini e divinit�, tra dei e semidei, tra mortali e immortali. Tracce dell'antica religiosit� rimasero in certe sopravvivenze oggettuali, ad esempio nella presenza della timel� o in certe definizioni rituali, quali le caratterizzazioni dei satiri. La base ritmica era offerta dal ditirambo, ossia dal metro sul quale venivano scandite le lodi del dio. Nasce cos�, da questa vocazione di concretezza, che non riesce pi� ad appagarsi di un misticismo puramente lirico, la figura dell'ypocrites, un altro attore (in veste di interlocutore o deuteragonista). Il passo definitivo verso un totale adattamento drammatico e spettacolare sar� compiuto.

1. Lo spazio scenico
A grandi linee, la codificazione rituale dovette avvenire in questi termini: il coro, o meglio i due semicori, celebrando le lodi del dio, venivano ad agire intorno all'altare, (la timel�) in uno spazio semicircolare che assunse il nome di orchestra (dal greco orkeomai che significa "danzare"). La timel� conserva comunque il centro dello della rappresentazione scenica. Aumentando progressivamente il numero dei personaggi affidati alla sua interpretazione si presenta pari passo l'esigenza di un riparo dietro cui l'attore possa celarsi durante i cambi d'abito. Questo luogo deputato, costituito agli inizi da un semplice siparietto, dal termine greco sken� (che significa appunto tenda) assumer� la definizione teatrale di "scena" e verr� ad assumere un ruolo centralizzante nella rappresentazione teatrale, che successivamente verr� sopraelevata sfruttando, in un primo tempo, un rialzo naturale del terreno, o costruendo una pedana in legno. Il rialzo della sken� e dello spazio circostante corrisponde alla esigenza di non confondere le azioni degli attori, appunto, in quella fascia che ancor oggi si definisce col termine di proscenio. Questo asetto dello spazio scenico verr� corredato dalla presenza di due corridoi laterali aperti verso l'orchestra, che servivano per le entrate e le uscite dei semicori e che prendevano il nome di paradoi.
Trattandosi quindi di rendere partecipi migliaia di spettatori che dovevano, non solo vedere, ma anche ascoltare, il problema poteva essere risolto solo con una sopraelevazione del pubblico stesso. Da questa semplice considerazione nasce la struttura plateale ad anfiteatro chiamato oggi "teatro greco".
Il teatro greco si � sviluppato in forma compiuta solo dopo l'et� periclea. Gli elementi suoi caratteristici sono la cavea, area semicircolare a gradoni, dove sedevano prima due scale laterali e infine, da una serie di scalinate radiali chiamate cunei.
Nei primitivi teatri la cavea era formata in terra battuta (teatro di Siracusa, 470 a.C,), solo nel IV secolo a. C. viene realizzata interamente in pietra (Teatro di Epidauro, 370 a. C.). L'orchestra � la zona nella quale in origine e durante tutto il periodo classico agivano i danzatori e i coristi. Pi� tardi la rappresentazione si sposta in un piano sopraelevato. La scken�, in origine era un fondale di tela posto nell'orchestra, di fronte alla cavea, pi� tardi costruita in legno per accogliere gli attori durante il cambio dei costumi, fu posto dapprima a fianco dell'orchestra, poi costruita in muratura, fu posta di fronte alla cavea di modo che la parete sull'orchestra serviva da fondale. un'ultima modifica port� alla formazione del proskenion che consiste in una articolazione a forma di "U" della scken�.

2. Macchine teatrali del teatro greco
Anche se in taluni casi si fa riferimento al teologheion come ad un piano sovrastante la scken� e destinato ad accogliere le apparizioni degli dei, dobbiamo pensare che, perlopi�, era il tetto della stessa sken� ad assolvere questa funzione di luogo deputato alla teofania- Non abbiano conoscenza di quanto fosse alta la sken�, ma doveva comunque superare di molto i tre metri se pensiamo che in una scena di Euripide, un attore doveva fare un balzo dal tetto a terra, quindi per raggiungere altezze maggiori, veniva impiegata una sorta di gru chiamata mech�ne. Di questo attrezzo scenico dovette molto servirsi Euripide, ce considerando la sua abitudine di concludere spesso i suoi lavori con l'apparizione, appunto, del deux ex machina. A differenza del teologheion, che poteva ritenersi nella stanza una sorta di impalcatura praticabile sovrastante la sken� il mach�ne permetteva un'entrata in sena dinamica. Questa macchina prendeva anche il nome di aior�ma (elevatore) o gheraun�s (gr�).
Accanto a queste macchine addette alla sopraelevazione degli attori, va ricordato, inoltre, un altro meccanismo chiamato ad assolvere un diverso compito, si tratta dell' ekkiclema, sorta di piattaforma su ruote sulla quale si collocano gli esecutori e le vittime e che veniva spinta fuori dalla porta centrale della sken�. Il diametro del semicerchio era perci� determinato dalla larghezza della porta e poteva anche raggiungere l'ampiezza di 4 metri. Ricorderemo quindi l'anapiesma, una sorta di botola usata per l'apparizione delle furie o di altri dei sotterranei, lo strofeion (o macchina per le apoteosi) che, con impiego analogo a quello del teologheion, permetteva la trasfigurazione degli eroi in divinit�, il keraunoskopeion, o macchina per fulmini ed il bronteion, o macchina per il tuono. Esistevano anche i periaktoi, scene girevoli poste lateralmente al palcoscenico, formate da prismi triangolari. Ogni facciata aveva dipinto un particolare di scena che legava con la rimanente decorazione. Questi prismi ruotavano su di un asse permettendo tre cambiamenti a vista.
Sappiamo anche che, a seconda del genere letterario cambiava la funzione del coro che, nei drammi, era uno solo, mentre nella rappresentazione della commedia erano due. Nella trattatistica storico-letteraria greca, derivante dalla speculazione aristotelica a noi giunta in tarde e scarse reliquie, l'intera poesia � divisa in due grandi generi, che nella formulazione forse pi� attendibile, quella di Diomede, sono cos� configurati: 1) genere narrativo o enunciativo (non imitativo), comprendente: epos, giambo, elegia, lirica 2) genere drammatico o imitativo. Il genere drammatico era a sua volta suddiviso in tragedia, commedia, dramma satiresco, mimo

.3. Temi della letteratura drammatica
La tragedia, col dramma satiresco, attinge al patrimonio di leggende eroiche dell'epos omerico, del ciclo troiano e tebano delle Eraclee e anche alle tradizioni locali. Su questa materia la tragedia greca lavor� per tutto il V. sec., restringendo il repertorio ad un limitato numero di figure tragiche: Edipo, Achille, Tieste, Telefo, Aiace, Filottete, Oreste, Almeone eccetera. Propria, infine, della letteratura drammatica � la fecondit� dei poeti: per limitarci ai maggiori: sappiamo di circa 90 drammi di Eschilo, circa 120 di Sofocle, circa 90 di Euripide, 40 di Aristofane, circa 100 di Menandro. Complessivamente rimangono oggi di tutta la produzione greca 45 opere intere: 7 di Eschilo, 7 di Sofocle, 19 di Aristofane, 1 di Menandro (ritrovata nel 1957); di tutti gli altri, tragici e comici, abbiamo soltanto frammenti pi� o meno ampi e numerosi.

4. Ordine dorico, jonico, corinzio
Dal punto di vista dello scenografo � di fondamentale importanza conoscere gli ordini architettonici per potersene servire all'occorrenza. La misura di base che serve per la costruzione delle proporzioni dei vari canoni architettonici � il modulo che � una misura di norma presa sul raggio delle colonne, misurato all'imoscapo, cio� nella parte pi� bassa del fusto della colonna. La dimensione delle altre parti � ricavata moltiplicando o divedendo il modulo.
Gli ordini architettonici greci possono essere considerati due: il dorico e lo jonico il terzo, il corinzio, in effetti, � una variazione dell'ordine jonico. Tutti gli elementi dell'ordine hanno una precisa funzione: la decorazione non � un elemento applicato, ma una trasfigurazione delle relative funzione, come i triglifi, che ricordano le scanalature fatte sulle teste delle originarie travi lignee per far scorrere meglio l'acqua piovana, o le metope, tavolette poste tra il triglifo e triglifo, affinch� l'acqua non penetri all'interno della struttura.

L'ordine dorico � un assieme di elementi articolati e strutturati in forma organica, secondo un rigore compositivo che resta esemplare.

L'ordine jonico sembra abbia avuto origine nella zona anatolica della jonia, verso il VII/VI sec. a. C., ma solo nel V secolo giunge a completa maturazione. E' un ordine che si presenta con interpretazioni diverse, tra le quali � da ricordare quella della Jonia, che nella base della colonna si differenzia da quella greca. Come il dorico, anche lo jonico � diviso in tre parti: stilobate, colonna e trabeazione. Mentre la colonna  dorica poggia direttamente sullo stilobate, la colonna ionica si erge sopra una base, ma con un rapporto molto pi� slanciato. Le scanalature non a spigolo vivo, sono generalmente 24. L'ordine jonico valorizza la decorazione: l'echino � spesso ornato da ovoli, anche l'abaco, pi� sottile che nel dorico, � decorato. Nel capitello, la caratteristica voluta jonica presenta una veduta frontale; quando � usata angolarmente viene modificata con l'inserimento a 45' di un altra voluta, in modo da presentare nei due prospetti sempre la visione migliore. L'architrave, o epostilo, � suddiviso in tre fasce orizzontali di grandezza degradante e sporgenti in maniera diversa; spesso la fascia superiore � decorata. Il fregio, assente negli esempi arcaici, appare verso la fine del VI secolo (Tesaurus di Siphnos a Delfi, 525 a. C.). Il timpano dell'ordine jonico, rispetto a quello dorico, presenta una pendenza meno accentuata.

L'ordine corinzio si differenzia dallo jonico per la maggiore altezza del capitello e per il motivo a foglie d'acanto che lo decora; gli altri elementi sono analoghi. Sull'origine di questo capitello Vitruvio d� credito alla leggenda che lo attribuisce allo scultore Calimmaco. Pi� attendibile l'ipotesi avanzata da Rigl, che lo considera come risultato della elaborazione di diverse ornamentazioni di origine vegetale, molto diffuse nei paesi Medio-Orientali (Egitto - Mesopotamia ecc.). L'ordine corinzio, dopo alcuni esempi isolati del V secolo, giunge a completa maturazione nel IV secolo, come � evidenziato dal Monumento coragico di Lisicrate, del 335 a. C.

5. Jean-Pierre Vernant sul teatro greco e sull'attualit�

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Quando ero giovane, tutti i buoni studenti studiavano greco - quelli che facevano studi scientifici non meno di quelli che facevano studi letterari. Insomma il greco faceva parte della cultura comune. Direi persino che, quando ero un bambino, nella buona borghesia un medico, un avvocato, un uomo politico, doveva in qualche modo impregnarsi di modelli culturali classici per apparire competente nel proprio campo. Questo ormai � del tutto finito. Per i giovani di oggi la Grecia � lontanissima. Ma mentre la Grecia si � allontanata, il mondo contemporaneo si � riavvicinato: con la televisione ogni bambino, anche piccolissimo, vede l' Africa, la Cina, o l' America come se fossero a casa sua. Da dove viene allora questa specie di passione per le tragedie greche? Nella nostra epoca l' uomo espresso dalla tragedia greca ha pi� che mai rilievo: voglio dire l' uomo enigmatico, l' uomo preso in un flusso che lo supera, l' uomo che calcola, decide e giudica, che esita tra due vie, posto nei bivi dell' azione, che sceglie consapevolmente - e che poi alla fine si accorge di aver scelto in realt� il contrario di quel che lui credeva fosse il bene. Questo sentimento "tragico" � oggi pi� forte perch� molte cose che ci sembravano certe sono oggi in crisi: in particolare l' ottimismo storico, l' idea di un futuro che l' uomo possa dominare, l' idea che l' uomo � padrone della propria storia, che egli � padrone e possessore della natura come diceva Descartes -un' idea che si � imposta a tutta la modernit�. E perch� tutto ci� � in crisi? Perch� oggi vengono messe in questione la scienza, e con essa le tecniche che ci sembravano il modo pi� sicuro per assicurare all' uomo il suo potere sul mondo e su se stesso. Oggi ci si chiede se in fin dei conti la corrente scientifica e tutto questo sviluppo tecnico non ci portino alla catastrofe. L' idea che l' uomo potesse con la propria volont�, in cooperazione con i suoi, con gli altri, in gruppo, costruire l' avvenire, � andata a sbattere contro un muro. L' idea per cui si poteva inventare una societ� veramente armoniosa e libera, grazie a cui -come diceva Marx- avremmo potuto saltare dal regno della necessit� al regno della libert�, si � infranta contro un muro. Ci si � infatti accorti che lo sforzo per programmare il futuro, lo sforzo per inscrivere in anticipo nella storia i fini ultimi dell' uomo, � qualcosa di incredibilmente incerto. In questo caso l' uomo -proprio come gli eroi tragici antichi-volendo costruire un mondo veramente ideale pu� fare il contrario di quel che credeva di fare. C'� quindi oggi, cos� credo, una specie di ritorno della coscienza tragica.

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Il poeta tragico non inventa i personaggi, e nemmeno l' intrigo, dato che, grosso modo, � l' intrigo tradizionale. Egli fa una cosa del tutto diversa: dispone una serie di azioni in modo tale che, una volta che avete visto l' inizio e il seguito, come dice Aristotele, capite che con ogni probabilit� o necessariamente accadranno una serie di avvenimenti drammatici. Gli eroi sono uomini a cui capitano delle catastrofi; la catastrofe � il rovesciamento completo di una situazione. E queste catastrofi non sono dovute alla cattiveria degli eroi: essi non sono cattivi, n� indegni, non sono kakoi, non sono caratteri "bassi", meschini; al contrario, hanno della grandezza. Ma il poeta tragico operer� un montaggio dell' azione, in modo che tutto d' un tratto le cose si svolgeranno con una specie di necessit� interna, ineluttabile, e lo spettatore vedr� tutto questo. Aristotele dir� che � una mimesis, una imitazione di un' azione. Per� il termine mimesis deve essere preso in un senso molto particolare: direi che si tratta di una simulazione. Penso profondamente che la tragedia � una simulazione nel senso in cui parliamo di simulazione in fisica, per esempio. In fisica si definisce uno spazio limitato, ma in questo spazio cercheremo di produrre delle condizioni estremamente chiare e nette, che ci permetteranno di capire come si svolge un certo fenomeno. Per esempio, si simuler� lo sbarco sulla luna, prima di tentare lo sbarco reale, in uno spazio limitato e controllato di cui conosciamo tutte le dimensioni; cercheremo di vedere le diverse possibilit� che potrebbero presentarsi una volta noti i dati primi. La tragedia fa la stessa cosa. La tragedia monta un' esperienza umana a partire da personaggi noti, ma li installa e li fa sviluppare in modo tale che -per riprendere ancora Aristotele - la catastrofe che si produce, quella sub�ta da un uomo non spregevole n� cattivo, apparir� come del tutto probabile o necessaria. In altri termini, lo spettatore che vede tutto ci� prova piet� e terrore, ed ha la sensazione che quanto � accaduto a quell' individuo avrebbe potuto accadere a lui stesso. Vale a dire, dietro le particolarit� dei personaggi, sono messi in questione gli uomini, lui e gli altri, insomma qualsiasi uomo. In qualche modo ogni uomo viene messo in scena in questo spazio privilegiato e controllabile, e lo svolgersi della catastrofe ineluttabile riveste allo stesso tempo -per lui spettatore- un carattere nuovo, essa diviene intelliggibile.

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La tragedia fa un' altra cosa: essa d� un senso diverso da quello del mito. In effetti, che cosa capita ad Edipo? Edipo � un figlio che non sarebbe dovuto nascere, questa � la sua disgrazia. Quindi, sin dalla nascita, egli � oggetto di una specie di maledizione, egli � votato alla disgrazia, non avrebbe dovuto nascere. Perci�, qualsiasi cosa faccia, far� sempre male. Egli � colpevole senza aver fatto nulla di male, e questo � uno dei problemi posti dalla tragedia. Non c' � in ogni uomo, per il solo fatto di esistere, nella misura in cui egli dipende da tutti quelli che l' hanno preceduto, qualcosa che lo supera o lo sovrasta? Egli dipende da questo qualcosa, per cui le sue azioni non emanano direttamente da lui; in qualche modo le sue azioni si radicheranno aldil�, dietro di lui, o pi� in alto di lui. E questo � un senso tragico: infatti noi facciamo delle cose, siamo dei personaggi, e contemporaneamente i nostri atti -e persino noi stessi- ci sfuggono di mano. Un senso enigmatico, dato che Edipo � un decifratore di enigmi. Lui stesso lo dice: "sono io che ho indovinato, io sono l' uomo che sa", e difatti ci si rivolge a lui come ad un sapiente. D' altro canto � un uomo che vuol sapere; vuol sapere la verit�. E questo desiderio di conoscere, cos� come quella capacit� che lo rende superiore agli altri, faranno di lui una specie di mostro che imbroglia tutte le generazioni. Bisognerebbe seguire invece il corso del tempo, ognuno dovrebbe restare al suo posto, il figlio dovrebbe succedere al padre, soprattutto quando poi si tratta di re: Edipo sloggia il re e prende il suo posto quando il re � ancora sul trono, non nel momento in cui il padre lascia il posto libero. Questo significa l' assassinio del padre. Questa � la grande colpa. Ma la grande colpa di Edipo � anche l' incesto, perch� ha incontrato il seme del padre nel ventre della madre. Egli � dunque una specie di mostro, ed � un mostro senza aver fatto nulla di male! Le sue qualit� lo hanno portato fin l�. Da qui la risposta all' interrogazione sull' uomo: "eh si, che strana creatura! Come pu� accadere che essa sia abitata da questo legittimo desiderio di sapere e che questo desiderio di sapere ricopra un' ignoranza fondamentale?" Edipo non sapeva chi fosse. Colui che era re e padrone diventa l' ultima delle spazzature, un' impurit�, una macchia che bisogna cacciar via.

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La tragedia -come vien detto, ed io sono d'accordo-� un genere letterario che, al contrario del genere epico, pone il problema dell' azione: perch� la tragedia presenta gli eroi davanti ai bivio dell' azione. Vale a dire, una delle domande che vediamo sorgere sempre nei testi tragici � "Che fare? Che cosa devo fare? Che cosa scegliere? Se scelgo questo, ecco cosa rischia di capitarmi. Se scelgo quello, ecco cosa rischia di capitarmi." Essa presenta l' uomo di fronte ad una decisione difficile. Si ha dunque la sensazione che nella tragedia cominci ad apparire l' idea di un potere pi� o meno autonomo nell' uomo, di agire e di decidersi in funzione del meglio, di quel egli crede essere il meglio. E' "boulomai", il verbo volere: "deliberare e allo stesso tempo decidere. Dunque, non pi� un influsso o un impulso di origine divina, ma una riflessione e una decisione. Ma allora si dir�, "bene, ma � quel che noi chiamiamo il volere, o volont�." Si, ma appunto, la tragedia mostra che questa volont� non � mai realmente autonoma. Allo stesso tempo, la tragedia mostra come in tutte le decisioni umane ci sia una deliberazione del soggetto che soppesa il pro e il contro - ma dietro, allo stesso tempo, c' � la presenza di tutte le decisioni divine, di tutti i progetti degli dei. Dietro ci sono tutti gli attori, gli dei che organizzano, che tirano le fila in qualche modo. Cos� che ogni azione umana si profila allo stesso tempo come un atto che emana dal soggetto, che traduce il suo carattere, il suo "ethos", la sua maniera interna d' essere ma che, allo stesso tempo, rappresenta il modo in cui gli dei l' hanno guidata senza che l' agente lo sappia. C'� una formula di Eraclito che dice che "ethos", il carattere, per l' uomo � "daimon", un demone. Si pu� intendere questa frase nei sensi pi� vari; ed essa pu� intendersi altrettanto bene nel senso che "gli uomini credono che un demone li guidi, ma invece � il carattere". E infine la formula pu� voler dire - e questo � il senso tragico -"quel che gli uomini chiamano carattere in realt� � una forza demoniaca". Edipo quindi � un personaggio paradigmatico perch� in Edipo, in modo magistrale, vediamo un uomo che � il campione della riflessione: � il re che ha saputo indovinare, che ha saputo capire, l' uomo che cerca di capire, che vuol sapere la verit�. E mentre persegue questa verit�, mentre segue il suo cammino, realizza che in realt� gli dei lo hanno guidato dall' inizio alla fine. Gli dei lo hanno guidato affinch� quella scienza si riveli in realt� la scienza di quel che accadde, affinch� la conoscenza dell' assassino di Laio si dichiari, si riveli come l' ignoranza di se stesso. Perch� lui � l' assassino di Laio, e di conseguenza veramente Edipo fissa il centro nel nucleo stesso della riflessione tragica.

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Non si pu� proiettare il complesso di Edipo, nel senso freudiano, sulla tragedia antica. Bisogna trovare in certi passaggi del testo stesso della tragedia il punto di appoggio: si dovrebbe mostrare in che cosa quel che ha detto Freud permetterebbe di capire meglio certi passaggi i quali, senza le analisi freudiani, resterebbero poco chiari. Ma non si pu� leggere la tragedia convinti in anticipo dell' esistenza del complesso in Edipo. Invece � evidente che Edipo non ha complesso. In ogni caso, un' interpretazione psicoanalitica del testo non pu� dire "il personaggio Edipo ha il complesso omonimo". Un' interpretazione deve dire "Edipo non pu� avere il complesso perch� egli non ha mai conosciuto suo padre, n� sua madre, perch� � stato allevato da un altro padre e da un' altra madre, che lui chiamava 'padre' e 'madre'; perch� quando uccide suo padre non sa che si tratta di suo padre; e perch� quando va a letto con sua madre non accade perch� ne abbia voglia, � perch� questo gli viene imposto." Quel che � vero, invece, e che si pu� dire, � che la tragedia � costruita, questo s�, come la cura psicoanalitica di un complesso edipico non risolto: voglio dire che lo svolgimento stesso della tragedia, lo svolgersi del dramma da un punto di partenza di ignoranza fino ad un punto di arrivo in cui si sa, dispiega una specie di delucidazione progressiva di un complesso di Edipo. Ma questo complesso non � di Edipo, e nemmeno del pubblico: � il problema del rapporto tra padre e figlio, e di tutte le relazioni complicate che ne conseguono. Questo viene tradotto un po' dal mito quando esso spiega che il figlio deve prendere il posto del padre, ovviamente, ma che pu� prenderne il posto solo dopo un certo tempo, una volta date certe condizioni, quando la situazione giunge a maturazione. Ma allora siamo in un contesto che � molto diverso da quello della psicologia o della nevrosi. Siamo in un contesto molto pi� generale, molto pi� sociale.

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Aristotele dice testualmente che c' � pi� verit� nella tragedia che nella storiografia. Perch�? Perch� necessariamente la storia -egli conosceva la storia scritta da Erodoto e da Tucidide-racconta ci� che ha avuto luogo, in un dato momento e in un dato luogo. Le cose si sono svolte in questo modo, punto. Vale a dire che la storia resta per vocazione, in qualche modo, confinata nel particolare, nel singolare, nell' accidentale. Mentre la tragedia mostra non quel che � accaduto, ma quel che doveva necessariamente e secondo ogni probabilit� accadere. Vale a dire, la tragedia � gi� dell' ordine del generale e del necessario, quindi molto pi� vicina al vero intellettualmente. Aristotele la pensa cos� contro Platone, il quale invece rifiuta la tragedia perch� � patetica. Allora Aristotele cercher� di mostrare che, anche in uno spettacolo incentrato su terrore e piet�, pu� svolgersi simultaneamente un processo intellettuale che si tradurr� in una purgazione del terrore e della piet�. Facendoci accedere ad una verit� intellettuale, la tragedia ci d� un insegnamento. Tutta la tessitura della tragedia, come simulazione ed estetizzazione, trasforma l' elemento bruto della passione in qualcosa che diventa intelligibile, e che produce un effetto di bellezza. Qquindi di produce una pacificazione nel ritorno all' ordine. Ma l' ordine che troviamo all' arrivo non � lo stesso di quello che c' era in partenza: nel frattempo abbiamo visto come un uomo per bene possa essere distrutto, o distruggersi da s�, probabilmente o necessariamente seguendo un ordine a cui ho assistito, e cos� ad ogni momento del processo ho capito quel che succedeva. Mentre terrore e piet� implicano obbligatoriamente una specie di opacit� agli eventi, e a me stesso che subisco gli eventi, al punto della catarsi no: provo s� terrore e piet�, ma allo stesso tempo queste due passioni sono purificate, per il fatto che vengono prodotte attraverso lo spettacolo, e lo spettacolo non � il reale. La padronanza di s� � sempre restato un ideale greco. Ma, pur rimanendo, si � tinta in modo diverso all' epoca della tragedia. La tragedia ha tradotto, quando essa era in piena espansione, questa visione del mondo, compresa questa nuova visione del divino: un mondo e un divino dilaniato da contraddizioni che pur bisogna cercare di assumere come si pu� e che, talvolta, vi spezzano se volete essere tutto da una parte o tutto dall' altra. La tragedia pu� allora essere un mezzo, per lo spettatore, attraverso la "catharsis", di ritrovare un certo equilibrio psichico. Terrore e piet�, purificate dal fatto che si ha un messaggio che � ad un tempo intelliggibile e che comporta una parte di verit� - di verit� sull' uomo."

Tratto dall'intervista effettuata dalla RAI educational: "La tragedia greca oggi" - Parigi, abitazione, 9 maggio 1994

Bibliografia su Jean-Pierre Vernant

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