„Il
sole non ha un proprietario" di Sabine Scholz
Un romanzo per il 200° compleanno di Max Stirner
Verlag Max-Stirner-Archiv Leipzig 2005
250 pagine, prezzo: 12,90 Euro
ISBN 3-933287-58-8
informazioni:[email protected]
Recensione:
di
Elisa Leonzio
Riflessione
filosofica, storie d’amore tormentate e considerazioni
di carattere storico-sociali: questi i temi conduttori
del romanzo di Sabine Scholz Die Sonne hat keinen Eigentümer.
Un romanzo la cui trama si sviluppa lungo due piani narrativi
paralleli, ben distinti a livello cronologico (la Germania
della prima metà dell’Ottocento e la Germania
contemporanea) e stilistico (racconto epistolare e narrazione
in terza persona), ma intimamente connessi da un comune
sostrato ideologico.
Due le protagoniste: Marie Dähnhardt, figlia di un
farmacista di Gadebusch, che nel 1838, ancora giovanissima,
abbandona la sua casa per recarsi a Berlino, dove sposerà
il filosofo Max Stirner, e Ambra Brückner, figlia
di un piccolo industriale dell’Ovest, che, dopo
la caduta del muro, ha cercato fortuna all’Est,
stabilendosi proprio a Gadebusch, città che un
secolo prima ha dato i natali a Marie.
Ambra ritrova casualmente una serie di lettere, che Marie,
dopo la propria fuga a Berlino, aveva inviato alla cugina
Fanny, e fa di Marie il proprio modello di vita, tanto
da recarsi a Berlino per seguirne le tracce, stringendo
amicizia e poi innamorandosi di Robert Weigert, filosofo
senza lavoro, studioso di Stirner e fondatore di uno Stirner-Archiv,
figura in cui l’autrice rende forse omaggio al proprio
editore e amico Kurt Fleming.
Le lettere di Marie, inserite in più punti del
testo ad interrompere la narrazione delle vicende di Ambra,
si offrono come uno specchio in cui Ambra stessa (ed il
lettore con lei) vede riflessa la propria vita e prende
coscienza della situazione di oppressione in cui è
costretta a vivere, situazione che, prima dell’
incontro con Marie, non aveva mai saputo riconoscere,
se non forse come vago presentimento e desiderio imprecisato
che nella propria esistenza intervenisse un qualce cambiamento
(ma quale? Una nuova relazione sentimentale, una nuova
città?), come tendenza all’evasione che si
concretizza nell’amore di Ambra per la scrittura
e nell’aspirazione inconfessata di divenire scrittrice.
Nella ribellione di Marie, che rifiuta il matrimonio pianificato
per lei dalla madre e fugge, sfidando con ciò tutte
le regole del ceto borghese cui appartiene, Ambra trova
la giusta spinta per sfidare a sua volta il proprio mondo,
un mondo che, sembra dirci Sabine Scholz, è retto
dalla medesima morale che dominava l’epoca di Marie
e di Max Stirmer: una morale soffocante e provinciale,
che paralizza l’uomo in ogni suo tentativo di emancipazione.
Ad essere oppresse, allora come oggi, sono soprattutto
le donne, Marie vittima del perbenismo ipocrita di suo
zio come Ambra vittima della misoginia di un professore
neonazista, che reputa le donne incapaci di esercitare
un pensiero critico, incapaci, in ultima analisi, di qualsiasi
attività razionale.
L’autrice consegna così’ al lettore
un ritratto impietoso della Germania contemporanea, che
sembra ripetere senza sosta gli errori del passato; un
paese in cui chi è diverso, per necessità
(molti personaggi di questo romanzo soffrono di un forte
senso di inadeguatezza alla vita e a volte di vere depressioni)
o per scelta (i ribelli per vocazione, Marie, Ambra o
Max Stirner), è destinato all’infelicità
o alla distruzione in nome di una più alta ragione
borghese, che, celando il malessere interiore degli uomini
per mezzo di un (fittizio) benessere esteriore, crede
di aver sconfitto questo stesso malessere, là dove,
in verità, esso è inasprito dall’impossibilità
di trovare libera espressione.
Ancora alcune considerazioni. Il romanzo vuole essere
un omaggio a Max Stirner, di cui si celebra nel 2006 il
duecentenario della nascita. Stirner, filosofo anarchico
e nichilista, è per lo più trascurato dalla
saggistica tedesca contemporanea, mentre maggiore fortuna
la sua opera ha, paradossalmente, ottenuto all’estero.
La Germania, nel tentativo di ricomporre la frattura,
economica ma soprattutto culturale, tra le proprie due
anime, è alla ricerca di nuovi valori, che le consentano
di costruirsi un’identità unitaria, ed in
tale ricerca fatica a riconoscere lo spessore speculativo
di un autore che, come Max Stirner, ha voluto mettere
in crisi ogni valore astratto e universale, per sostituire
ad esso la centralità del singolo individuo. Forse
la Germania contemporanea sente oggi il bisogno di uniformità
di valori ed intenti e, per tale motivo, rifugge dalle
individualità forti e ribelli, di cui Stirner può
essere assunto a modello. Sabine Scholz si propone con
il suo lavoro di invertire tale tendenza; tuttavia nel
romanzo stesso, nel momento in cui le lettere di Marie
vengono pubblicate grazie ad Ambra ma non in Germania,
bensì in Francia, sembra esservi l’ammissione
che personaggi “titanici”, quali a loro modo
si rivelano essere Marie Dähnhardt e Max Stirner,
sono giunti troppo presto per la Germania, come l’uomo
folle di Nietzsche, ospiti indesiderati di un paese che
non sa o non vuole accoglierli.
In tal senso è quantomeno problematico parlare
quasi di un happy-end per Ambra, come invece ha fatto
Bernd Zachow sulle «Nürnberger Nachrichten»
del 9 agosto 2005: è bensì vero che, alla
fine del romanzo, Ambra sembra trovare la propria indipendenza
economica ed intellettuale, ma va altresì’
riconosciuto che la sua è una vittoria amara, segnata
dall’incomprensione nella sua patria e dal lutto,
dal suicidio di un caro amico che, della stessa incomprensione,
è rimasto vittima.
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