Oggi come ieri, ieri come
oggi:
Così come in "Origine ed evoluzione
della proprietà" anche attraverso quest'opera di
demistificazione della storia degli idealismi l'analisi di
Lafargue dirompe prepotentemente con la più estrema attualità di
oltre cent'anni dopo.
Tanto che, se si dovesse omettere di
citare l'autore e riproporre i passaggi di intere ed intere
pagine, l'osservatore ignaro si troverebbe di fronte ad un
ipotetico commentatore dei fatti più odierni delle dinamiche
contemporanee.
“La storia è un tale caos di fatti
sottratti al controllo dell’uomo, progredienti e regredienti,
che si scontrano e si intrecciano, appaiono e scompaiono
senza una ragione apparente, tanto che si è tentati di pensare
che sia impossibile raccoglierli e classificarli in serie tali
da permetterci di scoprire le cause di evoluzione e di
rivoluzione...
...Ma si deve concludere dalle difficoltà
del problema storico e dagli insuccessi dei tentativi per
risolverlo che la sua soluzione sia al di fuori della portata
della mente umana?...
...La storia al contrario mostra i popoli, gli uni attardarsi
nelle fasi d’evoluzione che altri superano con passo di corsa e
gli altri addirittura regredire dalle fasi
precedentemente raggiunte.
Questi arresti, progressioni e
regressioni, non si spiegano che illuminando la storia sociale,
politica ed intellettuale dei differenti popoli attraverso la
storia degli ambienti artificiali nei quali si sono evoluti; i
cambiamenti in questi ambienti, determinati dal modo di
produzione, determinano a loro volta gli eventi storici.”
Anche nell'analisi storica la riflessione
di Lafargue sembra voler mettere le mani avanti su molte derive
che avrebbero poi infestato la storia della "sinistra" nel
secolo successivo.
“Da quando è uscito dal comunismo della
gens, l'uomo ha sempre creduto di degenerare, e che la
felicità, il paradiso terrestre, l'età dell'oro fossero un
retaggio del passato. L'idea di perfettibilità umana e del
progresso sociale si è sviluppata nel XVIII secolo, mentre la
borghesia era avviata alla presa del potere, ma anch'essa, al
pari del cristianesimo, relegò la felicità nel regno dei cieli.”
E ancora sul capitalismo "collettivista"
si osserva:
“Fourier, nel suo Trattato sull'unità
universale, enumera i vantaggi offerti da questa forma di
proprietà al capitalista che "non corre alcun rischio di
furto, d'incendio e nemmeno di terremoto... Un azionista non
rischia mai di perdere, né di subire danni nella gestione e nei
profitti; l'amministrazione è la stessa per lui e per tutti gli
altri azionisti. Un capitalista che possiede cento milioni, può
da un momento all'altro realizzare la propria fortuna, ecc”.
“Questa proprietà assicurerebbe la pace sociale, perché 'le
inclinazioni sediziose si trasformano in culto dell'ordine se
l'uomo diventa proprietario' mentre 'il povero, proprietario di
un semplice scudo, può prender parte a una delle azioni
popolari, divise in quote molto piccole... e diventare
proprietario, sia pure in misura molto modesta, del tutto'; ciò
consente di dire frasi del tipo "i nostri palazzi", "i nostri
magazzini", "i nostri tesori".”
“I socialisti utopisti erano, insomma,
gli esponenti del collettivismo capitalista, e non
dell'emancipazione operaia. La loro età dell'oro non era che
l'età del denaro”.
“Napoleone III e i complici del suo colpo
di stato erano imbottiti di questi princìpi del socialismo
utopistico: permisero alle più piccole borse l'accesso alle
rendite sullo stato, la cui proprietà, fino a quel momento, era
stato il privilegio delle classi oltremodo facoltose;
democratizzarono la rendita, secondo l'espressione di
uno di costoro, consentendo l'acquisto di cinque franchi e
perfino di un solo franco di rendita. In tal modo ritenevano
possibile impedire le rivoluzioni politiche interessando la
massa alla solidità del credito pubblico.”
Lafargue ricorda altresì che fra i discepoli di Fourier e
Saint Simon “si annoverano gli industriali, gli ingegneri e i
finanzieri che prepararono la rivoluzione del 1948, e poi furono
complici del 2 dicembre: approfittarono della rivoluzione
politica per rivoluzionare l'economia, centralizzando le nove
banche provinciali nella Banca di Francia, legalizzando la nuova
forma di proprietà, inducendo l'opinione pubblica ad accettarla
e creando la rete ferroviaria francese.”
Chissà come si scompiscerebbe oggi, oltre cent'anni dopo,
il Lafargue a rileggere i deliri odierni dei fascisti dell'ilusionismo
bolivarista, dei redivivi "nazionalizzatori" di supposte quanto
improbabili "rifondazioni comuniste"... e dei cialtroni delle "sovranità
nazionali"... posto che già l'era delle
collettivizzazioni di borghese-soviettista memoria l'ha
eccellentemente esaminata e fatta a pezzetti in "Origine ed
evoluzione della proprietà".
Infine,
un ultimo assaggio di questa eccellente opera che auspichiamo
possa divenire quanto prima accessibile per intero sulla rete,
senza corrotte "prefazioni" e usure di "proprietà":
“La grande industria meccanica, che deve trasportare da località
lontane il combustibile e le materie prime, e deve parimenti
trasferire lontano i suoi prodotti, non può tollerare il
frazionamento di una nazione in piccoli stati autonomi, ciascuno
con le sue dogane, le sue leggi, i suoi pesi, le sue misure, la
sua moneta, la sua carta-moneta, ecc.
Al contrario, ha bisogno,
per svilupparsi, di una nazione unificata e centralizzata.
L'Italia e la Germania hanno soddisfatto queste esigenze della
grande industria solo combattendo guerre sanguinose. Thiers e
Proudhon, che presentavano tanti punti in comune e
impersonavano gli interessi politici della piccola industria,
si fecero ardenti difensori dell'indipendenza dello Stato
Pontificio e dei prìncipi italiani.”
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