Paul Lafargue.
Il Determinismo Economico di Marx
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Partendo dal presupposto che "il modo di produzione della vita materiale in generale condiziona il processo di sviluppo della vita sociale, politica e intellettuale", Lafargue analizza l'origine e l'evoluzione di idee astratte come "giustizia, bene, anima e Dio.

All'interpretazione idealistica che vorrebbe tali idee come atemporali, l'autore contrappone l'interpretazione materialistico scientifica secondo la quale tali idee evolvono in funzione della proprietà privata, della divisione della società in classi, delle necessità della produzione.

Questo classico del marxismo, che riprende molti temi del filone Morgan-Engels, apparve per la prima volta in Francia nel 1909 e rappresenta la sistemazione logica di alcuni articoli che Lafargue pubblicò sulla rivista tedesca "Die Neue Zeit".

Oggi come ieri, ieri come oggi:
 

Così come in "Origine ed evoluzione della proprietà" anche attraverso quest'opera di demistificazione della storia degli idealismi l'analisi di Lafargue dirompe prepotentemente con la più estrema attualità di oltre cent'anni dopo.

Tanto che, se si dovesse omettere di citare l'autore e riproporre i passaggi di intere ed intere pagine, l'osservatore ignaro si troverebbe di fronte ad un ipotetico commentatore dei fatti più odierni delle dinamiche contemporanee.

“La storia è un tale caos di fatti sottratti al controllo dell’uomo, progredienti e regredienti, che si scontrano e si intrecciano, appaiono e scompaiono senza una ragione apparente, tanto che si è tentati di pensare che sia impossibile raccoglierli e classificarli in serie tali da permetterci di scoprire le cause di evoluzione e di rivoluzione...

...Ma si deve concludere dalle difficoltà del problema storico e dagli insuccessi dei tentativi per risolverlo che la sua soluzione sia al di fuori della portata della mente umana?...
...La storia al contrario mostra i popoli, gli uni attardarsi nelle fasi d’evoluzione che altri superano con passo di corsa e gli altri addirittura regredire dalle fasi precedentemente raggiunte.

Questi arresti, progressioni e regressioni, non si spiegano che illuminando la storia sociale, politica ed intellettuale dei differenti popoli attraverso la storia degli ambienti artificiali nei quali si sono evoluti; i cambiamenti in questi ambienti, determinati dal modo di produzione, determinano a loro volta gli eventi storici.”

Anche nell'analisi storica la riflessione di Lafargue sembra voler mettere le mani avanti su molte derive che avrebbero poi infestato la storia della "sinistra" nel secolo successivo.

“Da quando è uscito dal comunismo della gens, l'uomo ha sempre creduto di degenerare, e che la felicità, il paradiso terrestre, l'età dell'oro fossero un retaggio del passato. L'idea di perfettibilità umana e del progresso sociale si è sviluppata nel XVIII secolo, mentre la borghesia era avviata alla presa del potere, ma anch'essa, al pari del cristianesimo, relegò la felicità nel regno dei cieli.”

E ancora sul capitalismo "collettivista" si osserva:

“Fourier, nel suo Trattato sull'unità universale, enumera i vantaggi offerti da questa forma di proprietà al capitalista che "non corre alcun rischio di furto, d'incendio e nemmeno di terremoto... Un azionista non rischia mai di perdere, né di subire danni nella gestione e nei profitti; l'amministrazione è la stessa per lui e per tutti gli altri azionisti. Un capitalista che possiede cento milioni, può da un momento all'altro realizzare la propria fortuna, ecc”.

Questa proprietà assicurerebbe la pace sociale, perché 'le inclinazioni sediziose si trasformano in culto dell'ordine se l'uomo diventa proprietario' mentre 'il povero, proprietario di un semplice scudo, può prender parte a una delle azioni popolari, divise in quote molto piccole... e diventare proprietario, sia pure in misura molto modesta, del tutto'; ciò consente di dire frasi del tipo "i nostri palazzi", "i nostri magazzini", "i nostri tesori".

I socialisti utopisti erano, insomma, gli esponenti del collettivismo capitalista, e non dell'emancipazione operaia. La loro età dell'oro non era che l'età del denaro”.

“Napoleone III e i complici del suo colpo di stato erano imbottiti di questi princìpi del socialismo utopistico: permisero alle più piccole borse l'accesso alle rendite sullo stato, la cui proprietà, fino a quel momento, era stato il privilegio delle classi oltremodo facoltose; democratizzarono la rendita, secondo l'espressione di uno di costoro, consentendo l'acquisto di cinque franchi e perfino di un solo franco di rendita. In tal modo ritenevano possibile impedire le rivoluzioni politiche interessando la massa alla solidità del credito pubblico.”

Lafargue ricorda altresì che fra i discepoli di Fourier e Saint Simon “si annoverano gli industriali, gli ingegneri e i finanzieri che prepararono la rivoluzione del 1948, e poi furono complici del 2 dicembre: approfittarono della rivoluzione politica per rivoluzionare l'economia, centralizzando le nove banche provinciali nella Banca di Francia, legalizzando la nuova forma di proprietà, inducendo l'opinione pubblica ad accettarla e creando la rete ferroviaria francese.”

Chissà come si scompiscerebbe oggi, oltre cent'anni dopo, il Lafargue a rileggere i deliri odierni dei fascisti dell'ilusionismo bolivarista, dei redivivi "nazionalizzatori" di supposte quanto improbabili "rifondazioni comuniste"... e dei cialtroni delle "sovranità nazionali"...   posto che già l'era delle collettivizzazioni di borghese-soviettista memoria l'ha eccellentemente esaminata e fatta a pezzetti in "Origine ed evoluzione della proprietà".

Infine,
un ultimo assaggio di questa eccellente opera che auspichiamo possa divenire quanto prima accessibile per intero sulla rete, senza corrotte "prefazioni" e usure di "proprietà":

“La grande industria meccanica, che deve trasportare da località lontane il combustibile e le materie prime, e deve parimenti trasferire lontano i suoi prodotti, non può tollerare il frazionamento di una nazione in piccoli stati autonomi, ciascuno con le sue dogane, le sue leggi, i suoi pesi, le sue misure, la sua moneta, la sua carta-moneta, ecc.

Al contrario, ha bisogno, per svilupparsi, di una nazione unificata e centralizzata. L'Italia e la Germania hanno soddisfatto queste esigenze della grande industria solo combattendo guerre sanguinose. Thiers e Proudhon, che presentavano tanti punti in comune e impersonavano gli interessi politici della piccola industria, si fecero ardenti difensori dell'indipendenza dello Stato Pontificio e dei prìncipi italiani.”


 

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