Paul and Laura Lafargue Social Page

"Lavorate , lavorate proletari
per accrescere la ricchezza sociale
e le vostre miserie individuali.
Lavorate, lavorate,
perché diventando più poveri
avrete più ragioni per lavorare
e per essere miserabili.
Questa è la legge inesorabile
della produzione capitalista."


Paul Lafargue nacque a Santiago di Cuba, da genitori misti. Da ragazzo si trasferì in Francia con la sua famiglia; qui prese a studiare medicina e si avvicinò per la prima volta alla politica, come seguace di Proudhon.

Dal 1861 cominciò ad appoggiare il movimento repubblicano, poi divenne uno dei leader della sinistra marxista del movimento operaio francese e co-fondatore del Partito operaio francese (1879).

Fu membro della I Internazionale come segretario corrispondente per la Spagna dal 1866 al 1868 e co-fondatore delle sezioni francese, spagnola e del Portogallo.

In questo modo divenne amico di Marx ed Engels, le cui posizioni teoriche prese a sostenere. Nel 1868 si sposò con Laura, la seconda figlia di Marx.

I Lafargue iniziarono così decenni di vita e lavoro politico comune, contribuendo alla diffusione internazionalista delle opere di Marx. Molte delle opere di Marx ed Engels furono infatti affidate alla traduzione di Laura così come molte delle opere di Paul NON furono possibili senza il continuo interscambio con Laura che ne curava e verificava anche l'adattamento per la diffusione in altre lingue.

Prese parte alla Comune di Parigi. Fu membro attivo della prima Internazionale e tra i fondatori del partito operaio francese. Per la sua propaganda socialista e rivoluzionaria fu più volte imprigionato.

Nel 1870-71 Paul partecipò alle agitazioni operaie di Parigi e di Bordeaux; dopo la caduta della Comune fuggì in Spagna per poi trasferirsi definitivamente a Londra, dove fu condannato ad un anno di carcere a seguito della sua attività politica.

Lafargue lottò sempre contro il riformismo di Millerand (cioè contro l’entrata dei socialisti nei parlamenti borghesi) opponendosi nel 1899 all’entrata dei socialisti nel governo. Si interessò ai fenomeni antropologici, religiosi e sociali, dei quali promosse la spiegazione attraverso il materialismo storico.

Lafargue era un ottimo oratore ed ha scritto numerosi lavori sul marxismo rivoluzionario, incluso l'ironico e ben conosciuto Il diritto d'essere pigri ed Evoluzione e proprietà.

Nel 1911, l'ormai anziana coppia decise di suicidarsi, nella coscienza di non aver ormai più nulla da dare al movimento dei lavoratori cui avevano dedicato tutta la loro vita.

Restò odiato ed eluso dalle sinistre riformiste, specie italiane, del Secondo Novecento in quanto inadoperabile ed ingestibile ai fini delle degenerazioni endemiche che hanno portato all'estinzione dei movimenti "comunisti" italiani del 2° dopoguerra.
 

Dopo una dura critica a Emile Zola, in una presentazione dedicata all’opera di Marx, intervento che ha arricchito una delle prime traduzioni del Capitale in Italia ai primissimi del ‘900, Lafargue ricorda a proposito del Capitale e di Marx:

"La sua argomentazione non era fatta di astrazioni come gli hanno rimproverato economisti che sono incapaci di pensare; egli non adoperava il metodo dei geometri, i quali dopo aver prese le loro definizioni dal mondo che li circonda prescindono completamente dalla realtà nelle deduzioni che ne traggono.

Non si trova nel Capitale una definizione unica, una formula esclusiva, ma una serie di profonde analisi che fanno emergere le più fugaci gradazioni e le più impercettibili differenze di grado.

Esso incomincia con la constatazione del fatto manifesto che la ricchezza delle società nelle quali regna il modo di produzione capitalistico appare come un’immensa accumulazione di merci: la merce, qualche cosa di concreto, non un’astrazione matematica, è quindi l’elemento, la cellula della ricchezza capitalistica.

Marx fissa la merce, la gira e la volta in tutti i lati, ne volta l’interno all’esterno e le strappa uno dei suoi segreti dopo l’altro, dei quali gli economisti ufficiali non hanno avuto neanche un’idea e che non di meno sono più profondi dei misteri della religione cattolica.

Dopo che ha esaminato la merce da tutti i lati egli la considera nei suoi rapporti alle sue pari nello scambio; passa poi alla loro produzione e alle preliminari condizioni storiche della loro produzione. Egli considera le forme fenomeniche delle merci e mostra com’essa passi da una forma all’altra, come una generi necessariamente l’altra. La serie logica evolutiva dei fenomeni è esposte con arte così completa che la si potrebbe ritenere un’invenzione; essa però sgorga dalla realtà ed è una riproduzione della effettiva dialettica della merce".

Così Lafargue espone in sintesi l’opera di Marx, i riferimenti agli economisti "ufficiali" suonano profeticamente (Ahi noi!) tanto che al lettore attento vien da chiedersi se in Russia abbiano mai letto il Capitale. Una cosa è certa: stando ai documenti citati, le esperienze ed i modelli sovietici, cinesi o cubani nulla hanno a che vedere con il Marxismo di Marx.

Lafargue teneva a cuore anche la demolizione dell’idealismo ed in un saggio del 1909 finalizzato a "ribattere i chiodi" del determinismo economico di Marx spiega:

"Le idee e i princìpi eterni sono lusinghe così irresistibili che non esiste propaganda finanziaria, commerciale o industriale, pubblicità di bevande alcoliche o droghe farmaceutiche che non ne siano condite: tradimenti e delitti politici e frodi economiche innalzano il vessillo delle idee e dei princìpi.

La filosofia storica degli idealisti non poteva che essere una logomachia tanto insipida quanto indigesta, perché essi non si sono resi conto che la Borghesia sbandiera sempre questi princìpi eterni al solo scopo di mascherare gli egoistici moventi delle sue azioni, né, per altro verso, hanno compreso l’indole ciarlatanesca dell’ideologia borghese.

Ma i penosi aborti della filosofia idealista non provano certo l’impossibilità di pervenire alle cause determinanti dell’organizzazione e dell’evoluzione della società umana, esattamente come i chimici sono riusciti a individuare i fattori che presiedono all’associazione delle molecole in corpi composti."

  • E qui l’illustrazione di Paul Lafargue va a sposarsi col nostro intento.
  • Abbiamo tutte le ragioni del mondo per affermare che chi opera e "produce"..., nel nome dello sviluppo, del lavoro e della produttività, è un criminale poiché crea morte.

    Chiamatela ideologia, chiamatela pure "congiura giudaico massonica marxista"... chiamatela come vi pare, ma non potrete mai negare la cruda realtà storica, nelle sue continue conferme, perché negando e facendo l'apologia del "lavoro" e dei capitalismi dal volto umano ... si diffondono solo e soltanto aberrazioni della specie umana e balle deviazioniste per creare confusione intere$$ata e ricatto occupazionale mafio moralisteggiante.

     

     
    Una motivazione più esauriente la si può ritrovare ne l’Anticritica di questa edizione.

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    Nei manuali di "storia del marxismo" Paul Lafargue viene ricordato (e ridotto) come il marito della figlia prediletta di Karl Marx: Laura. Qualcuno cita solo il suo pamphlet su Il diritto all'ozio e dimentica (fideisticamente) l'instancabile attività di militante e di scrittore in Francia, Gran Bretagna, Spagna.
    A contribuire alla
    rimozione di Lafargue c'è anche il gesto del suicidio (compiuto il 26 novembre 1911 insieme a Laura), che fa a pugni con un certo moralismo tradizionale del movimento operaio. Ai suoi funerali prenderà la parola perfino Lenin: nel suo breve discorso non criticherà la scelta di Paul e Laura, ma lo farà opportunisticmente poi in una intervista a un settimanale socialista.
    Del resto Lenin, contrariamente ai copia incolla della tradizione apologetica nazionalitarista, NON riuscì, mai, a divenire realmente amico della famiglia Lafargue... così come MAI lo fu di Rosa Luxemburg.
    Fra le strumentalizzazioni del moralismo borghese troviamo invece focalizzazioni con la pretesa di metter becco nella vita privata di Marx... e qui abbiamo la solita metodologia: si estrapolano cose da disgiungere in modo democraticamente manipolatorio da un contesto ed eccoci il "Marx contro Lafargue", "Marx razzista che odia i creoli", l'Engels che prende le distanze da Lafargue e addirittura il Lafargue che avrebbe indotto al suicidio la povera figlia di Marx.
    In questa decadenza del politburo delle manipolazioni vi son cascate anche molte carogne della cosiddetta tradizione "di sinistra".
    E non ci si può sorprendere se il redivivo imperversare del pensiero neoNazista, oggi incarnato dai cosiddetti rossobruni vi possa ricorrere scontatamente.

    L'indigesta opera di Lafargue è segnata, in termini di notorietà, più nel titolo del pamphlet sul Diritto all'ozio che nei suoi contenuti: usando l'arma del paradosso, l'ozio è la metafora più efficace per spezzare una lancia a favore del «diritto al tempo libero», in un periodo in cui il tempo di lavoro era fissato tra le 10 e 11 ore.
    La contrapposizione tra ozio e lavoro è una provocazione per l'epoca in cui viene proposta (1880), ma anche per una certa interpretazione un po' bacchettona del pensiero di Marx per non parlare delle degenerazioni borghesi di stampo bacchettonatamente gramsciano fino alla deriva di estrema destra del renzismo di oggi. 
    La tradizione sedicente marxista – soprattutto leninista,  prima e dopo di allora – rimarrà ferma a una idea statica del legame tra lavoro $alariato e trasformazione della natura, tra identità di classe prodotta dall’essere sociale e luogo dove si svolge la stessa produzione. Secondo la corrotta tradizione storica della cultura "di sinistra" Il lavoro nobilita l’uomo e si pretenderà anche di associarla al pensiero comunista ortodosso…

    Lafargue, INVECE, fonda la sua ipotesi di «diritto all'ozio» sulla previsione che il capitalismo raggiungerà presto livelli di sovrapproduzione e che con l'uso intensivo delle macchine, delle tecnologie la quantità di lavoro si sarebbe ridotta progressivamente.

    Mai analisi storica fu così realisticamente lungimirante per non dire "profetica".

    «Una strana follia possiede le classi operaie - scrive - in cui dominala civiltà capitalistica. E' una follia che porta con sé miserie individuali e sociali. Questa follia è l'amore per il lavoro, la passione esiziale del lavoro, spinta all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua progenie».

    Di qui l'apologia del tempo finalmente conquistato alla vita e la riduzione del lavoro alla sua essenza reale: merce che produce merce…

     

     

     

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