G. Deville: Marx, Il Capitale
Con uno studio di Paul Lafargue su vita ed opera di Karl Marx.

Non v'è traccia della data di stampa sfogliando questa edizione della Casa Editrice Sociale di Milano. Talune biblioteche mettono datazione al 1926 ma col punto interrogativo. La stessa opera di Gabriel Deville, ma priva dello studio di Lafargue, compare in Francese nel 1945, mentre nel 1970, 1971 e successivvi, in altra edizione in spagnolo (Editores Mexicanos Unidos) ritroviamo il testo del genero di Marx.

Un compendio che al tempo serviva ad una diffusione più allargata dell'analisi marxista e che in italiano trova questo arricchimento del contributo di Lafargue conferendo all'edizione maggiore affidabilità.

La testimonianza sulla vita e l'opera di Karl Marx di Lafargue è altresì importante perché diretta e non filtrata o viziata dalla distanza che è sempre trasudata dalla presunta "rappresentatività" degli epigoni. Quindi una edizione importante prima ancora che per la sua diffusione in italiano.

Paul Lafargue:
 

Marx non limitava la propria attività al paese nel quale era nato:

«Io sono un cittadino del mondo», egli diceva, «e dove mi trovo opero».

Infatti in tutti i paesi dove lo spingevano gli eventi e le persecuzioni politiche, in Francia, nel Belgio, in Inghilterra, egli prendeva una parte eminente si movimenti rivoluzionari che vi si sviluppavano.

Karl Marx è uno di quei rari uomini che sapevano stare contemporaneamente in prima linea nella scienza e nell'attività pubblica; egli le univa così intimamente che è impossibile intenderlo senza considerarlo tanto come dotto che come lottatore socialista.

Sebbene egli fosse d'avviso che ogni scienza debba essere coltivata per amore della scienza e che in nessuna indagine scientifica bisogna preoccuparsi delle sue eventuali conseguenze, riteneva però che il dotto se non voleva degradarsi non doveva cessar mai di partecipare attivamente alla vita pubblica e non doveva rimanere rinchiuso nel suo gabinetto da studio o nel suo laboratorio come un topo nel suo formaggio, senza partecipare alla vita e alle lotte sociali e politiche dei propri contemporanei.

«La scienza non dev'essere una soddisfazione egoistica; quelli che sono così felici da potersi dedicare a scopi scientifici, devono anche essere i primi a porre le loro conoscenze a servizio dell'umanità».

Marx non permetteva a nessuno di porre in ordine o meglio in disordine i suoi libri e le sue carte; il dominante disordine non era però se non apparente, poiché tutto era al suo desiderato posto e senza ricerche egli prendeva sempre il libro o il fascicolo di cui aveva bisogno; anche durante la conversazione egli sostava sovente per mostrare nello stesso libro una citazione o una cifra allora menzionate. Egli era una cosa colla sua camera da lavoro, i cui libri e le cui carte lo ubbidivano al pari delle sue proprie membra.

Nell'ordinare i suoi libri, egli non badava alla simmetria esteriore. Volumi in quarto ed in ottavo ed opuscoli erano gli uni vicino agli altri; egli ordinava i libri non secondo la loro grandezza, ma secondo il loro contenuto. I libri erano per lui istrumenti intellettuali e non oggetti di lusso.

«Essi sono miei schiavi e mi devono servire secondo la mia volontà», diceva Marx.

Marx leggeva tutte le lingue europee e ne scriveva tre: tedesco, francese ed inglese, con ammirazione dei conoscitori di queste lingue; egli ripeteva volentieri il detto:

«La conoscenza di una lingua straniera è un'arma nella lotta per la vita».

Amava anche molto di conversare camminando fermandosi di tanto in tanto quando la discussione diveniva vivace o il colloquio importante.

Io lo accompagnai per anni nelle sue passeggiate serali in campagna: in queste passeggiate pei prati io ricevevo da lui la mia educazione economica. Senz'avvedersene egli sviluppava innanzi a me poco a poco il contenuto di tutto il primo volume del Capitale e nella misura nella quale io allora lo scrivevo.

Ritornato a casa io scrivevo sempre come meglio potevo ciò che avevo udito; in principio mi riusciva molto difficile il seguire il profondo e complicato corso dei pensieri di Marx.
Purtroppo queste preziose notizie andarono smarrite; dopo la Comune la polizia ha saccheggiate e bruciate le mie carte in Parigi e a Bordeaux. Deploro principalmente la perdita di quelle notizie che io raccolsi nella sera nella quale Marx aveami esposta, con quella copia di prove e riflessioni che gli era propria, la sua geniale teoria dell'evoluzione della società umana.

Fu come si fosse tolto un velo dai miei occhi; per la prima volta io sentivo chiaramente la logica della storia del mondo e sapevo ricondurre alle loro cause materiali i fenomeni dell'evoluzione della società e delle idee in apparenza tanto contraddittorii. Il medesimo effetto ebbe sui socialisti di Madrid quando io sviluppai ad essi questa teoria, la più grandiosa delle teorie di Marx e indubbiamente una delle più grandiose in generale che abbia mai escogitate il cervello umano.

Per imparare a conoscere e ad amare il cuore che batteva sotto l'involucro del dotto bisognava vedere Marx, quando egli aveva chiusi i suoi libri e i suoi fascicoli, nel seno della sua famiglia e le sere della domenica nel circolo dei suoi amici. Egli si mostrava allora come il più grato compagno, pieno di buon umore e di arguzie, che sapeva ridere tanto di cuore.

I suoi occhi neri con folte sopracciglia scintillavano di gioia e di scherzosa ironia quando egli udiva una parola arguta o una risposta pronta.

Egli era un padre tenero, mite ed indulgente.

«I figli devono educare i genitori», egli soleva dire.

Mai nel rapporto tra lui e le sue figlie che lo amavano immensamente s'è fatta valere neanche l'ombra dell'autorità paterna.

Egli non le comandava mai ma le pregava pel desiderato come di un favore o accennava ad esse di non fare ciò che voleva vietare. E nondimeno raramente un padre potrebbe aver trovato più ascolto di lui.

Le sue figlie lo consideravano come un loro amico e conversavano con lui come con un compagno; esse non lo chiamavano padre ma «moro», un soprannome che egli aveva ricevuto per la sua carnagione bruna e per la sua barba ed i suoi capelli neri-castagni.

I membri della Lega comunistica prima del 1948 lo chiamavano invece «padre Marx», sebbene egli non avesse ancora raggiunto il trentesimo anno di età.

Egli passava lunghe ore a scherzare coi suoi figli.

Questi ricordano ancora adesso le battaglie navali e gli incendi di intere flotte di vascelli di carta che Marx fabbricava per essi e che poi con loro vivo giubilo egli consegnava alle fiamme in una gran secchia d'acqua.

La domenica le figlie non permettevano a Marx di lavorare ed egli apparteneva ad esse per tutta la giornata. Quando il tempo era bello, tutta la famiglia usciva per una lunga passeggiata sui campi, riposandosi in semplici osterie per mangiare pane e formaggio e bere birra.

Quando le sue figlie erano ancora bambine, Marx abbreviava ad esse la lunga via con narrazioni di favolette che egli inventava passeggiando e le cui complicazioni erano da lui aumentate secondo la lunghezza della via, in modo che le bambine dimenticassero la loro stanchezza nell'ascoltarle.

In tutta la sua vita, sua moglie gli fu una compagna, nel più vero e nel più completo senso della parola. Ambedue avevano imparato a conoscersi da bambini ed erano cresciuti insieme.

Nessuno ha posseduto mai in una misura più elevata il sentimento dell'eguaglianza quanto la signora Marx, sebbene fosse nata ed educata in una famiglia di aristocratici tedeschi.

Non esistevano per essa differenze e classificazioni sociali.

Nella sua casa, alla sua tavola essa riceveva operai in camiciotto da lavoro colla stessa cortesia ed affabilità come fossero stati principi e baroni.

Molti operai di tutti i paesi hanno imparato a conoscere la sua cordiale ospitalità ed io son convinto che nessuno di essi ha mai pensato che la donna, dalla quale essi erano ricevuti con così schietta e franca cordialità, discendesse in linea femminile dalla famiglia dei duchi di Argyll e che suo fratello fosse stato ministro del re di Prussia.

La signora Marx non curava tutto questo, essa aveva abbandonato tutto per seguire il suo Carlo e mai neanche nei tempi della più dura miseria essa deplorò di averlo fatto.

PUNTO

Una versione completa delle 30 pagine di introduzione di Paul Lafargue al compendio sul Capitale di Gabriel Deville sarà, quanto prima resa, disponibile nella sua interezza in formato PDF come accessibile a chiunque.




Il compendio di Gabriel Deville al Capitale è così strutturato:

Sezione Prima:

MERCE E MONETA

(valore d'uso e valore di cambio, sostanza del valore)

La moneta, gli scambi e la circolazione delle merci.
La connotazione di merce.

Sezione Seconda:

LA TRASFORMAZIONE DEL DENARO IN CAPITALE.

La formula generale del Capitale e sue contraddizioni - Compravendita della forza lavoro.

Sezione Terza:

LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO

Produzione di valori d'uso e del plusvalore - Capitale costante e capitale variabile - Saggio del plusvalore - La giornata di lavoro - Saggio e quantità del plusvalore.

Sezione Quarta:

LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE RELATIVO.

Il plusvalore relativo - Cooperazione - Divisione del lavoro e manifattura - Macchinismo e grande industria

Sezione Quinta:

ULTERIORI INDAGINI SULLA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE

Plusvalore assoluto e plusvalore relativo - Variazioni nel rapporto di grandezza tra il plusvalore ed il valore della forma di lavoro - Le espressioni del saggio del plusvalore

Sezione Sesta:

IL SALARIO

Trasformazione del valore, ossia del prezzo della forza di lavoro, in salario - Il salario a tempo - Il salario a fattura - Differenze nel saggio dei salari nazionali

Sezione Settima:

ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE

Circolazione del capitale - Riproduzione semplice del capitale - Trasformazione del plusvalore in capitale - Legge generale dell'accumulazione capitalista

Sezione Ottava:

L'ACCUMULAZIONE PRIMITIVA

Il segreto dell'accumulazione primitiva - Origine del capitalista industriale - Tendenza storica dell'accumulazione capitalistica - La moderna teoria della colonizzazione





 

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