Iakov Levi
TRAUMA DELLA
NASCITA, ESILIO E MONOTEISMO
Ottobre 10, 2002
Relazione ufficiale presentata al Convegno "ESODO: traumi e memorie", svoltosi a Fiuggi il 4
Ottobre 2002, organizzato da Scienza e psicoanalisi
L' idea per questa relazione mi è venuta leggendo la traduzione
inglese di Strachey della seconda avvertenza editoriale al terzo saggio
di Mosè e la religione monoteistica di Sigmund Freud.
Acque e bastone di Mosè ritornano continuamente nelle prime fasi
dell'Esodo.
Niente di strano che trattando della prefazione di un saggio su Mosè
le associazioni di Freud, di Strachey, di Bori portino alla nascita: la
sua storia infatti incomincia parlandoci della nascita dell'Eroe, che ci
racconta in maniera molto concreta di nascita e trarre dalle acque.
La parola Mosè, come ha notato Freud, corrisponde a quella egizia
Mos e significa bambino.
La spiegazione di Ahmed Osman è che Mosè sia stato il
faraone eretico e monoteista Akhnaton stesso, che fu assassinato e deposto
dagli egizi in quanto voleva imporre loro il monoteismo. Dopo la
sua deposizione ne furono cancellate le tracce e fu proibito persino di
nominarne il nome, pena la morte.
Freud ha trattato del nome di Mosè nel primo saggio, e
ha fatto notare che il versetto biblico "ella lo chiamò Mosè,
dicendo: Io l'ho tratto dalle acque" , del secondo capitolo dell'Esodo
(Es. 2/10) è una razionalizzazione in quanto Moshè significa
"colui che trae" (presente attivo) e non colui che ne è tratto (presente
passivo) che sarebbe suonato come "Nimshà o Mashui".
Infatti, per gli antichi il nome aveva un significato magico, il nome
rappresenta un compito, e Dio nella Bibbia cambia continuamente nome ai
patriarchi a secondo del ruolo che la loro missione li porterà a
svolgere: Abram diventa Abraham, Sarai (la mia signora) diventa Sarà
(La signora di tutti), Giacobbe diventa Israele, che significa " ha combattuto
con Dio" e Giuseppe diventa Zafnat Paaneah, che significa: "colui che decodifica
le cose nascoste".
Ovvero, il nome rappresenta il ruolo che ricopre l'eroe nell'epos collettivo.
Quindi, Mosè giustamente fu chiamato in ebraico Moshè. Il
Redattore, introducendo una razionalizzazione, ci spiegò anche il
significato che avrebbe avuto la nascita di Mosè per il popolo ebraico
intero, come questo era stata elaborato dall'inconscio della generazione
del Redattore biblico centinaia di anni dopo.
Questo aspetto essenziale della potenza e il significato del nome nei
miti biblici fu trascurato da Freud.
Mosè, che fu tratto dalle acque, trasse lui stesso Israele dalle
acque d'Egitto e diventò così la sua levatrice.
Nell'inconscio collettivo, l'Esodo rappresenta il momento nel quale gli
ebrei si amalgamarono a nazione ed acquistarono un identità.
In realtà le cose andarono ben diversamente.
Quello che viene ricordato come l'evento cardinale della storia del
popolo ebraico, l'Esodo, è ben lungi dal essere tale.
La realtà storica è quella di alcuni clan ebraici che
vagavano ai margini del seminato palestinese chiamato Canaan e in seguito
Eretz Israel. Alcuni di loro avevano forse alle spalle un vissuto d'insediamento
temporale nel delta orientale del Nilo, il Goshen biblico.
250 anni dopo l'Esodo questi clan ebraici erano tutt'altro che amalgamati.
Secondo il libro dei Giudici, il clan di Abimelech compì una
strage degli abitanti di Sichem (Giudici 9). I Galaaditi commisero
quasi un genocidio di Eframiti (Giudici 12). La tribù
di Dan emigrò dalla costa di Giuda alla Galilea saccheggiando per
strada il territorio di Efraim (Giudici 18). Tutte le tribù
d'Israele si riunirono per distruggere Beniamino, che da quel momento
diventò la tribù più piccola e in quanto tale
ci venne tramandata dalla tradizione biblica come il figlio minore di Giacobbe,
e potè sopravvivere solo sotto la protezione della tribù
di Giuda (Giudici 20)
In pratica non fu l'Esodo che li trasformerà in nazione, ma l'Esodo
diventò nella psiche del popolo ebraico, il punto di riferimento,
l'inizio
Guardandosi indietro si diranno: "Siamo nati in quel momento”
Il momento psichico di nascita ed acquisto d'identità nazionale
fu il risultato di una condensazione formatasi molti secoli dopo guardandosi
all'indietro.
La Pasqua, la festa che commemora l'Esodo, fu istituita solo più
di 600 anni dopo l'evento, ai tempi di Giosia re di Giuda, come è
scritto chiaramente nel secondo libro dei Re:
Un evento traumatico come la sparizione di dieci tribù consorelle,
l'incombente perdita dell'indipendenza, la possibile distruzione del Tempio,
e l'esilio che si avvicinava, stimularono il riallacciamento al trauma
dell'Esodo e della nascita, che non fu mai un evento reale, ma uno fantasticato
dalla psiche collettiva.
La mia tesi sostiene il monoteismo ebraico, che fu istituito durante
il primo esilio,
La libido costretta a staccarsi dalla madre fu ridiretta verso il Padre,
che diventò così anche l'unico Dio, come un bambino che perda
la mamma si attacca di più al padre.
Questi divenne colui che li avrebbe salvati dalla morte e dalla distruzione
associati alla pulsione intrauterina regressiva, che cominciò ad
emergere e le cui tracce appaiono in maniera inequivocabile nel testo biblico,
il quale fu composto sotto il trauma degli eventi disastrosi che avevano
colpito Israele e Giuda.
Attraverso un analisi psicoanalitica del testo cercherò di decodificare
i contenuti mentali dell'Esodo, ovvero come questo venne elaborato dalla
psiche ebraica collettiva
La mia tesi sostiene che se il testo adoperò un'espressione piuttosto
che un altra non è casuale come nessuna associazione è casuale,
bensì vi sono contenuti psichici rimossi, che tentano di affiorare
in questa maniera
La Torà fu redatta dopo il ritorno dall'esilio babilonese. Le
antiche saghe del popolo ebraico che venivano trasmesse oralmente da padre
in figlio, furono adattate alla nuova condizione di popolo monoteista,
ma le tracce di quelle che erano state le saghe originarie rimasero nel
testo, aggirando la censura del redattore Post -Esilico.
Mito e sogno
Karl Abraham, in “Psicoanalisi ed etnologia” (p. 509 sgg.del II
volume delle Opere, B.Boringhieri, Torino 1975 e 1997.)
evidenzia l’equivalenza tra sogno e mito. Il mito, secondo Abraham sarebbe
un sogno collettivo: Cito dal paragrafo intitolato “La teoria del mito
come desiderio” ( p.562):
"Credo di aver dimostrato per
Molte storie bibliche sono miti, ovvero, per seguire la definizione
di Abraham, sogni collettivi.
L'esodo come nascita
Chi legga i primi capitoli dell'Esodo riceve l'impressione di aver già
vissuto il dramma descritto.
I giorni che precedono la nascita sono terribili per il feto. Comincia
a soffocare e la placenta che era stata fin a quel momento nutriente e
protettiva comincia a diventare sempre più opprimente e velenosa.
Il feto ha bisogno di uscire ma è incatenato. Il cordone ombelicale
che gli aveva portato ossigeno e nutrimento diventa la catena che gli impedisce
di uscire e, come un enorme serpente rischia di avvolgerlo nelle sue spire.
L'utero materno diventa una prigione. Solo il Messia potrà salvarlo
e "trarlo" come "il dado è tratto" della traduzione di Cesare Bori.
In ebraico esiste un'espressione: "Chavalei Ha Mashiah" (le doglie
del messia), ovvero, la venuta del Messia sarà preceduta dalle doglie
del parto.
Le doglie dell'Esodo
Le espressioni che adopera il testo sono illuminanti. Il feto comincia
a soffocare ma non può ancora uscire, anela a spazio.
"verso un paese bello e spazioso dove scorre latte e miele"
(3, 7-9
La placenta rappresentata dal Faraone lo trattiene: Il faraone rispose:
"Chi è il Signore perche io debba ascoltare il Signore
per lasciar partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò
partire Israele !"(5,2)
Sempre più l'ambiente soffocante e repressivo dell'utero materno
nega al feto i suoi bisogni:
Sentendosi negato ossigeno e nutrimento il feto non ha scelta alcuna
e deve uscire
A questo punto si rompono le acque:
Il pathos del racconto aumenta sempre di più e il ritmo si fa
sempre più serrato attraverso le piaghe, e fino all'ultima notte
mentre gli Israeliti sono chiusi nelle loro case aspettando il grande momento
dell'uscita dall'utero materno. Come il ritmo aumenta nelle ultime ore
che precedono la nascita..
Questa è rappresentata dalla separazione delle acque del Mar
Rosso dalle quali gli
Anche l'esplosione di sollievo rapresentato dalla danza di Miriam e
delle donne al suono dei timpani e peculiare della sensazione di sollievo
del nuovo nato.
L'Esodo, come ci viene raccontato nella Bibbia è dunque
una fantasia collettiva di nascita
I primi contatti con il mondo esterno (Numeri Capitoli 11 -21)
Lo stadio sadico orale
L'associazione tra uscita d'Egitto, nascita e situazione nel deserto,
morte e anche specificamente neonato, ricorre come una catena nei capitoli
da 11 a 14 e 21 dei Numeri.
Qui riemerge il ruolo inconscio di Mosè come levatrice d'Israele
Nell'undicesimo capitolo dei Numeri leggiamo delle prime esperienze
di svezzamento del neonato
Come ci dice il testo: "Avevano ancora la carne tra i denti e non
l'avevano ancora masticata”.
Gli Israeliti, dunque, non potevano ancora masticare.
Perché mai si accese lo sdegno del Signore ? Poiché questa
è una pulsione sadico orale. E il senso di colpa si riaccende quando
stiamo per dare sfogo a una pulsione regressiva. Infatti il Signore, lungo
tutta la saga dell'Esodo, è sempre adirato
Nel capitolo 12 dei Numeri Maria e Aronne avevano parlato male
di Mosè. Il parlare si fa con la bocca, che subito dopo la nascita
diventa la mucosa dove si localizza l'erotismo orale, e
L'utero materno, che negli ultimi giorni era diventato soffocante e
opprimente, una prigione e una terra di schiavitù, alle prime difficoltà
post-natali , viene idealizzato e ricordato come protettivo.
Al neonato, il primo contatto con l'ambiente esteriore, in contrasto
all' umido ambiente della placenta e del suo liquido amniotico, deve sembrare
come quello di un deserto, un posto secco come deve essere sembrato alle
prime creature viventi che dal mare salirono per la prima volta sulla terra
ferma.
Come scrive Melanie Klein il neonato, mentre sta nascendo, esperimenta
due pulsioni contrastanti ma concomitanti: La pulsione di nascere, ovvero
la pulsione di vita (l'Eros freudiano) e la pulsione di ritornare nella
placenta che è una pulsione regressiva e aggressiva che corrisponde
alla pulsione di morte (il Todestrieb freudiano). La tensione tra le due
pulsioni e l'ambivalenza emotiva che ne
Melanie Klein ci conferma così l'esistenza di un'impasto pulsionale
regressivo tra Eros e pulsione di morte che precede il sadismo orale e
il cui topos evoluzionale e tra l'utero e il mondo esterno, o forse
precedente, e che solo nei primi giorni dopo la nascita viene canalizzato
in erotismo orale.
Ed ecco che gli Israeliti, appena nati, desiderano morire. Pensare
la morte significa pensare a una condizione precedente la vita, ovvero
quella intrauterina, poiché solo prima della nascita abbiamo esperimentato
questa condizioneInfatti il testo non si esprime dicendo "Preferiamo vivere
in Egitto che morire nel deserto", cosa
La lotta e la condizione conflittuale verso il seno materno che nutre
il neonato riappare nel 21 capitolo dei Numeri
Pane è sinonimo di carne. In ebraico arcaico e in arabo la parola
lehem che oggi significa pane, significava carne. Quindi, desiderare
lehem, pane, indica una pulsione cannibalistica.
Il peccato per cui i serpenti si avventarono sugli Israeliti fu dunque
il peccato rappresentato da una pulsione sadico –orale.
I serpenti che attaccarono gli Israeliti li mordevano, poiché
questo era stato il peccato, quello di mordere. Ogni castigo riflette la
legge del taglione, che è l’unica riconosciuta dalla mentalità
arcaica, come esprime il detto: «Chi di spada ferisce, di spada perisce".
Come abbiamo visto, molti dei racconti legati all'Esodo sono dunque
rappresentazioni oniriche collettive, nel nostro caso fantasie intrauterine
e sadico - orali.
Dall'iniziazione della Legge a quello dell'invasione della Terra
Promessa
Nel 1919 Theodor Reik ha scritto un saggio, "Il Mosè del Michelangelo
e gli avvenimenti del Sinai" (publicato come supplemento in Il Rituale
religioso, Boringhieri, Torino 1949 pp. 307 sgg.), in cui interpreta
la promulgazione della Legge e il peccato del vitello d'oro avvenuto ai
piedi del Monte Sacro, come un rito totemico.
Quando i figli d'Israele sono obbligati a ingerire le ceneri del vitello
che avevano costruito e che Mosè aveva distrutto, in realtà
ripeterono l'atto cannibalistico verso il Padre ucciso, che è parte
del rito totemico
Dunque ai piedi del Sinai avvenne un rito tribale totemico, non molto
diverso da quello descritto da S. Nilo nel V secolo della nostra era, riportato
da Robertson Smith e citato da Freud in "Toteme Tabù”.
Dopo 40 anni, nel 1959, Reik scrive Mistery on the Mountain, dove allarga
il concetto e paragona gli avvenimenti del Sinai a un rito d'iniziazione
collettivo. Infatti in questi riti si condensa anche la ripetizione
del parricidio, la morte e la rinascita dei novizi.
Questo non invalida che il decalogo originale rappresenti una legge
egizia, associata ad Akhnaton e quindi a Mosè. Il Decalogo, come
ha dimostrato Ahmed Osman in Out of Egypt , (London 1998, pp.130-1),
è almeno in sette comandamenti su dieci, una ripetizione del paragrafo
125 del "Libro dei Morti" egizio.
Quello che Reik è riuscito a provare è che le tribù
ebraiche che vagavano nel Sinai e nel Neghev non erano estranee a questi
riti che venivano consumati periodicamente dagli abitanti del deserto.
Nella psiche ebraica questi avvenimenti, riti totemici tribali e riti
della pubertà che avvenivano nel deserto, furono condensati
con il messaggio morale mosaico, che non poteva avere con essi connessione
alcuna, e diventarono un avvenimento solo..
Questo spiega come mai la saga della nascita (l'Esodo) e quello dell'acquisto
d'identità
Durante i riti iniziatici puberali i novizi articolano l'identità
confusa acquistata durante il periodo di latenza e germogliata sul terreno
delle tensioni edipiche. I novizi acquistano definitivamente l'identità
paterna e le imposizioni della Legge del Padre, ovvero le regole del clan,
attraverso il trauma del rito puberale e i suoi terrori, come sono, infatti,
gli eventi terrificanti sulla montagna sacra, descritti dai libri
dell'Esodo e del Deuteronomio.
Gli avvenimenti sul Monte Sinai sono dunque collegati al periodo del
soggiorno nel deserto, ma sono dissociati dai 10 Comandamenti e dalla legge
mosaica, e furono rimossi, insieme a tutti gli altri eventi del deserto,
dopo che gli Israeliti si insediarono nella Terra Promessa, conservandone
solo confuse tracce mnestiche.
I riti iniziatici sulla montagna sacra avvennivano periodicamente, dunque,
ma furono rimossi per sette secoli, e le tracce ne riemersero in forma
spostata, distorta e condensata solo quando poterono essere fusi
con il Decalogo che è in sostanza una codificazione egizia, che
nulla poteva aver a che fare con questi riti.
I riti furono rimossi proprio perché erano molto reali. Erano
veri.
Il libro di Giosuè
Quello che non fu rimosso, poiché non era mai accaduto, furono
le gesta di Giosué e la sua epopea. Al posto di una lunga e travagliata
penetrazione in Canaan che tra alti e bassi durò quasi tre secoli,
come descritto dal libro dei Giudici e confermato dagli scavi archeologici,
la memoria collettiva creò un'epos iniziatico di eroismo e conquista,
accompagnato dal rullare frenetico dei tamburi.
L’esempio più illuminante è quello di Ai. Questa era stata,
nella prima metà del terzo millennio, la città più
prospera della Palestina, ma ai tempi della conquista israelita, verso
la metà del XIII sec. a.C., era già un cumulo di macerie
che era rimasto nella sua desolazione per mille e trecento anni.
Il racconto biblico (Giosuè, 8,1-29) avrebbe dovuto spiegare
come Giosuè riuscì a prendere anche una città così
massivamente fortificata.
Anche per quel che riguarda Gerico, gli scavi archeologici hanno provato
che nel periodo Bronzo Nuovo (Late Bronze), in cui avvenne l’invasione
israelita, la città di Gerico non era più fortificata, anche
se lo era stata massivamente nei millenni precedenti .
Quello che, però, il libro di Giosuè ci racconta è
l’idea della conquista, come questa viene tramandata e come emerge dagli
strati più profondi della psiche collettiva, ovvero, per citare
Abraham, rappresenta una fantasia sessuale.
L'orda degli Achei si pone come meta la città di Troia
e la sua regina.
L’idea del corpo della madre prende la forma di una Terra Promessa,
di cui bisogna espugnare le numerose città. L’inno di guerra descrive
la brama e la violenza, con la quale le tribù assetate si gettarono
sulla terra.
Quello che diventerà in seguito un rapporto di interscambio amoroso
con la propria terra, cominciò, nella rielaborazione psichica
posteriore, come uno stupro violento.
Il ritmo si fa più fitto come progredisce la narrazione. Comincia
col grande rito d’iniziazione collettivo della circoncisione sulla soglia
della Terra Promessa (Giosuè 5, 2-9).
Come tra le tribù primitive dei nostri giorni, la circoncisione
del rito iniziatico è subito seguita da un rapporto etrosessuale,
così la circoncisione dei figli d’Israele fu seguita dalla presa
di Gerico:
La fantasia infantile percepisce la deflorazione e l’atto sessuale come
il frutto di qualche conoscenza magica che appartiene solo al padre onnipotente.
Solo lui conosce la formula di questo straordinario gioco di prestigio,
che rende possibile il possesso del corpo della madre.
Sia nel caso di Gerico che di Troia, malgrado l’enorme sforzo dell’orda
dei fratelli per espugnare la città, senza la conoscenza di qualche
trucco o di qualche magia, niente avrebbe funzionato.
Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli
Israeliti; nessuno usciva e
Il mito ebraico mette in risalto il fatto che nessuno uscisse e nessuno
entrasse: l’atto della deflorazione sarà un privilegio degli Israeliti;
la connotazione magica della penetrazione viene accentuata dalla sua esclusività.
Il rullare dei tamburi scandisce anche il seguito: le altre città
vengono invase dal terrore di Giosuè e la sua orda. Il re di Gerusalemme,
il re di Ebrom, il re di Iarmut, re di Lachish, re di Eglon, “tutti i re
degli Amorrei, che abitano sulle montagne”, fanno un disperato tentativo
di coalizzarsi per arginare la valanga israelita. La lunghezza delle ore
del giorno non basta a Giosuè per distruggere tutti i suoi nemici,
da tanto sono numerosi, e allora con la sua forza magica ferma gli astri
celesti dal
“Sole, fermati in Gabaon e tu luna, sulla valle di Aialon”, si fermò
il sole e la luna
Di posto in posto, prima a sud, poi a nord, città dopo città
cade, la sua popolazione viene sterminata, e re dopo re viene ucciso, fino
alla danza finale: “Il re di Gerico, uno; il re di Ai, uno; il re
di Gerusalemme, uno; il re di Ebron, uno...” e così via una lunghissima
lista, che comprende tutte le città e i re della Terra Promessa.
Niente di quello descritto nel libro di Giosuè avvenne, ma così,
come un coito orgiastico, venne ricordata la conquista della Terra Promessa
nella psiche collettiva. Una scarica di libido genitale, come in Occidente
sarà ricordata la guerra di
La storia dell'invasione è costellata di connotazioni che si
associano al coito, come questo viene percepito nella psiche infantile:
città chiuse ermeticamente, che solo una formula magica può
aprire, trucchi sagaci, fortificazioni massicce, entrare e uscire, incendiare,
infatti fuoco corrisponde a eccitazione erotica.
Wellhausen, il padre della critica biblica moderna, non pensava
in termini psicoanalitici, però non fu un caso, se mise il
libro di Giosuè insieme ai libri della Torà e chiamò
il tutto Exateuco, a differenza della definizione vigente di chiamare i
primi cinque libri Pentateuco e di separarli da quello di Giosuè.
L'esodo come nascita. Le vicende nel deserto come la fase sadico orale,
gli avvenimenti sulla montagna sacra come acquisizione di un Super - Io
inibitore, e la presa di Gerico e della Terra Promessa come l'atto genitale
eterosessuale concesso ai novizi dopo che hanno completato il rito.
______________________________________________________________________
PARTE SECONDA
La fase adulta: i regni d'Israele e di Giuda.
.
Se distilliamo dal testo le sovrapposizioni posteriori del redattore
post-esilico, l'istantanea che fotografiamo è quella di un
popolo di agricoltori dediti ai culti della terra, della prostituzione
sacra, del Baal di Astarte e di Asherà.
" Mi condusse all'ingresso del portico della
casa del Signore che guarda a settentrione e vidi donne che piangevano
Tammuz" (Ez.8/14),
Tammuz era il giovane dio della fertilità babilonese, adottato
anche dai cananei, che moriva in primavera, come Attis e Adonis, per risorgere
con l'inizio delle piogge autunnali.
La catastrofe
Mentre in Giudea piangevano Tammuz, gli Assiri misero l'assedio su Samaria
e nel 721 distrussero il regno d'Israele. Dieci tribù su dodici
sparirono, furono deportate e svanirono come fossero state un miraggio
nel deserto. Evaporarono. Nessuno seppe più niente di loro.
"Non è forse Efraim un figlio caro per
me, un mio fanciullo prediletto? Infatti dopo
Di fronte a una catastrofe del genere, in Giudea si dimenticarono che
ogni tanto erano venuti alle mani con questo figlio prediletto. Dov'e'
Efraim ? Il vitello di Samaria menzionato da Osea (Os. 8/5), Il vitello
d'oro adorato ai piedi della montagna sacra ?
Come per un bambino che vede deportare e sparire dieci fratelli, il
trauma in Giuda doveva essere stato paralizzante. Certamente non meno dell'Olocausto
di questo secolo.
Solo allora furono tentate le prime riforme religiose: (705- 701
A.C).
Il serpente di bronzo, secondo la leggenda fatto da Mosè per
salvare gli Israeliti nel deserto dal morso dei serpenti , corrisponde
a quello di Esculapio, che come quello di Mosè si acompagnava a
una verga.
Come dio guaritore era dunque un dio Figlio, come Esculapio, figlio
di Apollo, lui stesso il patrono dei giovani e dei novizi.
Qui ci ricolleghiamo alle affermazioni di Reik in "Il Mosè di
Michelangelo e gli eventi del Sinai", dove dice che Mosè,
nel rito totemico sulla montagna sacra era salito sulla montagna per uccidere
il Padre e carpire la sua potenza, che nel mito posteriore si tradusse
in "la sua Legge", la Torah.
Furono queste le prime riforme monoteiste?
La differenza tra monolatria (henoteismo) e monoteismo è che
il secondo significa credere che esista un solo dio per tutto il mondo,
mentre invece la prima significa adorare un unico dio, senza escludere
che per gli altri popoli possano esserci altri dei.
La differenza tra monolatria e politeismo consiste nel fatto che
la monolatria è il culto di un solo dio per la tribù,
mentre il politeismo è il culto di più dei contemporaneamente.
Nella monolatria le divinità femminili, dove ci sono, sono secondarie
e i dei figli vengono esclusi.
Gli agricoltori, invece, avendo rilassato la stretta della struttura
sociale patriarcale, e riattivando giornalmente la libido eterosessuale
attraverso il lavoro della terra, fanno emergere dalle profondità
della loro psiche dee madri e dei figli, e diventano politeisti.
Non c'è dubbio, come ci dicono gli studi di Padre Wilhelm Schmidt,
e come ci conferma Reik in Mystery on the Mountain, che nella storia
dell'umanità la monolatria, ovvero questa prima fase di monoteismo
rudimentale, abbia preceduto il politeismo.
La monolatria è un forma di religione peculiare dei popoli nomadi
o semi-nomadi, che sono strutturati in società tribale. Questi fanno
una proiezione all'esterno della propria struttura sociale in cui il Padre
della tribù rappresenta anche l'unica autorità.
Una volta entrati in Canaan e diventati agricoltori, addottarono gli
dei degli agricoltori.
I profeti, che erano rimasti i paladini di Jahveh, il dio dei pastori,
vedevano molto di malocchio questo inevitabile processo di canaanizazione
degli ebrei, e scagliavano i loro anatemi contro gli dei degli agricoltori.
La prova che una volta insediatisi in Canaan, Jahveh sia stato
adorato insieme ad altri dei viene dalle saghe bibliche.
Ma non solo.
Negli scavi a Elefantina, in Alto Egitto, vicino ad Asswan e la
prima cateratta, nel V secolo, c'era un caposaldo di mercenari ebrei al
servizio del governatore persiano dell'Egitto. Negli scavi
archeologici furono trovati dei papiri in aramaico che dicono esplicitamente
che Jahvè avesse come moglie Asherà, e la coppia divina fosse
adorata nel tempio ebraico sul posto. I mercenari ebrei ad Elefantina,
non avevano ancora sentito delle riforme monoteiste implementate nel frattempo
in Giudea, e continuavano ad adorare Jahvè insieme ad Asherà.
(Ezchia 705 –701)
Quindi ai tempi di Ezchia, re di Giuda, un secolo prima dell’ Esilio
e subito dopo l’Olocausto del Regno d’Israele fu tentato il primo ritorno
alla monolatria di Jahveh, che non riuscì, in quanto, come vedremo
in seguito, dopo tre generazioni i pali sacri di Asherà e le statue
del Baal si trovavano ancora nel Tempio di Gerusalemme, restituite
lì dal figlio di Ezchia, Menashe, che regnò in Gerusaleme
per 55 anni, e fece ardere il corpo del suo figlio primogenito in nome
del Moloch.
Quando il regno babilonese incorporò l'Assiria e cominciava a
sua volta le sue preparazioni per invadere l'Egitto, a Gerusalemme capirono
che per strada sarebbero stati calpestati, e niente avrebbe potuto salvarli.
In queste condizioni di panico e di senso di colpa venne innescato un
processo di regressione dal livello edipico, e dal momento che il rischio
era quello dell'annhilazione totale, la regressione non si arrestò
agli stadi intermedi dello sviluppo psicosessuale ma arrivò fino
a quella pulsione regressiva
Il ricordo del ventre materno e il suo ambiente, che adesso viene
idealizzato e ricordato come protettivo, ri-innesca la pulsione regressiva
primaria, che prova il neonato con le prime difficoltà dopo la nascita.
Il ricordo rimosso d'Egitto comincia a riemergere a Gerusalemme, e le
pressioni del popolo sono enormi; vogliono scappare in Egitto. A questa
pulsione regressiva si oppone il profeta Geremia:
I profeti si ergono a Super Ego, e cercano di salvarli da queste
tendenze regressive.
L'Egitto era di gran lunga più debole del nuovo impero babilonese
che si estendeva lungo tutta la mezza luna fertile. Non aveva assolutamente
nessuna possibilità di farcela contro la Babilonia.
Alla fine i giudei decideranno di allearsi all'Egitto contro la Babilonia,
e questo non perché questa fosse la cosa giusta da farsi da un punto
di vista strategico razionale, ma sotto la spinta di una pulsione
regressiva.
La Pasqua
Solo allora , con i Babilonesi che stavano per invadere la Giudea, per
difendersi dalle fantasie intrauterine regressive, equivalenti alla pulsione
di morte, che erano state reattivate dalla situazione presente, emerse
dalla rimozione il Faraone d’Egitto, Horus figlio di Osiride, che
rappresentava il dio figlio in terra, rappresentante di Osiride dio dei
cieli ed estremo giudice, e questi, con il nome di Mosè, diventò
la levatrice d’Israele.
Solo allora "Trovarono la Legge di Mose'", come è scritto
nel secondo libro dei Re:
“ Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba Safan: "Ho trovato
nel tempio il libro della legge"...(2 Re 22/8-13)
Solo allora istituirono la Pasqua, che fusasi con la figura di Mosè,
levatrice d'Israele, diventò l'amuleto apotropaico contro la pulsione
regressiva di ritornare nel grembo d'Egitto. Diventò la festa dell’uscita
d’Egitto, proprio perchè la pulsione emersa era quella di ritornarci.
Nella Giudea della fine del settimo secolo il dio che ebbe la preminenza
non fu Aton, ma Jahvè, il dio dei pastori seminomadi, dio
guerriero e simbolo fallico di battaglia.
Fu reattivato l'henotheismo, la monolatria di Jahveh, non il monoteismo
di Akhenaton. Per questo dovettero passare altre tre generazioni ed eventi
traumatici ancora più spaventosi.
Una volta reattivato Jahveh e il ricordo dell'uscita d'Egitto, Giosia,
pronipote di Ezchia, completò l'opera del suo predecessore, che
evidentemente non era stata implementata dai giudei, poichè gli
oggetti del Baal e di Asherà erano entrati di nuovo nel Tempio.
E solo allora:
“ Il re ordinò a tutto il popolo: "Celebrate la Pasqua ....,”
come menzionato sopra
La seconda festività che commemora l’uscita dall’Egitto è
Sukkot, la festa delle Capanne, e questa festa fu istituita solo dopo il
ritorno dall’Esilio babilonese, come ci viene raccontato esplicitamente
nel libro di Neemia (8,14-15).
Giacché è destino di ogni mito di rattrappirsi
a poco a poco nella ristrettezza di una presunta realtà
storica e di essere trattato da un’epoca posteriore
come un evento unico, con pretese storiche (Nietzsche, La nascita della tragedia, 10)
Prefazione
Dove, nella traduzione italiana, Pier Cesare Bori aveva tradotto la
frase finale di Freud: "il dado e tratto", Strachey tradusse: "let
us now take the plunge", ovvero “tuffiamoci”.
La prima associazione che mi è venuta in la mente e stata tuffarsi
= nascita . Infatti Freud in "Simbolismo del sogno" (Opere, B.Boringhieri,
Torino 1989, vol.8, p.325) dice:
La nascita e quasi sempre rappresentata
mediante una relazione con l'acqua: si
sogna qualcuno che precipita nell'acqua oppure
ne emerge, salva una persona dall'acqua o
viene salvato da una persona, ossia ha con essa un rapporto materno
Il testo biblico, trattando dell'Esodo, ci parla continuamente di acque:
acque da cui è tratto Mosè, acque del Nilo colpite dal suo
bastone che si tramutano in sangue, acque del Mar rosso che si aprono
quando Mosè stende su di loro il bastone, acque che sgorgano
dalla roccia quando la colpisce, sempre con il suo bastone, per dissetare
gli Israeliti.
Ma l'associazione di Freud e degli altri non è solo con la nascita,
ma anche con la decisione fatale.
Nei nomi egizi appare come suffisso di un nome completo. Come per esempio
Tut-mosis, che significa "bambino di Tut", che è il dio egizio della
sapienza e della scrittura, Ptah-mosis, Amun-mosis ecc.
Come ha fatto notare Ahmed Osman, nel suo libro Out of Egypt (London
1998), quando il nome Mos è adoperato da solo, e non come
suffisso, indica qualcuno che si conosce ma non si vuole nominare. Ovvero,
Mosè significherebbe quel tale, che sappiamo chi è, ma non
vogliamo dire.
Akhnaton non appare infatti nelle liste dei faraoni egizi, e sappiamo
della sua esistenza e delle sue riforme religiose solo perchè nella
metà dell'Ottocento la sua capitale Amarna fu trovata per caso dagli
archeologhi.
I seguaci di Akhnaton, non potendolo più nominare per nome per
indicarlo, pena la morte, lo chiamavano semplicemente Mos,
"il figlio di", "bambino di".
Il Mosè biblico rappresenta dunque la traccia menestica di Akhnaton,
il faraone eretico e monoteista.
Akhnaton sarebbe la figura storica, le cui tracce furono meticolosamente
cancellate e rimosse, fino a che solo dopo 3300 anni furono ricuperate
dalle vanghe e dai picconi degli archeologi.
Mosè sarebbe invece la figura leggendaria, alter ego della
figura
storica rimossa.
Il silenzio imposto dall'Egitto riemerse dalla rimozione in una loquacità
copiosa nel testo biblico.
Come scrive Ian Assman in Moses the Egyptian, "Mosè è
una figura della memoria ma non della storia, mentre Akhnaten è
una figura della storia ma non della memoria" (Harvard College 1997, p.2)
Ma ogni razionalizzazione contiene anche l'allusione a un'intenzione
latente del mito stesso, poiché anche una razionalizzazione non
può nascere dal nulla ma si deve associare a qualcosa.
Anche di levatrici infatti ci racconta la Bibbia trattando dei primordi
di Mosè (Es,1/16-19)
Il suo mito personale è la rappresentazione antropomorfica
della nascita del popolo ebraico. L'associazione inconscia collettiva
ha condensato la nascita dell'Eroe con quella del popolo che rappresenta, e il suo essere tratto dalle acque con il trarre il popolo intero.
La maggior parte delle tribù ebraiche non erano mai entrate
in Egitto, ed erano rimaste a pascolare ai margini del seminato, tra Canaan
e il Sinai.
Furono dunque i profughi dall'Egitto che si unirono alle tribù
che pascolavano nel Neghev e in Trasgiordania
Il Sinai stesso per la sua natura desertica e la carenza d'acqua non
può contenere più di qualche centinaia di persone nello stesso
posto. Anche le oasi più dotate non sono in grado di dissetare più
di un clan con le sue greggi.
Dobbiamo pensare a una situazione in cui i clan meridionali del Neghev
e del Sinai che diventarono la tribù di Giuda, e che vagavano sparpagliati
insieme alle loro greggi, accolsero a loro i superstiti d'Egitto, che non
potevano essere più di qualche centinaio.
La versione biblica di un Esodo che avrebbe compreso 600.000 uomini
"capaci di caminare, senza contare i bambini" (Es., 12,37),
è da considerarsi una pura fantasia orientale
Probabilmente l'influenza egizia sui costumi e la legislazione ebraica
derivano da questa infiltrazione temporale nel delta nilotico, ma non dobbiamo
dimenticare che l'influenza egizia nel Sinai e nel Neghev era molto forte,
in quanto questi facevano parte dell'Egitto che non aveva mai smesso le
attività minerarie e metallurgiche, come l'estrazione di turchese
nel Sinai e del rame nel Neghev, che continuarono ininterrotte per tutta
la XVIII dinastia
In Canaan stesso gli Egizi mantenevano caposaldi nelle valli e lungo
le vie principali.
Il libro dei Giudici ci racconta di continue lotte tra le varie tribù,
alcune si univano tra di loro contro altre, in coalizioni provvisorie
che si disgregavano subito dopo
Il re ordinò a tutto il popolo: 'Celebrate la Pasqua
per il Signore vostro Dio, con il rito descritto nel libro di questa alleanza'.
In realtà tale Pasqua, fu celebrata per ilSignore, in Gerusalemme,
solo nell'anno diciotto di Giosia" - (2 Re 23, 21-23),
Solo dopo la distruzione del regno settentrionale d'Israele nel 721 per
mano degli Assiri, la perdita di dieci tribù consorelle e alla vigilia
dell'esilio, Pesah, in una proiezione a posteriori, diventò la festa
della libertà nazionale. Alle soglie del Primo Esilio, i Giudei,
guardandosi indietro istituirono come festa nazionale non la fondazione
della monarchia o l'entrata nella Terra Promessa, ma
l'Esodo.
fu un meccanismo di difesa contro l’angoscia che si risveglia davanti
alla richiesta pulsionale regressiva di tornare all’utero materno, scatenata
dalla perdita del Tempio e della terra, che è Madre Terra per eccellenza
e viene inconsciamente percepita come imago materna.
Come ci ha insegnato Freud, gli uomini non sono fatti per tenere segreti,
e questi emergono attraverso quelle che a prima vista possono sembrare
inezie, disattenzioni del Redattore, o semplici virtuosismi letterari.
la leggenda di Prometeo quel che Freud ha
dimostrato per quella di Edipo: che essa ha
tratto la sua origine non da una visione etica,
religiosa o filosofica, ma da una fantasia
sessuale dell’uomo. Gli elementi etico religiosi
del mito io li concepisco come sovrapposizioni
successive, come prodotti della rimozione”.
La storia dell'Esodo, come descritta dalla Torà, rappresenta
il sogno collettivo del popolo ebraico per quello che riguarda le proprie
origini.
Essendo un sogno, le rappresentazioni che ne emergono vanno trattate
con gli stessi strumenti con i quali cerchiamo di interpretare i sogni,
tenendo in mente i meccanismi di cui questi si servono per censurare
le rappresentazioni che emergono dall'Es
Come nel sogno, le pulsioni emergono sotto forma di simboli, e vengono
censurate attraverso il meccanismo dell'inversione, la condensazione, lo
spostamento e l'isolamento.
Un legame oppressivo che trattiene, una schiavitù in catene,
un oppressione che si accresce in escalando con il progredire del dramma,
e alla fine un'esplosione esilarante e liberatrice.
Le immagini di serpenti e mostri fallici femminili che popolano la
fantasia dei popoli antichi e dei nostri bambini, nel contesto delle fantasie
intrauterine, rappresentano la proiezione dell'Imago della placenta.
La parola Chevel significa sia doglie che corda, condensando
il concetto di parto, di doglie e di corda che lega, con quello di cordone
ombelicale.
Nel contesto dell'Esodo, il Messia è Mosè che salverà,
attraverso le doglie del parto, Israele dalla prigione d'Egitto, ovvero
dall'ambiente diventato insopportabile della placenta, e diventerà
così la sua levatrice.
Come vedremo in seguito, il testo tratta in maniera molto concreta
della figura di Mosè come levatrice.
Ed ecco cosa ci dice il terzo capitolo dell'Esodo:
Il Signore disse: Ho osservato la miseria del mio popolo
in Egitto e udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti
le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e farlo
uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso verso un paese
dove scorre latte e miele (3, 7-9)
Dunque, il popolo grida a causa dei suoi sorveglianti che non lo
lasciano uscire, che lo trattengono."Sono sceso per liberarlo". Dunque
il Signore, attraverso Mosè, sta per liberare il feto dalle
catene dell’utero materno.
Le espressioni che adopera il testo ci dicono tutto
"Non darete più la paglia al popolo per fabbricare
i mattoni come facevate prima. Si procureranno la paglia da soli" (5,6).
Aronne alzò il bastone e percosse le acque...tutte
le acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel
Nilo morirono e il Nilo divenne fetido, così che Egiziani non poterono
più bere le acque. Vi fu sangue in tutto l'Egitto (7,20)
Il mito, come il sogno, opera uno spostamento. Apparentemente sono
gli Egiziani che non possono più bere, ma in realtà è
il feto - Israele che non è più in grado di bere e di nutrirsi.
Israeliti ne escono incolumi, mentre gli Egizi, ovvero tutti sedimenti
velenosi, vengono lasciati alle spalle
Sono le donne che danzano, ovvero avviene qui una condensazione tra
il sollievo del neonato e quello della madre.
Chi ci potrà dare carne da mangiare? Ci ricordiamo
dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente dei cocomeri, dei
meloni, dei porri, delle cipolle e dell'aglio. Ora la nostra vita inaridisce;
non c'è più nulla (Numeri 11,4)
Quindi, il neonato si ricorda che, come feto, il cibo gli veniva dato automaticamente
dalla placenta senza sforzo alcuno da parte sua, mentre adesso, uscito
alla luce del giorno non sempre ogni sua richiesta viene prontamente accomodata.
Mosè disse al Signore "Perché hai trattato
così male tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai
tuoi occhi, tanto che mi hai gravato col peso di tutto il popolo? L’ho
forse concepito io tutto questo popolo? O l'ho forse messo al mondo io
perché tu mi dica: Portalo in grembo, come la balia porta il bambino
lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri?
Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo?...Io non
posso da solo portare il peso di tutto questo popolo; è un peso
troppo grave per me (Numeri 11,11-14).
Il legame inconscio tra Mosè, gravidanza, parto e bambino
lattante appare, dunque, molto chiaramente dalle parole del testo stesso
Intanto si era alzato un vento, per ordine del Signore,
e portò quaglie dalla parte del mare e le fece cadere presso l'accampamento...Il
popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto
il giorno dopo raccolse le quaglie... Avevano ancora la carne tra
i denti e non l'avevano ancora masticata quando lo sdegno del Signore si
accese contro il popolo e il Signore percosse il popolo con una gravissima
piaga. Quel luogo fu chiamato Kivrot Taava, perché qui fu sepolta
la gente che si era lasciata dominare dall'ingordigia...(Nm.11,31-33).
(Taava non è solo ingordigia ma anche passione erotica)
Il racconto degli Israeliti e le quaglie è equivalente al famoso
sogno di Leonardo da Vinci interpretato da Freud:
Il sogno di Leonardo era stato il seguente
Questo scriver si distintamente del nibbio par che sia muio
destino, perché ne la mia prima ricordazione della mia
infanzia è mi parea che, essendo io in culla, che un Nibbio
venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi
con tal coda dentro alle labbra (S.Freud, "Un ricordo d'infanzia di Leonardo
da Vinci", 1910, in op.cit., vol.6)
Le quaglie degli Israeliti sono equivalenti al nibbio del sogno di Leonardo
Aronne disse a Mosè: "Signore mio, non adossarci
la pena del peccato che abbiamo stoltamente commesso; esso non sia come
il bambino nato morto, la cui carne è già mezzo consumata,
quando esce dal seno della madre (Numeri, 12,11)
Questa e' una catena associativa ben interessante, un peccato è
un bambino nato morto = carne mezzo consumata = uscire dal seno della madre.
Non esiste alcun nesso tra il senso manifesto del racconto e quello
latente. Cosa c’entra il peccato di sparlare con bambino nato morto – carne
mezzo consumata – uscire dal seno della madre.?!
Questi versetti possono essere capiti solo in chiave psicoanalitica.
A questo punto il neonato esperimenta una forte pulsione a tornare
all'ambiente precedente, ovvero a regredire alla situazione che precedeva
la vita, che nel testo trova espressione nella frase
Oh fossimo morti nel paese d'Egitto ... e perché
il Signore ci conduce in quel paese per cadere di spada? Le nostre mogli
e i nostri bambini saranno preda (La - Baz). Non sarebbe
meglio per noi tornare in Egitto? Si dissero l'un l'altro: "Diamoci un
capo e torniamo in Egitto" (Nm., 14,2-4; cfr. Es., 16,3).
Ricordiamo questa frase, perche è la stessa che appare nel libro
di Geremia quando, alle soglie dell'Esilio babilonese, i Giudei terrorizzati
saranno presi nuovamente dalle stesse fantasie intra-uterine regressive.
consegue non abbandonerà mai più il nuovo nato, fino
a che la pulsione regressiva di morte avrà finalmente il sopravvento
che almeno avrebbe avuto un senso logico, bensi' "Oh! fossimo morti
nel paese d'Egitto.! "
Ovvero, preferiamo morire in Egitto che morire qui!".
L'Egitto, come abbiamo visto, rappresenta l'utero materno, e quindi
gli Israeliti fantasticavano di ritornarci..
Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «perché
ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché
qui non c’è né pane ne acqua e siamo nauseati da questo cibo
così leggero». Allora il Signore mandò fra il popolo
serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un grande numero d’Israeliti
morì. Il popolo venne a Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché
abbiamo parlato contro il Signore e contro di te...” (Nm.21,5
- 7).
Ovvero, il neonato vuole essere svezzato, è stufo di questo "cibo
troppo leggero" e vuole pane vero, cibi solidi.
Il parlare avviene attraverso la bocca e la lingua; di chi parla
male si dice che abbia una lingua di serpente, e la causa fu la fame: un
bisogno che si ricollega alle pulsioni sadico-orali della prima infanzia.
Anche il mito di Orfeo che la prima volta perde Euridice per il morso
di un serpente rappresenta la pulsione sadico -orale di mordere.
Il racconto dei serpenti che mordono gli Israeliti nel deserto equivale
alla parte del mito di Orfeo in cui il serpente morde Euridice e
ne provoca la morte. Entrambi sono la rappresentazione onirica di una pulsione
sadico - orale.
Secondo Reik, le Tavole della Legge che erano di pietra rappresentavano
non dei Comandamenti ma il corpo del dio. Reik prova brillantemente che
per gli antichi infatti la pietra era il dio stesso. Così si spiegherebbe
come mai le tavole della legge fossero due e non una. Il dio pietra Jahveh
e il dio pietra Mosè.
Un dio padre e un dio figlio, come nel mito cristiano
Mosè che distrugge le tavole della legge in realtà uccide
dio-Padre e ne prende il posto assumendone le sembianze. La distruzione
del vitello d'oro sarebbe una ripetizione dello stessomisfatto, e in entrambi
i casi distruggerebbe anche se stesso come espiazione.
L'evidenza addotta da Reik è molto convincente, e concordo con
questa spiegazione come l’unica valida per gli eventi sul monte Sinai.
S. Nilo aveva assistito come le tribù beduine del Sinai legassero
un cammello a un altare di pietra e dopo averlo circondato per tre volte
lo sbranassero ancora vivo.
L'accettanza del Decalogo sarebbe quindi staccata, e non correlata
al contesto degli avvenimenti sulla montagna sacra.
Ma questo può essere stato fatto solo molti secoli dopo, poiché
il messaggio
Mosaico-Akhnatoniano di monoteismo e iconoclastia fu accettato solo
dopo l'esilio babilonese.
rappresentato dal rito iniziatico puberale, si siano condensati nella
memoria collettiva in un'unica saga.
..
Come i Greci, dopo che s'insediarono in villaggi fissi, rimossero da
dove venivano e cosa fosse loro accaduto quando erano ancora nomadi, e
rimossero il proprio passato tribale e i riti puberali dopo che si
costituirono a polis.
La conquista della Terra Promessa, Gerico e Ai
Infatti, come Gerico, non è nominata nel libro dei Giudici,
il quale, a differenza del libro di Giosuè, fotografa istantanne
reali del processo di penetrazione nella Terra Promessa.
.
La descrizione minuziosa che il libro di Giosuè fà della
conquista di Ai, portata a termine attraverso un tranello, per potere così
irrompere nella città senza doversi misurare con le sue ciclopiche
mura, rispecchia l’enorme impressione che le macerie di questa città
immensa dovevano aver fatto sui seminomadi venuti dal deserto. Ai in ebraico
significa, infatti, macerie.
Il libro dei Giudici, che racconta la sua versione della conquista
della Palestina, e che è molto più affidabile come fonte
storica, non ricorda né Gerico, né Ai, la prima conquistata
attraverso un esorcismo magico, la seconda attraverso un trucco sagace.
.
Il libro di Gosuè può essere paragonato all’Iliade, non
per vastità e respiro, ma come peana dell’epos del popolo, in cui
l’orda coalizzata dei fratelli stringe d’assedio la città .
L’orda delle tribù israelite si pone come meta tutte le città
canaanee fortificate.
Come spiega Rashi, il più importante dei commentatori biblici
che visse in Francia nell'XI secolo, città equivale a donna.
Intuizione confermataci dalla psicoanalisi. Conquistare una città
è dunque psichicamente equivalente a conquistare una donna.
Questo è il cantico dell’incesto consumato. Il testo scandisce
il ritmo dell’eccitazione del possesso.
Esattamente come i bambini percepiscono il coito parentale.
Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno
usciva e nessuno entrava. Disse il Signore a Giosuè: “Vedi, io ti
metto in mano Gerico e il suo re. Voi tutti prodi guerrieri,
tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il
circuito della città una volta. Così farete per sei giorni.
Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca;
il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte
e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando si suonerà il corno dell’ariete,
appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà
in un grande grido di guerra; allora le mura delle città crolleranno
e il popolo entrerà, ciascuno diritto davanti a se".
Come Troia cade quando viene penetrata dal simbolo fallico del cavallo,
così Gerico cade quandovengono suonati i corni d’ariete, simboli
fallici del dio d'Israele e la sua orda :
l’avanguardia precedeva i sacerdoti che suonavano le trombe
e la retroguardia seguiva l’arca; si procedeva a suon di tomba. Al popolo
Giosuè aveva ordinato: “Non urlate, non fate neppur sentire la voce
e non una parola esca dalla vostra bocca finché vi dirò:
lanciate il grido di guerra: allora griderete”(6,9-11).
Il coito fu perpetrato e l’incesto consumato ai suoni del grido orgiastico
di Giosuè e degli Israeliti
Nel caso di Troia l’incesto viene perpetrato attraverso un trucco escogitato
da Ulisse, il più astuto dei fratelli.
Nel caso di Gerico, è Dio stesso che suggerisce a Giosuè
la formula magica.
Come Troia era saldamente sbarrata davanti agli Achei e il cavallo
dovette rompere parte delle mura per penetrare la città, rappresentazione
onirica equivalente a deflorazione, così
nessuno entrava” (Giosuè
6/1).
loro cammino:
rimase immobile finché il popolo
non si vendicò dei nemici”.(Gios.10,13).
Troia.
Infatti aveva inconsciamente percepito che la Torà e il
libro di Giosuè, da un punto di vista psichico, fanno parte di un'unica
saga. Quella dell'evoluzione psicosessuale dalla nascita fino allo stadio
edipico.
La storia vera comincia a esser narrata nel "libro della storia dei
re di Giuda" menzionato nel secondo libro delle Croniche (25,26)
e nel "libro della storia dei re d'Israele" menzionato ne secondo libro
dei Re14,28), ) che, a differenza degli annali faraonici, andarono
persi,
o meglio, furono appositamente persi, poichè contraddicevano la
versione ufficiale post -esilica. La vera storia dei regni di Giuda e d'Israele
è stata scritta ma non è mai arrivata a noi. Il redattore
della Bibbia li aveva dinnanzi a sè, menziona che esistessero e
da questi prese molto del materiale per la redazione della storia dei Regni
d'Israele e di Giuda, adattando le storie autentiche alla nuova ideologia
monoteistica.
.
Se dovessimo cominciare a scrivere un libro di storia ebraica, e non
di preistoria, potremmo cominciare al più presto dalle guerre dei
re di Giuda e d'Israele con i loro vicini e tra loro stessi
.
Davide era ancora un capo tribù, Salomone probabilmente non
è mai esistito.
Il tempio di Gerusalemme non differiva in niente da uno di tanti
templi dedicati a queste divinità.
Ancora ai tempi di Ezchiele (VI sec. A.C.), proprio alle soglie del
primo esilio questi culti vengono menzionati dal profeta
Quando moriva le donne lo piangevano, e rigioivano quando resuscitava.
Lo stesso era Osiride in Egitto.
Come si lamenta Geremia:
averlo minacciato, me ne ricordo sempre più
vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono
per lui , provo per lui profonda tenerezza" (Geremia 31/20).
Ezchia re di Giuda fece ciò che è retto agli
occhi del Signore...Egli eliminò le alture e frantumò
le stele, abattè il palo sacro e fece a pezzi il serpente di bronzo,
eretto da Mosè. Difatti fino a quel momento gli Israeliti
gli bruciavano incenso e lo chiamavano Necustan (2 Re 18,4)
Ovvero Ezchia distrusse il palo sacro, in ebraico Asherà, che è
la dea cananea della prostituzione sacra.
Quindi Mosè, era stato un dio guaritore, salvifico, come
Esculapio, e come Gesù, che viene paragonato dal Vangelo di Giovanni
al serpente di Mosè. (Gv. 3,14)
Se non fosse stato per il trauma dell'olocausto del regno d'Israele,
Mosè sarebbe dunque adorato oggi dagli ebrei come un dio figlio,
al pari di Gesù. E non come Vicario del Padre.
Secondo me, non ancora.
Furono le prime riforme monolatriche, che solo dopo l'esilio babilonese
si tradussero in monoteismo.
La religione monolatrica è infatti è una proiezione della
struttura sociale patriarcale in cui vivono i semi-nomadi.
Come ha rilevato Reik, gli Israeliti che vagavano tra il Sinai
e Canaan erano monolatri e non monoteisti. Jahveh era il loro unico dio,
che non aveva nessuna pretesa di essere anche l'unico dio per tutta l'umanità.
Infatti si autodefinisce continuamente “Il dio di Abramo, Isacco, Giacobbe”
e “Il dio d’Israele”, e non il dio di tutta l’umanità.
Per 226 volte è chiamato nella Bibbia “Jahveh Zevaot”, Jahveh
degli eserciti.
14 volte Geremia e Ezchiele dicono “Jahveh Zevaot è il suo nome”.
Quindi aveva un nome ben specifico che rappresentava il simbolo fallico
dei clan giudaici quando ingaggiavano battaglia.
Gli Ammoniti, pastori seminomadi, che abitavano a oriente del Giordano,
dove oggi è Amman, adoravano Milchom e questo era l'unico
dio per loro, senza escludere l'esistenza di altri dei per altre tribù.
I Moaviti adoravano Chemosh, ugualmente come unico Padre della tribù.
I clan meridionali di Giuda, prima d'insediarsi in Canaan adoravano
solo Jahveh, il dio ariete, e questi rappresentava il padre della tribù.
Jahveh era diventato un dio secondario, e le dee principali erano
Astarte, la dea della fertilità di tutti i popoli semiti sedentari,
Asherà albero e prostituta sacra e Tammuz, il dio figlio che
moriva all'inizio della primavera tra il pianto delle donne, come menzionato
da Ezchiele.
Gedeone, per esempio, aveva nel suo cortile il palo sacro di Asherà
e la statua del Baal, e contemporaneamente sacrificava a Jahveh (Giudici,
6,25), e non ci vedeva nessuna contraddizione.
----------------------------------------
Lì cominciò a emergere l'angoscia di perdere la terra,
come era successo a Israele, di perdere la Casa (il Tempio), dove venivano
eseguiti i culti della Madre e di sparire.
che Melanie Klein ha chiamato: la pulsione del neonato a tornare nell'utero
materno.
La regressione a: ""Chi ci potra' dare carne da mangiare? Ci ricordiamo
dei pesci che mangiavamo in Egitto ", che abbiamo ricordato
parlando del libro dei Numeri (11,16).
Non temete il re di Babilonia... ascolta la parola del Signore
o resto di Giuda: Dice il Signore degli eserciti, Dio d'Israele: Se voi
intendete veramente andare in Egitto e ci andate a stabilire colà,
ebbene la spada che temete vi raggiungerà laggiù nel paese
d'Egitto, e la fame che temete vi sarà addosso laggiù in
Egitto e là morirete. Allora tutti gli uomini che avranno
deciso di recarsi in Egitto per dimorarvi moriranno di spada di fame e
di peste " (Geremia 42/13-14)...Abbatterò il resto di Giuda,
che ha deciso di andare a dimorare nel paese di Egitto; essi periranno
tutti nel paese d'Egitto; cadranno di spada e periranno di fame dal
più grande al più piccolo (Geremia, 44/12).
Ed ecco di nuovo la fame, la pulsione sadico orale che abbiamo incontrato
quando i figli d'Israele avevano parlato male di Mosé nel deserto
per la fame. Regressione dallo stadio genitale attraverso lo stadio
sadico orale e fino alla placenta d'Egitto.
Ezchiele chiama l'Egitto "un sostegno di canna" (Ez. 29/6).
Questo è un esempio di come decisioni storiche d'importanza
capitale non vengano prese come conseguenza di un'elaborazione lucida e
razionale ma dietro la spinta di pulsioni inconsce.
Da qui l'importanza della psicostoria, come scienza che studia le motivazioni
psicologiche inconsce che agiscono come motore dietro a eventi storici
e a decisioni politiche cruciali nella storia dei popoli.
Egli diventò Mosè, vicario del Padre, per Israele, come
Akhnaton lo era stato per l’Egitto.
Ecco che la Legge di Mosè si fuse con gli eventi della montagna
sacra, che erano stati, nella lontana preistoria delle tribù ebraiche,
solo periodici riti tribali totemici e d'iniziazione puberale.
Il Decalogo, che è una legge egizia, che nulla poteva aver avuto
a che fare con questi riti, fu fatta scendere, in mezzo ai tuoni, ai fulmini
e ai muggiti di montone, dalle nuvole che circondavano le cime dove aveva
dimorato Jahveh, il dio ariete, demone spaventoso e sanguinario
Come ci racconta la Bibbia, Giosia cominciò a depurare le alture.
( Giosia 628 – 609)
Il re comandò di di condurre fuori dal tempio tutti
gli oggetti fatti in onore di Baal, di Ashera e di tutte le milizie del
cielo e li bruciò fuori di Gerusalemme...Destituì i sacerdoti,
creati dai re di Giuda per offrire incenso sule alture delle città
di Giuda e dei dintorni di Gerusalemme, e quanti ofrivano incenso al Bal,
al sole e ala luna...Fece portare il palo sacro dal tempio fuori
di Gerusalemme, nel torrente Cedron. e là lo bruciò e ne
fece gettare la cenere nel sepolcro dei figli del popolo. Demolì
le case dei prostituti sacri, che erano nel tempio, e nelle quali le donne
tessevano tende per Asherà...demolì le alture
dei satiri...Giosia dichiarò immondo il Tofet, che si trovava
nella valle di Ben-Inom, perchè nessuno vi facesse passare ancora
il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco in onore di Moloch.
Rimosse i cavalli che i re di Giuda avevano consacrato al sole all'ingresso
del tempio, nel locale dell'eunuco Netan Melech, che era nei cortili e
diede ale fiame i carri del sole...Il re dichiarò immonde le alture
che erano di fronte a Gerusalemme, a sud del monte della perdizione, erette
da Salomone, re d'Israele, in onore di Astarte, obbrobrio di
quelli di Sidone, di Camos, obbrobrio dei Moabiti, e di Milcom, abominio
degli Ammoniti” ...(2 Re 23/1-16)
Le alture erette da Salomone erano dunque ancora lì, dopo 350 anni.
Non di prevaricazione si era dunque trattato, come vorrebbe farci credere
il redattore biblico posteriore, ma di religione uffciale degli israeliti.
Vent'anni dopo le riforme di Giosia vennero la distruzione del Tempio
e l'esilio 587 .
Quando settant'anni dopo, l'impero persiano incorporò la Babilonia,
la Giudea e l'Egitto venne a formarsi il più vasto impero mondiale
conosciuto fino a quel momento.
Ciro, in una stele trovata in Galilea si definisce “Io Ciro re del
mondo, il grande re, il re forte”
Il dio monolatrico Jahvè, non poteva più bastare come
dio che avrebbe portato la salvezza ai giudei dal giogo dei popoli circostanti.
Per poter misurarsi con dei nemici che ora erano diventati il mondo intero,
e non più solo le tribù vicine, dovette assumere peculiarità
di dio cosmico.
Non bastava più il Padre della tribù, per promettere
la salvezza, ci voleva adesso il Padre del mondo intero.
Da dio tribale divenne un dio cosmico, nelle preghiere viene denominato
come nella stele di Ciro: “Tu Oh Jahveh, re del mondo, il grande re, il
re forte”, ma la sua vera natura viene tradita dalla peculiarità
più caratteristica di tutte del dio del clan, quella di essere eletto
dal suo popolo.
La peculiarità di dio monolatrico rimase così nel concetto
di "popolo eletto", che non è altro che l'inversione di "Dio eletto
dal popolo".
(Per Jahveh come dio guerriero, dio dei clan giudaici, distinto da El, dio d'Israele, vedi L.M. Barré, El, god of Israel--Yahweh, god of Judah,
in http://www.biblicalheritage.org/God/el-goi.htm
Links :
Sacralità, intoccabilità e tabù
Gli Israeliti e le quaglie
Il Cherubino di "Le Nozze di Figaro" e l'Arca Santa
L'Esodo e gli zoppi. Pesah: la festa del salto + Pasqua = Kippur; Natale = Pesah
The Exile and its Consequences for Jewish Monotheism
La figura di Dio nell'ebraismo: Padre o Madre? (La lettera di una lettrice)
La circoncisione
Il quinto capitolo di Giosuè, come tutto il resto di questo straordinario libro poetico e mitologico, ci racconta una storia poco credibile, ma interessante poiché contiene un messaggio in codice che va decodificato: quella della rinnovata circoncisione dei figli d’Israele sulle soglie della Terra Promessa.
La ragione per cui Giosuè fece praticare la circoncisione è la seguente. Tutto il popolo uscito dall’Egitto, i maschi, tutti gli uomini atti alla guerra, morirono nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto. Mentre tutto quel popolo che era uscito era circonciso, tutto il popolo nato nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, non era circonciso. Quarant’anni infatti...E va avanti tutto il capitolo a spiegare nuovamente perchè non si erano circoncisi e adesso si devono circoncidere, ripetendosi, introducendo frasi che non c’entrano per niente, eccetera eccetera.
Chi è abituato all’analisi dei testi annusa subito il depistamento,
l’inversione, il cancellare le tracce, il raccontarci qualcosa per nascondere
qualcos'altro.
Tutto questo capitolo mi ricorda gli infiltratori che passano la frontiera
camminando all’indietro per far credere che stanno uscendo invece che entrando.
Secondo me, il redattore voleva nascondere il fatto che gli Israeliti,
prima dell’esilio, non si circoncidessero affatto. Questa è una
mia opinione personale, che per il momento non posso provare in maniera
categorica.
Ma la circoncisione è associata all’Egitto e al periodo del
deserto, non a quando vivevano da agricoltori, come i Canaanei, che infatti
non si circoncidevano.
Lo stesso quinto capitolo ci racconta, subito dopo il balbettamento
sulla circoncisione, anche che gli Israeliti celebrarono subito la Pasqua
e mangiarono pane azzimo nelle steppe di Gerico.
Ma abbiamo visto che il libro dei Re ci aveva raccontato che la Pasqua
fu festeggiata per la prima volta ai tempi di Giosia.
E poi, subito dopo, la visione di Giosuè:
Mentre Giosuè era presso Gerico, alzò gli occhi ed ecco, vide un uomo in piedi davanti a sé che aveva in mano una spada sguainata. Giosué si diresse verso di lui e gli chiese: “Tu sei per noi o per i nostri avversari?” Rispose: “No, io sono il capo dell’esercito del Signore. Giungo proprio ora”. Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò e gli disse: “Che dice il mio Signore al tuo servo?”. Rispose il capo dell’esercito del Signore a Giosuè: “Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo”.Questa è esattamente la frase che il Signore disse a Mosè sul Sinai davanti al roveto ardente: “Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo” (Es., 3,5).
Ovvero il quinto capitolo di Giosuè è dedicato in maniera particolare a creare una legittimizzazione per la situazione che si era creata de facto dopo l’Esilio, quando i giudei avevano istituito la circoncisione, che come ci dice Erodoto era un costume egizio (Hist., II.104), la Pasqua, il Succot, e tutti i costumi che li ricollegavano all’Egitto, compresa la proibizione della prostituzione sacra, che solo gli Egizi proibivano tra tutti i popoli del Medio Oriente antico, come ci racconta Erodoto (Hist., II.64).
Il Redattore attribuisce a Giosuè l’istituzione della Pasqua
e della circoncisione, e attraverso la citazione precisa della frase davanti
al roveto ardente, detta da Dio a Mosè, crea l’equivalenza Giosuè
= Mosè.
Il Redattore spiega ai Giudei del V secolo, che forse ancora si ricordavano
che i loro padri non festeggiavano la Pasqua e non si circoncidevano, che
gli antichi ebrei, entrando nella Terra Promessa, avevano istituito la
circoncisione, mentre prima non si circoncidevano, ovvero legittimizza
imposizioni attuali, facendole risalire a Giosuè che è colui
che li aveva fatti entrare in Eretz Israel.
Ai Giudei che tornavano dall’Esilio dopo aver perso la Terra, il Redattore
disse
“ Volete avere il diritto alla terra ? Circoncidetevi come vi aveva
imposto Giosuè. I votri padri smisero di circoncidersi e quindi
persero la terra per la loro empietà”.
Quindi, tutto questo capitolo rappresenta un’inversione e una copertura:
Gli Israeliti smisero di circoncidersi entrando nella terra Promessa,
anche se forse si circoncidevano nel deserto, nel contesto dei riti iniziatici
puberali dei semi nomadi.
La frase di Erodoto, citata da Freud in Mosè e la religione monoteistica
, come prova che gli ebrei avessero ricevuto la circoncisione dagli Egizi, non ci deve trarre in inganno.
I Fenici, invece, e i Siri di Palestina [i Giudei] riconoscono essi stessi di aver adottato quest'uso dagli Egiziani; mentre i Siri stanziati lungo il fiume Termodonte e il Partenio, nonché i Macroni che sono loro vicini, affermano di averlo ricvuto dai Colchi in epoca recente (Hist., II.104)Nel V secolo, quando Erodoto scrive, i Giudei dicevano di aver ricevuto la circoncisione dagli Egizi, anche se non è chiaro da quali Giudei Erodoto potesse aver sentito questa versione.