Iakov Levi


TRAUMA DELLA NASCITA, ESILIO E MONOTEISMO


Ottobre 10, 2002

Relazione ufficiale presentata al Convegno "ESODO: traumi e memorie", svoltosi a Fiuggi il 4 Ottobre 2002, organizzato da Scienza e psicoanalisi


English Version


Giacché è destino di ogni mito di rattrappirsi
a poco a poco nella ristrettezza di una presunta realtà
storica e di essere trattato da un’epoca posteriore
come un evento unico, con pretese storiche
(Nietzsche, La nascita della tragedia, 10)


Prefazione

L' idea per questa relazione mi è venuta leggendo  la traduzione inglese di Strachey della seconda avvertenza editoriale al terzo saggio di Mosè e la religione monoteistica di Sigmund Freud.
Dove, nella traduzione italiana, Pier Cesare Bori aveva tradotto la frase finale di Freud: "il dado e tratto",  Strachey tradusse: "let us now take the plunge", ovvero “tuffiamoci”.
La prima associazione che mi è venuta in la mente e stata tuffarsi  = nascita . Infatti Freud in "Simbolismo del sogno" (Opere, B.Boringhieri, Torino 1989,  vol.8, p.325) dice:

La nascita e quasi sempre rappresentata mediante una relazione con l'acqua: si sogna qualcuno che precipita nell'acqua oppure ne emerge, salva una persona dall'acqua o viene salvato da una persona, ossia ha con essa un rapporto materno
Il testo biblico, trattando dell'Esodo, ci parla continuamente di acque: acque da cui è tratto Mosè, acque del Nilo colpite dal suo bastone  che si tramutano in sangue, acque del Mar rosso che si aprono quando Mosè stende su di loro il  bastone, acque che sgorgano dalla roccia quando la colpisce, sempre con il suo bastone, per dissetare gli Israeliti.

Acque e bastone di Mosè ritornano continuamente nelle prime fasi dell'Esodo.

Niente di strano che trattando della prefazione di un saggio su Mosè le associazioni di Freud, di Strachey, di Bori portino alla nascita: la sua storia infatti incomincia parlandoci della nascita dell'Eroe, che ci racconta in maniera molto concreta di nascita e trarre dalle acque.
Ma l'associazione di Freud e degli altri non è solo con la nascita, ma anche con la decisione fatale.

La parola Mosè, come ha notato Freud, corrisponde a quella egizia Mos e significa bambino.
Nei nomi egizi appare come suffisso di un nome completo. Come per esempio Tut-mosis, che significa "bambino di Tut", che è il dio egizio della sapienza e della scrittura, Ptah-mosis, Amun-mosis ecc.
Come ha fatto notare Ahmed Osman, nel suo libro Out of Egypt (London 1998), quando il nome Mos è adoperato da solo, e non come suffisso, indica qualcuno che si conosce ma non si vuole nominare. Ovvero, Mosè significherebbe quel tale, che sappiamo chi è, ma non vogliamo dire.

La spiegazione di Ahmed Osman è che Mosè sia stato il faraone eretico e monoteista Akhnaton stesso, che fu assassinato e deposto dagli egizi  in quanto voleva imporre loro il monoteismo. Dopo la sua deposizione ne furono cancellate le tracce e fu proibito persino di nominarne il nome, pena la morte.
Akhnaton non appare infatti nelle liste dei faraoni egizi, e sappiamo della sua esistenza e delle sue riforme religiose solo perchè nella metà dell'Ottocento la sua capitale Amarna fu trovata per caso dagli archeologhi.
I seguaci di Akhnaton, non potendolo più nominare per nome per indicarlo, pena la morte,  lo chiamavano semplicemente Mos, "il figlio di", "bambino di".
Il Mosè biblico rappresenta dunque la traccia menestica di Akhnaton, il faraone eretico e monoteista.
Akhnaton sarebbe la figura storica, le cui tracce furono meticolosamente cancellate e rimosse, fino a che solo dopo 3300 anni furono ricuperate dalle vanghe e dai  picconi degli archeologi.
Mosè sarebbe invece la figura leggendaria, alter ego della figura storica rimossa.
Il silenzio imposto dall'Egitto riemerse dalla rimozione in una loquacità copiosa nel testo biblico.
Come scrive Ian Assman in Moses the Egyptian, "Mosè è una figura della memoria ma non della storia, mentre Akhnaten è una figura della storia ma non della memoria" (Harvard College 1997, p.2)

Freud ha trattato del nome di Mosè nel primo saggio, e ha fatto notare che il versetto biblico "ella lo chiamò Mosè, dicendo: Io l'ho tratto dalle acque" , del secondo capitolo dell'Esodo (Es. 2/10) è una razionalizzazione in quanto Moshè significa "colui che trae" (presente attivo) e non colui che ne è tratto (presente passivo) che sarebbe suonato  come "Nimshà o Mashui".
Ma ogni razionalizzazione contiene anche l'allusione a un'intenzione latente del mito stesso, poiché anche una razionalizzazione non può nascere dal nulla ma si deve associare a qualcosa.

Infatti, per gli antichi il nome aveva un significato magico, il nome rappresenta un compito, e Dio nella Bibbia cambia continuamente nome ai patriarchi a secondo del ruolo che la loro missione li porterà a svolgere: Abram diventa Abraham, Sarai (la mia signora) diventa Sarà (La signora di tutti), Giacobbe diventa Israele, che significa " ha combattuto con Dio" e Giuseppe diventa Zafnat Paaneah, che significa: "colui che decodifica le cose nascoste".

Ovvero, il nome rappresenta il ruolo che ricopre l'eroe nell'epos collettivo. Quindi, Mosè giustamente fu chiamato in ebraico Moshè. Il Redattore, introducendo una razionalizzazione, ci spiegò anche il significato che avrebbe avuto la nascita di Mosè per il popolo ebraico intero, come questo era stata elaborato dall'inconscio della generazione del Redattore biblico centinaia di anni dopo.

Questo aspetto essenziale della potenza e il significato del nome nei miti biblici fu trascurato da Freud.

Mosè, che fu tratto dalle acque, trasse lui stesso Israele dalle acque d'Egitto e diventò così la sua levatrice.
Anche di levatrici infatti ci racconta la Bibbia trattando dei primordi di Mosè (Es,1/16-19)
Il suo mito personale è la rappresentazione antropomorfica della nascita del popolo ebraico. L'associazione inconscia collettiva  ha condensato la nascita dell'Eroe con quella del popolo che rappresenta, e il suo essere tratto dalle acque con il trarre il popolo intero.

Nell'inconscio collettivo, l'Esodo rappresenta il momento nel quale gli ebrei si amalgamarono a nazione ed acquistarono un identità.

In realtà le cose andarono ben diversamente.

Quello che viene ricordato come l'evento cardinale della storia del popolo ebraico, l'Esodo, è ben lungi dal essere tale.
La maggior parte delle tribù ebraiche non erano mai  entrate in Egitto, ed erano rimaste a pascolare ai margini del seminato, tra Canaan e il Sinai.
Furono dunque i profughi dall'Egitto che si unirono alle tribù che pascolavano nel  Neghev e in Trasgiordania
Il Sinai stesso per la sua natura desertica e la carenza d'acqua non può contenere più di qualche centinaia di persone nello stesso posto. Anche le oasi più dotate non sono in grado di dissetare più di  un clan con le sue greggi.
Dobbiamo pensare a una situazione in cui i clan meridionali del Neghev e del Sinai che diventarono la tribù di Giuda, e che vagavano sparpagliati insieme alle loro greggi, accolsero a loro i superstiti d'Egitto, che non potevano essere più di qualche centinaio.
La versione biblica di un Esodo che avrebbe compreso 600.000 uomini "capaci di caminare, senza contare i bambini" (Es., 12,37),  è da considerarsi una pura fantasia orientale

La realtà storica è quella di alcuni clan ebraici che vagavano ai margini del seminato palestinese chiamato Canaan e in seguito Eretz Israel. Alcuni di loro avevano forse alle spalle un vissuto d'insediamento temporale nel delta orientale del Nilo, il Goshen biblico.
Probabilmente l'influenza egizia sui costumi e la legislazione ebraica derivano da questa infiltrazione temporale nel delta nilotico, ma non dobbiamo dimenticare che l'influenza egizia nel Sinai e nel Neghev era molto forte, in quanto questi facevano parte dell'Egitto che non aveva mai smesso le  attività minerarie e metallurgiche, come l'estrazione di turchese nel Sinai e del rame nel Neghev, che continuarono ininterrotte per tutta la XVIII dinastia
In Canaan stesso gli Egizi mantenevano caposaldi nelle valli e lungo le vie principali.

250 anni dopo l'Esodo questi clan ebraici erano tutt'altro che amalgamati.
Il libro dei Giudici ci racconta di continue lotte tra le varie tribù, alcune si univano tra di loro contro altre,  in coalizioni provvisorie che si disgregavano subito dopo

Secondo il libro dei Giudici, il clan di Abimelech compì una strage degli abitanti di Sichem (Giudici 9). I Galaaditi commisero quasi un genocidio di Eframiti (Giudici 12).  La tribù di Dan emigrò dalla costa di Giuda alla Galilea saccheggiando per strada il territorio di Efraim (Giudici 18). Tutte le tribù d'Israele si riunirono per distruggere Beniamino, che  da quel momento diventò la tribù più piccola  e in quanto tale ci venne tramandata dalla tradizione biblica come il figlio minore di Giacobbe, e potè sopravvivere solo sotto la protezione della tribù di Giuda (Giudici 20)

In pratica non fu l'Esodo che li trasformerà in nazione, ma l'Esodo diventò nella psiche del popolo ebraico, il punto di riferimento, l'inizio

Guardandosi  indietro si diranno: "Siamo nati in quel momento”

Il momento psichico di nascita ed acquisto d'identità nazionale fu il risultato di una condensazione formatasi molti secoli dopo guardandosi all'indietro.

La Pasqua, la festa che commemora l'Esodo, fu istituita solo più di 600 anni dopo l'evento, ai tempi di Giosia re di Giuda, come è scritto chiaramente nel secondo libro dei Re:

Il re ordinò a tutto il popolo: 'Celebrate la Pasqua per il Signore vostro Dio, con il rito descritto nel libro di questa alleanza'. In realtà tale Pasqua, fu celebrata per ilSignore, in Gerusalemme, solo nell'anno diciotto di Giosia" - (2 Re 23, 21-23),
Solo dopo la distruzione del regno settentrionale d'Israele nel 721 per mano degli Assiri, la perdita di dieci tribù consorelle e alla vigilia dell'esilio, Pesah, in una proiezione a posteriori, diventò la festa della libertà nazionale. Alle soglie del Primo Esilio, i Giudei, guardandosi indietro istituirono come festa nazionale non la fondazione della monarchia o l'entrata nella Terra Promessa, ma
l'Esodo.

Un evento traumatico come la sparizione di dieci tribù consorelle, l'incombente perdita dell'indipendenza, la possibile distruzione del Tempio, e l'esilio che si avvicinava, stimularono il riallacciamento al trauma dell'Esodo e della nascita, che non fu mai un evento reale, ma uno fantasticato dalla psiche collettiva.

La mia tesi sostiene il monoteismo ebraico, che fu istituito durante il primo esilio,
fu un meccanismo di difesa contro l’angoscia che si risveglia davanti alla richiesta pulsionale regressiva di tornare all’utero materno, scatenata dalla perdita del Tempio e della terra, che è Madre Terra per eccellenza e viene inconsciamente percepita come imago materna.

La libido costretta a staccarsi dalla madre fu ridiretta verso il Padre, che diventò così anche l'unico Dio, come un bambino che perda la mamma si attacca di più al padre.

Questi divenne colui che li avrebbe salvati dalla morte e dalla distruzione associati alla pulsione intrauterina regressiva, che cominciò ad emergere e le cui tracce appaiono in maniera inequivocabile nel testo biblico, il quale fu composto sotto il trauma degli eventi disastrosi che avevano colpito Israele e Giuda.

Attraverso un analisi psicoanalitica del testo cercherò di decodificare i contenuti mentali dell'Esodo, ovvero come questo venne elaborato dalla psiche ebraica collettiva

La mia tesi sostiene che se il testo adoperò un'espressione piuttosto che un altra non è casuale come nessuna associazione è casuale, bensì vi sono contenuti psichici rimossi, che tentano di affiorare in questa maniera
Come ci ha insegnato Freud, gli uomini non sono fatti per tenere segreti, e questi emergono attraverso quelle che a prima vista possono sembrare inezie, disattenzioni del Redattore, o semplici virtuosismi letterari.

La Torà fu redatta dopo il ritorno dall'esilio babilonese. Le antiche saghe del popolo ebraico che venivano trasmesse oralmente da padre in figlio, furono adattate alla nuova condizione di popolo monoteista, ma le tracce di quelle che erano state le saghe originarie rimasero nel testo, aggirando la censura del redattore Post -Esilico.
 

Mito e sogno

Karl Abraham, in “Psicoanalisi ed etnologia”  (p. 509 sgg.del II volume delle Opere,  B.Boringhieri, Torino 1975 e 1997.)  evidenzia l’equivalenza tra sogno e mito. Il mito, secondo Abraham sarebbe un sogno collettivo: Cito dal paragrafo intitolato “La teoria del mito come desiderio” ( p.562):

"Credo di aver dimostrato per
la leggenda di Prometeo quel che Freud ha
dimostrato per quella di Edipo: che essa ha
tratto la sua origine non da una visione etica,
religiosa o filosofica, ma da una fantasia
sessuale dell’uomo. Gli elementi etico religiosi
del mito io li concepisco come sovrapposizioni
successive, come prodotti della rimozione”.

Molte storie bibliche sono miti, ovvero, per seguire la definizione di Abraham, sogni collettivi.
La storia dell'Esodo, come descritta dalla Torà, rappresenta il sogno collettivo del popolo ebraico per quello che riguarda le proprie origini.
Essendo un sogno, le rappresentazioni che ne emergono vanno trattate con gli stessi strumenti con i quali cerchiamo di interpretare i sogni, tenendo in mente i meccanismi di cui questi si servono per censurare  le rappresentazioni che emergono dall'Es
Come nel sogno, le pulsioni emergono sotto forma di simboli, e vengono censurate attraverso il meccanismo dell'inversione, la condensazione, lo spostamento e l'isolamento.
 

L'esodo come nascita

Chi legga i primi capitoli dell'Esodo riceve l'impressione di aver già vissuto il dramma descritto.
Un legame oppressivo che trattiene, una schiavitù in catene, un oppressione che si accresce in escalando con il progredire del dramma, e alla fine un'esplosione esilarante e liberatrice.

I giorni che precedono la nascita sono terribili per il feto. Comincia a soffocare e la placenta che era stata fin a quel momento nutriente e protettiva comincia a diventare sempre più opprimente e velenosa. Il feto ha bisogno di uscire ma è incatenato. Il cordone ombelicale che gli aveva portato ossigeno e nutrimento diventa la catena che gli impedisce di uscire e, come un enorme serpente rischia di avvolgerlo nelle sue spire. L'utero materno diventa una prigione. Solo il Messia potrà salvarlo e "trarlo" come "il dado è tratto" della traduzione di Cesare Bori.
Le immagini di serpenti e mostri fallici femminili che popolano la fantasia dei popoli antichi e dei nostri bambini, nel contesto delle fantasie intrauterine, rappresentano la proiezione dell'Imago della placenta.

In ebraico esiste un'espressione: "Chavalei Ha Mashiah" (le doglie del messia), ovvero, la venuta del Messia sarà preceduta dalle doglie del parto.
La parola Chevel significa sia doglie che corda, condensando il concetto di parto, di doglie e di corda che lega, con quello di cordone ombelicale.
Nel contesto dell'Esodo,  il Messia è Mosè che salverà,  attraverso le doglie del parto, Israele dalla prigione d'Egitto, ovvero dall'ambiente diventato insopportabile della placenta, e diventerà così la sua levatrice.
Come vedremo in seguito, il testo tratta in maniera molto concreta della figura di Mosè come levatrice.
 

Le doglie dell'Esodo

Le espressioni che adopera il testo sono illuminanti. Il feto comincia a soffocare ma non può ancora uscire, anela a spazio.
Ed ecco cosa ci dice il terzo capitolo dell'Esodo:

Il Signore disse: Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso  verso un paese dove scorre latte e miele (3, 7-9)


Dunque, il popolo grida a causa dei suoi sorveglianti che non lo lasciano uscire, che lo trattengono."Sono sceso per liberarlo". Dunque il Signore, attraverso Mosè,  sta per liberare il feto dalle catene dell’utero materno.
Le espressioni che adopera il testo ci dicono tutto

 "verso un paese bello e spazioso dove scorre latte e miele" (3, 7-9

La placenta rappresentata dal Faraone lo trattiene: Il faraone rispose:

 "Chi è il Signore perche io debba ascoltare il Signore per lasciar partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò partire Israele !"(5,2)

Sempre più l'ambiente soffocante e repressivo dell'utero materno nega al feto i suoi bisogni:
 "Non darete più  la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevate prima. Si procureranno la paglia da soli" (5,6).

Sentendosi negato ossigeno e nutrimento il feto non ha scelta alcuna e deve uscire

A questo punto si rompono le acque:

Aronne alzò il bastone e percosse le acque...tutte le acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel Nilo morirono e il Nilo divenne fetido, così che Egiziani non poterono più bere le acque. Vi fu sangue in tutto l'Egitto (7,20)
Il mito, come il sogno,  opera uno spostamento. Apparentemente sono gli Egiziani che non possono più bere, ma in realtà è il feto - Israele che non è più in grado di bere e di nutrirsi.

Il pathos del racconto aumenta sempre di più e il ritmo si fa sempre più serrato attraverso le piaghe, e fino all'ultima notte mentre gli Israeliti sono chiusi nelle loro case aspettando il grande momento dell'uscita dall'utero materno. Come il ritmo aumenta nelle ultime ore che precedono la nascita..

Questa è rappresentata dalla separazione delle acque del Mar Rosso dalle quali gli
Israeliti ne escono incolumi, mentre gli Egizi, ovvero tutti sedimenti velenosi, vengono lasciati alle spalle

Anche l'esplosione di sollievo rapresentato dalla danza di Miriam e delle donne al suono dei timpani e peculiare della sensazione di sollievo del nuovo nato.
Sono le donne che danzano, ovvero avviene qui una condensazione tra il sollievo del neonato e quello della madre.

L'Esodo, come ci viene raccontato nella Bibbia  è dunque una fantasia collettiva di nascita
 

I primi contatti con il mondo esterno (Numeri Capitoli 11 -21)

Lo stadio sadico orale

L'associazione tra uscita d'Egitto,  nascita e situazione nel deserto, morte e anche specificamente neonato, ricorre come una catena nei capitoli da 11 a 14 e 21 dei Numeri.

Chi ci potrà dare carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in  Egitto gratuitamente dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell'aglio. Ora la nostra vita inaridisce; non c'è più nulla (Numeri 11,4)
Quindi, il neonato si ricorda che, come feto, il cibo gli veniva dato automaticamente dalla placenta senza sforzo alcuno da parte sua, mentre adesso, uscito alla luce del giorno non sempre ogni sua richiesta viene prontamente accomodata.

Qui riemerge il ruolo inconscio di Mosè come levatrice d'Israele

Mosè disse al Signore "Perché hai trattato così male tuo servo? Perché non ho  trovato grazia ai tuoi occhi, tanto che mi hai gravato col peso di tutto il popolo? L’ho forse concepito io tutto questo popolo? O l'ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: Portalo in grembo, come la balia porta il bambino lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri?  Da dove prenderei la carne da dare a  tutto questo popolo?...Io non posso da solo portare il peso di tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me (Numeri 11,11-14).


Il legame inconscio tra Mosè, gravidanza, parto e bambino lattante appare, dunque, molto chiaramente dalle parole del testo stesso

Nell'undicesimo capitolo dei Numeri leggiamo delle prime esperienze di svezzamento del neonato

Intanto si era alzato un vento, per ordine del Signore, e portò quaglie dalla parte del mare e le fece cadere presso l'accampamento...Il popolo si alzò e tutto quel giorno e  tutta la notte e tutto il giorno dopo raccolse le quaglie... Avevano ancora la carne tra  i denti e non l'avevano ancora masticata quando lo sdegno del Signore si accese contro il popolo e il Signore percosse il popolo con una gravissima piaga. Quel luogo fu chiamato Kivrot Taava, perché qui fu sepolta la gente che si era lasciata dominare dall'ingordigia...(Nm.11,31-33). (Taava non è solo ingordigia ma anche passione erotica)
Il racconto degli Israeliti e le quaglie è equivalente al famoso sogno di Leonardo da Vinci interpretato da Freud:
Il sogno di Leonardo era stato il seguente
Questo scriver si distintamente del nibbio par che sia muio destino, perché ne la mia   prima ricordazione della mia infanzia è mi parea che, essendo io in culla, che un  Nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi  con tal coda dentro alle labbra (S.Freud, "Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci", 1910, in op.cit., vol.6)
Le quaglie degli Israeliti sono equivalenti al nibbio del sogno di Leonardo

Come ci dice il testo: "Avevano ancora la carne tra i denti e non l'avevano ancora masticata”.

Gli Israeliti, dunque, non potevano ancora masticare.

Perché mai si accese lo sdegno del Signore ? Poiché questa è una pulsione sadico orale. E il senso di colpa si riaccende quando stiamo per dare sfogo a una pulsione regressiva. Infatti il Signore, lungo tutta la saga dell'Esodo, è sempre adirato
 

Nel capitolo 12 dei Numeri  Maria e Aronne avevano parlato male di Mosè. Il parlare si fa con la bocca, che subito dopo la nascita diventa la mucosa dove si localizza l'erotismo orale, e

Aronne disse a Mosè: "Signore mio, non adossarci la pena del peccato che abbiamo stoltamente commesso; esso non sia come il bambino nato morto, la  cui carne è già mezzo consumata, quando esce dal seno della madre (Numeri, 12,11)
Questa e' una catena associativa ben interessante, un peccato  è un bambino nato morto = carne mezzo consumata = uscire dal seno della madre.
Non esiste alcun nesso tra il senso manifesto del racconto e quello latente. Cosa c’entra il peccato di sparlare con bambino nato morto – carne mezzo consumata – uscire dal seno della madre.?!
Questi versetti possono essere capiti solo in chiave psicoanalitica.

L'utero materno, che negli ultimi giorni era diventato soffocante e opprimente, una prigione e una terra di schiavitù, alle prime difficoltà post-natali , viene idealizzato e ricordato come protettivo.

Al neonato, il primo contatto con l'ambiente esteriore, in contrasto all' umido ambiente della placenta e del suo liquido amniotico, deve sembrare come quello di un deserto, un posto secco come deve essere sembrato alle prime creature viventi che dal mare salirono per la prima volta sulla terra ferma.
A questo punto il neonato esperimenta una forte pulsione a tornare all'ambiente precedente, ovvero a regredire alla situazione che precedeva la vita, che nel testo trova espressione nella frase

Oh fossimo morti nel paese d'Egitto ... e perché il Signore ci conduce in quel paese per cadere di spada? Le nostre mogli e i nostri bambini saranno preda (La - Baz). Non sarebbe meglio per noi tornare in Egitto? Si dissero l'un l'altro: "Diamoci un capo e torniamo in Egitto" (Nm., 14,2-4; cfr. Es., 16,3).
Ricordiamo questa frase, perche è la stessa che appare nel libro di Geremia quando, alle soglie dell'Esilio babilonese,  i Giudei terrorizzati saranno presi nuovamente dalle stesse fantasie intra-uterine regressive.

Come scrive Melanie Klein il neonato, mentre sta nascendo, esperimenta due pulsioni contrastanti ma concomitanti: La pulsione di nascere, ovvero la pulsione di vita (l'Eros freudiano) e la pulsione di ritornare nella placenta che è una pulsione regressiva e aggressiva che corrisponde alla pulsione di morte (il Todestrieb freudiano). La tensione tra le due pulsioni  e l'ambivalenza emotiva che ne
consegue non abbandonerà mai più il nuovo nato, fino a che la pulsione regressiva di morte avrà finalmente il sopravvento

Melanie Klein ci conferma così l'esistenza di un'impasto pulsionale regressivo tra Eros e pulsione di morte che precede il sadismo orale e il cui topos evoluzionale e tra l'utero e il mondo esterno, o forse precedente, e che solo nei primi giorni dopo la nascita viene canalizzato in erotismo orale.

Ed ecco che gli Israeliti, appena nati, desiderano morire.  Pensare la morte significa pensare a una condizione precedente la vita, ovvero quella intrauterina, poiché solo prima della nascita abbiamo esperimentato questa condizioneInfatti il testo non si esprime dicendo "Preferiamo vivere in Egitto che morire nel deserto", cosa
che almeno avrebbe avuto un senso logico, bensi' "Oh! fossimo morti nel paese d'Egitto.! "
Ovvero, preferiamo morire in Egitto che morire qui!".
L'Egitto, come abbiamo visto, rappresenta l'utero materno, e quindi gli Israeliti fantasticavano di ritornarci..

La lotta e la condizione conflittuale verso il seno materno che nutre il neonato riappare nel 21 capitolo dei Numeri

Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane ne acqua e siamo nauseati da questo cibo così leggero». Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti  velenosi i quali mordevano la gente e un grande numero d’Israeliti morì. Il popolo venne a Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te...” (Nm.21,5 - 7).
Ovvero, il neonato vuole essere svezzato, è stufo di questo "cibo troppo leggero" e vuole pane vero, cibi solidi.

Pane è sinonimo di carne. In ebraico arcaico e in arabo la parola lehem che oggi significa pane, significava carne. Quindi, desiderare lehem, pane, indica una pulsione cannibalistica.

Il peccato per cui i serpenti si avventarono sugli Israeliti fu dunque il peccato rappresentato da una pulsione sadico –orale.
Il  parlare avviene attraverso la bocca e la lingua; di chi parla male si dice che abbia una lingua di serpente, e la causa fu la fame: un bisogno che si ricollega alle pulsioni sadico-orali della prima infanzia.

I serpenti che attaccarono gli Israeliti li mordevano, poiché questo era stato il peccato, quello di mordere. Ogni castigo riflette la legge del taglione, che è l’unica riconosciuta dalla mentalità arcaica, come esprime il detto: «Chi di spada ferisce, di spada perisce".
Anche il mito di Orfeo che la prima volta perde Euridice per il morso di un serpente rappresenta la  pulsione sadico -orale di mordere.
Il racconto dei serpenti che mordono gli Israeliti nel deserto equivale alla  parte del mito di Orfeo in cui il serpente morde Euridice e ne provoca la morte. Entrambi sono la rappresentazione onirica di una pulsione sadico - orale.

Come abbiamo visto, molti dei racconti legati all'Esodo sono dunque rappresentazioni oniriche collettive, nel nostro caso fantasie intrauterine e sadico - orali.
 

Dall'iniziazione della Legge a quello dell'invasione della Terra Promessa

Nel 1919 Theodor Reik ha scritto un saggio, "Il Mosè del Michelangelo e gli avvenimenti del Sinai" (publicato come supplemento in Il Rituale religioso, Boringhieri, Torino 1949 pp. 307 sgg.),  in cui interpreta la promulgazione della Legge e il peccato del vitello d'oro avvenuto ai piedi del Monte Sacro, come un rito totemico.
Secondo Reik, le Tavole della Legge che erano di pietra rappresentavano non dei Comandamenti ma il corpo del dio. Reik prova brillantemente che per gli antichi infatti la pietra era il dio stesso. Così si spiegherebbe come mai le tavole della legge fossero due e non una. Il dio pietra Jahveh e il dio pietra Mosè.
Un dio padre e un dio figlio, come nel mito cristiano
Mosè che distrugge le tavole della legge in realtà uccide dio-Padre e ne prende il posto assumendone le sembianze. La distruzione del vitello d'oro sarebbe una ripetizione dello stessomisfatto, e in entrambi i casi distruggerebbe anche se stesso come espiazione.

Quando i figli d'Israele sono obbligati a ingerire le ceneri del vitello che avevano costruito e che Mosè aveva distrutto, in realtà ripeterono l'atto cannibalistico verso il Padre ucciso, che è parte del rito totemico
L'evidenza addotta da Reik è molto convincente, e concordo con questa spiegazione come l’unica valida per gli eventi sul monte Sinai.

Dunque ai piedi del Sinai avvenne un rito tribale totemico, non molto diverso da quello descritto da S. Nilo nel V secolo della nostra era, riportato da Robertson Smith e citato da Freud in "Toteme Tabù”.
S. Nilo aveva assistito come le tribù beduine del Sinai legassero un cammello a un altare di pietra e dopo averlo circondato per tre volte lo sbranassero ancora vivo.

Dopo 40 anni, nel 1959, Reik scrive Mistery on the Mountain, dove allarga il concetto e paragona gli avvenimenti del Sinai a un rito d'iniziazione collettivo. Infatti  in questi riti si condensa anche la ripetizione del parricidio,  la morte e la rinascita dei novizi.

Questo non invalida che il decalogo originale rappresenti una legge egizia, associata ad Akhnaton e quindi a Mosè. Il Decalogo, come ha dimostrato Ahmed Osman in Out of Egypt , (London 1998, pp.130-1), è almeno in sette comandamenti su dieci, una ripetizione del paragrafo 125 del "Libro dei Morti" egizio.
L'accettanza del Decalogo sarebbe quindi staccata, e non correlata al contesto degli avvenimenti sulla montagna sacra.

Quello che Reik è riuscito a provare è che le tribù ebraiche che vagavano nel Sinai e nel Neghev non erano estranee a questi riti che venivano consumati periodicamente dagli abitanti del deserto.

Nella psiche ebraica questi avvenimenti, riti totemici tribali e riti della pubertà che avvenivano nel deserto,  furono condensati con il messaggio morale mosaico, che non poteva avere con essi connessione alcuna, e diventarono un avvenimento solo..
Ma questo può essere stato fatto solo molti secoli dopo, poiché il messaggio
Mosaico-Akhnatoniano di monoteismo e iconoclastia fu accettato solo dopo l'esilio babilonese.

Questo spiega come mai la saga della nascita (l'Esodo) e quello dell'acquisto d'identità
rappresentato dal rito iniziatico puberale, si siano condensati nella memoria collettiva in un'unica saga.

Durante i riti iniziatici puberali i novizi articolano l'identità confusa acquistata durante il periodo di latenza e germogliata sul terreno delle tensioni edipiche. I novizi  acquistano definitivamente l'identità paterna e le imposizioni della Legge del Padre, ovvero le regole del clan, attraverso il trauma del rito puberale e i suoi terrori, come sono, infatti, gli eventi terrificanti sulla montagna sacra,  descritti dai libri dell'Esodo e del Deuteronomio.
..

Gli avvenimenti sul Monte Sinai sono dunque collegati al periodo del soggiorno nel deserto, ma sono dissociati dai 10 Comandamenti e dalla legge mosaica, e furono rimossi,  insieme a tutti gli altri eventi del deserto, dopo che gli Israeliti si insediarono nella Terra Promessa, conservandone solo confuse tracce mnestiche.
Come i Greci, dopo che s'insediarono in villaggi fissi, rimossero da dove venivano e cosa fosse loro accaduto quando erano ancora nomadi, e rimossero  il proprio passato tribale e i riti puberali dopo che si costituirono a polis.

I riti iniziatici sulla montagna sacra avvennivano periodicamente, dunque, ma furono rimossi per sette secoli, e le tracce ne riemersero in forma spostata, distorta e condensata solo quando poterono essere  fusi con il Decalogo che è in sostanza una codificazione egizia, che nulla poteva aver a che fare con questi riti.

I riti furono rimossi proprio perché erano molto reali. Erano veri.
 

Il libro di Giosuè
La conquista della Terra Promessa, Gerico e Ai

Quello che non fu rimosso, poiché non era mai accaduto, furono le gesta di Giosué e la sua epopea. Al posto di una lunga e travagliata penetrazione in Canaan che tra alti e bassi durò quasi tre secoli, come descritto dal libro dei Giudici e confermato dagli scavi archeologici, la memoria collettiva creò un'epos iniziatico di eroismo e conquista, accompagnato dal rullare frenetico dei tamburi.

L’esempio più illuminante è quello di Ai. Questa era stata, nella prima metà del terzo millennio, la città più prospera della Palestina, ma ai tempi della conquista israelita, verso la metà del XIII sec. a.C., era già un cumulo di macerie che era rimasto nella sua desolazione per mille e trecento anni.
Infatti, come Gerico, non è nominata nel libro dei Giudici, il quale, a differenza del libro di Giosuè,  fotografa istantanne reali del processo di penetrazione nella Terra Promessa.
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La descrizione minuziosa che il libro di Giosuè fà della conquista di Ai, portata a termine attraverso un tranello, per potere così irrompere nella città senza doversi misurare con le sue ciclopiche mura, rispecchia l’enorme impressione che le macerie di questa città immensa dovevano aver fatto sui seminomadi venuti dal deserto. Ai in ebraico significa, infatti, macerie.

Il racconto biblico (Giosuè, 8,1-29) avrebbe dovuto spiegare come Giosuè riuscì a prendere anche una città così massivamente fortificata.

Anche per quel che riguarda Gerico, gli scavi archeologici hanno provato che nel periodo  Bronzo Nuovo (Late Bronze), in cui avvenne l’invasione israelita, la città di Gerico non era più fortificata, anche se lo era stata massivamente nei millenni precedenti .
Il libro dei Giudici, che racconta la sua versione della conquista della Palestina, e che è molto più affidabile come fonte storica, non ricorda né Gerico, né Ai, la prima conquistata attraverso un esorcismo magico, la seconda attraverso un trucco sagace.

Quello che, però, il libro di Giosuè ci racconta è l’idea della conquista, come questa viene tramandata e come emerge dagli strati più profondi della psiche collettiva, ovvero, per citare Abraham, rappresenta una fantasia sessuale.
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Il libro di Gosuè può essere paragonato all’Iliade, non per vastità e respiro, ma come peana dell’epos del popolo, in cui l’orda coalizzata dei fratelli stringe d’assedio la città .

L'orda  degli Achei si pone come meta la città di Troia e la sua regina.
L’orda delle tribù israelite si pone come meta tutte le città canaanee fortificate.
Come spiega Rashi, il più importante dei commentatori biblici che visse in Francia nell'XI secolo,  città equivale a donna. Intuizione confermataci dalla psicoanalisi. Conquistare una città è dunque psichicamente equivalente a conquistare una donna.

L’idea del corpo della madre prende la forma di una Terra Promessa, di cui bisogna espugnare le numerose città. L’inno di guerra descrive la brama e la violenza, con la quale le tribù assetate si gettarono sulla terra.
Questo è il cantico dell’incesto consumato. Il testo scandisce il ritmo dell’eccitazione del possesso.

Quello che diventerà in seguito un rapporto di interscambio amoroso con la propria terra,  cominciò, nella rielaborazione psichica posteriore, come uno stupro violento.
Esattamente come i bambini percepiscono il coito parentale.

Il ritmo si fa più fitto come progredisce la narrazione. Comincia col grande rito d’iniziazione collettivo della circoncisione sulla soglia della Terra Promessa (Giosuè 5, 2-9).

Come tra le tribù primitive dei nostri giorni, la circoncisione del rito iniziatico è subito seguita da un rapporto etrosessuale, così la circoncisione dei figli d’Israele fu seguita dalla presa di Gerico:

Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava. Disse il Signore a Giosuè: “Vedi, io ti metto in mano Gerico e il suo re. Voi   tutti prodi guerrieri, tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il circuito della città una volta. Così farete per sei giorni. Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando si suonerà il corno dell’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in  un grande grido di guerra; allora le mura delle città crolleranno e il popolo entrerà, ciascuno diritto davanti a se".


Come Troia cade quando viene penetrata dal simbolo fallico del cavallo, così Gerico cade quandovengono suonati i corni d’ariete, simboli fallici del dio d'Israele e la sua orda :

l’avanguardia precedeva i sacerdoti che suonavano le trombe e la retroguardia seguiva l’arca; si procedeva a suon di tomba. Al popolo Giosuè aveva ordinato: “Non urlate, non fate neppur sentire la voce e non una parola esca dalla vostra bocca finché vi dirò: lanciate il grido di guerra: allora griderete”(6,9-11).
Il coito fu perpetrato e l’incesto consumato ai suoni del grido orgiastico di Giosuè e  degli Israeliti

La fantasia infantile percepisce la deflorazione e l’atto sessuale come il frutto di qualche conoscenza magica che appartiene solo al padre onnipotente. Solo lui conosce la formula di questo straordinario gioco di prestigio, che rende possibile il possesso del corpo della madre.

Sia nel caso di Gerico che di Troia, malgrado l’enorme sforzo dell’orda dei fratelli per espugnare la città, senza la conoscenza di qualche trucco o di qualche magia, niente avrebbe funzionato.
Nel caso di Troia l’incesto viene perpetrato attraverso un trucco escogitato da Ulisse, il più astuto dei fratelli.
Nel caso di Gerico, è Dio stesso che suggerisce a Giosuè la formula magica.
Come Troia era saldamente sbarrata davanti agli Achei e il cavallo dovette rompere parte delle mura per penetrare la città, rappresentazione onirica equivalente a deflorazione, così

     Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e
     nessuno entrava” (Giosuè 6/1).

Il mito ebraico mette in risalto il fatto che nessuno uscisse e nessuno entrasse: l’atto della deflorazione sarà un privilegio degli Israeliti; la connotazione magica della penetrazione viene accentuata dalla sua esclusività.

Il rullare dei tamburi scandisce anche il seguito: le altre città vengono invase dal terrore di Giosuè e la sua orda. Il re di Gerusalemme, il re di Ebrom, il re di Iarmut, re di Lachish, re di Eglon, “tutti i re degli Amorrei, che abitano sulle montagne”, fanno un disperato tentativo di coalizzarsi per arginare la valanga israelita. La lunghezza delle ore del giorno non basta a Giosuè per distruggere tutti i suoi nemici, da tanto sono numerosi, e allora con la sua forza magica ferma gli astri celesti dal
loro cammino:

Sole, fermati in Gabaon e tu luna, sulla valle di Aialon”, si fermò il sole e la luna
     rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici”.(Gios.10,13).

Di posto in posto, prima a sud, poi a nord, città dopo città cade, la sua popolazione viene sterminata, e re dopo re viene ucciso, fino alla danza finale: “Il re di Gerico, uno; il re di Ai,  uno; il re di Gerusalemme, uno; il re di Ebron, uno...” e così via una lunghissima lista,  che comprende tutte le città e i re della Terra Promessa.

Niente di quello descritto nel libro di Giosuè avvenne, ma così, come un coito orgiastico, venne ricordata la conquista della Terra Promessa nella psiche collettiva. Una scarica di libido genitale, come in Occidente sarà ricordata la guerra di
Troia.

La storia dell'invasione è costellata di connotazioni che si associano al coito, come questo viene percepito nella psiche infantile: città chiuse ermeticamente, che solo una formula magica può aprire, trucchi sagaci, fortificazioni massicce, entrare e uscire, incendiare, infatti fuoco corrisponde a eccitazione erotica.

Wellhausen, il padre della critica biblica moderna,  non pensava in termini psicoanalitici,  però non fu un caso, se mise il libro di Giosuè insieme ai libri della Torà e chiamò  il tutto Exateuco, a differenza della definizione vigente di chiamare i primi cinque libri Pentateuco e di separarli da quello di Giosuè.
Infatti aveva  inconsciamente percepito che la Torà e il libro di Giosuè, da un punto di vista psichico, fanno parte di un'unica saga. Quella dell'evoluzione psicosessuale dalla nascita fino allo stadio edipico.

L'esodo come nascita. Le vicende nel deserto come la fase sadico orale, gli avvenimenti sulla montagna sacra come acquisizione di un Super - Io inibitore, e la presa di Gerico e della Terra Promessa come l'atto genitale eterosessuale concesso ai novizi dopo che hanno completato il rito.

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                                                 PARTE SECONDA
 
 

La fase adulta: i regni d'Israele e di Giuda.

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La storia vera comincia a esser narrata nel "libro della storia dei re di Giuda" menzionato nel secondo libro delle Croniche (25,26)  e nel "libro della storia dei re d'Israele" menzionato ne secondo libro dei  Re14,28), ) che, a differenza degli annali faraonici, andarono persi, o meglio, furono appositamente persi, poichè contraddicevano la versione ufficiale post -esilica. La vera storia dei regni di Giuda e d'Israele è stata scritta ma non è mai arrivata a noi. Il redattore della Bibbia li aveva dinnanzi a sè, menziona che esistessero e da questi prese molto del materiale per la redazione della storia dei Regni d'Israele e di Giuda, adattando le storie autentiche alla nuova ideologia monoteistica.
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Se dovessimo cominciare a scrivere un libro di storia ebraica, e non di preistoria, potremmo cominciare al più presto dalle guerre dei re di Giuda e d'Israele con i loro vicini e tra loro stessi       .
Davide era ancora un capo tribù, Salomone probabilmente non è mai esistito.

Se distilliamo dal testo le sovrapposizioni posteriori del redattore post-esilico, l'istantanea che fotografiamo è quella di  un popolo di agricoltori dediti ai culti della terra, della prostituzione sacra,  del Baal di Astarte e di Asherà.
 Il tempio di Gerusalemme non differiva in niente da uno di tanti templi dedicati a queste divinità.
Ancora ai tempi di Ezchiele (VI sec. A.C.), proprio alle soglie del primo esilio questi culti vengono menzionati dal profeta

     " Mi condusse all'ingresso del portico della casa del Signore che guarda a settentrione  e vidi donne che piangevano Tammuz" (Ez.8/14),

Tammuz era il giovane dio della fertilità babilonese, adottato anche dai cananei, che moriva in primavera, come Attis e Adonis, per risorgere con l'inizio delle piogge autunnali.
Quando moriva le donne lo piangevano, e rigioivano quando resuscitava. Lo stesso era Osiride in Egitto.
 

La catastrofe

Mentre in Giudea piangevano Tammuz, gli Assiri misero l'assedio su Samaria e nel 721 distrussero il regno d'Israele. Dieci tribù su dodici sparirono, furono deportate e svanirono come fossero state un miraggio nel deserto. Evaporarono. Nessuno seppe più niente di loro.
Come si lamenta Geremia:

     "Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti dopo
     averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si      commuovono per lui , provo per lui profonda tenerezza" (Geremia 31/20).

Di fronte a una catastrofe del genere, in Giudea si dimenticarono che ogni tanto erano venuti alle mani con questo figlio prediletto. Dov'e' Efraim ? Il vitello di Samaria menzionato da Osea (Os. 8/5), Il vitello d'oro adorato ai piedi della montagna sacra ?

Come per un bambino che vede deportare e sparire dieci fratelli, il trauma in Giuda doveva essere stato paralizzante. Certamente non meno dell'Olocausto di questo secolo.

Solo allora furono tentate le prime riforme religiose:  (705- 701 A.C).

Ezchia re di Giuda fece ciò che è retto agli occhi del Signore...Egli eliminò le alture e  frantumò le stele, abattè il palo sacro e fece a pezzi il serpente di bronzo, eretto da  Mosè. Difatti fino a quel momento gli Israeliti gli bruciavano incenso e lo chiamavano  Necustan (2 Re 18,4)
Ovvero Ezchia distrusse il palo sacro, in ebraico Asherà, che è la dea cananea della prostituzione sacra.

Il serpente di bronzo, secondo la leggenda fatto da Mosè per salvare gli Israeliti nel deserto dal morso dei serpenti , corrisponde a quello di Esculapio, che come quello di Mosè si acompagnava a una verga.
Quindi Mosè,  era stato un dio guaritore, salvifico, come Esculapio, e come Gesù, che viene paragonato dal Vangelo di Giovanni al serpente di Mosè. (Gv. 3,14)

Come dio guaritore era dunque un dio Figlio, come Esculapio, figlio di Apollo, lui stesso il patrono dei giovani e dei novizi.
Se non fosse stato per il trauma dell'olocausto del regno d'Israele, Mosè sarebbe dunque adorato oggi dagli ebrei come un dio figlio, al pari di Gesù. E non come Vicario del Padre.

Qui ci ricolleghiamo alle affermazioni di Reik in "Il Mosè di Michelangelo e gli eventi del Sinai",  dove dice che Mosè, nel rito totemico sulla montagna sacra era salito sulla montagna per uccidere il Padre e carpire la sua potenza, che nel mito posteriore si tradusse in "la sua Legge", la Torah.

Furono queste le prime riforme monoteiste?
Secondo me, non ancora.
Furono le prime riforme monolatriche, che solo dopo l'esilio babilonese si tradussero in monoteismo.

La differenza tra monolatria (henoteismo) e monoteismo è che il secondo significa credere che esista un solo dio per tutto il mondo, mentre invece la prima significa adorare un unico dio, senza escludere che per gli altri popoli possano esserci altri dei.

La differenza tra monolatria e politeismo consiste  nel fatto che la monolatria è  il culto di un solo dio per la tribù, mentre il politeismo è il culto di più dei contemporaneamente.

Nella monolatria le divinità femminili, dove ci sono, sono secondarie e i dei figli vengono esclusi.
La religione monolatrica è infatti è una proiezione della struttura sociale patriarcale in cui vivono i semi-nomadi.

Gli agricoltori, invece, avendo rilassato la stretta della struttura sociale patriarcale, e riattivando giornalmente la libido eterosessuale attraverso il lavoro della terra,  fanno emergere dalle profondità della loro psiche dee madri e dei figli, e diventano politeisti.

Non c'è dubbio, come ci dicono gli studi di Padre Wilhelm Schmidt, e come ci conferma Reik in Mystery on the Mountain, che nella storia dell'umanità  la monolatria, ovvero questa prima fase di monoteismo rudimentale, abbia preceduto il politeismo.
Come ha  rilevato Reik, gli Israeliti che vagavano tra il Sinai e Canaan erano monolatri e non monoteisti. Jahveh era il loro unico dio, che non aveva nessuna pretesa di essere anche l'unico dio per tutta l'umanità.
Infatti si autodefinisce continuamente “Il dio di Abramo, Isacco, Giacobbe” e “Il dio d’Israele”, e non il dio di tutta l’umanità.
Per 226 volte è chiamato nella Bibbia “Jahveh Zevaot”, Jahveh degli eserciti.
14 volte Geremia e Ezchiele dicono “Jahveh Zevaot è il suo nome”.
Quindi aveva un nome ben specifico che rappresentava il simbolo fallico dei clan giudaici quando ingaggiavano battaglia.

La monolatria è un forma di religione peculiare dei popoli nomadi o semi-nomadi, che sono strutturati in società tribale. Questi fanno una proiezione all'esterno della propria struttura sociale in cui il Padre della tribù rappresenta anche l'unica autorità.
Gli Ammoniti, pastori seminomadi, che abitavano a oriente del Giordano, dove oggi è Amman,  adoravano Milchom e questo era l'unico dio per loro, senza escludere l'esistenza di altri dei per altre tribù. I Moaviti adoravano Chemosh, ugualmente come unico Padre della tribù.
I clan meridionali di Giuda, prima d'insediarsi in Canaan adoravano solo Jahveh, il dio ariete, e questi rappresentava il padre della tribù.

Una volta entrati in Canaan e diventati agricoltori, addottarono gli dei degli agricoltori.
 Jahveh era diventato un dio secondario, e le dee principali erano  Astarte, la dea della fertilità di tutti i popoli semiti sedentari, Asherà  albero e prostituta sacra e Tammuz, il dio figlio che moriva all'inizio della primavera tra il pianto delle donne, come menzionato da Ezchiele.

I profeti, che erano rimasti i paladini di Jahveh, il dio dei pastori, vedevano molto di malocchio questo inevitabile processo di canaanizazione degli ebrei, e scagliavano i loro anatemi contro gli dei degli agricoltori.

La prova che una volta insediatisi in Canaan, Jahveh  sia stato adorato insieme ad altri dei viene dalle saghe bibliche.
Gedeone, per esempio, aveva nel suo cortile il palo sacro di Asherà e la statua del Baal, e contemporaneamente sacrificava a Jahveh (Giudici, 6,25), e non ci vedeva nessuna contraddizione.

Ma non solo.

Negli scavi a Elefantina, in Alto Egitto,  vicino ad Asswan e la prima cateratta, nel V secolo, c'era un caposaldo di mercenari ebrei al servizio del governatore persiano dell'Egitto.  Negli scavi  archeologici furono trovati dei papiri in aramaico che dicono esplicitamente che Jahvè avesse come moglie Asherà, e la coppia divina fosse adorata nel tempio ebraico sul posto. I mercenari ebrei ad Elefantina, non avevano ancora sentito delle riforme monoteiste implementate nel frattempo in Giudea, e continuavano ad adorare Jahvè insieme ad Asherà.
 

                              (Ezchia 705 –701)
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Quindi ai tempi di Ezchia, re di Giuda, un secolo prima dell’ Esilio e subito dopo l’Olocausto del Regno d’Israele fu tentato il primo ritorno alla monolatria di Jahveh, che non riuscì, in quanto, come vedremo in seguito, dopo tre generazioni i pali sacri di Asherà e le statue del Baal si trovavano ancora nel  Tempio di Gerusalemme, restituite lì dal figlio di Ezchia, Menashe, che regnò in Gerusaleme per 55 anni, e fece ardere il corpo del suo figlio primogenito in nome del Moloch.

Quando il regno babilonese incorporò l'Assiria e cominciava a sua volta le sue preparazioni per invadere l'Egitto, a Gerusalemme capirono che per strada sarebbero stati calpestati, e niente avrebbe potuto salvarli.
Lì cominciò a emergere l'angoscia di perdere la terra, come era successo a Israele, di perdere la Casa (il Tempio), dove venivano eseguiti i culti della Madre e di sparire.

In queste condizioni di panico e di senso di colpa venne innescato un processo di regressione dal livello edipico, e dal momento che il rischio era quello dell'annhilazione totale, la regressione non si arrestò agli stadi intermedi dello sviluppo psicosessuale ma arrivò fino a quella pulsione regressiva
che Melanie Klein ha chiamato: la pulsione del neonato a tornare nell'utero materno.
La regressione a: ""Chi ci potra' dare carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto  ",  che abbiamo ricordato parlando del libro dei Numeri (11,16).

Il ricordo del ventre materno e il suo ambiente,  che adesso viene idealizzato e ricordato come protettivo, ri-innesca la pulsione regressiva primaria, che prova il neonato con le prime difficoltà dopo la nascita.

Il ricordo rimosso d'Egitto comincia a riemergere a Gerusalemme, e le pressioni del popolo sono enormi; vogliono scappare in Egitto. A questa pulsione regressiva si oppone il profeta Geremia:

Non temete il re di Babilonia... ascolta la parola del Signore o resto di Giuda: Dice il Signore degli eserciti, Dio d'Israele: Se voi intendete veramente andare in Egitto e ci andate a stabilire colà, ebbene la spada che temete vi raggiungerà laggiù nel paese d'Egitto, e la fame che temete vi sarà addosso laggiù in Egitto e là morirete. Allora tutti gli  uomini che avranno deciso di recarsi in Egitto per dimorarvi moriranno di spada di fame e di peste " (Geremia 42/13-14)...Abbatterò il resto di Giuda, che ha deciso di andare a dimorare nel paese di Egitto; essi periranno tutti nel paese d'Egitto; cadranno di spada  e periranno di fame dal più grande al più piccolo (Geremia, 44/12).
Ed ecco di nuovo la fame, la pulsione sadico orale che abbiamo incontrato quando i figli d'Israele avevano parlato male di Mosé nel deserto per la fame.  Regressione dallo stadio genitale attraverso lo stadio sadico orale e fino alla placenta d'Egitto.

 I profeti si ergono a Super Ego, e cercano di salvarli da queste tendenze regressive.
 Ezchiele chiama l'Egitto "un sostegno di canna" (Ez. 29/6).

L'Egitto era di gran lunga più debole del nuovo impero babilonese che si estendeva lungo tutta la mezza luna fertile. Non aveva assolutamente nessuna possibilità di farcela contro la Babilonia.

Alla fine i giudei decideranno di allearsi all'Egitto contro la Babilonia, e questo non perché questa fosse la cosa giusta da farsi da un punto di vista strategico razionale,  ma sotto la spinta di una pulsione regressiva.
Questo è un esempio di come decisioni storiche d'importanza capitale non vengano prese come conseguenza di un'elaborazione lucida e razionale ma dietro la spinta di pulsioni inconsce.
Da qui l'importanza della psicostoria, come scienza che studia le motivazioni psicologiche inconsce che agiscono come motore dietro a eventi storici e a decisioni politiche cruciali nella storia dei popoli.

La Pasqua

Solo allora , con i Babilonesi che stavano per invadere la Giudea, per difendersi dalle fantasie intrauterine regressive, equivalenti alla pulsione di morte, che erano state reattivate dalla situazione presente, emerse dalla rimozione il  Faraone d’Egitto, Horus figlio di Osiride, che rappresentava il dio figlio in terra, rappresentante di Osiride dio dei cieli ed estremo giudice, e questi, con il nome di Mosè, diventò la levatrice d’Israele.
Egli diventò Mosè, vicario del Padre, per Israele, come Akhnaton lo era stato per l’Egitto.
 

 Solo allora "Trovarono la Legge di Mose'", come è scritto nel secondo libro dei Re:

Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba Safan: "Ho trovato nel tempio il libro della legge"...(2 Re 22/8-13)

Solo allora istituirono la Pasqua, che fusasi con la figura di Mosè, levatrice d'Israele, diventò l'amuleto apotropaico contro la pulsione regressiva di ritornare nel grembo d'Egitto. Diventò la festa dell’uscita d’Egitto, proprio perchè la pulsione emersa era quella di ritornarci.
Ecco che la Legge di Mosè si fuse con gli eventi della montagna sacra, che erano stati, nella lontana preistoria delle tribù ebraiche, solo periodici riti tribali totemici e d'iniziazione puberale.
Il Decalogo, che è una legge egizia, che nulla poteva aver avuto a che fare con questi riti, fu fatta scendere, in mezzo ai tuoni, ai fulmini e ai muggiti di montone, dalle nuvole che circondavano le cime dove aveva dimorato Jahveh, il dio ariete, demone spaventoso e sanguinario

Nella Giudea della fine del settimo secolo il dio che ebbe la preminenza non fu Aton,  ma Jahvè, il dio dei pastori seminomadi, dio guerriero e simbolo fallico di battaglia.

 Fu reattivato l'henotheismo, la monolatria di Jahveh, non il monoteismo di Akhenaton. Per questo dovettero passare altre tre generazioni ed eventi traumatici ancora più spaventosi.

Una volta reattivato Jahveh e il ricordo dell'uscita d'Egitto, Giosia, pronipote di Ezchia, completò l'opera del suo predecessore, che evidentemente non era stata implementata dai giudei, poichè gli oggetti del Baal e di Asherà erano entrati di nuovo nel Tempio.
Come ci racconta la Bibbia, Giosia cominciò a depurare le alture. ( Giosia 628 – 609)

Il re comandò di di condurre fuori dal tempio tutti gli oggetti fatti in onore di Baal, di Ashera e di tutte le milizie del cielo e li bruciò fuori di Gerusalemme...Destituì i sacerdoti, creati dai re di Giuda per offrire incenso sule alture delle città di Giuda e dei dintorni di Gerusalemme, e quanti ofrivano incenso al Bal, al sole e ala luna...Fece portare il  palo sacro dal tempio fuori di Gerusalemme, nel torrente Cedron. e là lo bruciò e ne fece gettare la cenere nel sepolcro dei figli del popolo. Demolì le case dei prostituti sacri, che erano nel tempio, e nelle quali le donne tessevano tende per   Asherà...demolì le alture dei satiri...Giosia dichiarò immondo il Tofet, che si trovava  nella valle di Ben-Inom, perchè nessuno vi facesse passare ancora il proprio figlio o  la propria figlia per il fuoco in onore di Moloch. Rimosse i cavalli che i re di Giuda  avevano consacrato al sole all'ingresso del tempio, nel locale dell'eunuco Netan Melech, che era nei cortili e diede ale fiame i carri del sole...Il re dichiarò immonde le alture che erano di fronte a Gerusalemme, a sud del monte della perdizione, erette da  Salomone, re d'Israele, in onore di Astarte,  obbrobrio di quelli di Sidone, di Camos, obbrobrio dei Moabiti, e di Milcom, abominio degli Ammoniti”  ...(2 Re 23/1-16)
Le alture erette da Salomone erano dunque ancora lì, dopo 350 anni. Non di prevaricazione si era dunque trattato, come vorrebbe farci credere il redattore biblico posteriore, ma di religione uffciale degli israeliti.

E solo allora:

Il re ordinò a tutto il popolo: "Celebrate la Pasqua ....,” come menzionato sopra

La seconda festività che commemora l’uscita dall’Egitto è Sukkot, la festa delle Capanne, e questa festa fu istituita solo dopo il ritorno dall’Esilio babilonese, come ci viene raccontato esplicitamente nel libro di Neemia (8,14-15).
 


Da Monolatria a Monoteismo

Vent'anni dopo le riforme di Giosia vennero la distruzione del Tempio e l'esilio 587 .
Quando settant'anni dopo, l'impero persiano incorporò la Babilonia, la Giudea e l'Egitto venne a formarsi il più vasto impero mondiale conosciuto fino a quel momento.
Ciro, in una stele trovata in Galilea si definisce “Io Ciro re del mondo, il grande re, il re forte”

Il dio monolatrico Jahvè, non poteva più bastare come dio che avrebbe portato la salvezza ai giudei dal giogo dei popoli circostanti. Per poter misurarsi con dei nemici che ora erano diventati il mondo intero, e non più solo le tribù vicine, dovette assumere peculiarità di dio cosmico.
Non bastava più il Padre della tribù, per promettere la salvezza, ci voleva adesso il Padre del mondo intero.
Da dio tribale divenne un dio cosmico, nelle preghiere viene denominato come nella stele di Ciro: “Tu Oh Jahveh, re del mondo, il grande re, il re forte”, ma la sua vera natura viene tradita dalla peculiarità più caratteristica di tutte del dio del clan, quella di essere eletto dal suo popolo.
La peculiarità di dio monolatrico rimase così nel concetto di "popolo eletto", che non è altro che l'inversione di "Dio eletto dal popolo".
 
  (Per Jahveh come dio guerriero, dio dei clan giudaici, distinto da El, dio d'Israele, vedi L.M. Barré, El, god of Israel--Yahweh, god of Judah, in http://www.biblicalheritage.org/God/el-goi.htm

Links :
Sacralità, intoccabilità e tabù
Gli Israeliti e le quaglie
Il Cherubino di "Le Nozze di Figaro" e l'Arca Santa
L'Esodo e gli zoppi. Pesah: la festa del salto + Pasqua = Kippur; Natale = Pesah
The Exile and its Consequences for Jewish Monotheism
La figura di Dio nell'ebraismo: Padre o Madre? (La lettera di una lettrice)


SUPPLEMENTO
(Addendum del 31 Ottobre 2002)


La circoncisione

Il quinto capitolo di Giosuè, come tutto il resto di questo straordinario libro poetico e mitologico, ci racconta una storia poco credibile, ma interessante poiché contiene un messaggio in codice che va decodificato: quella della rinnovata circoncisione dei figli d’Israele sulle soglie della Terra Promessa.

La ragione per cui Giosuè fece praticare la circoncisione è la seguente. Tutto il popolo uscito dall’Egitto, i maschi, tutti gli uomini atti alla guerra, morirono nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto. Mentre tutto quel popolo che era uscito era circonciso, tutto il popolo nato nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, non era circonciso. Quarant’anni infatti...
E va avanti tutto il capitolo a spiegare nuovamente perchè non si erano circoncisi e adesso si devono circoncidere, ripetendosi, introducendo frasi che non c’entrano per niente, eccetera eccetera.

Chi è abituato all’analisi dei testi annusa subito il depistamento, l’inversione, il cancellare le tracce, il raccontarci qualcosa per nascondere qualcos'altro.
Tutto questo capitolo mi ricorda gli infiltratori che passano la frontiera camminando all’indietro per far credere che stanno uscendo invece che entrando.

Secondo me, il redattore voleva nascondere il fatto che gli Israeliti, prima dell’esilio, non si circoncidessero affatto. Questa è una mia opinione personale, che per il momento non posso provare in maniera categorica.
Ma la circoncisione è associata all’Egitto e al periodo del deserto, non a quando vivevano da agricoltori, come i Canaanei, che infatti non si circoncidevano.

Lo stesso quinto capitolo ci racconta, subito dopo il balbettamento sulla circoncisione, anche che gli Israeliti celebrarono subito la Pasqua e mangiarono pane azzimo nelle steppe di Gerico.
Ma abbiamo visto che il libro dei Re ci aveva raccontato che la Pasqua fu festeggiata per la prima volta ai tempi di Giosia.

E poi, subito dopo, la visione di Giosuè:

Mentre Giosuè era presso Gerico, alzò gli occhi ed ecco, vide un uomo in piedi davanti a sé che aveva in mano una spada sguainata. Giosué si diresse verso di lui e gli chiese: “Tu sei per noi o per i nostri avversari?” Rispose: “No, io sono il capo dell’esercito del Signore. Giungo proprio ora”. Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò e gli disse: “Che dice il mio Signore al tuo servo?”. Rispose il capo dell’esercito del Signore a Giosuè: “Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo”.
Questa è esattamente la frase che il Signore disse a Mosè sul Sinai davanti al roveto ardente: “Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo” (Es., 3,5).

Ovvero il quinto capitolo di Giosuè è dedicato in maniera particolare a creare una legittimizzazione per la situazione che si era creata de facto dopo l’Esilio, quando i giudei avevano istituito la circoncisione, che come ci dice Erodoto era un costume egizio (Hist., II.104), la Pasqua, il Succot, e tutti i costumi che li ricollegavano all’Egitto, compresa la proibizione della prostituzione sacra, che solo gli Egizi proibivano tra tutti i popoli del Medio Oriente antico, come ci racconta Erodoto (Hist.,  II.64).

Il Redattore attribuisce a Giosuè l’istituzione della Pasqua e della circoncisione, e attraverso la citazione precisa della frase davanti al roveto ardente, detta da Dio a Mosè, crea l’equivalenza Giosuè = Mosè.
Il Redattore spiega ai Giudei del V secolo, che forse ancora si ricordavano che i loro padri non festeggiavano la Pasqua e non si circoncidevano, che gli antichi ebrei, entrando nella Terra Promessa, avevano istituito la circoncisione, mentre prima non si circoncidevano, ovvero legittimizza imposizioni attuali, facendole risalire a Giosuè che è colui che li aveva fatti entrare in Eretz Israel.
Ai Giudei che tornavano dall’Esilio dopo aver perso la Terra, il Redattore disse
“ Volete avere il diritto alla terra ? Circoncidetevi come vi aveva imposto Giosuè. I votri padri smisero di circoncidersi e quindi persero la terra per la loro empietà”.

Quindi, tutto questo capitolo rappresenta un’inversione e una copertura: Gli Israeliti smisero di circoncidersi entrando nella terra Promessa, anche se forse si circoncidevano nel deserto, nel contesto dei riti iniziatici puberali dei semi nomadi.

La frase di Erodoto, citata da Freud in Mosè e la religione monoteistica , come prova che gli ebrei avessero ricevuto la circoncisione dagli Egizi, non ci deve trarre in inganno.

I Fenici, invece, e i Siri di Palestina [i Giudei] riconoscono essi stessi di aver adottato quest'uso dagli Egiziani; mentre i Siri stanziati lungo il fiume Termodonte e il Partenio, nonché i Macroni che sono loro vicini, affermano di averlo ricvuto dai Colchi in epoca recente (Hist., II.104)
Nel V secolo, quando Erodoto scrive, i Giudei dicevano di aver ricevuto la circoncisione dagli Egizi, anche se non è chiaro da quali Giudei Erodoto potesse aver sentito questa versione.
Nel V secolo avevano già compilato la Torà nella sua versione finale, nella quale è scritto che la circoncisione è stata data dal Signore ad Abramo.
Può darsi che la versione riportata da Erodoto si riferisse ai riti puberali iniziatici, consumati nel Sinai dai clan giudaici.
Sinai starebbe dunque per Egitto, in quanto faceva parte di questo. Quando, con l'Esilio (587 a.C.), riemerse dal preconscio la memoria d'Egitto, anche la circoncisione, che faceva parte dei riti puberali, fu attribuita all-Egitto. E questa versione, che circolava tra i Giudei dopo l'esilio, è quella riportata da Erodoto. Una versione parallela, ma diversa da quella entrata ufficialmente nel Canone, circolava dunque in Giudea nel V secolo a.C.

Link to Freud and Reik: Was Moses an Egyptian?
 
 
 
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