UCCIDERE DIO
Dall'assassinio di Mosè all'omicidio di Rabin
Pubblicato in Agorà, a cura di Fabio Minazzi, Annuario IV, Ed. Arterigere s.r.l., Varese 2000.
Come ha descritto Reik (1), la figura di Mosè condensa in sé sia la figura del figlio, il rappresentante della tribù dei fratelli, sia la figura del padre. Partendo dalla statua del Mosè cornuto di Michelangelo, Reik svolge la sua indagine. Riportiamo qui i passi salienti del saggio di Reik, che sono la chiave per la comprensione della figura del condottiero:
Il capo cornuto e la fronte compressa del legislatore, così come lespressione del suo viso, contribuiscono in modo essenziale al fatto che limpressione prodotta dal capolavoro oscilli tra lattrazione e la repulsione. Comprendendo questo particolare avremo forse una spiegazione delleffetto ambivalente del Mosè. È noto che le corna sulla testa di questa statua, come in molte altre raffigurazioni di Mosè si possono far risalire alla traduzione sbagliata di un passo biblico: e avvenne che quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della testimonianza in mano, Mosé non saccorse che la pelle della sua faccia risplendeva mentre egli parlava con lui. E quando Aaron e tutti i figli dIsraele videro Mosè, ecco che la pelle della sua faccia risplendette ed essi ebbero paura ad avvicinaglisi(Es.34/29-30). La Volgata e Aquila traducono erroneamente, si dice, la parola ebraica karan : era cornuto, in luogo di risplendette, cosicché secondo questi testi Mosè appare davanti agli Ebrei con le corna. In questo modo Mosè entrò nellarte plastica cornuta facie...la parola ebraica ha veramente entrambi i significati. Essa significa risplendere come essere cornuto(p.310). Si può persino supporre che il primo significato sia il più recente ed evoluto. Così lalone intorno al capo di Mosè era originariamente un paio di corna che soltanto più tardi vennero cambiati in luce...Il testo dice espressamente che lo splendore della faccia di Mosè fu causato dal rapporto con Iahvé; è perciò il riflesso della Divinità che avvolge il capo del grande uomo...Mosè si è identificato con Dio assumendo lattributo delle corna; egli è diventato Dio. Le corna erano il segno del dio totemico vinto (p.311)...Storicamente le corna e lalone sono soltanto attributi diversi della divinità; luno represse laltro, e nellelemento vincitore noi ritroviamo quello represso in una forma inalterata...Il doppio effetto della statua di Mosè del grande artista, cioè lalternarsi di attrazione e repulsione, non ci rende più perplessi. Questo doppio effetto è prodotto, da una parte dalla nostra ammirazione e reverenza per il carattere divino della figura, e dallaltra dalla nostra inconsapevole resistenza contro i lineamenti che tendono a rammentarci, a nostra insaputa, unidea di Dio che credevamo superata...Il Mosè della leggenda è realmente diventato un toro perché si identifica con Jahvé.(p.312)...Il giovane eroe, Mosè, ha preso possesso della pelle del dio - padre, ed è così diventato Iddio stesso...una traccia di questa fase si può riconoscere nella rappresentazione di Mosè cornuto. La seconda fase ha sostituito la pelle dellanimale, che riesce incompatibile con il concetto superiore di Dio, con i raggi di luce...Vediamo che anche in questa fase Mosè si rende quasi uguale a Dio, assumendo lattributo divino. Gli Ebrei avevano paura davanti a lui come se egli fosse lo stesso Jahve...(p.315)...in unepoca in cui Jahvé non era ancora il Dio legislatore del Sinai...Mosè non usava maschera né pelle di animale, trattando con Dio; poiché egli strappò la pelle a Dio e divenne perciò Dio egli stesso. Ogni sacerdote era Dio. Mosè che parla a Jahvé nel tabernacolo è una figura posteriore; giacché Mosè stesso era Jahvé, la presenza di Jahvé sembra che si sia duplicata. Tuttavia Mosè quando porta il velo o la maschera per spaventare gli Ebrei, desidera inconsciamente allontanarli dalla ripetizione del fatto da lui perpetrato, e che stavolta sarebbe diretto contro la sua propria persona. Psicoanaliticamente la situazione si può spiegare come segue. Lidentificazione col dio - padre, indossando la pelle del totem, fu il risultato dellelementare desiderio filiale di prendere il posto del padre. Lindossare la pelle dellanimale-padre è un sintomo, sia del trionfo sul padre che del trionfo del padre,...poiché il figlio che sopraffece il padre è costretto ad assumere la parte paterna. Il figlio, che ha così raggiunto lo stato del padre, si trova per il suo timore inconscio di rappresaglia a usare verso la generazione più giovane gli stessi mezzi dintimidazione e di autorità paterna che egli stesso aveva superati (p. 316).Nelle pagine seguenti Reik spiega come la distruzione del vitello doro da parte di Mosè rappresenti in realtà luccisione di Jahvé, nella sua forma arcaica quando ancora era stato rappresentato come un toro, e che ridurre in polvere il vitello e farlo bere ai figli dIsraele sia un ritorno del rito totemico in cui i membri del clan si cibano della carne del padre - totem ucciso (pp.318-22). Il racconto condensa inoltre nel vitello doro la doppia rappresentazione di dio-padre che era un toro, e non un vitello, con la figura di Mosè che era un vitello, cioè un giovane toro. Quindi quando gli Ebrei, credendo che Mosè fosse morto, si fecero limmagine di un vitello, in realtà tentavano di resuscitare Mosè stesso, che li guidasse nel deserto, come in realtà si esprime esplicitamente il testo:
La tesi, della presenza originaria di due immagine animali nella scena sul Sinai, luna rappresentante Jahve sotto forma di toro e laltra Mosè sotto forma di vitello, fa pensare a un periodo dellevoluzione religiosa ebraica in cui una divinità figlio fu adorata come il dio-padre. Abbiamo ragione di supporre che i particolari del testo abbiano parzialmente tradito questevoluzione sostituendo il plurale col singolare. Deve essere esistita unepoca in cui il dio figlio Mosè aveva represso il dio - padre Jahve, e in cui il suo culto era passato in primo piano. Questo processo coincide con ciò che noi trovammo nellanalisi del Mosè cornuto...non è perciò affatto accidentale che nella leggenda gli Ebrei adorino realmente il vitello. Il giovane figlio di un toro si può soltanto rappresentare così...Nella narrazione dellEsodo troviamo tracce di un periodo successivo in cui le divinità padre e figlio stavano a fianco a fianco ed erano egualmente oggetto di culto. Quando gli Ebrei dicono: Questi sono gli dei che vi hanno portati fuori dalla terra dEgitto, essi vogliono dire Jahve e Mosè.. Levoluzione progressiva portò ad attribuire al dio-figlio una posizione subordinata, mentre il dio-padre veniva elevato ad altezze sopramondane ancor più sublimi...La caratteristica particolare del giudaismo è che il padre raggiunge infine la vittoria e tiene indiscutibilmente e saldamente il potere. (pp. 330 - 1)...Allorché Mosè distrugge il vitello, uccide pure sé stesso ed espia la colpa in cui era incorso distruggendo il dio-toro e padre Jahve (pp. 330 - 3)...La doppia personalità di Mosè come uomo e profeta e come vitello non infirma la nostra ipotesi. Anche qui troviamo una di quelle duplicazioni che abbiamo già scoperto, la figura umana è quella più recente, la forma animale quella più antica (p.334).Mosè, dunque, nella sintesi di un rito totemico diniziazione uccide il dio-padre-toro- Jahve, si identifica con lui e si autopunisce distruggendo la propria immagine nel vitello doro. Il pasto totemico viene consumato quando gli Ebrei sono costretti a bere le polveri del vitello distrutto. In questo pasto totemico essi ingeriscono il corpo di Mosè, che era diventato il dio-totem-figlio di un dio-totem-padre, un po come nellEucaristia i Cristiani ingeriscono il corpo del Dio-figlio, anchegli ucciso, come espiazione di un delitto verso un Dio-padre.
Mosè andò incontro suo suocero, si prostrò davanti a lui e lo baciò; poi sinformarono luno della salute dellaltro, ed entrarono sotto la tenda. Mosè raccontò al suocero quanto il Signore aveva fatto al faraone e agli Egiziani per Israele, tutte le difficoltà loro capitate durante il viaggio, dalle quali il Signore li aveva liberati...Jetrò suocero di Mosè, offrì un olocausto e sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti gli anziani dIsraele e fecero un banchetto con il suocero di Mosè davanti a Dio (Es.17/7 - 12).Come un gioco di prestigio, in cui si nasconde con un fazzoletto il momento in cui avviene il fatto magico, furono entrambi coperti dalla tenda, e ne emerge solo Jetrò, che da quel momento offre lui, al posto di Mosè, lolocausto e i sacrifici al Signore. Mosè non è ricordato nel banchetto che fa Jetrò con Aronne e tutti gli anziani dIsraele. Per usare unespressione cruda, Mosè faceva, in questo banchetto, da piatto principale.
Certamente questo accadde al momento dellincontro di Qadesh. Ma avvicinando la data dellesodo a quella della fondazione religiosa nelloasi e facendo ad essa partecipare Mosè invece dellaltro personaggio (il sacerdote di Madian), non solo si appagarono le pretese della gente di Mosè (i seguaci di Ekhnaton, che erano lélite egizia che aveva accompagnato il primo vero Mosè), ma si smentì anche con successo il fatto penoso della sua morte violenta. In realtà è affatto inverosimile che Mosè potesse prender parte alla fondazione svoltasi a Qadesh, pur ammettendo che la sua vita non fosse stata troncata.Il motivo della sua uccisione, secondo Freud, fu che il popolo non poteva sopportare gli altissimi standard spirituali che questi voleva imporre al popolo:
Forse la dottrina di Mosè era ancora più intransigente di quella del suo maestro (Ekhnaton)...Mosè e Ekhnaton incontrarono il medesimo destino, il destino che attende i despoti illuminati. Il popolo ebraico di Mosè era tanto poco capace di sopportare una religione così altamente spiritualizzata, di trovare in ciò che essa offriva una risposta alle proprie necessità, quanto lo erano gli Egizi della diciottesima dinastia. In entrambi i casi accadde la stessa cosa, quanti si sentivano tenuti sotto tutela e sminuiti si sollevarono e buttarono il fardello della religione loro imposta. Ma mentre i docili Egizi attesero finché il destino li sbarazzò della sacra persona del faraone, i selvaggi Semiti presero il destino nelle loro mani e tolsero di mezzo il tiranno(5).Quindi avvenne lomicidio del grande condottiero. Ora bisogna stabilire se le cause addotte da Freud ci raccontano tutta la storia, o non ci sia piuttosto da continuare la ricerca di motivazioni più profonde.
Non beviamo vino. Perché Jonadab, colui che è nato prima di noi, figlio di Rehab, ci ha dato questo comandamento: Mai dovete bere vino...Né vi è consentito di costruire una casa , di seminare, di piantare o possedere una vigna. Invece dovete vivere sempre nelle tende, affinché lunga sia la vostra esistenza sul suolo che vi ospita come stranieri. E noi siamo rimasti fedeli a tutto ciò che lantenato Jonadab, figlio di Rahab, ci ha comandato(Geremia 35/6 - 10).Inoltre anche i Nabatei, stanziati, circa mille anni dopo Mosè, nella parte settentrionale della penisola Sinaitica avevano la proibizione di seminare, di piantare alberi, di bere vino e di costruire case.
Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto...sono sceso per liberarlo dalla mano dellEgitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Canaaneo, lHittita, lAmorreo, il Perrizzita. LEveo il Gebuseo (Es. 3/3 - 9).Ecco la promessa che Jahve promette ai figli dIsraele e che non sarebbe mai stata fatta da Mosè, legiziano, e il suo Dio. Poi cominciano gli atti di magia, come il bastone che diventa serpente e ritorna bastone, e la mano che diventa lebbrosa e poi guarisce (Ex .4/2 - 9). Poi lattacco furioso di Jahve conntro Mosè, sulla strada dellEgitto per ragioni non chiare, ma che viene scongiurato circoncidendo il figlio (Es. 4/ 24 - 6).
Sali su questo monte degli Abarim, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gerico, e mira il paese di Canaan, che io do in possesso agli Israeliti. Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati, come Aronne tuo fratello è morto sul monte Or ed è stato riunito ai suoi antenati, perché siete stati infedeli verso di me in mezzo agli Israeliti alle acque di Meriba di Kades nel deserto di Zin, perché non avete manifestato la mia santità. Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai ( Deut.32/ 48 - 52)Cosa aveva fatto Mosè, a Meriba, di così grave da meritarsi un castigo così crudele?
IL BASTONE DI MOSÈ
Il bastone di Mosè è onnipresente quando
si tratta di atti prodigiosi:
1)Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: Quando
il faraone vi chiederà: Fate un prodigio a vostro sostegno! Tu dirai
ad Aronne: Prendi il bastone e gettalo davanti al faraone e diventerà
un serpente(Es. 7/8 - 9).
2)Il Signore disse a Mosè: Il cuore del faraone
è irremovibile: si è rifiutato di lasciar partire il popolo.
Va dal faraone al mattino quando uscirà verso le acque. Tu starai
davanti a lui sulla riva del Nilo, tenendo in mano il bastone che si è
cambiato in serpente. Gli riferirai: Il Signore, il Dio degli Ebrei, mi
ha inviato a dirti: Lascia partire il mio popolo, perché possa servirmi
nel deserto: ma tu finora non hai obbedito. Dice il Signore: Da questo
fatto saprai che io sono il Signore; ecco, con il bastone che ho in mano
io batto un colpo sulle acque che sono nel Nilo: esse si muteranno in sangue.
I pesci che sono nel Nilo moriranno e il Nilo ne diventerà fetido,
così che gli Egiziani non potranno più bere le acque del
Nilo!. Il Signore disse a Mosè: Comanda ad Aronne: Prendi il tuo
bastone e stendi la mano sulle acque degli Egiziani, sui loro fiumi, canali,
stagni, e su tutte le loro raccolte dacqua; diventino sangue in tutto
il paese dEgitto, perfino nei recipienti di legno e di pietra! (Es.7/14
- 19).
3) Il Signore disse a Mosè: Perché gridi
verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto
alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli
Israeliti entrino nel mare allasciutto (Es. 14/15 - 16).
4) Il Signore disse a Mosè: ...Prendi in mano
il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va! Ecco, io starò davanti
a te sulla roccia, sullOreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà
acqua e il popolo berrà (Es.17/ 5-7).
Questo episodio, che evidentemente turbava particolarmente
il redattore, è raccontato nuovamente nei Numeri con una variante:
Il Signore disse a Mosè: Prendi il bastone,
e tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità; alla loro presenza
parlate a quella roccia, ed essa farà uscire lacqua; tu farai sgorgare
per loro lacqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al
suo bestiame (Nm.20/7). Qui, dunque, il Signore ordina a Mosè di
prendere in mano il bastone, ma di parlare alla roccia.
Perché dunque prendere il bastone se doveva solo
parlare alla roccia e non percuoterla?
Il testo doveva spiegare come mai il Signore si fosse
adirato tanto se era stato lui stesso ad ordinare lazione:
Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte...Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: Perché non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete questa comunità nel paese che io le do (Nm.20/ 9 - 13)A questo scopo viene introdotta la razionalizzazione di un Mosè che avrebbe dovuto parlare alla roccia invece di percuoterla, ma questa acrobazia tradisce la forzatura artificiale, visto che, nella versione dellEsodo, il Signore aveva ordinato specificamente di battere la roccia, e non vi era alcuna allusione ad una persuasione verbale.
GIOSUÈ
Di tutti i libri dellExateuco(20) quello di Giosuè
è senza dubbio il meno affidabile, come fonte di informazioni storiche.
Chi vuol cercare di capire come si svolsero realmente i fatti deve cercare
nel libro dei Giudici, che ha conservato istantanee originali della lenta
e faticosa penetrazione del popolo ebraico in terra dIsraele.
Il libro di Giosuè, più che una fonte storica,
rappresenta il canto di guerra delle tribù ebraiche ed è
la storia dellincesto perpetrato: così verranno raccontate alle
generazioni le gesta di Jahvè e di Giosuè suo servo.
Le sue prime disposizioni sono di mandar degli esploratori
a spiare la Terra Promessa, esattamente come il testo aveva attribuito
a Mosè, nel suo tentativo di attribuire veridicità alla mistificazione
che fu il primo grande Mosè, a voler introdurre le tribù
dIsraele alla conquista della Terra Promessa: In seguito Giosuè,
figlio di Nun, di nascosto inviò da Sittim due spie, ingiungendo:
Andate e osservate il territorio e Gerico(Gios.2/1), come aveva fatto
il suo maestro: Manda uomini a esplorare il paese di Canaan che sto per
dare agli Israeliti (Nm.13/1).
A differenza di Mosè, che aveva mandato dodici
esploratori, uno per tribù, Giosuè ne manda solo due. Dei
dodici esploratori mandati da Mosè solo due erano tornati con unopinione
positiva sul paese, gli altri dieci si erano spaventati per le difficoltà
e avevano demoralizzato il popolo. Quindi questa volta vengono mandati
solo due esploratori, che infatti tornarono con un messaggio positivo:
Dio a messo nelle nostre mani tutto il paese e tutti gli abitanti del
paese sono già disfatti dinanzi a noi (Gios.2/24). Dopo una singola
incursione a Gerico, le spie non potevano certo fare un rapporto così
completo a Giosuè. Quindi possiamo arrivare alla conclusione che
tutto il racconto dellincursione a Gerico dei due esploratori, e il loro
brevissimo e conciso rapporto, non è altro che la ripetizione di
quello raccontato nei Numeri, con lo scopo di riparare il peccato dei primi
esploratori. Un undoing di una mancanza anteriore: gli esploratori di
Giosuè correggono il malfatto degli esploratori di Mosè:
il popolo non è più demoralizzato e incredulo delle promesse
di Jahve, bensì è fiducioso e quindi si guadagna il diritto
a entrare nel paese. La seconda impresa di Giosuè è quella
di aprire le acque del Giordano, come Mosè aveva aperto le acque
del Mar Rosso. Il testo si sforza molto di far apparire questo come un
fatto miracoloso:
Appena i portatori dellarca furono arrivati al Giordano e i piedi dei sacerdoti che portavano larca si immersero al limite delle acque - il Giordano infatti durante tutti i giorni della mietitura è gonfio fin sopra tutte le sponde - si fermarono le acque che fluivano dallalto e stettero come un solo argine a grande distanza(Gios 3/15 - 6).Ma chi conosce il Giordano sa che non è poi un grande fiume e questa non è che una pallida ripetizione del miracolo di Mosè.
DIVERSI SONO GLI UOMINI MA SIMILI I LORO BISOGNI
Nello stesso periodo storico in cui gli Ebrei vivevano
il loro epos e davano espressione alla saga di liberazione e conquista,
che trovano catarsi nel racconto biblico, lOccidente viveva il proprio
epos, estremo ed ultimo canto delle saghe delle tribù achee.
La guerra di Troia può facilmente venir comparata
alla conquista della Terra Promessa. Il mito greco è molto
meno ermetico e condensato, ma i contenuti esistenziali sono gli stessi.
Gli Achei si coalizzano per conquistare la città
fortificata e prendere la regina di questa città . Qui avviene un
rafforzamento dellintenzione incestuosa poiché sia Elena di Troia
che la città fortificata rappresentano la propria ripetizione.
Achille è il vero eroe: il dio figlio, che prende
su di sé il compito di uccidere il Padre nella figura del più
forte dei Troiani: il domator di cavalli Ettore. Questa era la figura di
padre, che inibiva lorda greca dal prendere possesso della città.
Una volta ucciso Ettore, come dopo luccisione di Mosè, la strada
per compiere lincesto era libera. Achille, come Mosè, questa condensazione
di dio-padre e dio-figlio, dovette morire prima che lincesto dellorda
dei fratelli possa essere consumato. Così Achille morì prima
di vedere la caduta di Troia, e come diretta conseguenza del suo atto sacrilego,
con le parole di Teti al figlio: ...uccidendo Ettore, morirai tu stesso,
poiché subito dopo Ettore è pronto il tuo destino (Iliade
XVIII 96,98,104).
Il compito di perpetrare lincesto, che il mito biblico
affida a Giosuè, viene commesso dal secondo Achille: lastuto Ulisse
penetra la città con un marchingegno. Il simbolo fallico del cavallo
penetra la città, dopo che parte delle mura intorno al portone vengono
demolite per lasciarlo passare, allusione chiarissima alla deflorazione
di una madre percepita come ancor vergine, e gli eroi greci erompono da
esso come in un estremo coito liberatorio.
Ulisse non viene punito con la morte, poiché questa
è la sorte che spetta al parricida.
Il peccato di Ulisse è meno grave. Credere di
poter prendere il posto del padre e giacere con la madre, distillato dal
parricidio, che era già stato commesso da un altro, è un
peccato di hybris, e come tale la sua pena sarà una lunga
peregrinazione.
Il mito greco razionalizza il castigo di Ulisse come
la conseguenza di un insulto, un atto di hybris, verso Poseidone.
Ma Poseidone, come appare nei miti orfici, che sono quelli più antichi,
non è altro che uno degli aspetti di Zeus, dio-Padre, in ununica
consustanzialità con Ades, lo Zeus Katachtonios (21) dei
miti orfici .
I Greci sdoppiano così non solo la figura del
figlio, che commette parricidio e incesto, in quella di due eroi diversi,
bensì sdoppiano anche la figura del Padre, verso il quale vengono
commessi i due sacrilegi, cosa che gli Ebrei, costretti entro la loro monolatria
iconoclastica, ovviamente non potevano fare.
Ugualmente, nel mito ebraico come nel mito greco, avviene
uno sdoppiamento tra la figura del dio - figlio che commette il parricidio
e il dio - figlio che consuma lincesto (22) .
Mosè padre viene ucciso, Mosè-Jetrò
prende il suo posto e come dio-figlio percuote la roccia, profana il corpo
del dio e viene condannato a morire prima di poter commettere lincesto.
Ugualmente Achille profana il corpo di Ettore, e muore prima della caduta
di Troia.
In entrambi i casi la morte di questi dei-figli viene
lasciata in unatmosfera rarefatta e nebulosa. La morte di Achille non
viene raccontata nel testo che descrive lepos acheo, ma viene scontata
e attribuita a una freccia scagliata, per caso, dal più imbelle
dei Troiani, come se si potesse morire per una ferita al calcagno.
Questa incongruenza, del più forte degli eroi
greci, anzi lEroe par excellence, che muore di una morte così
casuale, è creata per dimostrare che non esisteva nessuno più
valoroso di lui, poiché nessuno può essere più valoroso
del caporione della banda dei fratelli, scelto dalla congregazione per
rappresentarla e compiere latto sacrilego e liberatorio. La morte di Mosè,
anchessa avviene in unatmosfera misteriosa e rarefatta. Il dio-figlio
Achille doveva morire, ma nessun eroe avrebbe potuto vantarsi dellimpresa,
e la sua morte viene in realtà attribuita al caso, come compimento
del destino divino. Mosè-Jetrò doveva morire, ma le cause
e le circostanze della sua morte avrebbero dovuto rimanere misteriose.
Il terzo Mosè, colui che compie lincesto, è
Giosuè. Anche qui avviene un rafforzamento nella ripetizione sia
della caduta della città di Gerico, sia della caduta susseguente
di tutta la Terra Promessa, similitudini sia della caduta della città
di Troia che della cattura - liberazione di Elena.
In entrambi i casi la caduta della città non è
il prodotto di un atto di forza e di valore bensì di un atto di
magia: un gioco di prestigio che ben ricalca la concezione nebulosa e infantile
dellatto di deflorazione.
La fantasia infantile percepisce la deflorazione e latto
sessuale come il frutto di qualche conoscenza magica: solo il padre onnipotente
conosce la formula di questo straordinario gioco di prestigio, che rende
possibile il possesso del corpo agognato della madre.
Questo è il motivo per cui il marchingegno, escogitato
da Ulisse per deflorare la città di Troia, diventa un peccato
di hybris e un insulto verso Poseidone - dio-Padre. La leggenda
greca ci racconta che il destino di Ulisse è la conseguenza della
sua hybris verso Poseidone, e il dio maledice lEroe (23), ma era stato
rimosso il significato vero di questa hybris, e sostituito da un
insulto nebuloso e privo di un senso logico.
Ogni razionalizzazione conserva il nucleo del vero senso
degli avvenimenti, ma presenta una faccia di cui sono stati cambiati i
connotati esteriori, per mimetizzare questo senso. Sotto il nuovo mimetizzato
aspetto il racconto perde la sua logica interiore e diventa incomprensibile.
Una volta decodificato, invece, questo senso ridiventa riconoscibile, come
il filo tenuto in mano da Teseo, che decodifica i meandri del labirinto
per ricondurre alla luce.
Sia nel caso di Gerico che di Troia, malgrado lenorme
sforzo dellorda dei fratelli per espugnare la città, senza la conoscenza
di qualche trucco o di qualche magia, niente avrebbe funzionato. Nel caso
di Troia lincesto viene perpetrato attraverso un trucco escogitato dal
più astuto dei fratelli. Nel caso di Gerico, è Dio stesso
che suggerisce a Giosuè la formula magica.
Come Troia era saldamente sbarrata davanti agli Achei
e il cavallo dovette rompere parte delle mura per penetrare la città,
così Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti;
nessuno usciva e nessuno entrava (Giosuè 6/1).
Il mito ebraico mette in risalto il fatto che nessuno
usciva e nessuno entrava: latto della deflorazione sarà un privilegio
degli Israeliti; la connotazione magica della penetrazione viene accentuata
dalla sua esclusività.
Anche qui il mito, come nella fantasia infantile, è
ambivalente e confuso. La saga ci aveva raccontato che Elena aveva seguito
Paride di sua spontanea volontà, ma qui il mito implica una liberazione.
Elena, invece di venire punita per il tradimento, diventa regina dei vincitori.
Tutto questo diventa facilmente spiegabile se si prescinde dalla prima
parte del racconto, in cui si dice che era stata la regina di Sparta, e
che era stata rapita da Paride. Levando dalla saga questa razionalizzazione,
che spiega il motivo della guerra di Troia, e implicando che questo primo
ratto in realtà non era mai avvenuto, il susseguirsi degli avvenimenti
prende una forma logica. Elena viene rapita o conquistata, a seconda della
fantasia, per la prima volta con la presa di Troia, dove lorda dei fratelli,
coalizzati, dopo aver commesso il parricidio nella figura di Ettore, compiono
lincesto nella cattura della città e della sua regina.
Tuttavia anche la prima parte del mito, che razionalizza
il motivo della guerra di Troia, come ogni razionalizzazione non è
priva di un suo significato.
Spiegando che gli Eroi greci escono alla guerra per riprendersi
quello che era stato tolto, il mito traduce la fantasia incestuosa in una
ricostruzione dei fatti: il corpo della madre apparteneva al padre dellorda
primitiva ma nella ricostruzione della realtà, dettata dal desiderio,
avrebbe dovuto essere dei figli.
Così gli eroi Achei vanno in realtà a riprendersi
quello che era loro.
In maniera simile il mito biblico spiega che la Terra
Promessa appartiene di diritto allorda ebraica, come Elena appartiene
di diritto allorda achea.
Nel mito greco poiché era stata rapita, nel mito
ebraico per promessa divina.
La Bibbia ci racconta di un patto, un giuramento, tra
Iahve e i suoi figli, in diritto del quale questi possono reclamare il
possesso della Terra Promessa: il Padre stesso la cede, la regala, ai suoi
figli.
In entrambi i casi, lì per un ratto avvenuto a
priori, qui per la promessa divina, si stabilisce de iure il possesso incestuoso.
In questa diversa elaborazione si rispecchia la diversa
struttura psichica.
Gli Eroi greci erano la trasfigurazione della realtà
umana in un mondo dove il distacco tra il divino e lumano non era ancora
diventato netto: la fantasia greca era popolata da dei, semi-dei, eroi
e uomini, e i ruoli erano spesso intercambiabili. La tensione permeava
i rapporti tra le varie entità. La divergenza dinteressi tra uomini
e Olimpo era espressa apertamente in tutte le rappresentazioni della
mitologia.
Il diritto degli Achei non è, quindi, in grazia
di un volere divino, che per questi non avrebbe rappresentato per sé
un diritto inviolabile.
La mitologia greca è permeata dalla sensazione
che il volere divino, più forte di quello degli uomini, si basi
sul sopruso: una promessa divina, di uno tra i tanti dei che popolavano
il loro mondo fantasioso, sarebbe stata una ben misera garanzia di legalità.
Quindi il loro è un incontestabile diritto umano:
la donna era stata loro rapita e a buon diritto vanno a riprendersela.
Il patto è un patto di sangue tra lorda dei figli e questo trasforma
il diritto in un dovere a cui nessuno di loro può sottrarsi (24).
Per gli Ebrei, organizzati sotto la cappa indiscutibile
della Legge del Padre, il volere divino rappresentava il bene, e tutto
ciò che lo contraddiceva era il male.
Quindi la supposta promessa divina rappresentava il documento
legale migliore (25).
Rimosse confronto e aggressività verso la
figura del Padre, il patto è tra Dio e i suoi figli, e in virtù
di questo viene compiuto latto incestuoso.
REGINE E PROSTITUTE
Il mito ebraico è più ermetico di quello
greco, e non nomina nessuna donna in maniera esplicita, come meta dellinvasione,
ma esiste una figura molto strana nel mito biblico, una figura femminile
che condensa in sé due aspetti, quello della prostituta e quello
della donna misericordiosa che salva i due esploratori mandati da Giosuè:
Raab, la prostituta.
Gli esegeti biblici posteriori devono aver avuto molto
filo da torcere, nel cercare di spiegare che cosa ci facesse questa figura
nel contesto biblico:
Essi andarono ed entrarono in casa di una donna, una prostituta chiamata Raab, dove passarono la notte. Ma fu riferito al re di Gerico: Ecco, alcuni degli Israeliti sono venuti qui questa notte per esplorare il paese. Allora il re di Gerico mandò a dire a Raab: Fa uscire gli uomini che sono venuti da te e sono entrati a casa tua, perché sono venuti per esplorare tutto il paese. Allora la donna prese i due uomini e, dopo averli nascosti, rispose: Si, sono venuti da me quegli uomini, ma non sapevo di dove fossero. Ma quando stava per chiudersi la porta della città al cader della notte, essi uscirono e non so dove siano andati. Inseguiteli subito e li raggiungerete (Gios, 2/1 - 4).Susseguentemente si racconta come li aveva in realtà nascosti tra gli steli di lino accatastati e poi li fece scendere con una corda dalla finestra, perché la sua casa era addossata al muro di cinta(Gios.2/16).
TREMILA QUATTROCENTO ANNI DOPO
Un popolo ha vitalità finché è costretto
a ripetere il proprio destino.
Se Freud fosse vissuto fino ai giorni nostri non avrebbe
lui stesso potuto credere ai propri occhi e alle proprie orecchie.
Freud aveva capito, o forse, se la teoria dellereditarietà
delle esperienze umane ha valore, sapeva , che il popolo ebraico
deve la sua particolarità allaver ripetuto, nella figura di padre
di Mosè, il delitto primigenio comune a tutta lumanità (30).
Se linconscio del genere umano porta dentro di sé
questo delitto primordiale dalla preistoria più antica, agli albori
della separazione tra lorda scimmiesca e i primi umani, laver ripetuto
il fatto in epoca storica fece del popolo ebraico il popolo deicida par
excellence, il capro espiatorio più adatto, poiché invece
di relegare il fatto ai confini impenetrabili del proprio sé, lo
aveva ripetuto. Rimuovere un misfatto, dopo che è stato ripetuto
in epoca adulta, è ben altra cosa e molto più complesso,
che rimuovere una pulsione che ha operato in epoca preistorica e può
venire facilmente rinnegata.
Se gli altri popoli riuscirono ad elaborare il misfatto
e a catartizzarlo attraverso i riti delle religioni, per il popolo ebraico,
a questo punto, rimaneva solo la strada della repressione più intransigente.
Ma, come ben sappiamo, più la rimozione è
feroce ed assoluta e linvestimento energetico arruolato a questo scopo,
più è destino che, allentata la guardia, o sotto linflusso
di stimoli particolarmente potenti, gli argini crollino, la pulsione repressa
emerga, e il misfatto venga ripetuto.
Niente di più facile per lOccidente, diventato
cristiano, accusare gli Ebrei di deicidio. Dal momento che questi erano
recidivi, in altre parole avevano la fedina penale sporca, accollarono
loro anche lassassinio del loro Dio come, quando viene commesso un qualsiasi
delitto, si va a cercare subito quelli appena usciti dal carcere.
Gli Ebrei rimossero, sotto la cappa del senso di colpa
e della coesione del gruppo, lassassinio di Mosè, e per tremila
quattrocento anni fu dato per scontato che gli Ebrei, mai e poi mai, avrebbero
potuto più fare qualcosa del genere. In garanzia furono dati lalta
spiritualità e la sofisticazione a cui era arrivato lebraismo durante
i secoli.
Generazioni di rabbini, per millenni, avevano eretto
argini su argini contro il parricidio e lincesto. Contro il parricidio
il popolo ebraico si trasformò in intellettuale e imbelle. Contro
lincesto lelevazione della Terra Promessa ad astrazione e la sua desensualizzazione.
Ormai eravamo tutti al sicuro.
Ma come duemila anni di vita sotto lepidermide da imbelli
erano stati scrollati facilmente di dosso, come se non fossero mai esistiti,
e il popolo ebraico si era subito ritrasformato in popolo guerriero, così
lo stimolo del contatto fisico con la Terra Promessa, aveva riversato
il processo di astrazione che questa aveva passato, e il possesso sensuale
aveva ripreso il posto dellaspirazione ideale.
Come Mosè era stato ucciso poiché voleva
impedire agli Ebrei il possesso della Terra Promessa, dei campi e delle
case, e si erigeva, con la sua presenza fisica, a barriera tra i figli
dIsraele e i loro impulsi incestuosi, così il popolo dIsraele
il 30 Novembre 1995 ripeté il misfatto contro colui che minacciava
di restituire parti della Terra Promessa al nemico. Lomicidio trasfiguro
un uomo politico, dalle discusse capacità in figura di Padre.
Dopo lassassinio di Rabin ci furono delle voci sommesse
che bisbigliarono al parricidio, come per esempio lo scrittore S.Izhar
(31), che alluse alla cosa in una trasmissione televisiva, ma nessuno osò
più portare avanti il discorso.
Dopo tremila quattrocento anni dal primo parricidio in
epoca storica, il popolo ebraico ricadde vittima del proprio destino e
ripeté lo stesso misfatto, non solo, ma anche per gli stessi motivi.
Da allora nessuno nomina più Rabin. Il delitto,
sotto una campagna organizzata dal governo e dai mezzi dinformazione,
viene fatto passare come un fatto isolato, commesso da pochi fanatici,
e già è cominciato quel processo di negazione e latenza,
come dopo lomicidio di Mosè.
Link to The Assassination
of Rabin and its Consequences for the Israeli - Palestinian Conflict
Links:
Gli Ebrei e il loro
Tempio
Sacralità, intoccabilità e tabù
Una storia di sassi. Dalla teoria cloacale al parricidio primordiale
Il tabù della soglia
Trauma
della nascita, esilio e monoteismo
NOTE
(1) Theodor Reik, Ritual, Ferrar, Strauss & Co. New.York.1946.: Trad. It.: Il Rito religioso, Boringhieri, Torino 1949, pp. 306 - 59.
(2) Sigmund Freud, Luomo Mosè e la Religione Monoteistica, tre saggi (1934 - 38), in Opere di Sigmund Freud, Boringhieri, Torino1989, Vol.11, secondo saggio: Se Mosè era Egizio, paragrafi 5 - 6 - 7, pp.363 - 378.
(3) La cosa più straordinaria è che
Freud, tra tutte le argomentazioni a favore della tesi che Mosè
fosse egiziano, non ricorda proprio la più decisiva: Manetho stesso
lo dice in maniera esplicita (Josephus, Contra Appionem, I, 31 - 2). Josephus,
che riporta i passi di Manetho, non aveva nessun motivo dinventare una
cosa del genere, dal momento stesso che entra in discussione con Manetho
per confutare questa tesi: Non mi rimane che confutare quello che dice
Manetho di Mosè. Ora gli Egiziani riconoscono che questi sia stato
un uomo meraviglioso e divino; però loro lo reclamano a loro stessi,
in maniera incredibile e abusiva, e sostengono che sia stato di Heliopolis,
uno dei sacerdoti di questo posto, e fosse stato cacciato da lì
poiché anche lui era lebbroso ( Contro Appio, I, 31).Cioè
gli Egiziani stessi conservavano la tradizione che Mosè fosse uno
dei loro, e anche per loro non aveva nessun senso inventarsi una cosa del
genere, dal momento che Mosè era passato al nemico e avrebbero
avuto tutto linteresse a denigralo e a estraniarsi da lui, invece che
definirlo un sacerdote di Heliopolis. Tra la tesi ebraica di Josephus,
che Mosè fosse stato ebreo e quella egizia, che Mosè fosse
stato egiziano, ovviamente dobbiamo scegliere la seconda, poiché
questa non poteva essere interessata.
Lunica spiegazione è che Freud non conoscesse
i suddetti passi di Josephus.
Straordinariamente nemmeno Reik conosceva questa prova
inconfutabile, poiché si adopera per dimostrare che Mosè
era Ebreo e non Egiziano, contrariamente alla tesi del suo maestro (Theodor Reik,
Mystery on the Mountain, New York 1959, pp. 11 - 18).
Freud cita le Antichità giudaiche di Josephus
(Freud, ibidem, p.356 nota 2) e lo stesso fa Reik (Reik, ibidem, p14),
ma nessuno dei due cita Contro Appio in cui Josephus riporta Manetho.
(4) Con le parole di Freud: Tutti sono consapevoli che si sta eseguendo unazione proibita al singolo individuo e che solo la partecipazione di tutti i membri del clan puo giustificare; a nessuno e concesso esimersi dalluccisione e dal pasto (Totem e Tabu, par.5.)
(5) Luomo Mosè e la Religione Monoteistica, op.cit., p. 374.
(6) J. Lehmann, Moses - der Mann aus Agypten, Hamburg 1983. Trad. It.: "Mosè lEgiziano", Garzanti, Milano, 1983, pp.183 - 7
(7) Su come le tribù selvagge e i primitivi abbiano la tendenza a forme di monoteismo primitivo cfr.: W. Schmidt, Der Ursprung der Gottesidee, 1912 - 1936 (Una serie di volumi); The Origin and Growth of Religion, N.Y.1931; High Gods in North America, Oxford 1933; Pettazzoni, Primitive Revelation, Oxford 1939; T. Reik, Mystery on the Mountain, New York, 1959, p.53.
(8) T. Reik dissente da Freud, in quanto secondo lui sono
proprio le tribù selvagge e i popoli primitivi che hanno una religione
monoteistica. Il politeismo sarebbe uno sviluppo secondario, cfr. Supra,
nota 7.
Non è difficile conciliare le due opinioni, in
quanto le prime forme di monoteismo primitive, dalle quali si sviluppa
il politeismo, sono ben lontane dalla forma altamente sviluppata del monoteismo
di Aton e dopo del popolo ebraico. Per le tribù selvagge il monoteismo
è solo un concetto amorfo, una percezione, più che una vera
e propria religione.
(9) Giuseppe viene chiamato ebreo sia dal coppiere del
faraone, che dalla moglie di Potifar. In entrambi i casi la connotazione
è spregiativa
Tranne nel Deuteronomio, nel contesto della legge
che enfattizzava luguaglianza sociale.Se un tuo fratello ebreo o una
ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo manderai
via da te libero. Quando lo lascerai andare via libero, non lo rimanderai
a mani vuote gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio...(Deut.15,12-4).
(10) W.F.Albright, The Amarna Letters from Palestine, in Cambridge Ancient History, Vol.II, Cambridge University Press, Cambridge 1966, pp.8 - 17.
(11) Per i fatti che avvennero sul Sinai, nel racconto della promulgazione della legge, e per la loro interpretazione come rito di iniziazione collettivo, vedi: T.Reik, Mystery on the Mountain, NewYork 1959.
(12) T.Reik, Il Rito Religioso, op. cit., pp. 346-7
(13) Della pulsione erotica di guardare Freud dice: ...gli occhi non percepiscono soltanto le modificazioni del mondo esterno importanti per la conservazione della vita, ma anche le qualità - vale a dire le attrattive - degli oggetti per cui questi vengono scelti come oggetti di amore (Freud, ibidem, vol. 6, Disturbi Visivi, pp. 292 - 3)
(14) Sefer Haggadà, Tel Aviv 1948, (in ebraico), pp.76 - 7. La traduzione libera dei seguenti passi è di Iakov Levi.
(15) Anche Gesù vivrà circondato
da donne, ma morirà vergine. Il mito cristiano ricalca lo stesso
motivo del parricidio e la morte, senza che venga concessa la possibilità
dellincesto.
È interessante notare la differenza tra questi
Eroi arcaici, che commettono il parricidio ma non lincesto , e quelli
recenti, che fanno parte del mondo apollineo, come Edipo, che commette
sia il parricidio che lincesto.
Anche se cronologicamente il mito cristiano è
più recente di quello apollineo greco (Edipo), in realtà
appartiene alla sfera mentale dei riti arcaici, poiché il mito cristiano
è una regressione evoluzionale in rapporto a quello. La morte e
la Resurrezione del Cristo si ricollega, attraverso una regressione evoluzionale,
ai miti orfici arcaici della Grecia antica, come la morte e resurrezione
di Dioniso, e quindi ricalcano un modus mentale, che era già stato
superato ai tempi della tragedia Sofoclea. Torneremo più avanti
su questo punto fondamentale.
(16) Reik, ibidem.
(17) W. Robertson Smith, The Religion of the Semites, Shoken, New York. 1972, pp.171 - 9
(18) Freud, "Simbolismo nel sogno", in Opere, Bollati
Boringhieri, Torino 1989,Vol. 8, p. 326.
Freud parla specificamente del bastone di Mosè
nel commento al trattato di Abraham (Abraham, Sogno e Mito: uno Studio
di Psicologia dei Popoli in Opere, B. Boringhieri, Torino 1975 e 1997,
p.509.
nota 1) Freud dice: ...A proposito del bastone di Mosè davanti
al faraone sarebbe da rilevare anche il particolare assai indicativo che
la metamorfosi del duro legno nel flessibile serpente non è nientaltro
che la raffigurazione scoperta (invertita) dellerezione, in un certo senso
il fenomeno più sorprendente nel quale si sia imbattuto. Abraham,
nello stesso trattato (p. 561): Il processo dellerezione ha evidentemente
sempre dato impulso in misura straordinaria allattività fantastica;
la trasformazione del bastone (Fallo) nel serpente significa il ritorno
del fallo allo stato di afflosciamento
Reik (Pagan Rites in Judaism, Farrar & Straus, New York 1964, pp. 84 - 5)
descrive come le donne delle tribù primitive vedono un legame tra
le prime mestruazioni e i serpenti e sostiene che, essendo la forma del
serpente simile a quella di un pene eretto, la deflorazione prodotta
da questi produca lemorragia delle mestruazioni.
Quindi si crea qui una grande confusione: Freud e Abraham
vedono nel serpente il simbolo del pene maschile afflosciato, mentre Reik
vede in questo il simbolo dellerezione del pene maschile.
La soluzione è semplice: il serpente non può
essere il simbolo del pene maschile, come il bastone, proprio perché
non rappresenta qualcosa di duro e di eretto. La questione si risolve da
sé se vediamo nel serpente il simbolo del pene femminile, la clitoride.
In questa chiave il simbolismo del bastone di Mosè che si tramuta
in serpente diventa chiaro, poiché come il bastone percuote le acque,
che sono il simbolo della donna, così diventa serpente, che è
anche il simbolo dellerotismo femminile.
Freud, che amava tanto Roma, ha certamente visto la cappella
Sistina e la raffigurazione che fa Michelangelo del serpente attorcigliato
intorno allalbero dai frutti proibiti. Questo serpente è rappresentato
con un corpo di donna!
È difficile comprendere questa grande resistenza
dei padri della Psicoanalisi nel constatare lovvio.
Interpretare il simbolo del serpente come quello della
clitoride avrebbe risparmiato tutte queste acrobazie.
Anche tutti gli esercizi erotici delle interpreti di
scene pornografiche in cui si vedono donne che manipolano serpenti, non
sono altro che la raffigurazione della masturbazione femminile.
Come ci ha insegnato la Psicoanalisi, le maggiori resistenze
vengono attivate proprio per non riconoscere il significato esplicito della
rappresentazione. Freud, Abraham e Reik, questi giganti della penetrazione
psicoanalitica, sono inciampati nel proprio narcisismo maschile e non sono
riusciti a riconoscere quello che avevano davanti agli occhi.
(19) Freud, op. cit., p.325
(20) Seguiamo qui la definizione di Julius Wellhausen (Prolegomena zur Geschichte Israels, Berlino 1899, pp. 1 - 13), che invece di separate il Pentateuco dal resto della Bibbia, unisce ai primi cinque libri anche quello di Giosuè e ne fa un unico blocco con il nome di Exateuco. Secondo W. il libro di Giosuè fa parte del contesto mentale dei primi cinque libri biblici, in quanto a loro pari non rappresenta un libro storico, come invece i libri susseguenti.
(21) K.Kerenyi, Gli Dei della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1962, pp.207 - 8
(22) Questo sdoppiamento tra la figura dellEroe che compie
il parricidio da quella di quello che perpetra lincesto ricorre come un
filo nella cultura occidentale. Per esempio nel Giulio Cesare di Shakespeare,
Bruto, il caporione della banda dei fratelli dellorda primitiva, uccide
il Padre, nella figura di Cesare, e invita i compagni fratelli a immergere
le loro mani nel sangue del cadavere di Cesare, nutrendosi così,
nel pasto totemico, dell essenza del padre ucciso. Bruto, il più
nobile dei romani, morirà soltanto per una decisione presa da se
stesso, lasciando sgomenti i suoi stessi rivali Antonio e Ottaviano. Sarà
Antonio a commettere lincesto con Cleopatra, in una tragedia successiva:
Antony and Cleopatra. In questopera Antonio, per essersi messo con la
regina di una terra esotica e avere ripudiato la legittima sposa romana,
Ottavia, viene punito prima con il bando da Roma e poi, dovendo affrontare
le armate di Cesare, sceglie inspiegabilmente lattacco di mare invece
di quello di terra, dove era superiore. E lui stesso a dare la spiegazione:
Ecco..La terra mi ordina di non calpestarla più / ha vergogna di
sopportarmi /
ho perduto per sempre la strada (III, xi, 1 4). Anche
Antonio, come Ulisse, è condannato allesilio e a essere privato
della terra.
Lunità letteraria di queste due opere, considerate
un unicuum dalla critica letteraria di tutti i tempi, non può
spiegarsi solo con la consequenzialità storica delle due vicende,
come se queste tragedie fossero delle semplici cronache storiografiche,
ma va ricercata nel loro significato di dramma edipico in due momenti
caratteristico di un substrato psicologico molto arcaico, che emerge nella
letteratura omerica e torna ancora in Shakespeare. Questo autore infatti
nelle sue opere riflette il modus mentale dellInghilterra medioevale,
che si esprime nelle fiabe nordiche vichinghe, sassoni, normanni, testimonianza
di una struttura tribale mai completamente rimossa.
(23) È molto illuminante confrontare la sorte di Ulisse, che viene maledetto da Poseidone per linsulto di hybris - incesto, a quella di Ruben, che viene maledetto dal padre per averlo insultato violando il suo talamo e giacendo con la sua concubina: ...Bollente come lacqua, tu non avrai preminenza, perché hai invaso il talamo di tuo padre e hai violato il mio giaciglio su cui eri salito (Gn.49/4).
(24) Achille aveva cercato di sottrarsi alla guerra di Troia nascondendosi tra le donne e Ulisse si era finto pazzo.
(25) Rashi, il più importante commentatore biblico,
che visse in Francia nel XI secolo della nostra era, commentando il primo
capitolo della Genesi, spiega che il motivo per cui la Torà apre
con la creazione del mondo e non con il primo precetto è per poter
giustificare giuridicamente la conquista della terra di Canaan (la Palestina),
e la distruzione dei popoli che labitavano.
La giustificazione è appunto che il Signore ha
creato tutto il mondo e quindi è Lui il padrone. Lui può
dare il paese a chi vuole.
(26) K. Abraham, Due Contributi alla ricerca sui simboli, in Opere, B. Boringhieri, Torino 1975 e 1997, pp. 468 - 471
(27) In molti dipinti si vedono ai piedi della Croce, sia la Vergine Maria che la Maddalena, come se avessero pari importanza. I Vangeli stessi ci raccontano come Maddalena, e non Maria Vergine, sia la figura dominante dopo la Resurrezione. Qui la figura della Vergine sparisce completamente e viene sostituita da quella della prostituta: Passato il Sabato, allalba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e laltra Maria ( di Giacomo) andarono a visitare il sepolcro... (Matteo 28/1), Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il Sabato, apparve prima a Maria di Magdala... (Marco 16/9), ...Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo... (Luca 24/10), Nel giorno dopo il Sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quandera ancora buio e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro...Maria (di Magdala) invece stava allesterno vicino al sepolcro e piangeva...detto questo si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi... (Giovanni 20/1 - 18)
(28) La saga biblica punisce Giuseppe con un doloroso
esilio, per un peccato di hybris: ...Ho fatto ancora un sogno, sentite:
il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me. Lo narrò
dunque al padre e ai fratelli e il padre lo rimproverò e gli disse:
Che sogno è questo che hai fatto! Dovremo forse venire io e tua
madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?. (Gn.
37/ 9 - 10)
Secondo la tradizione rabbinica, lesilio in Egitto e
la prigione serviranno a Giuseppe da lezione per la sua superbia.
Sia Ulisse che Giuseppe verranno alla fine perdonati
e, dopo lespiazione, potranno riunirsi ai loro cari.
Gli antichi erano, così, piuttosto disposti a
perdonare la superbia e lincesto: Ruben, Giuseppe e Ulisse non verranno
ulteriormente puniti e non vi è traccia alcuna, nel testo, di una
punizione per Giosuè. Il parricidio è invece un sacrilegio
la cui unica espiazione è la morte.
(29) T. Reik, Myth and Guilt, Braziller, New York 1957, pp.161 - 7
(30) Per lesperienza arcaica comune che viene tramandata attraverso lereditarietà, vedi Freud, Totem e Tabù, in op.cit., Vol.7, pp.160; Analisi terminabile e interminabile, cit. Vol.11, p.523; «LUomo Mosè», terzo saggio, in op. cit., Vol. 11, pp. 419-20
(31) S. Izhar (Rechovot 1916) appartiene alla prima generazione di scrittori ebrei nati in terra d'Israele. Rimandiamo alla voce a lui dedicata nella Enciclopedia Judaica (ed.2000)
Appendix:
Riporto sotto un brano dalle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio dove lo scrittore ebreo - romano ci dà una versione rimasta fuori dalle scritture sacre, ma che certamente non poteva essersi inventato dal nulla, che corrisponde a quella da noi articolata. Febbraio 08, 2003
Le ulteriori ricerche di questi ultimi anni mi portano
a riconsiderare alcune affermazioni da noi formulate nellarticolo.
Millenni di rimozione e di condensazione hanno creato
la confusione, e noi dobbiamo farci strada a fatica, aggiustando il tiro
come possiamo, cercando di preoccuparci solo della nostra integrità
analitica.
Accanto alla versione ufficiale, esisteva evidentemente anche quella di un Mosè che voleva impedire agli ebrei di conquistare la "Terra Promessa", e si ergeva a barriera tra il popolo e le sue brame di conquista.
1. NOW this life of the Hebrews in the wilderness
was so disagreeable and troublesome to them, and they were so uneasy at
it, that although God had forbidden them to meddle with the Canaanites,
yet could they not be persuaded to be obedient to the words of Moses, and
to be quiet; but supposing they should be able to beat their
enemies, without his approbation, they accused him, and suspected that
he made it his business to keep in a distressed condition, that they might
always stand in need of his assistance. Accordingly they resolved to fight
with the Canaanites, and said that God gave them his assistance,
not out of regard to Moses's intercessions, but because he took care of
their entire nation, on account of their forefathers, whose affairs he
took under his own conduct; as also, that it was on account of their own
virtue that he had formerly procured them their liberty, and would be assisting
to them, now they were willing to take pains for it. They also said that
they were possessed of abilities sufficient for the conquest of their enemies,
although Moses should have a mind to alienate God from them; that, however,
it was for their advantage to be their own masters, and not so far to rejoice
in their deliverance from the indignities they endured under the Egyptians,
as to bear the tyranny of Moses over them, and to suffer themselves to
be deluded, and live according to his pleasure, as though God did only
foretell what concerns us out of his kindness to him, as if they were not
all the posterity of Abraham; that God made him alone the author
of all the knowledge we have, and we must still learn it from him; that
it would be a piece of prudence to oppose his arrogant pretenses, and to
put their confidence in God, and to resolve to take possession of that
land which he had promised them, and not to give ear to him, who on this
account, and under the pretense of Divine authority, forbade them so to
do. Considering, therefore, the distressed state they were in at present, and that in those desert places they were still
to expect things would be worse with them, they resolved to fight with
the Canaanites, as submitting only to God, their supreme Commander, and
not waiting for any assistance from their legislator. (Ant., IV:1)
Addendum
Concordo con Ahmed Osman che ha provato soddisfacentemente
in Out of Egypt (London 1998) che Mosè e Ekhnaton siano state
la stessa persona.
Concordo anche con la sua conclusione che egli si stato
assassinato dagli Egizi stessi nel Sinai, e non dagli Israeliti.
Le tracce mnestiche di questo assassinio sono quelle
che emergono nel testo biblico.
Il perchè il popolo ebraico abbia preso su di
sè i sensi di colpa per questo regicidio-parricidio è una
questione complessa. Apparentemente lassassinio di un Faraone, considerato
nel Medio Oriente antico un uomo-dio, è stato un trauma per tutti
i popoli della regione, e quindi anche per i clan giudaici che vagavano
nel Neghev e nel Sinai.
Questa regione, come tutto Canaan (la Palestina), durante
la XVIII dinastia era sotto forti influenze e presenza egizia.
Lassassinio fu rimosso, e inconsciamente associato al
parricidio preistorico, reattivandone le tracce mnestiche dopo la distruzione
del Regno dIsraele nel 721 e con lesilio di Giuda nel 586.
La distruzione di Giuda e lesilio spiegano perchè
furono proprio i Giudei a conservare la traccia attiva del parricidio e
ad assumersene la colpa. Come ci ha spiegato Freud, non sono gli eventi
che contano, ma la loro interpretazione a posteriori.
Freud avrebbe dovuto applicare la lezione che ci ha insegnato
anche agli eventi in Egitto e nel Sinai.
Quindi, un Mosè storico egizio ci fu, ma non fu
Mosè, ovvero, la figura di Ekhnaton emerse nel testo biblico nelle
parti che ci raccontano di un Mosè egizio. Lo stesso vale per le
citazioni di Giuseppe Flavio (Josephus) da Manetho e quelle talmudiche.
Ne consegue che gli eventi dellEsodo non furono eventi
reali (realtà materiale secondo la definizione di Freud - cfr.
L'Uomo
Mosè e la religione monoteistica, Terzo saggio 2G), ma eventi
che si riferiscono a una realtà psichica (verità storica
- ibidem).
Mosè Ekhnaton non si mise dunque a capo dei
clan ebraici che vagavano ai margini del seminato, ma così fu interpretata
la sua figura a posteriori.
Le tracce di un assassinio rimosso e di una sostituzione,
come da noi decodificate analizzando il testo biblico, appartengono alla
realtà psichica del popolo ebraico, e durante la storia premettero
per un riconoscimento, malgrado non si riferissero a una realtà
materiale.
Dopo l'esilio, la figura di Ekhnaton-Mosè, faraone
d'Egitto e dio in terra, fu ri-interpretata come istanza paterna e inibitrice,
poichè questi era stato colui quello che aveva voluto imporre il
monoteismo (ritorno del Padre primigenio) sulle terre sotto il suo controllo,
che comprendevano l'Egitto e Canaan stesso.
La traccia mnestica rimossa del suo assassinio si fuse
con quella dei riti totemici e puberali che avvenivano periodicamente nel
Sinai sulla montagna sacra, in cui veniva reattivato il rito del pasto
totemico, che rappresenta in sé una ripetizione del parricidio primordiale.
Come da noi sostenuto, il decimo comandamento si riferiva
originalmente al "Non possedere una casa", ma non poteva avere niente a
che fare con un Mosè egizio-Ekhnaton, che che aveva probabilmente
avuto solo pochi contatti con i clan ebraici che vagavano ai margini del
seminato.
La proibizione di possedere case e vigne faceva parte
dei tabù dei clan giudaici del Neghev e del Sinai che erano sempre
stati nomadi, e questo tabù si fece strada nel decimo comandamento.
Quando questi clan giudaici meridionali invasero il seminato,
insieme ai clan israeliti della Transgiordania, che non erano mai stati
nel Neghev e nel Sinai (a questi ultimi si riferiscono le saghe dei Padri,
come evidenziato da Wellhausen), il tabù fu rimosso, e cominciò
a premere per un riconoscimento nella codificazione post-esilica dei precetti
legati all'agricoltura e in quella della mezuzah.
Infatti il tabù di possedere case e vigne si
riferisce solo ai clan giudaici e non a quelli israeliti.
Dopo l'esilio, solo di giudei infatti si trattava,
Il versetto dell'Esodo da noi riportato ...Dio non lo
condusse per la strada del paese dei Filistei, benché fosse più
corta, perché Dio pensava: Altrimenti il popolo, vedendo imminente
la guerra, potrebbe pentirsi e tornare in Egitto (Es.13/18), si riferisce,
probabilmente, a un tentativo d'invasione della Palestina meridionale da
parte dei clan del Sinai, evidentemente andato male.
Ciononostante, la nostra interpretazione di un Mosè
egizio che volesse impedire agli ebrei d'insediarsi in Canaan rimane valida,
non in quanto ci sia mai stato un Mosè siffatto, ma in quanto come
tale fu interpretato dalla psiche ebraica post-esilica, come imago
paterna e inibitrice (verità storica). Per quello che ci riguarda,
questo è quello che conta, poiché è quello che
decise delle sorti del popolo ebraico, e non l'evento storico in sé
(verità materiale).
Dalla citazione da noi riportata dalle Antichità (IV:1) emerge un contenuto che anche se non si riferisce a una realtà materiale si riferisce però a una realtà storica, ovvero, psichica. Nell'inconscio ebraico, il Padre (come la figura di Mosè fu rielaborata a posteriori), fu assassinato in quanto voleva inibire l'orda dal corpo della madre (la Terra Promessa).
Reik stesso allude a Mosè come se fosse stato interpretato inizialmente come un dio - Figlio, che sale sulla montagna sacra per carpire il fallo paterno e commettere il patricidio.
Se sembra complicato, lo è.