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RACCONTI IN ROSA

di Alessia Biasiolo

E ti ostini a chiedermi perché non mi piace?

Quando una donna

Per una che non smarriva mai la strada

Finzioni. Liberarsi delle solite storie

La vita attesa

Gelato fragola e limone

Forse non lei

A perdifiato

Confusione di famiglia

Strane adozioni

Finalmente la fine

per contattare l’autrice: [email protected]

 

E TI OSTINI A CHIEDERMI PERCHÉ' NON MI PIACE?

E ti ostini a chiedermi perché non mi piace?

Perché deve piacermi?

Perché passa il tempo a relazionarmi su tutti gli IO della sua esistenza? IO sono stato, IO sono andato, IO ho telefonato, IO ho trovato, IO ho mangiato.

Quell’amico è così perché IO ...

Qui si mangia bene perché IO ...

IO so che ...

Mi viene mal di testa solo a pensarci.

IO ti verrò a prendere, IO ti porterò fuori a cena, IO ...

Perché non mi piace?

Hai mai avuto un’amica con la voglia pazza di trascorrere serate con gli occhi al cielo, annoiata e sull’orlo della depressione?

Non fa altro che ripetere quell’odioso IO e non sai niente di lui, perché nella sua smania di comparire si tiene celato, evitando accuratamente di trasmetterti cosa sente, cosa pensa realmente, qualcosa di lui, insomma. E come rimane alla superficie di sé, non si cura di chi ha attorno, di sapere da loro qualcosa appena oltre il pettegolezzo.

Prendi quand’è stato con me. Non mi ha mai chiesto una volta chi sono, cosa voglio dalla vita, da me, dagli altri. Cosa vorrei da lui, ad esempio, se gli interesso. S’informa su di me dagli altri, da te magari.

Oh, non voglio dire che sparliate di me, per carità, ma ti sembra? Invitare una ragazza ad uscire per subissarla con una sfilata di prime persone quasi per ipotecare una reputazione, aprire un mutuo nella sua mente: "Tanto è bravo e tanto ha fatto = tanto mi può dare"! E’ rivoltante!

Oh, sì, hai il tuo bel dire che è un bravo ragazzo. Ma che me ne faccio di lui se non esisto?

Io non esisto. Soggetto usato anche da me, stavolta.

Mi sembra un pezzo d’antiquariato. L’uomo salvatore delle ragazze sole che ha collezionato, come su un conto in banca, una serie di doti (o presunte tali) da esibire per accaparrare una dote ben più evidente: quella della moglie!

E con la presunzione che ha, poi!

Ciò che più mi innervosisce è che non si sente: tutti quegli IO dovrebbero rintronare nelle sue orecchie, o no?

Sorridi, sorridi. Bell’amica. Certo, sarà bravo, buono, bisognoso d’affetto. Ma che me ne faccio di uno così?

Che me ne faccio di un’anima da consolare, spronare, coccolare in cambio di niente?

Non sono i fiori, il giro in auto, le persone che ti presenta, i posticini carini (dice lui) che ti vorrebbe mostrare. Non te ne occorrono quando il soggetto è vuoto. Io so guidare l’automobile, esco a cene tre volte la settimana, sono stata in alcuni dei posti più belli del mondo e, soprattutto, non sono mai stata consolata.

Amata, corteggiata, vezzeggiata, invidiata, ma consolata mai!

E avrei odiato me stessa, forse, se mi fossi trovata in uno stato d’animo tale.

I miei uomini provavano, e provano, tenerezza per me, non desiderio di prevaricazione o di commiserazione. Io amo la forza tenera, l’orgoglio che si fa piccolo, l’ambizione dolce, il sentimento. Io devo sentire l’interesse, l’affetto, l’amore. Per me. Io sono. E odio chi non è.

Lui non è. Ha bisogno di amici e di compagnia perché nel profondo è solo, isolato dal resto del mondo da un IO incapace di crescere.

Io sono cresciuta. Perché ho cercato la crescita dentro, nel continuo confronto con me stessa e con gli altri. Con gli altri soprattutto. Ho cambiato le parti di me stridenti, amorfe o atone; ho lavorato sodo per ottenere risultati che mi permettessero di essere soddisfatta di me. Non ho nessuna voglia di diventare una consolatrice perché non sono una consolatrice.

Pensa, mai una volta, in tutta la serata trascorsa insieme, mi ha chiesto di me: chi sono, cosa faccio. Solo cosa faccio.

Un uomo così è un compromesso.

E io detesto i compromessi.

E se ti ostini a chiedermi perché non mi piace, prenditelo tu!

 

QUANDO UNA DONNA

Viaggiare nell’intimo di se stesse è sempre più avventuroso dell’inoltrarsi in una selva oscura: anche perché, nel mattino bigio in cui si parte, non si sa ancora se si incontrerà Virgilio. E sicuramente la mente non ha la grazia oppiacea di conoscere Beatrice.

Si è nel limbo pericolante sull’orlo del baratro, di una miscellanea di ragioni contorte per piangere mentre il Rimmel sbavato non si toglie con il fazzolettino morbido e non si può adoperare il latte detergente per non rovinare la base di fondotinta.

E così l’aria sconsolata si dilegua dallo specchio tradita da un salaticcio umore che scappa dal controllo macchinoso della muscolatura che non vuole tradire emozione.

E ci si trova a vogare nel Gange dei propri cadaveri appisolati sotto la coltre di riccioli ben acconciati dal maestro parrucchiere assonnato che ti tramuta in un'altra lei ogni volta che glielo chiedi.

Parti alla ricerca di qualcosa che si accompagni al "tu" impersonale delle scelte scontate vendute in stagione di saldi dal conformismo e scendi i gradini della vita con incedere pesante, qualche volta affrettandoti in ruzzoloni.

Si staglia una città di Dite nel cuore che si sente tanto una fortezza di Masada, ma gli anti appannanti non sono d’effetto e si confonde tutto il biglietto sotto gli occhiali scuri maschera dei gonfi residui del pianto.

Non si sa bene dove si va quando si cancella il biglietto, il viso nello specchio, il trucco e l’abbigliamento, mentre l'Io divorzia del Super-Io ed entrambi si rivolgono al tribunale per avere l’affido dell’Es, vagabondo errante senza meta ... Non c’è mai una meta quando comincia questo viaggio. Non si sa dove porta un divorzio. Non si sa altro che tutto finisce con una FINE e si sa che quando c’è una Masada al posto del cuore non c’è verso di capire che poi la storia continua.

Certo è solo che si è partite e si è innestato il processo a catena del rivangamento d’angosce, di passati presenti futuri mai vissuti né possibili ma che fanno male lo stesso. Nella fantasia. Si parte quando la fantasia è spenta e non c’è modo per il cervello di librarsi nella parte superiore al reale, nella stratosfera degli incentivi e delle soddisfazioni.

Quando il coraggio viene meno e non s’innalza neanche più la rabbia per essersi accorti che il suolo è già lì, niente più in basso.

Tutto è una massa informe di sillabe mai inanellate da grammatica e sintassi: non c’è vento, né primavera, non tornerà mai più il sole dell’alba e dell’estate; il tuffo non ammette risalita. Il buco nero ha fatto BANG e da quel momento si sono assordati i timpani, spaventate le chiocciole.

Si piange per i jeans che sono troppo larghi il giorno in cui ci si sentiva grasse per avere messo un cucchiaino in più di zucchero nel desolatamente nero caffè; e, sì, si è grasse e sgraziate, con le gambe storte inguainate in un collant di marca che scivola alla caviglia in tornanti di serpentelli di pieghe, grasse perché non si è più in sé, ma neanche fuori di sé. Non si è più io ma nemmeno lei, non si è più, e basta.

Chi siamo?

Siamo rifatte di cipria e di antirughe per non scomparire sotto gli sguardi di maschi ruvidi, pelosi, stempiati dalla calvizie magari in giovane età, ma che non hanno il minimo dubbio di non potere muovere critiche. Perché non sono loro a doverne subire. Non sono all’asta in minigonne e tacchi.

Sono liberi dagli stereotipi.

E anche questo ferisce perché si vorrebbe tanto essere uno stereotipo da rotocalco e dovere fare i conti solo con le patatine della foto accanto. Invece non ci sono foto né giornali in una vita piatta di parole e di avvenimenti, inverosimilmente noiosa negli stralci di tempo per sé che invece sono tutti dedicati al parcheggio, alla spremuta d’arancia bevuta in piedi solo per il gusto di essere stata nel bar "in" del centro.

Paghi bellezza e frustrazioni con moneta sonante: quella del tuo portafoglio e del tuo malumore, tempo vuoto buttato ... lì, nel cestino della carta straccia dove si stanno ammassando pallottoline di carta inzuppate. Almeno è finita la schiavitù del fazzoletto di stoffa: non libera di piangere e di soffiarti il naso per non dovere lavare quel disgustoso muco che non si stacca se non a suon di brusca e di olio di gomito.

Forse era bello trascorrere la giornata alla fonte o piegate sulla riva del fiume, cantando, a strofinare con la cenere o con le scaglie del sapone di Marsiglia i panni che si cambiavano in società, ma adesso, a vedere le lunghe unghie rosse dallo smalto che prende a sciogliersi sotto gli occhiali scuri e la tendina delle gocce salaticce che escono dagli occhi, santo cielo!, come si può, come si può pensare di lavare biancheria nel torrente che passa accanto al metrò, stretto dalle reti di metallo che vanno imbrigliando i pensieri almeno di coloro che non si sentono mandati al patibolo dal Rimmel che, ostinatamente, continua a sciogliersi?

E così la giornata era stata rovinata dalla lampadina bruciata che l’aveva confusa, e come ogni donna appallottolata e buttata nel cestino della carta straccia, la borsa ora era del colore sbagliato e i collant, ormai giunti alle caviglie, erano blu anziché marroni, sogni anziché realtà, patatine fritte anziché top model, segretarie anziché manageress, amanti anziché dee venerate ... ma si venerano ancora le dee che non escono con una Ferrari rossa, fiammante come un diamante, andante anziché allegro, ma che allegro, oggi, in un lago di delusioni?

La tendina salaticcia ti permette a malapena di intravedere un cestino e di nuovo butti il ricettacolo di muco, frenando l’istinto di rovistare tra la spazzatura per trovare un fondo di caffè che oracoli come e quando la giornata storta andrà a finire.

Sapendo che solo il coraggio di cambiare la lampadina bruciata permetterà di rimettere a posto le cose. Perché, ora, la selva oscura è troppo scura, Dite non si sa dove sia, l’autobus è arrivato e sarà meglio tirare su le tendine prima di pestare qualche altro passeggero.

 

PER UNA CHE NON SMARRIVA MAI LA STRADA

Per una che non smarriva mai la strada, era difficile pensare di essersi persa nei suoi occhi. Padrona di ogni civile orientamento, era caduta rotoloni nel verde delle sue pupille con sottile smarrimento ed ora l’inconscio delle sue gambe incrociate sul letto di peluche le diceva che era vero, si era innamorata. Il suo cuscino strizzato fra le braccia, pur con la lingua di piume penzoloni, era felice di non essere bagnato da umori di singhiozzi né di essere preso a pugni.

Stavolta l’umana, pensava, era annegata in calmi laghi e ben presto sarebbe stato abbandonato se non per altre piume, sicuramente per buoni ortopedici. E nessuno dei due riusciva a spiegarsi come fosse successo.

In tutti i modi si negava agli appuntamenti.

Era riuscita a lasciarlo attendere per due ore in mezzo ad una strada.

Gli aveva detto di andarla a prendere all’aereoporto il giorno prima del suo arrivo. Ma lui no, non aveva desistito. Era rimasto ad aspettarla fino all’indomani solo per portarle i bagagli. Mentre lui li caricava in automobile, lei saliva su un taxi e scappava a casa, sotto la doccia.

Non aveva mai trovato tanti modi per scaricare un uomo senza pensarci troppo su.

Era riuscita persino a farsi regalare un anello di diamanti con tutto quello che gli aveva combinato! E subito dopo essere uscito di prigione a seguito di una denuncia per aggressione. Il giudice non le aveva creduto. Era affondato dritto dritto negli occhi verdi di lui, dalle acque tranquille di laguna, e aveva creduto al sospiro di pazienza con il quale il martire dell’amore sosteneva che era solo una manovra per disfarsi di lui.

"E lei perché continua a perseguitarla?"

"Non la perseguito, signore, l’amo! Non ho mai amato nessun’altra come lei. E non ho mai fatto niente per farle del male o per costringerla a stare con me. Solo mi sono limitato a manifestarle il mio amore e a metterle in testa che mi ama anche lei. E’ per questo che mi ha denunciato. Perché non vuole ammettere di volermi, vostro onore. Ho una perizia psichiatrica che può confermarle che non sono pazzo".

Nemmeno l’avvocato aveva voluto! Tutto solo si era difeso in nome dell’amore ed aveva fatto ridere tutti, compresi i genitori ed il suo ex, di molto molto tempo prima, che l’aveva presa in disparte al pub e le aveva bisbigliato nell’orecchio: "Penso che stavolta quel tipo sia riuscito ad incastrarti. Auguri piccola!" e il bacio che le aveva stampato sulla guancia sapeva così tanto d’affetto che ogni volta che ci pensava si puliva.

Incastrata? Spalle al muro con se stessa a dovere pensare di rinunciare a tutto ciò che possedeva: la libertà di essere capricciosa in eterno per abbandonarsi a dividere con un uomo una vita che sì, era impervia più di un sentiero d’alta montagna tra le rocce.

Che schifo!

Innamorarsi di cosa? Un mazzo di fiori? Aveva pianto davanti al fiorista, ma che c’entra! Era stato un momento di debolezza, di stanchezza, di ... ma nessuno le aveva mai regalato fiori prima d’allora. Un fucile che l’aveva inorridita, ma fiori ... si era chiusa in casa due giorni a pensare a che genere di donna sembrasse perché qualcuno potesse pensare di regalarle un fucile ed aveva imprecato contro se stessa per ore urlando all’incomprensione sociale. Ma i fiori! Erano questione di Harmony che leggeva d’un fiato dal parrucchiere, non da lei. Ci si può innamorare di un fiorista ... cioè no, di un soggetto che ti telefona per invitarti fuori a cena dopo che per quattro volte gli avevi fatto il bidone? Si stava comportando da bambina a trentadue anni ma no, non poteva annegare così, nel verde, dopo anni passati ad uscire dalle sabbie mobili. Già, ma quelle erano melma, non limpida manifestazione d’affetto ...

Davvero esisteva al mondo qualcuno capace d’innamorarsi di lei? Forse sì, visto che era l’unico uomo che aveva demolito senza mai muovergli una critica. Accidenti.

Le gambe incrociate cominciavano a dolere, ma il suo sguardo fisso nel vuoto non era capace di distrarsi.

Non la chiamava da tre giorni. E il suo respiro era stato corto tutto il lungo interminabile week-end. E si fermava ogni volta che il telefono squillava.

Non era mai lui, non era la sua voce e lei non aveva voglia di uscire con le amiche, o di mangiare o di telefonare al vecchio ex per chiedergli un consiglio perché sapeva già che si sarebbe solo sentita rispondere: "Stupida!".

Lui non c’era più. Non sapeva dove fosse, non l’aveva detto. Non voleva telefonare per cercarlo perché poteva sembrare che lei avesse voglia di vederlo ...

Magari si era stancato ed era con un’altra. Forse l’aveva mandata al diavolo perché era troppo bello, troppo simpatico, troppo vero e troppo intelligente per continuare a stare dietro a lei. Forse era solo una scommessa ed aveva desistito, il gioco era finito e lei se l’era voluta: era stata piantata dopo che non aveva mai accettato di averlo come ragazzo. Era finita senza che cominciasse, ma perché così? Non dirle niente?! Lei che gli sbatteva la cornetta nelle orecchie?

Era l’uomo più perfetto che potesse avere, porca miseria, ed era lunedì, ora di uscire per andare in ufficio.

Era in ritardo dopo il peggiore week-end della sua vita ed in ufficio c’era una faccenda seria da sbrigare.

Ah, ma gliel’avrebbe pagata ... l’avrebbe chiamato dall’ufficio per dirgli che era un figlio di buona donna e che a lei non importava più niente.

Occhiali, borsa, chiavi dell’auto, al volo l’impermeabile, un kleenex in mano per asciugarsi il naso che si ostinava a piangere da solo ... la porta a due mandate accidenti, non si apre più e ... i due immensi verdi lì, sorridenti, sostenevano lo stipite.

 

FINZIONI

LIBERARSI DELLE SOLITE STORIE

"Eva entrò nel ristorante con il suo elegante passo cadenzato indossando ..."

- Beh, veramente non mi sembrava di avere il passo tanto elegante!

- Ma stavi entrando nel locale più lussuoso della città!

- Che giorno era?

- Il 15 agosto.

- Il 15 ... il giorno prima mi ero rotta una gamba ed avevo lo scarpone, mi dici come facevo ad avere il passo elegante? Caso mai cadenzato visto che ero zoppa!

- Ma tu non esisti! Sei pura fantasia quindi eri così, come ti descrivo io. Continuiamo.

"... indossando un attillato vestito rosso fiammante ..."

- I vestiti attillati mi segnano troppo il fianco sporgente eppoi il rosso non mi piace troppo.

- Stai zitta!

- Portavo gioielli?

- Sì, un anello di brillanti, un collier d’oro con ciondolino di brillanti abbinato agli orecchini.

- Bene, quelli sì li hai azzeccati. Va avanti. Chi dovevo incontrare?

- Silvio Antinoni.

- Quello! Oh, povera me! Non ne avevi altri?

- E’ bellissimo. Alto, moro, occhi azzurri, splendidamente abbronzato; ricco, giovane, simpatico ...

- Ma fammi un piacere! Simpatico lui! E’ la persona più odiosa che abbia mai conosciuto.

- Ma dove l’hai conosciuto?

- Qualche anno fa mi sono imbattuta in lui a Riccione e ...

- Tu non sei mai stata a Riccione! Tu sei molto ricca e per le vacanze scegli sempre posti di lusso: Bahamas, le isole italiane, ...

- E invece no! Quell’anno sono andata a Riccione ospite dieci giorni di un’amica e ho conosciuto Silvio. E’ stato peggio del mal di mare!

- Io ho deciso invece che tu a Riccione non ci sei mai stata e che hai conosciuto Silvio l’anno scorso a Gstaad durante le vacanze invernali.

- Io odio la neve!

- Oh, insomma, smettila! Sono io a decidere delle tua vita e non starò certo a sentire le tue storie.

- Pensi che se scrivessi come sono io non venderesti il romanzo, eh?

- Può darsi. Ad ogni modo ho pensato ad un’altra vita per te. Molto ma molto interessante.

"Il maître le andò incontro sorridendo e l’accompagnò immediatamente al tavolo di Silvio Antinoni che la stava aspettando centellinando un bicchiere di Martini dry".

- Ecco. Punto uno io non conosco nessun maître. Punto due è una pessima scelta il Martini.

- Non per chi piace!

- Vedi? Te l’avevo detto che è un tipo odioso. Beve anche delle schifezze.

- Giuro che se non la pianti ti cancello!

- Oh, no, ti prego! Ho solo voglia di chiacchierare un po’. Sai, nessuno di voi me lo permette. Siete troppo presi dai vostri paroloni per stare ad ascoltare la vera voce di una fantasia.

- Le fantasie sono nostre. E noi gli diamo la voce che vogliamo.

- Sì, ma troppo spesso sono ricca bella e perfida. O sono troppo povera e sporca per attirare le simpatie della gente. Io non ho cuore. Sono destinata a restare di carta stampata. Io non posso essere ‘interpretata’. Devo essere io.

- Succede un po’ anche con le persone vere, sai. Talvolta uno immagina che siano in un modo mentre sono esattamente il contrario.

- E perché è così?

- Beh, di solito perché ci si fa dei pregiudizi sugli altri e non si da loro modo di esprimersi, di descriversi, di farsi conoscere.

- Esattamente quello che ti stavo dicendo di me.

- Allora dimmi un po’ di che cosa vorresti parlare.

- Della mia figura, innanzi tutto. Tu parlavi del mio incedere elegante. Io trovo che le mie gambe abbiano troppe smagliature e che il mio passo sia alquanto incerto. Poi non mi piace affatto vestire in modo ricercato. Adoro gli abiti semplici che sono tanto eleganti. E quasi mai fasciati altrimenti mettono in mostra i miei fianchi un po’ troppo larghi per sembrare una modella. I capelli li raccolgo in laboriosi chignon e non mi piacciono i tacchi alti. Le vacanze ... le passerei sempre in posticini tranquilli, magari di mezza montagna, con poche persone in giro.

- Vedi? A chi vuoi che interessi una vita così! E’ semplice, troppo semplice, banale.

- Sapessi com’è bello esserlo, talvolta! Ed evitare quegli odiosi pranzi in locali di lusso!

- Per stavolta ti adegui? Prometto che la prossima volta scriverò di te come sei. Adesso ho già quest’idea per la testa.

- Sapessi come sono infelice! Come mi sento triste e incompresa oggi!

- Su, dai, non fare così! Verrebbe fuori un romanzo strappalacrime!

- So che non lo leggerebbe nessuno, ma che importa? Le sofferenze della gente comune ...

- Si leggono tutti i giorni sulle pagine dei giornali. E adesso fammi continuare.

Parecchi minuti dopo.

- Dai, perché non continui a scrivere?

- Perché mi hai fatto perdere il filo! Non so più cos’ha fatto Silvio quando ti ha vista entrare.

- Si è alzato e mi ha baciato la mano poi ha aspettato che mi sedessi e mi ha aiutata ad accostare la sedia al tavolo. Quindi mi ha chiesto se prendevo un aperitivo e io ho detto di no.

- Perché?

- Perché io li odio, assieme ai Martini.

- Va bene e hanno deciso di ordinare. Il cameriere ha portato il menù ...

- Mentre io deploravo Silvio per il suo pessimo gusto di ordinare Martini. E lui mi ascoltava a testa bassa con lo sguardo di uno che l’ha combinata grossa.

- Ma dai! Non si scrivono queste cose!

- E invece sì. Io sono bella, ricca, conosco perfettamente le buone maniere e lui, pazzamente innamorato di me, ascolta tutto ciò che dico.

- D’accordo, vada per questo. Cosa ordini?

- Patè di fegato d’oca con contorno d’insalata russa. Insalata mista e macedonia con panna montata per dessert.

- Coosa?

- So essere molto raffinata e un po’ osé, sai?

- Ma sei matta?

- No, scrivi: "Silvio Antinoni ha fatto una faccia strabiliata e un po’ disgustata ma, da ottimo gentleman, dice al cameriere: ‘Lo stesso’ e il cameriere se ne va imp assibile".

- D’accordo.

- Mi sta tanto antipatico che sono proprio contenta di mandarlo nel bagno, dopo il pranzo, a vomitare tutto nella tazza del water. Fallo uscire, poi, con gli occhi fuori dalle orbite e la gente riderà a crepapelle.

Ridendo.

- Va bene. E tu?

- Io sto benissimo. Se penso che a Riccione non faceva altro che mangiare stinchi di maiale con un misto di radicchio rosso, cipolla, porri, cetrioli, rape e peperoncino, patè di fegato, che lui odia, non è poi tanto male!

- Vino?

- Certo, Petillant ghiacciato.

- Perfetto. E dopo che è stato male che succede?

- Ma sei tu che scrivi o sono io?

- Fai tu finché mi diverto.

- Beh, faccio portare dal cameriere uno ‘spaccabudella’ e ...

- Eh?

- Scrivi scrivi che in quel posto sanno cos’è. Lui lo beve e di colpo gli si apre l’ulcera gastrica, chiamo un taxi e lo porto al pronto soccorso ovviamente dopo aver fatto addebitare le consumazioni sul suo conto.

- Sei una sadica matricolata, allora!

- Non fa vendere una scena così? E’ che non so cosa succede al pronto soccorso. Dai, dammi una mano, scrittore!

Suonano alla porta.

- Hai sentito? Hanno suonato. Devo andare a rispondere.

Singhiozza.

- Che hai? Piangi? Oddio!? Ma com’è che piangi? Tu non ci sei, sei finta, sei carta, sei immaginazione ... Non puoi piangere!

- Ecco, vedi, lo dici tu stesso! Certo sì, sono finta, è per questo che piango!

Io qui, a fare gli occhi languidi a Silvio, ad essere bella e perfida, sadica per giunta, con il vestito rosso e il patè di fegato, con il cuore che scoppia di pianto. E tu mai una volta che mi fai piangere!

- Gridi pure?

- Sì che grido! Con te nessuno ormai più grida, nemmeno l’editore. Io devo star qui, sul foglio tutto bianco, stropicciata dall’astina ferma fogli della macchina, a tirare tutti gli occhi per vedere cosa fai con l’altra! Senti, senti come suona. Apri, su, va a vedere com’è vestita, com’è la pelliccia nuova e l’anello che le hai dato, su! Io qui a tirare gli occhi, a lavorare per farti guadagnare un mucchio di soldi e tu là, a baciare lei. Me non mi baci mai, vero?! Non mi dici nemmeno grazie per avere costretto Silvio ad ingoiare il patè di fegato d’oca e a finire all’ospedale per fare morire d’angoscia le tue lettrici e dal ridere i tuoi lettori. Mai una volta che mi metti in bella mostra! Quella lì sì, l’altra sera l’hai portata, tutta ingioiellata, a teatro e ieri sera a ballare. Io me ne sto chiusa dentro alla rilegatura a menare calci ai fogli finché il libro non trema e casca per terra. L’ultima volta, avevi litigato con lei, mi hai rimessa sullo scaffale, lì vedi, ci sono ancora dentro l’altro romanzo, in modo così violento che mi sono rotta la gamba. Era il 14 agosto e mi hanno ingessata. E tu l’indomani volevi che avessi l’incedere elegante con Silvio? Che invece di fermarmi era meglio se proseguivo fino in fondo alla pagina, su su per la macchina fino a te, per darti uno schiaffo! Altro che patè di fegato! Arsenico dovrei darti! E avrebbero un bel da fare a trovarmi, assassina, dentro un libro, persino i detective inventati dai migliori romanzieri!

Sbigottito resta fermo a guardare il foglio mentre la porta mandava un forte bussare.

- Non posso crederci! Sentire una scenata di gelosia da una fantasia! Da una mia creatura!

- Eh, no! Io non sono più tua! Tu mi hai scritta! Mi hai tradotta da pensieri a caratteri dattilo e adesso non sono più tua, sono mia, sono di chi mi legge. Adesso io penso. Però ...

- Però?

- Non posso inventare. Se non ci sei tu che scrivi io non posso originare un’altra fantasia. Almeno un’amica, qualcuno con cui parlare.

- Non me?

- Tu? Tu hai lei! - c’era odio in queste parole.

- Davvero ti fa tanto male?

- Non lo so: dipende!

- Da ché?

- Tu mi farai stare male?

Ci pensò un attimo.

- E va bene: ci resterai male. Ti farò litigare con Silvio.

- Senti, perché non cambi storia? Perché non vieni a lavorare qui con me nel libro?

- Non lo so, ci penserò! Non volevo parlare di me, ma ... Beh, vedremo.

Si alza e va alla porta ad aprire. Quando apre qualcuno gli dà una sberla e gli grida una sfilza di parolacce. Poi butta un bracciale nell’appartamento e scappa, correndo giù per le scale. Lui, dopo un attimo di stupore, chiude la porta e torna alla macchina.

- Che è successo?

- Non lo so.

- Appuntamento mancato?

- Ah sì, credo di sì.

- Allora, vuoi venire nel romanzo con me?

- Sai una cosa?

- Eh!

- Io penso di essere riuscito a parlarmi e penso che quella ragazza con in testa solo pellicce e gioielli non mi andava più bene e così mi sono messo a parlare con te ...

- No, no, sono stata io a parlare per prima, mio caro!

- Beh, il fatto è che due giorni fa ho visto una ragazza e credo di essermene innamorato.

- Oh, davvero, bene! Molto bene! E com’è?

- Credo che non le piacciano i Martini, che sia terrorizzata dalla mancanza di un comportamento elegante e che vada al mare a Riccione.

- Allora sono io!

- No, tu no!

- Ma sì, sì che sono io. Senti, tu scrivi di me e troverai lei.

- Va bene. Cosa succede all’ospedale?

- Ti fanno un’iniezione e ti ricoverano, ma sbagliano a scrivere il tuo nome sulla cartella e così ti spediscono d’urgenza sotto i ferri.

- E lei è un’infermiera?

- No.

- Un medico?

- No.

- Una volontaria?

- No.

- Un ...

- No.

- Non avevo finito!

- E’ lo stesso. Non è niente di tutto questo.

- Allora è una che ha tentato il suicidio.

- Nemmeno.

- Dimmelo.

- Cedi?

- Dimmelo!

- Cedi?

- Smettila!

- Cedi, cedi, cedi?

- Cedo.

- Stava spingendo un’amica seduta su una sedia a rotelle con la gamba ingessata a squadra. Aveva sbagliato corridoio e pum!

- Pum?!

- Sì, si è scontrata la gamba dell’amica con un pezzo dell’infermiere che ti spingeva verso la sala operatoria e un pezzo del tuo lettino e così l’amica s’è messa a urlare, tu sei finito sul pavimento ma non hai sentito niente perché eri già anestetizzato. Però non ti volevano più operare, l’infermiere s’è rotto un osso e tu sei finito in rianimazione e ...

- E lei mi è venuta a trovare ...

- Sì.

- Ed è nato l'amore.

- Più o meno.

- E tu?

- Io sono lei o lei è me, o tu sei noi e assomigli all’infermiere, non so, però così funziona. Mi ci ritrovo.

- Perché?

- Sono io e posso esprimermi. Sapessi com’è bello!

- E dov’è la storia? Il mio editore, se leggesse questa roba, avrebbe voglia di spararmi. Sarebbe la volta buona per liberarsi di me.

- Farebbe bene.

- Ah, pure!

- Liberarsi delle solite storie, degli stessi problemi, dei finali tutti uguali per timore di non accontentare il pubblico e di non vendere. Sono annoiata io, la protagonista, pensa gli altri! Se solo ti vedessero quanto fatichi per imbrigliare la fantasia negli schemi precostituiti invece di scioglierla nella sperimentazione del nuovo .,..

- Nuovo, vero? Come un foglio che parla in una macchina per scrivere?

- Solo perché non mi inserisci in un computer e non mi vedi clessidra!

- Clessidra?

- Sì, io sono il cursore, la potenza della mente dell’uomo, la fantasia, il possibile, il sogno, oppure una donna che spinge l’amica con la gamba ingessata a squadra dopo avere piantato Silvio vomitante il patè.

- Certo, potrei farti diventare buffa, tramutarti da donna fatale in spassosa svampita ...

- Ah, no, non ci sto, eh!

- Neanch’ora?

- No, perché dovrei essere svampita, perché solo gli scemi sanno ridere?

Cercò, cercò tra l’astina ferma fogli, il cesto della carta straccia, gli evidenziatori e i correttori. Senza trovare più risposta.

Decise di acquistare un computer per stare faccia a faccia con la clessidra.

E rincorrere la voce best-seller dei suoi sogni.

 

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