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Capitolo 2
Schlier
Lo Schlier Umbro-Marchigiano è caratterizzato da una successione
abbastanza monotona di varie litofacies marnoso-siltose e marnoso-argillose,
alle quali si associano subordinate litofacies marnoso-calcaree
e calcareo-marnose, più abbondanti nei settori esterni (es. Ancona).
Nei settori meridionali sono presenti anche intercalazioni di
calcareniti torbiditiche (Marne con Cerrogna) che presentano comunque
un limitata distribuzione spaziale. Non esiste allo stato attuale
un criterio definito per identificare il limite inferiore dell'unità.
Il livello vulcanoclastico "Piero della Francesca", come si è
già detto nell'ambito della descrizione del Bisciaro, non è molto
affiddabile, non essendo stata ancora verificata la sua continuità
spaziale, e non avendo valenza cartografica. Il carattere transizionale
del passaggio Bisciaro/Schlier non permette a tutt'oggi ancora
un'oggettiva collocazione del limite geologico (Dubbini et al.,
1991). Le uniche evidenze che permettono una seppur approssimativa
distinzione, sono legate all'assenza dei caratteristici strati
vulcanogenici e della diffusa silicizzazione, tipiche del Bisciaro,
nonché all'aumento dello spessore delle marne e delle marne-argillose
dello Schlier (Dubbini et al., 1991). Nello Schlier i prodotti
vulcanoderivati sono dispersi nella frazione pelitica (ad eccezione
di alcuni livelli ocracei e smectitici) e non si concentrano in
strati veri e propri come accade nel Bisciaro (Dubbini et al.,
1991). Un quadro sintetico di correlazione delle sezioni di differenti
aree dell'Appennino Umbro-Marchigiano è proposto da Cantalamessa
et al. (1986). Da questo si riconoscere come gli spessori formazionali
siano estremamente variabili e vadano da alcune decine di metri
nelle zone a sedimen-tazione condensata, ove è possibile riconosce
anche delle lacune (Cantalamessa et al., 1984), a 400 metri (Jacobacci
et al., 1974; Centamore et al., 1975, 1979; Damiani et al., 1983;
De Feyter et al., 1987 Dalle osservazioni dei vari Autori si evince
che lo Schlier Umbro-Marchigiano è caratterizzato da una variabilità
laterale ed areale nelle litofacies, negli spessori e nell'età.
Le "principali differenziazioni si sviluppano sia in senso trasversale
che longitudinale al bacino di sedimentazione" (Dubbini et al.,
1991). Per quanto concerne l'età, la base dello Schlier è burdigaliana
p.p. Inoltre, mentre nelle zone interne la deposizione della formazione
si interrompe al Langhiano e passa alla formazione della Marnoso-arenacea
s.l., nelle zone esterne si estende fino al Tortoniano superiore,
raggiungendo talora il Messi-niano inferiore. Qui lo Schlier passa
alla formazione torbiditica della Laga e/o ai "Ghioli di letto"
(Centamore et al., 1979; Micarelli e Potetti, 1985; Cantalamessa
et al.,1986, Boccaletti et al., 1987).
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L'interesse nostro è naturalmente puntato verso
la descrizione dello Schlier delle zone interne. Per questo accenniamo
ai risultati dello studio litostratigrafico-mineralografico sviluppato
da Dubbini et al. (1991) condotto nelle zone di Gubbio (fianco
orientale dell'anticlinale di Gubbio), di Sant'Angelo in Vado
(fianco occidentale dell'anticlinale di M. Montiego). In questi
settori sono state riconosciute tre litofacies tutte e tre ricche
in foraminiferi plantonici, specialmente la terza: - Litofacies
a (marne e e marne argillose grigio-azzurrognole, verde-bluastre
al taglio fresco, di spessore variabile da 20 cm fino ad un massimo
di 4 m); - Litofacies b (marne e marne calcaree bianco-giallastre,
verde-bluastre al taglio fresco, di spessore compreso tra 20 e
40 cm); - Litofacies c (marne calcaree e calcari marnosi bianco-giallastri,
grigio-verdastri al taglio fresco, con spessore compreso tra 20
e 30 cm. Da un punto di vista più generale Dubbini et al. (1991)
concludono che la scarsa presenza di strutture sedimentarie (gradazione
e laminazione), di superfici nette e/o erosive, nonché di diffuse
tracce di bioturbazione non ricollegabili a gallerie di fuga ad
alta concentrazione, siano un indizio certo per potere affermare
l'insesistenza di meccanismi di sedimentazione torbiditici per
le litofacies dello Schlier, ad esclusione che per locali fenomeni
di risedimentazione intrabacinali. Nelle sezioni di Gubbio e di
Ancona, è stata riconosciuta la presenza di abbondante glauconite
probabilmente autigena entro i gusci di foraminiferi ben conservati.
Sebbene non possano essere esclusi fenomeni di rimaneggiamento,
i dati starebbero ad indicare una sedimentazione sostanzialmente
pelagica a profondità superiori ai 1000 metri (Dubbini et al.
(1991). Come ultima considerazione di rilievo, ricordiamo che
i dati mineralogico-petrografici relativi alla frazione pelitica
dello Schlier, indicano apporti vulcanocalstici fini probabilmente
penecontemporanei alla sedimentazione. I modesti tassi di sedimentazione
delle ceneri vulcaniche presuppongono "centri vulcanici lontani
e poco attivi" (Dubbini et al., 1991). Inoltre le sostanziali
analogie dei materiali vulcanogenici con quelli del Bisciaro (Guerrera,
1977; Guerrera et al., 1986; Guerrera e Veneri, 1989a, 1989b),
nonché la graduale diminuzione verticale degli apporti vulcanoclastici,
suggeriscono la possibilità che i centri vulcanici di cui sopra
possano coincidere, almeno in parte, con quelli che relativi appunto
al Bisciaro. Ricordiamo infine che Deino et al. (in stampa) descrivono,
come è stato detto per il Bisciaro, la sezione miocenica di Moria
in cui lo Schlier, in base alla definizione da loro proposta del
limite inferiore già piu volte citata, è suddiviso nei membri
marnoso inferiore, calcareo-siliceo e marnoso superiore. In figura
20 è proposto il confronto tra la suddivisione descritta
da Deino et al. (in stampa) e quella ottenuta sulla base dei dati
descritti finora.
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