Le migrazioni protostoriche e lo psichismo collettivo
Linizio
La civiltà nacque nel Medio Oriente (1)
.
April 30, 2004
Durante il periodo glaciale le correnti atlantiche di
aria fredda, che oggi portano le piogge sullEuropa occidentale, si erano
spostate verso sud, facendo dellAfrica settentrionale e del Medio Oriente,
fino allaltopiano iranico, una fertile distesa di boschi e di pascoli.
In Algeria e nel sud della Tripolitania i cacciatori del Paelolitico Superiore
incisero sulla roccia figure di elefanti, bufali e giraffe, dove oggi non
ci sono che sabbie aride, a testimonianza di quanto dovesse essere stato
diverso da oggi lhabitat naturale di quei primi artisti preistorici. Verso
la fine di questo periodo, il trasformarsi dei fertili territori di caccia
dellAfrica settentrionale e del Medio Oriente in aridi deserti fu responsabile
della migrazione dei cacciatori mesolitici verso quelle zone che continuavano
a conservare una relativa fertilità. Il processo fu graduale, e possiamo
supporre che avvenne in concomitanza ai cambiamenti climatici che, alla
fine del quarto millennio, trovarono il Medio Oriente approssimativamente
nella situazione attuale.
Nel quarto millennio a.C., le coste dellAfrica settentrionale,
che oggi sono solo sabbie aride, conservavano ancora una relativa fertilità.
Il nord della Libia rimase coltivato a vigne e ulivi, probabilmente come
la Grecia di oggi, e popolato da numerose mandrie di bovini per altri mille
anni se, come testimoniano gli annali delle campagne militari dei Faraoni
in Nordafrica, il Faraone Sahure della V dinastia ( 2475 a.C.) contò
centomila capi di bestiame e almeno duecentomila tra asini, capre e pecore,
ma Ramsete III ( 1175 a.C.) poté portare in Egitto
un bottino di soli 3600 bovini (2).
Il progressivo inaridimento della regione, che era già
in una fase avanzata nel settimo millennio, trasformò i boschi e
le praterie in steppe e finalmente in deserti, mantenendo abitabili solo
le valli percorse dai grandi fiumi. Sotto la pressione di questi cambiamenti
climatici, luomo migrò dagli altipiani, non più fertili,
per concentrarsi nelle vallate bagnate dai grandi fiumi.
Da allora, le terre fertili dellEgitto e della Mesopotamia
sono circondate da deserti, unite da quella che chiamiamo la
mezza luna fertile, poiché prende la forma di una mezzaluna,
in corrispondenza del letto dei due grandi fiumi, Tigri-Eufrate, e la fascia fertile che dal nord della Mesopotamia si estende fino al delta del Nilo. Le due vallate, Mesopotamia e valle del Nilo, sono separate tra di loro dal grande
deserto siro-iracheno, da quello dellArabia, dellEgitto orientale e del
Sinai.
Cultura e civiltà
Il dizionario della lingua italiana definisce cultura
come linsieme dei valori delle tradizioni e dei costumi, che caratterizzano
la vita sociale di un popolo (6) . Una definizione
simile si trova sotto la voce civiltà.
In cosa consiste dunque la differenza tra le due?
Le tribù di cacciatori mesolitici che, spinti
dalla siccità, scesero dagli altipiani per concentrarsi nelle fertili
valli bagnate dai grandi fiumi, avevano certamente valori, tradizioni e
costumi comuni, come qualsiasi altro gruppo umano, ma non li definiremo
per questo una civiltà. Anche dopo che abbandonarono la vita nomade
per stabilirsi in insediamenti stabili, e fondarono i primi villaggi agricoli
sulle rive dei grandi fiumi, non lo diventarono automaticamente.
La questione non è semplice, e anche se tutti
saremo daccordo nel definire la cultura egizia, quella greca e quella
romana con il nome di civiltà, non tutti saremo ugualmente consensuali
nel definire tale la cultura ebraica, quella araba antecedente limpero
Abasside, o quella delle tribù galliche e germane sottomesse dai
Romani. Quindi, per definire un popolo civiltà, dobbiamo cercare
qualcosa di più di un insieme di valori e tradizioni comuni a
un gruppo sociale.
Ci sembra che, per fare luce su questo punto, si debba
cercare il momento in cui un gruppo sociale smette di essere una grande
famiglia o un patto di tribù, caratterizzate dalla fedeltà
di sangue e dalla coesione del clan, per organizzarsi su un livello diverso.
Questo è il momento in cui luomo supera la coesione del gruppo
per diventare homo politicus. Vi fu un momento nella storia degli
insediamenti egizi, sulle rive del Nilo, e di quelli sumeri nel sud della
Mesopotamia, in cui avvenne questo passaggio. Quale sia stato lo stimolo
che portò a tale sviluppo non è chiaro. La questione è
doppia: come mai avvenne proprio nelle valli dei fiumi, in popolazioni
completamente diverse nella loro estrazione etnica, e soprattutto come
mai avvenne simultaneamente. Il fatto che vi siano stati dei contatti
non è sufficiente a spiegare il fenomeno. Sembra che quello che
abbia permesso levoluzione sia stato il fatto che, avendo smesso di essere
delle popolazioni nomadi, abbiano così potuto superare la struttura
sociale tribale, che è per queste una necessità, per evolversi
in unorganizzazione sociale più ampia.
Per cercare di capire la questione dobbiamo cercare di
liberarci dalle costrizioni delleredità del pensiero occidentale,
che attribuisce automaticamente una connotazione positiva di carattere
normativo, o morale, a qualsiasi organizzazione umana che sia strutturata
sul modello mentale della polis greca e una connotazione negativa a qualsiasi
organizzazione diversa, sulla scia dei Greci-Romani, che definivano barbari
tutti coloro che si rifiutavano di adottare i loro modelli mentali. Una
cultura può essere estremamente sofisticata ed evoluta, come la
cultura ebraica, ed elevarsi a forme di astrazione e sublimazione altissime,
senza però adottare i modelli mentali occidentali, e senza quindi
guadagnarsi il titolo di civiltà. Come per i Sumeri in Mesopotramia,
e per gli Egizi nella valle del Nilo, lo stesso passaggio da cultura tribale
a civiltà avvenne, quasi due millenni dopo, tra i Greci, e probabilmente
la cosa fu resa possibile dallo stesso fattore: non essendoci impedimenti
climatici allinsediamento in un posto fisso e allabbandono della vita
nomade, si crearono le stesse condizioni per il superamento della struttura
sociale tribale e la creazione di una vita politica.
La politica sarà dora in poi la caratteristica
della vita sociale occidentale. Ai legami di sangue si sostituisce la contrapposizione
degli interessi delle varie classi sociali, e alle faide tra i diversi
clan si sostituisce la lotta di classe.
Coesione e colpa
Il Dodds ha percepito la metamorfosi mentale che avvenne gradualmente nella psiche greca, e ha definito i due stadi dellevoluzione ellenica come civiltà di vergogna e civiltà di colpa, avventurando anche una spiegazione sui meccanismi che causarono la trasformazione:
La famiglia era la chiave di volta della struttura sociale arcaica, la prima unità organizzata, il primo feudo del diritto. La sua organizzazione, come presso tutte le società indoeuropee, era patriarcale [solo indoeuropee?]. Il capo della famiglia era il suo re [...] Verso il padre un figlio aveva doveri, ma nessun diritto; vivo il padre, era un eterno minorenne- condizione che durò in Atene sino al VI secolo, quando Solone stabilì qualche salvaguardia [...] Si ritiene che il sistema abbia funzionato, finché lantico senso di solidarietà familiare rimase intatto [...]Ma col rilassamento dei vincoli familiari, quando lindividuo cominciò a rivendicare in misura sempre maggiore i suoi diritti e le sue responsabilità personali, dovevano sorgere quelle tensioni interne che da tanto tempo caratterizzano la vita familiare nelle società occidentali. Dallintervento legislativo di Solone possiamo dedurre che queste tendenze si fossero manifestate apertamente nel VI secolo (7).Il Dodds mette qui il punto di distacco tra quello che definisce la civiltà di vergogna da quella di colpa.
Evoluzione della società greca
Il rilassamento dei vincoli familiari, per adoperare
lespressione del Dodds, pare, dunque, essere la conditio sine qua non,
per la trasformazione di una cultura in civiltà, poiché solo
allora il singolo può sollevarsi al di sopra degli interessi limitati
del gruppo ristretto, della coesione tribale e della faziosità del
clan, per perseguire interessi sociali e culturali più larghi.
Questa è anche la premessa per la creazione della
metafisica, perché solo allora lo stress mentale, originato dalla
perdita degli affetti e della coesione del clan, trova la sua sublimazione
nella ricerca di verità più ampie e di valori più
universalmente validi. I concetti di famiglia, di gens e di patria potestà
continuarono ad essere presenti nella civiltà greco-romana, ma la
novità consistette nel fatto che questi legami, dal V secolo a.C.
in poi, furono subordinati alla sovranità della Polis, e per
i Romani a quella dello Stato.
A differenza della famiglia, del clan e della tribù,
che sono unesperienza diretta ed immanente, una realtà affettiva
scontata come i genitori lo sono per il bambino, lidea di Polis, di Patria
e di Stato rappresentano unastrazione.
Gli Eroi greci, che partono per la guerra di Troia, lo
fanno in nome del patto tra le tribù achee, in nome di quella che
la mitologia ci descrive come la vendetta della profanazione del talamo
di uno dei fratelli.
Ci pare lecito dedurre che qui sia avvenuto uno spostamento
della profanazione del talamo paterno da parte del figlio, motivo centrale
dello schema edipico, a una profanazione da parte di uno straniero (Paride),
del talamo di uno dei fratelli (Menelao). Anche qui vediamo come la coesione
del gruppo, in questo caso il patto di sangue tra le tribù achee,
risolva la tensione edipica, di cui il mito del ratto di Elena è
lo spostamento. Non a caso Elena è passata alla storia come Elena
di Troia, e non Elena di Sparta. Linizio dellepos, in cui la donna che
viene fantasticata come la più bella del mondo viene rapita da uno
straniero, non è altro che una variazione dello schema edipico come
si svolge nella tribù arcaica, in cui i fratelli coalizzati tra
di loro fantasticano di rapire la madre al padre onnipotente.
Il mito greco tradisce così i residui mnestici
dellantica rivolta dei fratelli dellorda contro il padre primigenio (10).
Lorda greca mette la città sotto assedio, rafforzamento simbolico
del corpo irraggiungibile della madre, per rapirne la regina. Il corpo
di questa, come lo spodestamento del Padre, è così, come
in ogni società tribale, un affare collettivo.
La razionalizzazione che Elena sia stata la moglie di
Menelao sparisce al di là della scena, sotto il concatenarsi serrato
della parata degli eroi greci che sfilano sotto le mura di Troia. Sia la
figura di Menelao che quella di Paride impallidiscono di fronte alla lotta
che si scatena tra i protagonisti veri dellepos: gli eroi greci da una
parte e la figura del più potente dei troiani, il vero Padre di
Troia: il domator di cavalli Ettore.
Il trionfo di Achille su di questi è la vittoria
del caporione della banda dei fratelli sul Padre, difensore invincibile
del corpo della madre, la città fortificata, ripetizione simbolica
del corpo della regina, in nome di tutto il gruppo. Lo strazio che Achille
fa del corpo delleroe troiano, e gli onori che vengono resi alla fine
a questo corpo straziato, sono la comprova dei contenuti affettivi che
trovano qui la loro espressione.
Come descrive Freud in Totem e tabù, i
fratelli dellorda si coalizzano per uccidere il padre, e una volta ottenuto
il loro scopo, presi dal rimorso, onorano e adorano il corpo del padre
morto. Il senso di colpa trova la sua catarsi nella fine simile che spetterà
ad Achille, il caporione dei fratelli, che aveva preso su di se di compiere
latto liberatorio e sacrilego. Con le parole di Teti al figlio: ...uccidendo
Ettore, morirai tu stesso, poiché subito dopo Ettore è pronto
il tuo destino (Il. XVIII 96; 98;104).
Per questo Achille è la figura principale di tutta
la guerra di Troia, e il suo destino era già stabilito fin dallinizio,
poiché se suo era il compito di sopraffare la figura del Padre,
questo inevitabile misfatto non poteva venir lasciato impunito.
Nei miti greci, particolarmente quelli più arcaici,
ogni pulsione particolare viene raffigurata separatamente e attribuita
e un Eroe diverso. Vediamo così che, se la pulsione parricida viene
rappresentata da Achille, quella incestuosa viene rappresentata da Ulisse.
Questi infatti, è colui che escogita il marchingegno per la penetrazione
di Troia, la città fortificata. Il cavallo, simbolo fallico maschile,
penetra Troia dopo che vengono demolite parte della mura per lasciarlo
passare, rappresentazione simbolica della breccia aperta nelle mura
dalla deflorazione. Anche leruzione degli Eroi greci dal cavallo, dopo
che questo aveva penetrato la città, rappresenta la eiaculazione
e la consumazione finale dellincesto.
Se Achille, il parricida, era stato punito con la morte,
Ulisse, lincestuoso, verrà punito con uninterminabile peregrinazione
(11) . Vediamo come il mito dellIliade sia
unespressione delle tensioni edipiche e la loro soluzione come queste
si rispecchiavano nella società greca, quando questa era ancora
strutturata in unorganizzazione tribale, molti secoli prima che i Greci
si sviluppassero a civiltà, e come diversamente queste tensioni
troveranno la loro catarsi attraverso la tragedia sofoclea, nella Grecia
del V sec a.C.
La realtà sociale descritta da Omero è
ancora ben lontana dalla realtà di una fedeltà alla Polis,
o a uno Stato e una Patria. La guerra si scatena in nome della coesione
tra gli Eroi achei, secondo la razionalizzazione, dopo che il talamo di
uno di questi era stato profanato. La profonda commozione che provavano
i Greci a sentir decantare le gesta degli Eroi era in parte risvegliata
dalla acuta nostalgia che provava il Greco per questi ricordi ormai rimossi di fedeltà di legami di sangue,
e del misfatto primordiale compiuto dalla banda dei fratelli coalizzata,
e non solo dal singolo, come nellOedipus Rex.
Come più invidiabile è la sorte di Achille,
che compie il gesto in nome di tutti i fratelli, piuttosto di quella di
Edipo, che è solo sotto il peso della colpa e di fronte al suo destino!
Achille muore da eroe, e come tale viene ricordato. Edipo si mutilerà,
accecandosi. Il senso di colpa, insostenibile poiché privato del
sollievo dellapprovazione del gruppo, tramuta lepos in nevrosi.
Quando Socrate, a cavallo tra il V e il IV secolo, acconsente
a bere la cicuta e si rifiuta di fuggire poiché, se il cittadino
riceve il bene dallo Stato, deve essere pronto a ricevere anche il male,
pur di non sovvertirne le leggi: ...O pensi che possa sopravvivere,
e non essere sovvertita, una città in cui le sentenze pronunciate
non hanno efficacia, e possono essere invalidate e annullate da privati
cittadini? (Crit. 50,b), afferma un principio metafisico di
sottomissione alla sovranità dello Stato che sarebbe stato assolutamente
incomprensibile agli Eroi achei descritti da Omero.
Socrate riassume, con le sue parole, la metamorfosi,
avvenuta nella società greca, il cui svolgimento si era completato
nel 399, data del famoso processo:
Con tutta la tua sapienza non ti rendi conto che la patria è più preziosa sia della madre che del padre e di tutti i tuoi antenati, e più sacra più venerabile, più degna di considerazione da parte degli dei e degli uomini assennati; e che le si deve obbedire e servirla anche nelle sue ire, più che un padre? E che lalternativa è fra persuaderla o eseguire i suoi ordini, soffrendo in silenzio se ci impone di soffrire, si tratti di essere battuti o imprigionati, o anche di essere feriti o uccisi se ci manda in guerra...se è unempietà usar violenza contro il padre e la madre, tanto più lo sarà contro la patria (Crit. 51,b-c).Quale differenza dalla concezione tribale dove la madre, il padre e gli antenati sono la patria! Gli eroi greci si chiamano ancora con il nome del padre: Achille è il pelide, Agamennone e Menelao gli atridi, ecc. Nel quarto secolo non vi è più quasi traccia di questi eponimi, e i compagni di Socrate vengono denominati ognuno con il suo nome personale.
Sfida e inibizione
A questo punto si pone la questione come mai non tutte
le culture che ebbero la possibilità di abbandonare la vita nomade,
e di superare così la struttura sociale e mentale tribale, fecero
questo passo. Come mai non avvenne lo stesso per le tribù germaniche,
galliche, elvetiche ecc. fino al loro incontro con i Romani, e in realtà
neppure allora? Probabilmente la risposta sta nel fatto che le condizioni
climatiche permettono un determinato sviluppo ma non lo impongono, e sono
necessari altri fattori, affinché la metamorfosi venga consumata.
I Greci abbandonarono la struttura sociale tribale, ma
non lo fecero appena la cosa si rese possibile, poiché sotto questo
aspetto lo era stata molti secoli prima, bensì ci volle un periodo
di evoluzione e maturazione, processi che per molte tribù non si
verificarono mai. Per abbandonare una determinata posizione mentale ed
evolversi, non basta che questo sia possibile, bensì che ci sia
anche una mancanza di inibizione nellabbandonare una fedeltà atavica,
da una parte, e uno stimolo da stress dallaltra: quello che viene chiamato:
la sfida della natura.
Per le popolazioni dellEgitto e della Mesopotamia, la
sfida della natura fu la necessità di imbrigliare le proprie energie
allo sforzo comune delle opere pubbliche, necessarie a canalizzare le acque
dei fiumi, là dove la mancanza di piogge precludeva ogni alternativa.
Questo stimolo mancò alle tribù europee, che non si trovarono
nella necessità di doversi organizzare in una struttura sociale
che canalizzi le energie collettive in opere necessarie alla sopravvivenza
comune.
Il secondo fattore è che il superamento della
struttura sociale tribale necessita, oltre che delle condizioni climatiche
che permettano labbandono della vita nomade e lo stimolo da stress che
ne dia limpulso, anche di un processo di maturazione che permetta il superamento
mentale di tale struttura. È a questo punto che si riferisce linibizione.
Se un popolo può abbandonare la struttura mentale tribale ma è
inibito dal farlo, per esempio per la presenza di un opprimente senso di
colpa che gli impedisca di abbandonare la Legge del Padre, non potrà
superare il proprio tribalismo. Molte popolazioni, anche dopo che passarono
da una vita nomade a una fissa dimora, non abbandonarono automaticamente
la struttura sociale tribale e, anche dove la cosa avvenne, conservarono
però la struttura mentale di questa, creando degli Stati ma rimanendo
nella loro psiche una grande clan.
Così vediamo come, in Egitto e in Mesopotamia,
labbandono di una organizzazione tribale fu non solo una possibilità
ma, sotto lo stimolo della sfida della natura, forte e impellente per la
loro stessa sopravvivenza, diventò subito una necessità.
Per i Greci, le possibilità climatiche e la mancanza dinibizioni
maturò fino alla piena realizzazione di questa possibilità,
in tutta la gamma dei suoi aspetti, mentre, presso le tribù germaniche,
lincontro con la civiltà greco-romana diede limpulso ad amalgamarsi
a questa, ma non riuscirono ad assorbirne il modus mentale.
Linfatuazione degli studiosi tedeschi del secolo scorso
per la cultura classica non è altro che un sintomo da invidia di
chi desidera ardentemente essere qualcosaltro. In realtà, anche
dopo aver abbandonato la vita nomade e aver formato degli Stati, nel profondo
della loro psiche le tribù germaniche ne conservarono il modus mentale.
Lesperienza di questo secolo ci mostra come la realtà
tribale di fedeltà di sangue e di asservimento a un capo sia ben
radicata sotto lepidermide tedesca e mai abbandonata. Parlare di razza
è come parlare di tribù. Se Mussolini parlava di fedeltà
alla patria, Hitler parlava di fedeltà di sangue; Ein Volk, Ein
Reich, Ein Fuhrer diventò il grido di nostalgia per lantico
capo dellorda dei fratelli, che li guidi alle conquiste sotto il segno
della coesione del gruppo, assoluta e indiscutibile. Da qui anche lurgenza
di espellere dal proprio tessuto sociale qualsiasi elemento che possa venire
percepito come estraneo allomogeneità del gruppo.
Per riassumere, chiameremo una cultura civiltà,
solo dopo che questa si sia staccata dai legami affettivi della particolarità
tribale, per evolversi in una concezione più allargata. Definiremo
quindi civiltà, quella sumera, quella babilonese, quella egizia
e quella greco-romana, ma non quella beduina, quella tedesca o quella vikinga,
e nemmeno quella ebraica, per quanto sublimata e sofisticata questultima
sia diventata durante i secoli. In questo schema sono possibili variazioni
e prodotti ibridi, dove elementi di tribalismo possono essere amalgamati
in un determinato sviluppo, e diventare strati atrofizzati, ma parte integrale
di una civiltà.
Lurbanizzazione
La prima città del mondo fu Gerico (12).
Nel bel mezzo della valle del Giordano, i primi agricoltori neolitici del
settimo millennio riuscirono, grazie alle abbondanti sorgenti di cui gode
il luogo, a creare sufficienti surplus di prodotti agricoli. Una parte
della popolazione fu in grado, così, di dedicarsi alla costruzione
di un possente muro di cinta, che in alcuni punti raggiunge lo spessore
di nove metri e mezzo, accompagnato da una torre del raggio di quasi nove
metri. In un periodo, in cui non era ancora stata scoperta la possibilità
di produrre i primi utensili di ceramica, e gli abitanti dovevano accontentarsi
di usare utensili di legno e di pietra, il luogo fu munito di mura e fortificazioni
di uno spessore da far invidia ai castelli medievali.
Niente sappiamo nè della lingua nè dellestrazione
etnica di questi primi cittadini, poiché il nome di città
è quello che gli archeologi danno a un insediamento quando questo
viene circondato da un muro di cinta, e Gerico rimase un unicuum, nel Medio
Oriente, per altri quattro millenni (13).
Alla fine del quarto millennio (3200 a.C) avvenne un
fenomeno inesplicabile in tutto il Medio Oriente, straordinario per il
suo vigore e per il breve lasso di tempo in cui si concretizzò.
Dagli sparsi insediamenti agricoli predinastici sulle rive del Nilo, si
organizzò una struttura sociale che prese subito la forma di uno
Stato.
Qui il centro del potere fu, fin dallinizio, concentrato
nella figura del faraone, e non ci fu un passaggio graduale da centri cittadini
politicamente autonomi. LEgitto fu subito uno Stato, e poco dopo un impero.
Le prime dinastie allargarono la propria influenza alla
Nubia, alla Libia e alle coste della Palestina, fino a Biblos, in Fenicia,
dove dal quarto millennio in poi furono stabiliti dei capisaldi egizi.
La peculiarità di questo fenomeno è tale che, con le parole
di Sir Flinders Petrie, si può paragonare a un uomo che sia nato
già adulto. La civiltà nacque immediatamente, in quanto
gli sparsi villaggi dellEgitto predinastico traslarono subito la propria
coesione e fedeltà tribale e la sublimarono, dirigendola sulla figura
del faraone, che rappresenterà anche lastrazione dei concetti di
Stato e di Patria. In queste condizioni, non ci fu alcuna difficoltà
nellarruolare le energie della collettività al servizio del faraone
e dello Stato, poiché luno era anche laltro. Lautoidentificazione
dellEgizio con il faraone era assoluta, poiché questi condensava
in sé sia la figura del Padre tribale che quella dello Stato. Le
energie dedicate al padre della tribù si fusero con quelle dedicate
al concetto astratto di patria, creando una sintesi indistruttibile, come
la lega tra due metalli che ne creano un terzo più forte di entrambi.
Contenuti tribali di fedeltà al padre comune trovarono, paradossalmente,
la propria espressione in una forma molto avanzata di rinuncia a qualsiasi
identità di clan e di fazione. Lo stadio di evoluzione, in cui una
fedeltà tribale viene sublimata ma ristretta ai concittadini abitanti
dello stesso luogo cintato di mura di cinta, venne qui completamente saltata:
niente più famiglia, clan, gens, ma nemmeno partiti politici che
esprimano gli interessi di un gruppo di cittadini non più legati
da un legame di sangue ma da interessi economici comuni.
Se il superamento della struttura tribale aprì
ai Greci la possibilità di fare delle scelte, di organizzarsi in
partiti politici e perseguire i propri interessi liberi dalle costrizioni
delle imposizioni della famiglia e del Padre, non fu questo il caso dellEgitto.
Qui lautorità della figura del Padre e dello Stato furono potenziati
ai limiti del possibile, creando una civiltà che, avendo eliminato
qualsiasi fazionalità di gruppo, può certamente essere definita
tale, ma avendo saltato tutti gli stadi necessari che fanno di una civiltà
il prodotto di una maturazione, si condannò così alla paralisi.
Un uomo nato già adulto sarebbe destinato anche a non maturare ulteriormente,
e come ha già notato Sir Flinders Petrie, tutti i modelli culturali
e sociali che caratterizzarono tremila anni di storia egizia, erano presenti
e completamente formati già dalla terza dinastia, prima della fine
del quarto millennio.
Le città egizie venivano fondate dai Faraoni,
e così usavano fare allinizio di una nuova dinastia, come simbolo
di autorità e di riaffermazione dellordine costituito, mentre nel
resto del Medio Oriente e più tardi in Grecia, la città rappresentava
la libertà e lindipendenza da qualsiasi potere centrale: unacquisita
consapevolezza di autodeterminazione dei cittadini, che sposteranno a questa
la fedeltà che precedentemente era stata focalizzata sui legami
del clan.
In Mesopotamia, verso la fine del quarto millennio, i
villaggi indipendenti nel delta dei grandi fiumi non solo crebbero notevolmente
in dimensione, bensì cominciarono ad essere caratterizzati da unattività
febbrile di costruzione di edifici pubblici. Per la prima volta si può
parlare qui di costruzioni monumentali. Anche qui, come in Egitto, si può
tastare la nuova atmosfera di canalizzazione febbrile di tutte le energie
in opere dirette al bene comune. La beneficiaria è la città,
e a questa sono dirette le energie del cittadino che identifica il bene
di questa con il proprio. La città, come sarà più
tardi per i Greci, è città-stato. I templi sono centri amministrativi
e i sacerdoti rappresentano la burocrazia municipale. Anche se non
si può parlare di una vera e propria democrazia, come sarà
molto dopo nella polis greca, i cittadini delle città sumere sono
uomini liberi che dedicano una parte del loro tempo a coltivare i campi
del tempio, come mezzo tributario a favore della cassa comune, e da questa
vengono finanziate le opere pubbliche.
Per comprendere limportanza della città come
fattore nel modellamento della società, non bisogna pensarla come
una mera conglomerazione umana. La maggior parte delle città moderne
ha perso il carattere peculiare che avevano le città dellEuropa
Medioevale, della Grecia e della Mesopotamia. Lesistenza fisica della
città è anche la rappresentazione delle affinità che
dominano lesistenza comune dei suoi abitanti. Le mura di cinta separano
i cittadini dagli altri abitanti del paese, determinano le relazioni con
il mondo esteriore, e producono unautoidentità tra di loro e un
orgoglio di appartenenza che sostituisce quello di appartenenza al gruppo
etnico.
Il cambiamento, però, non fu senza svantaggi,
specialmente in un paese come la Mesopotamia. La modesta vita del villaggio
preistorico si inseriva nellambiente circostante, ma la città era
un elemento in contrasto con lordine naturale delle cose, e i frequenti
disastri ambientali non mancarono di rivalersi della sfida umana. In Mesopotamia
le condizioni naturali, nella loro similitudine, sono molto diverse da
quelle dellEgitto. Cambiamenti improvvisi possono creare condizioni al
di là del controllo delluomo. Lalta marea nel Golfo Persico può
salire a quattro metri di altezza; raffiche di vento del sud possono sollevare
i fiumi fino a un metro al di là delle sponde. Nevicate straordinarie
in Armenia, o precipitazioni più a sud possono causare unimprovvisa
inondazione. Una frana nella gola del Khabur può prima provocare
unotturazione e poi rilasciare allimprovviso unenorme quantità
dacqua. Ognuna di queste circostanze può creare un flusso che i
margini del piano non possono contenere. In tempi preistorici, quando gli
agricoltori seminavano per approfittare di un raccolto dopo uninondazione,
era possibile adattare i villaggi a ogni nuova ridistribuzione, causata
dalla natura, di acqua e terreno, anche se i villaggi venivano frequentemente
distrutti. Ma grandi città permanenti, dipendenti dallirrigazione
e dal drenaggio, hanno bisogno di canali dirrigazione stabili che necessitano
di riparazioni e di una continua opera di vigilanza. Il Tigri porta con
sé dei sedimenti, così che i canali possono facilmente venire
bloccati. Anche con una regolare manutenzione, le acque salgono gradualmente
sopra il piano ed è sempre pendente il rischio di un'inondazione. Nel 1831 il Tigri straripò
improvvisamente, ruppe i propri margini, e distrusse 7.000 case a Baghdad
in una sola notte.
La tensione tra la consapevolezza dellimprevedibilità
del comportamento dei fiumi, e la necessità di piegarli al soddisfacimento
dei propri bisogni, furono quello che diede limpronta alla società
e alla religione mesopotamiche.
In Egitto, in contrasto, dove tutto era prevedibile a
priori, un prevedibile dio-Faraone rappresentava anche tutte le forze divine
della natura, mentre in Mesopotamia ogni città doveva incaricare
il proprio dio specifico di proteggerli da un futuro sempre incerto. Per
esorcizzare la minaccia dei fiumi che scorrono in una pianura piatta e
senza alture naturali, furono costruiti templi su montagne artificiali
di mattoni di argilla fatti asciugare al sole (Ziggurat), come sfida
e scongiuro al terrore della pianura. Il mito biblico della torre di Babele
è uneco di queste torri elevate verso il cielo, a supplica e sfida
in ununica condensazione.
La sfida, lanciata dalla natura, fu accolta e superata
dai Sumeri come dagli Egizi, ma la forma che presero le soluzioni fu diversa.
Qui venne creato un Super-Stato, là delle città -- stato
indipendenti: in entrambi i casi lo stress esistenziale, indotto dalla
natura ostile, fu esorcizzato attraverso il superamento delle costrizioni
della struttura sociale e mentale tribale in un organizzazione sociale
più vasta e più efficiente che permetta di affrontare le
difficoltà ambientali.
In Palestina, la sfida posta dalla natura era rappresentata
dalla concentrazione delle piogge annuali in una stretta fascia, che dava
ai suoi abitanti il monopolio sulla produzione agricola. Il bisogno di
difendersi dalle tentazione dei seminomadi di invadere il seminato, particolarmente
nei frequenti periodi di siccità, e la minaccia delle improvvise
razzie beduine creavano lo stimolo a munirsi di massicce fortificazioni,
e sorsero numerose città-stato vicino alle fonti dacqua e lungo
le due strade internazionali attraverso le quali venivano mantenuti i contatti
tra le civiltà dei grandi fiumi.
Le città-stato palestinesi erano diverse da quelle
della Mesopotamia, in quanto non vi sono i grandi fiumi da canalizzare,
e di conseguenza non fu sentito il bisogno di dedicarsi a opere pubbliche
monumentali. La burocrazia cittadina non si sviluppò mai come nelle
città sumere e, tranne che per le mura di cinta, quasi non si trova
qui edilizia monumentale. Anche la scrittura tardò ad essere usata,
e solo nel secondo millennio, accanto ai caratteri cuneiformi sillabici,
invenzione mesopotamica dellinizio del quarto, apparirono i primi caratteri
alfabetici, come innovazione ebraico-canaanea che molto facilitò
il suo impiego. In Palestina non sorsero mai opere come le Piramidi o i
Ziggurat, e non si ha notizia di una organizzazione gerarchica della società.
Difficilmente possiamo parlare della civiltà
canaanea del terzo millennio, poiché ne sappiamo troppo poco per
concludere se anche qui fosse avvenuta quella metamorfosi mentale da tribù
a stato, come si discerne, invece, chiaramente in Egitto e Mesopotamia.
Senza il bisogno di intraprendere opere pubbliche monumentali, mancò
anche lo stimolo ad inventare o usare largamente la scrittura, come invece
avveniva nelle valli dei grandi fiumi.
Comunque sia, il fatto stesso di essersi organizzati
in società autonome, ristrette entro le mura di cinta di un posto
fisso, deve aver almeno gettato il seme per un graduale distacco dalla
mentalità tribale che invece rimase lunico modus vivendi
dei seminomadi e dei beduini. Mancando documenti scritti autonomi che si
riferiscono a questo periodo, non sappiamo neppure con sicurezza se questi
Cananei, a cavallo tra il quarto e il terzo millennio, siano stati semiti
o di qualche ceppo indoeuropeo, ma da qualche allusione come appare nei
geroglifici Egizi della fine del quarto millennio, siamo propensi a pensare
che si trattasse di semiti. Infatti le parole farina (Qamhu) e vino
(Karmu) in egizio arcaico erano parole semitiche, allusione al fatto
che in questo periodo la Palestina doveva essere stata molto più
fertile che al giorno doggi ed era la terra per eccellenza del grano e
della vigna.
Staticità ed evoluzione
Mentre lEgitto rimase omogeneo per tutti e tre i millenni
della sua esistenza, espurgando violentemente le influenze straniere che
gli erano state imposte durante le dinastie Hiksos, o qualsiasi tentativo
di cambiamenti drastici, come ai tempi della rivoluzione religiosa di Amenophis
IV (XIV sec.), e ritornando sempre, dopo periodi di crisi, ai propri immutati
modelli culturali, la situazione in Mesopotamia fu diversa. Come abbiamo
visto, la natura era qui meno benevola e prevedibile che in Egitto, che
Erodoto acutamente definì un dono del Nilo. A differenza del fiume
egizio, il Tigri straripa senza preavviso alcuno. Inoltre la valle dei
due fiumi è meno isolata dellEgitto, il cui governo centralizzato
riusciva a meglio contenere la pressione dei nomadi dal deserto. Gli asiatici
del Sinai si presentavano come mendicanti alle porte dellEgitto e non
rappresentavano una vera minaccia per il contadino, che viveva una vita
indisturbata tra i canali e le piante di papiro, in unatmosfera pastorale,
sotto locchio vigile dei sorveglianti del Faraone.
In Mesopotamia le città sumere, spesso in conflitto
tra di loro, erano vulnerabili, non solo alle scorribande dei nomadi del
deserto occidentale e dalla penisola arabica, ma soprattutto alla continue
pressioni delle popolazioni che dalla Siria settentrionale, dalla Grusia,
dallArmenia e dal Kurdistan avevano la strada aperta entro la valle dei
due fiumi, senza che alcuno ostacolo naturale precludesse loro la via.
Elementi etnici diversi poterono così mescolarsi tra di loro.
Le città democratiche dei Sumeri, già dallinizio
del terzo millennio, cessarono di essere tali. Come accadrà tre
millenni dopo a Roma, il cittadino che veniva investito di poteri dittatoriali
nei momenti di pericolo, per tornare a essere uno tra i pari quando questo
cessava, non sempre delegava il potere alla fine delle ostilità.
LEnsi, che era responsabile della suddivisione degli allottamenti
dei pezzi di terreno tra i cittadini e della divisione del lavoro e delle
corvées, fu investito anche dei poteri della difesa e della politica
estera, e questo accentramento del potere sfociò, sempre più
frequentemente, nella dittatura.
Nel 2340 un alto ufficiale della città di Kish,
Sargon fondò una città indipendente, Akkad, e intraprese
un percorso che, attraverso la soggezione delle città vicine, portò
alla formazione di un impero. Mille anni di vita urbana indipendente arrivarono
così alla fine. Come succederà duemila anni più tardi
in Grecia, dove un tiranno venuto dal nord metterà fine allindipendenza
delle città greche e fonderà un impero, così il conglomerato
etnico che si era formato in Mesopotamia trovò una nuova struttura
sociale sotto legemonia di un tiranno. Qui si formò il classico
stampo evolutivo, che si ripeterà poi anche nella storia dellOccidente,
di passaggio dalla forma tribale dellorganizzazione dei clan alla struttura
sociale della vita urbana, organizzazione democratica tra pari, allemergenza
di unoligarchia locale, alla tirannia di uno dei cittadini, alla perdita
finale dellindipendenza e allincorporazione in un impero. Questo stesso
modello si ripeterà sia in Grecia, che nellEuropa medioevale, dove
ai Comuni si sostituiranno le Signorie, che a loro volta verranno periodicamente
incorporate in un regno o in un impero.
Una società egualitaria si era così gradualmente
trasformata, e il potere assunto dal tiranno si rifletteva nelle vessazioni
dei suoi burocrati su quelli che, da cittadini, si erano gradualmente trasformati
in sudditi. Con Sargon, per la prima volta diventa dominante un elemento
estraneo etnicamente alle popolazioni che formavano la civiltà urbana
delle città Sumere. I Sumeri, che erano di estrazione forse indoeuropea,
certamente non semitica, si mescolarono così ad elementi semitici
che si erano infiltrati attraverso il Nord della Mesopotamia, forse dalla
Siria e forse, in parte, dal deserto occidentale.
I documenti ufficiali e molti contratti verranno dora
in poi scritti in Accade, che è una lingua che fa parte del ceppo
definito semitico-orientale (14). Il
modello culturale di città-stato con il tempio sopraelevato, che
era emigrato lentamente, durante i secoli, dal sud della Mesopotamia fino
alla Siria, trovò ora la sua contropartita nellinfiltrazione linguistica
che dalla Siria diventò dominante in tutta la Mesopotamia. Gli studiosi
sono divisi nella loro opinione se lavvento di Sargon lAccade rappresenti
una conquista straniera, poiché gli elementi semitico-orientali
si erano da secoli mischiati ai Sumeri, e rappresentavano ormai un unico
conglomerato etnico, ma in ogni caso il suo regno rappresenta senza dubbio
un nuovo inizio. Nelle arti si esprime un nuovo spirito di magnificenza
monumentale. Nella politica avviene un tentativo, assolutamente nuovo,
di creare ununità politica che includa in essa la città-stato,
ma che superi i suoi limiti. La dinastia di Sargon e la prima di una successione
di monarchi che consistentemente reclamano la sovranità su tutta
la Mesopotamia.
La nuova idea di unità politica, che supera quella
limitata di città-stato, si riallaccia ai concetti semitici di fedeltà
al capo e alla sua stirpe. Come ha notato Frankfort: Tra la maggior parte
dei popoli semiti la fedeltà al clan è sempre il legame politico
più forte (15). Secondo noi, la questione
della fedeltà al clan non è tanto una questione etnica di
semiti o indoeuropei, quanto una di struttura sociale. I Turchi, che non
sono semiti, e così i mongoli, le tribù delle steppe asiatiche,
i Galli e le tribù germaniche erano ugualmente fedeli ai loro clan,
in quanto, essendo nomadi, questa è lunica forma di fedeltà
che conoscevano. Basta pensare agli Scozzesi che ancora oggi indossano
il kilt, con il simbolo del clan, e agli Svizzeri, per i quali i
moderni cantoni rappresentano la trasfigurazioine moderna dei clan originali
al punto che hanno conservato limmagine di un animale diverso come simbolo
totemico di ogni gruppo.
Vediamo, così, come i legami della fedeltà
di sangue, che erano stati superati dal modus mentale della città-stato,
rientrano qui dalla porta posteriore, per amalgamarsi in ununica sintesi
con i concetti da cui erano stati superati. Una regressione mentale parziale,
dunque, ma pur sempre unevoluzione. Il vantaggio di questo nuovo prodotto
sociale e mentale è la capacità di concepire la politica
come linteresse di conglomerati più vasti, stati ed imperi,
lì dove gli interessi campanilistici limitavano il panorama mentale
e politico delle città indipendenti. Lo stesso modello si ripeterà
in Grecia, dove la frazionalità delle città sarà anche
la sua debolezza, e nuovamente nei comuni medioevali. In entrambi i casi
sia democrazia che indipendenza non potranno essere mantenute a lungo.
Limpero di Sargon fu il primo di una serie, che si susseguirono
al potere in Mesopotamia, durante i due millenni che precedettero
la conquista macedone.
Il secondo millennio
La fine del terzo millennio segnò per il medio
Oriente anche la fine di un lungo periodo di stabilità etnica
e culturale. Come abbiamo visto in Mesopotamia, lamalgamento tra Sumeri
e Semiti orientali era avvenuto gradualmente e senza traumi improvvisi.
Anche il passaggio da città-stato a impero era avvenuta come unevoluzione
naturale, ed era bastata una pressione limitata per soggiogare i frazionati
centri politici a un potere centrale.
Le città-stato della Palestina erano riuscite
a mantenere per mille anni lequilibrio precario tra deserto e seminato,
e gli abitanti uscivano ogni giorno a coltivare i campi intorno alle mura
ciclopiche che li proteggevano, ed esigevano un pedaggio dalle carovane
che solcavano le strade internazionali nella loro vicinanza.
La terra del Nilo aveva vissuto mille anni di beato isolamento,
concentrando tutte le sue energie sulla figura del faraone, che impersonava
lEgitto stesso. Al di là del braccio orientale del delta nilotico
esistevano per loro solo i barbari delle dune del Sinai. Linfluenza egizia
maggiore, al di là della valle del Nilo, era sentita nelle città
della costa Fenicia, dove arrivavano per via mare, e Biblos fu da sempre
un caposaldo egizio.
Intorno al 2200 a.C. avvenne qualcosa che cambiò
tutto. Il cambiamento fu improvviso e violento e non risparmiò nessuno.
I risultati sono chiari ed evidenti, le cause oscure e discusse. Alcuni
studiosi parlano di un susseguirsi atroce di anni di carestia, altri di
migrazioni di popolazioni nuove dal nord, che fecero alle civiltà
della mezzaluna fertile quello che le invasioni dei barbari faranno allimpero
romano nei primi secoli della nostra era. Quello che è chiaro è
che nessuna diga tenne. I risultati più evidenti si notano in Palestina,
dove tutte le città massivamente fortificate furono distrutte o
abbandonate. Uno spesso strato di cenere marca la fine di alcune di esse.
A Beit Ierach, sulle sponde sud-occidentali del lago di Tiberiade, una
città con un muro di cinta dello spessore di otto metri, che era
stato mantenuto per mille anni, venne improvvisamente abbandonata (16).
A Gerico uno spesso strato di cenere marca la fine della prospera città
del terzo millennio (17). A Megiddo, la città
fondata sul più importante bivio della strada internazionale, il
posto, che era fortificato da un muro di cinta dello spessore di otto metri,
venne completamente abbandonato (18). La città
di Arad, nel Neghev settentrionale, munita di bastioni e di torri monumentali,
fornita di numerosi reservoir dacqua, a causa della zona arida in cui
si trova, fu distrutta e mai ricostruita fino allepoca della monarchia
giudaica (19), milleduecento anni dopo.
Ma forse la storia più strabiliante di tutte è
quella di Ai: era questa la città più prospera della Samaria.
Conteneva i templi e i palazzi più monumentali della Palestina.
Una vasta città, secondo i termini di quellepoca, si stendeva ai
piedi di unacropoli fortificata. La sua fine è marcata da uno strato
di cenere tra i più spessi che siano mai stati rinvenuti in scavi
archeologici, a testimonianza della violenza della distruzione. Ma le tracce
del trauma si estesero molto più lontano. Dai risultati degli scavi
è comprovato che la città non fu più ricostruita per
i prossimi 1500 anni (20).
Quando mille anni dopo gli Israeliti conquistarono la
Palestina, la città era ancora solo una collina di macerie. La dettagliata
descrizione biblica della conquista di Ai da parte di Giosuè (Gios.,
8,1-28) descrive un fatto mai avvenuto, e gli Israeliti non poterono distruggere
una città che era stata già distrutta più di milleduecento
anni prima e da allora era rimasta nella sua desolazione. La spiegazione
va ricercata nellimpressione traumatizzante che doveva aver fatto quella
montagna di macerie sui nuovi abitanti israeliti, che ne attribuirono la
distruzione a Giosuè, il conquistatore par excellence. Il nome stesso,
Ai, significa in ebraico cumulo di macerie. La descrizione biblica si
dilunga talmente in particolari proprio per allontanare il dubbio che una
tale impresa possa essere stata compiuta da qualcun altro.
Parallelamente
agli avvenimenti in Palestina, in Egitto con la VI dinastia si concludeva
il Regno Antico ed anche qui si entrò in un periodo oscuro e turbolento
che durò almeno 300 anni. Neppure lEgitto riuscì a essere
immune al terremoto che passava sul Medio Oriente. Questo fu però
anche il primo a ritornare sulla strada conosciuta.
In Mesopotamia, limpero Accade crollò sotto la
pressione di invasioni di semiti occidentali, probabilmente dalla penisola
arabica attraverso il sud della Mesopotamia.
Il risultato di tutto questo scompiglio furono vaste
migrazione di popoli lungo tutta la mezzaluna fertile. Nei tre secoli che
si susseguirono al crollo della civiltà urbana del Bronzo Antico
la Palestina diventò quella che la Bibbia ci descrive come la terra
dei Cananei, gli Amorrei, gli Hittiti, i Gergesei, i Perizziti, i Gebusei,
e gli Evei (Deut. 7,1; 20,17; Gios., 3,10; 11,2-3).
Una parte di questi erano di origine indoeuropea, come certamente lo erano
gli Ittiti e probabilmente i Perizziti (forse i Frigi), gli Evei, e i Gebusei,
che abitavano Gerusalemme ancora ai tempi di Davide, sulle soglie del primo
millennio, e dai quali questi la conquistò (2 Sam., 5,6-9),
mentre Uria lIttita era lufficiale al servizio di Davide, da cui questo
rapì la moglie (2 Sam., 11,1-17).
Ma lelemento dominante era costituito dai Cananei e
dagli Amorrei, che erano semiti. La Bibbia definisce tutta la Palestina
come Eretz Canaan, terra del Cananeo e dalle prime scritte in questa lingua
appare chiaro che, dalla seconda metà del secondo millennio, su
tutte e due le sponde del Giordano la lingua parlata era ununica lingua
di cui faceva parte il cananeo, lammonita, il moavita, il fenicio e lebraico.
Dialetti che non si distinguono quasi tra di loro.
Appare chiaro, dunque, che la distinzione tra Cananei,
Ammoniti, Moabiti, Givoniti, Fenici, che la Bibbia chiama Sidoniti, ed
Ebrei sia una distinzione geografica o sociale, ma non etnica. Leco delle
migrazioni di popoli della prima metà del secondo millennio si rispecchia
nella saga biblica della famiglia di Nacor-Terah- Abram:
Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei (21) per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. Letà della vita di Terah fu di duecentocinque anni; Terah morì in Carran (Gn., 11,31-2).La migrazione dalla Mesopotamia verso la Palestina era cominciata già da Terah, padre di Abramo, che era migrato con la sua famiglia dallestremo sud della Mesopotamia, Ur, antichissima città-stato sumera, fino a Carran, allestremo nord della valle dei due fiumi, ai confini con la Siria (oggi in Turchia), lungo il percorso classico delle carovane. In seguito si vedrà come Abramo arriverà fino allEgitto (Gn., 12,10). In due generazioni, la famiglia di Terah-Abramo avrà percorso tutta la mezzaluna fertile, dallestremo sud della Mesopotamia, attraverso la Siria e la Palestina, fino allEgitto, e da li ritornerà in Palestina.
Un giovane leone è Giuda (Gn., 49,9)
Nella tradizione biblica, le genealogie e le parentele
tra i vari popoli sono raccontate attraverso le storie dei singoli eroi.
Avviene dunque una personificazione, dove il nome di una tribù,
o di un ramo di questa, vengono fatti risalire ad un antenato, che diventa
padre di
.I Semiti vengono da Sem, i Camiti da Cam, gli Edumiti da Edom,
gli Israeliti da Israele, I Giudei da Giuda, i Beniamiti da Beniamino e
così via.
Questa è unestensione del concetto ancora più
primitivo in cui un clan elegge a proprio totem un animale, che viene considerato
il padre di tutto il clan e ne prende il nome, non solo, ma persino ne
imita la voce e si attribuisce le sue peculiarità (22).
Tra gli Indiani dAmerica un clan è quello del lupo o dellorso,
e tutto il clan sono i figli del lupo o dellorso e ne acquistano anche
le qualità, coraggio, forza ecc.
Lo stesso avviene per le tribù selvagge dellAfrica
e dellAustralia, e oggi abbiamo a nostra disposizione esaurienti ricerche
di valenti antropologi che da un secolo a questa parte si occupano di studio
comparato tra le varie culture selvagge.
Una traccia mnestica di questa situazione primaria, di
molto antecedente lo stadio di sviluppo culturale raggiunto dalle tribù
ebraiche ai tempi delle saghe dei patriarchi, la troviamo nella benedizione
di Giacobbe ai suoi figli in punto di morte, dove non solo la presupposizione
è che la tribù erediti anche le qualità dellavo dal
quale discende, ma queste sono, in alcuni casi, associate a un animale:
Un giovane leone è Giuda, dalla preda, figlio mio sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare? (Gn., 49,9); Issacar è un asino robusto, accovacciato tra un doppio recinto (49,14);La traccia mnestica emerge esplicita dal testo nella sua forma originale, quella più arcaica, omettendo persino il come che avrebbe potuto generare limpressione di una metafora. Gli antichi non parlavano per metafore, e lespressione era molto concreta: Un giovane leone è Giuda, Beniamino è un lupo (23) ecc . La benedizione di Giacobbe è forse lespressione di uno dei sedimenti più arcaici che emergono in tutta la Bibbia che, in poesia molto più che in prosa, lasciano emergere dal rimosso tracce mnestiche antichissime. Le saghe bibliche, non solo quelle espresse in poesia, raccontano qualcosa che, come disse Freud parlando del mito e della religione in generale, se anche non raccontano di una verità materiale, ci descrivono il nucleo di una verità storica (24), ovvero ci consegnano in forma deformata il messaggio di unavvenimento che è rimasto impresso nella psiche del singolo, del clan o del popolo e che ne ha poi determinato lo sviluppo.
Sia Dan un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero che morde i garretti del cavallo e il cavaliere cade allindietro (49,17);
Neftali è una cerva slanciata che dà bei cerbiatti(49,21);
Beniamino è un lupo che sbrana: al mattino divora la preda e alla sera spartisce il bottino (49,27).
Ripudio il tuo vitello, o Samaria!
La mia ira divampa contro di loro;
fino a quando non si potranno purificare
i figli dIsraele?
Esso è opera di un artigiano,
Esso non è un dio;
Sarà ridotto in frantumi
Il vitello di Samaria. (Os., 8, 5-6).
La psicoanalisi e gli scavi archeologici hanno restituito
alle saghe bibliche parte del valore che era stato loro tolto dalla critica
letteraria della fine del secolo scorso. Gli studiosi di critica letteraria
avevano restituito al solido terreno la cronologia dei libri della Bibbia,
ma la psicoanalisi ha dimostrato il nucleo arcaico di verità preistorica
che si è conservato in queste saghe, anche se deformato in maniera
da renderlo irriconoscibile (30).
Se Wellhausen ci ha fatto notare che i racconti dei Padri
rispecchiano una realtà storica posteriore alla monarchia unita,
e quello che è stato scoperto da allora non ha fatto che confermare
i risultati della sua indagine letteraria, ecco che con la scoperta della
biblioteca di Ugarit, la città cananea sulle coste della Siria,
risulta che alcune leggende messe per iscritto quivi nel XV e XIV secolo
hanno risvolti che ricordano in tutto le storie dei Padri. Anche lanno
sabbatico aveva le sue precedenti nei culti degli altri popoli semitici
occidentali, anche se non era stato tradotto in riposo della terra.
A Ugarit è stato scoperto un testo liturgico designato
a un culto della terra che avveniva ogni sette anni come espediente magico
per evitare carestie, e che consisteva nella celebrazione della nascita
e lentrata trionfale degli dei della fertilità Shahar (aurora)
e Shalim (pace?), il cui avvento era inteso a portare abbondanza di cibo
e di vino (31).
Ancora di più, nelle tavolette trovate nel palazzo
di Mari, in Mesopotamia settentrionale sulle rive dellEufrate, che risalgono
al XVIII secolo, sono nominati sia gli Ebrei (Habiru-Hapiru) sia specificatamente
la tribù di Beniamino (Banu-Iamina) (32).
Dal momento che Banu-Iamina significa letteralmente figli della
destra, ovvero figli del sud, dallusanza antica di orientarsi volgendo
il viso verso il sorgere del sole, abbiamo una conferma della supposizione
che lorigine di questa tribù fosse nel sud della Mesopotamia dove,
essendo semiti occidentali, potevano essere penetrati solo dalla penisola
arabica.
Nel X - IX secolo il primo redattore del regno settentrionale
dIsraele, quando mise sulla pergamena la prima versione ebraica di queste
leggende, le adattò al panorama politico e culturale che aveva davanti
agli occhi, ma non inventò ex novo le storie stesse. Giuseppe era
un toro, il vitello doro al posto di Jahveh, il montone, i due vitelli
a Dan e a Betel, ecco che lantico totem tribale, anteriore di un millennio
alla narrazione, emergono nel racconto.
Anche la storia di Abramo, prototipo delle tribù
ebraiche di pastori che vagavano ai margini del seminato allinizio del
secondo millennio, anche se messa per iscritto e adattata alla realtà
del X- IX secolo, era già entrata da tempo nellhabitat culturale
tramandato da padre in figlio. La verità materiale non è
quella di un uomo, di nome Abramo, che improvvisamente è stato chiamato
in missione da una vocazione interna, per influenza della quale abbia abbandonato
la casa paterna e cominciato a migrare, credendo in un solo dio, introducendo
per primo la circoncisione per i suoi figli e così via. Ma dietro
a questa saga si nasconde nondimeno una verità storica che è
nostro compito riscoprire, che è ancora più importante che
se fosse la realtà materiale dellesistenza di un uomo chiamato
Abramo.
Abramo
Abramo è il primo di qualcosa, un prototipo, quello
che Mircea Eliade, unantropologo che ha studiato attentamente i riti delle
tribù selvagge, chiama un eroe culturale (33),
la figura mitica che ha introdotto per prima unusanza con la quale tutta
la tribù si identifica, nel nostro caso, la circoncisione, liconoclastia,
la credenza in un dio che non era allora certamente lunico dio del mondo,
ma fu posteriormente identificato con il dio della tribù. A lui
viene attribuito il vagare stesso, lessere nomade poiché, secondo
la tradizione, i suoi padri erano stati residenti fissi. Lui fu il primo
che passò il grande fiume, lEufrate, verso Occidente.
Secondo Wellhausen (34),
la figura di Abramo è stata creata posteriormente a quella degli
altri due padri, poiché le storie di Isacco e Giacobbe contengono
elementi più realistici e storici di quelle del primo patriarca,
e probabilmente invero fu così. Ciononostante, ci sembra che la
figura di Abramo contenga una verità storica che ci vuole svelare
qualcosa in più di quello che ci raccontano le figure degli altri
due patriarchi.
La sua figura sembra far parte del contesto culturale,
non solo delle tribù ebraiche, ma di tutto il conglomerato di popoli
semitici nord-occidentali che erano in movimento lungo la mezza-luna fertile,
in contrasto a quella dei popoli sedentari della stessa regione.
Se da una parte la maggior parte della sua storia si
svolge lungo il percorso stabile dei semi-nomadi ai margini del seminato
Sichem Gerusalemme Hebron -- Beer Sheba come quella di Isacco e di
Giacobbe e in questo contesto è la ripetizione di quella del primo,
dallaltra la sua figura è collegata agli eventi della grande guerra
dei cinque re dellOriente che invadono la valle del Mar Morto e dopo sarà
collegato, anche se solo en passant, agli eventi del gran cataclisma
geologico che in epoca preistorica aveva colpito la stessa zona di Sodoma
e Gomorra.
Quando Abramo si separa da Lot, la Bibbia ci racconta:
Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano-prima
che il Signore distruggesse Sodoma e Gomorra-; era come il giardino del
Signore, come il paese dEgitto, fino ai pressi di Zoar (Gn.13,10).
Al lettore incredulo dei suoi tempi il redattore spiega: prima che il
Signore distruggesse Sodoma e Gomorra. Interiezione obbligatoria poiché
altrimenti non sarebbe stato creduto.
La valle di sale del Mar Morto è tale da centinaia
di migliaia di anni, da quando in epoca del Paleolitico di mezzo, il cataclisma
geologico aprì la fenditura che dal Libano arriva fino al Sud-Africa.
Esistevano già i primi uomini, come prova un pavimento di ciottoli
verticale, emerso dagli scavi di Ubaidia (35),
a sud del lago di Tiberiade, ma ai tempi di Abramo, qualsiasi sia lepoca
storica nella quale lo si voglia introdurre, la valle era già tale.
La Bibbia non avrebbe mai associato un cataclisma geologico
di quelle proporzioni a Isacco o a Giacobbe, ma ad Abramo, che sembrava
emergere dai fumi della preistoria, leroe culturale, sembrava possibile.
Il patriarca fu associato a tutto quello che agli occhi dei contemporanei
del redattore potesse sembrare incredibile, remoto, nebuloso. Se lui veniva
dalla lontana Ur dei Caldei (vedi nota 21), poteva ugualmente essere stato
testimone del terremoto di zolfo e di sale. Mentre Isacco e Giacobbe rimarranno
sempre degli eroi locali (36), il cui mondo
era limitato tra Sichem e Beersheva, Abramo era associato a tutto lhabitat
culturale della mezza luna fertile.
Il quattordicesimo capitolo della Genesi di cui Abramo
e il suo intervento nella grande guerra sono al centro, ci presenta unimmagine
della figura del patriarca che stona in confronto a tutte le altre sue
storie. Questa saga non appartiene al resto ed è fuori dal contesto
limitato delle altre sue vicende.
I quattro re che invadono la Palestina dallOriente sono
il re di Sennar (Babilonia), il re di Ellasar, che non è chiaro
dove sia, comunque non in contesto palestinese, il re di Elam, che
era ancora più a oriente della Babilonia e si estendeva fin sullaltipiano
iranico e il re di Goim, che vuol dire popoli e non è il nome di
un posto bensì vuole probabilmente significare: il re di molti popoli.
Non cè da meravigliarsi se i re di tutto il Medio-Oriente coalizzati
siano riusciti a sconfiggere cinque piccoli re della Palestina. Qui Abramo
non solo si trova coinvolto in quella che allora deve essere stata una
guerra mondiale, ma persino, dopo aver organizzato
[...] i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di trecentodiciotto, e si diede allinseguimento fino a Dan. Piombò sopra di essi di notte, lui con i suoi servi, li sconfisse e proseguì linseguimento fino a Cobe, a settentrione di Damasco (14,14-15).Ovviamente il testo non stà raccontandoci una realtà materiale, poiché è inconcepibile che un capo tribù come Abramo, che stava attento a trattare con i guanti gli abitanti delle città fortificate della Palestina conscio di essere perennemente in inferiorità di forze, improvvisamente sia intervenuto con trecentodiciotto uomini ed abbia deciso delle sorti di un conflitto di proporzioni mondiali, nel contesto dellinizio del secondo millennio: come gli Stati Uniti quando sono intervenuti nel conflitto mondiale e hanno deciso le sorti della guerra. Ma noi non licenzieremo lepisodio come se fosse il risultato di una fantasia. Abbiamo davanti una verità storica (vedi nota 24), anche se deformata e il cui significato reale è stato celato. Per decodificarlo, dobbiamo racimolare tutti i reperti archeologici dal testo, sparpagliati lì sulla superfice, e chiederci quale sia il loro vero significato.
[...] i Refaim ad Ashtarot Karnaim, gli Zuzim ad Am, gli Emim a Save-Kiriataim e gli Hurriti sulle montagne di Seir, fino a El-Paran (che è nel Sinai). Poi mutarono direzione e vennero a Ein Mishpat, cioè Kades, e devastarono tutto il territorio degli Amaleciti e anche degli Amorrei (Gen., 14,5-7)e subito dopo sconfiggono in un colpo la coalizione dei cinque re palestinesi, non avrebbe avuto bisogno delle promesse del Signore e si sarebbe preso tutta la Palestina, chiudendo i conti con le odiate città cananee fortificate.
Le altre pratiche [dei Giudei] sono perverse e infami e si sono imposte per la loro depravazione. Infatti la peggior feccia di questo mondo, dopo aver rinnegato le religioni patrie (48), portava lì tributi e denaro: in questo modo la potenza dei Giudei crebbe, anche perché tra di loro sono sempre molto leali e molto disponibili al mutuo soccorso, mentre riserbano il loro odio più aspro a tutti gli altri (Hist., V.5)Chi rinnega le religioni patrie per Tacito è la peggior feccia di questo mondo, e Socrate sarebbe stato daccordo, anche se non si era espresso proprio in questi termini. Abramo fece esattamente questo, rinnegò la cultura urbana dalla quale veniva e distrusse gli idoli nella bottega del padre. Nelle leggende mediovali e nei commentari dei rabbini, la figura di Abramo si ingigantisce in confronto a quella degli altri patriarchi. Più la realtà esistenziale del secondo esilio prende inesorabilmente piede nella coscienza del popolo ebraico, più la sua figura viene anteposta anche in rapporto agli altri eroi della nazione, Davide e Salomone, i re, eroi culturali di un popolo di residenti fissi, come lo erano nel frattempo diventati gli Ebrei del primo millennio a.C.
E Nimrod disse (ad Abramo) inchiniamoci al fuoco-gli rispose (Abramo)- inchiniamoci piuttosto allacqua che spegne il foco- gli disse (Nimrod)-inchiniamoci pure davanti allacqua-gli disse- inchiniamoci allora alle nuvole che portano lacqua-gli disse- inchiniamoci pure alle nuvole- gli rispose- inchiniamoci allora al vento che porta le nuvole- gli disse-inchiniamoci pure al vento-gli disse (Abramo)- inchiniamoci allora agli uomini che sopportano il vento- gli disse Nimrod-tu ti prendi gioco di me, io mi inchino solo davanti al fuoco e ora ti butto nella fornace e che venga il tuo dio, davanti al quale tu tinchini e ti salvi lui (49).Abramo fu buttato nella fornace ma il Signore lo salvò e provò cosi la supremazia della verità del patriarca. Così ci dicono i rabbini del Basso Medioevo: Abramo è considerato linizio del mondo e prima di lui era il caos e il mondo non doveva considerarsi creato (Sefer Gvurot Haschem, V)
[Tra i Caldei] era il caos [culturale] e non cè in loro creazione alcuna e non cè più caos dei Caldei. Ed ecco che lì nasce Abramo che è la pietra di fondazione e per lui è stato creato il mondo. Cè qui una similitudine strabiliante con il modo in cui Israele sia diventato un popolo in Egitto, il paese più depravato di tutti, e lì è nato il popolo santo, così è stato per Abramo nostro padre, che è la pietra di fondazione, è nato in terra dei Caldei che di loro è stato detto che il Signore si pente ogni giorno di averli creati poiché sono il popolo del caos e non esiste in loro creazione alcuna. Il fatto che Abramo sia nato proprio a Ur dei Caldei è un fatto miracoloso, poiché Abramo è linizio del mondo e prima di lui era tutto caos e il mondo non poteva considerarsi creato. Perciò fu associato Abramo ai Caldei, che sono da considerarsi una creazione che non è una creazione, poiché ogni inizio prima di lui non è da considerarsi tale ed è il vuoto (Heeder). Infatti per qualcosa un inizio si chiama inizio, poiché prima di lui cera un vuoto da riempire. Perciò non poteva nascere Abramo in un altro paese poiché altrimenti non sarebbe stato considerato un inizio, e poiché Abramo è linizio di tutto è nato proprio in quel posto [che per la sua depravazione] dove sarebbe stato considerato linizio [ovvero lantitesi], poiché prima dellinizio non cè niente, e chi capisce capisce (ibidem).Abramo è il primo, e come tale non ha padre prima di lui: Ha detto il Signore: Io non solo ti libero dal precetto di onora il padre e la madre bensì ti ordino di lasciare il tuo paese e la casa di tuo padre, e Terah non sarà considerato tuo padre (Sefer Gur Arieh, Bereschit, 11,32). Queste eleborazioni posteriori del mito biblico non ci trasmettono una realtà materiale. Come ha rilevato Wellhausen, la figura del patriarca è la più evanescente e la meno reale di tutti i personaggi biblici, ma il nucleo della verità storica è che linizio della storia della nazione viene attribuito a un eroe culturale che aveva rotto con tutti i precedenti esistenti, e diventa la personificazione di coloro che hanno passato il fiume.
La circoncisione
Laltra istituzione che viene attribuita ad Abramo è
la circoncisione.
Freud dice che fu Mosè a imporre per primo la
circoncisione agli Ebrei (51). Questa, infatti,
come testimoniano i post mortem eseguiti sulle mummie egizie, era
unusanza della valle del Nilo e solo gli Egiziani la praticavano tra tutti
i popoli civilizzati. Come scrive Erodoto: Mentre gli altri popoli, tranne
quelli che lhanno imparata da loro, lasciano gli organi genitali così
come sono, gli Egiziani praticano la circoncisione (Hist., II.36).
Il padre della storia ci conferma anche che i Siri di Palestina, ovvero
i Giudei, lavevano imparata da loro (II.104).
Ma la circoncisione fa parte dei riti della pubertà
iniziatici come questi vengono praticati ancora oggi tra i popoli selvaggi
e come è usanza presso quelli che hanno conservato una struttura
mentale tribale. Gli Arabi si circoncidono, lo fanno nellepoca della pubertà,
come anche nelle tribù selvagge, e non credo si possa sostenere
che abbiano ereditato questa usanza dagli Egizi. Questi avevano conservato
lusanza dagli stadi pre-dinastici anche se, strutturati ormai a residenti
fissi e a Stato, questa non aveva più ragione di essere. Gli Egizi
avevano come norma di vita di non scartare mai nessuna possibilità
esistenziale, bensì di assommare il tutto e conservare anche riti
che avevano perso di vigore, in una cristallizzazione e sintesi che rappresentavano
lequilibrio del cosmo stesso.
I Cananei allinizio del secondo millennio non si circoncidevano
più. Quando avevano abbandonato il nomadismo e la struttura mentale
tribale avevano lasciato cadere anche questa abitudine, che deve le sue
origini ai riti della pubertà tribali (52).
Ed ecco che lusanza viene attribuita ad Abramo il padre di Isacco e dIsmaele,
lEbreo e lArabo. Anche in questo contesto, il patriarca è leroe
culturale che impone lusanza tribale della circoncisione sui suoi figli,
Ebrei e Arabi. Anche su questo, Tacito avrà qualcosa da ridire:
Hanno istituito lusanza della circoncisione, per riconoscersi tra di loro da questo segno distintivo. Coloro che hanno accettato di condividerne le abitudini, seguono la stessa pratica e come prima conseguenza imparano a disprezzare gli dei, a rinnegare la loro patria, a non tenere in alcun conto i rapporti di paternità, di figliolanza e fraternità. I Giudei tengono comunque molto a che il loro numero si incrementi: è proibito infatti, uccidere uno qualsiasi dei figli in soprannumero (op.cit.)Il segno distintivo, il marchio di appartenenza al clan e del segno di sottomossione allautorità del Padre. Come scrive Freud:
La circoncisione è il sostitutivo simbolico dellevirazione, che un tempo il padre primigenio nella pienezza del suo potere assoluto aveva inflitto ai figli; chi accettava questo simbolo mostrava con ciò di essere pronto a sottomettersi al volere del padre anche se questi gli imponeva il sacrificio più doloroso (53).Ed ecco che Abramo viene associato alla figura del padre primigenio che impone la circoncisione alla tribù di figli, come segno di distinzione e di accettanza del Patto, che è la Legge del Padre. La circoncisione, il Patto, è la condizione per la garanzia di una numerosa discendenza, promessa dal dio-Padre ad Abramo (Gn., 17). Come nessunaltro dei patriarchi biblici Abramo è Avraham Avinu, Abramo nostro padre.
Ebrei e Cananei
Avevamo lasciato Abramo lEbreo quando era ancora alleato
di Escol e di Aner, gli Amorrei, a cavallo tra il terzo e il secondo millennio.
Ma presto questa situazione era cambiata. Gli alleati di Abramo smisero
di essere tali quando cominciarono a ristrutturarsi nella loro nuova condizione
di cittadini, parallelamente a quanto stava accadendo in Mesopotamia dove,
con la caduta della terza dinastia di Ur, gli Amorrei fondarono il primo
regno babilonese.
Nel primo quarto del secondo millennio, con la ricostituzione
di città fortificate nei pressi delle fonti e lungo la strada internazionale,
riemerse lantica tensione tra agricoltori e seminomadi.
Le saghe dei patriarchi riflettono fedelmente la situazione di conflitto tra i residenti fissi e i pastori che migravano sulle colline della Giudea e della Samaria, fino a Beer Sheba.
Quando Giacobbe manda Giuseppe a trovare i suoi fratelli, questi si trovavano a Sichem e poi si spinsero, ancora più a nord, fino a Dotan, la fertile valle al limite settentrionale del percorso di migrazione, a pascolare i greggi del padre, dopo che gli agricoltori locali avevano terminato la mietitura e potevano permettere ai pastori di salire sul seminato. Nel frattempo, Giacobbe e Giuseppe si trovavano probabilmente ancora nei dintorni di Hebron (Gn.37,12-18). All’inizio della migrazione estiva, i fratelli di Giuseppe avevano portato le greggi dalle zone aride del Neghev settentrionale verso i pascoli estivi tradizionali.
Il racconto dello stupro di Dina, da parte di Sichem ben Camor, e la terribile vendetta di Simeone e Levi sugli abitanti di Sichem, riflette questa tensione tra gli abitanti delle città canaanee fortificate, che erano agricoltori, e i pastori semi nomadi, che pascolavano ai margini del seminato (Gn. 34, 1-31) [vedi Supplemento].
Probabilmente la verità storica, che portò al saccheggio di Sichem, non fu il fatto dello stupro di Dina, quanto la realtà di vita di uno dei periodici anni di siccità, che colpiscono la Palestina. In condizioni di siccità, il pastore non può scendere nel Neghev, poiché spesso le piogge si arrestano, e il deserto non riceve nemmeno i 200 mm. annuali di pioggia, necessari a far germogliare il minimo indispensabile al mantenimento delle greggi. I pastori non hanno altra alternativa se non quella di premere sul seminato ed entrare in conflitto violento con gli agricoltori, che vedono il proprio raccolto minacciato e distrutto.
In periodi di ripetuta siccità e carestia, mentre le città cananee pativano la fame, i pastori si vedevano costretti ad emigrare fino alle porte dell’Egitto e a dipendere lì dalla benevolenza egizia. Abramo scende in Egitto “perché la carestia gravava sul paese” (Gn.12,16) e di nuovo Giacobbe fu costretto a fare lo stesso (Gn.42,1-3 e 46, 1-27).
Il pastore seminomade vive, dunque, dei prodotti delle greggi e usa l’asino come bestia da soma. Non si occupa di commercio, poiché il raggio delle sue migrazioni è troppo limitato, e non produce utensili di terracotta, bensì li compra dai residenti degli insediamenti fissi, barattandoli con la lana e i formaggi delle sue pecore, come fanno ancora oggi i beduini del Neghev, che comprano i loro utensili a Hebron e a Beer Sheva.
Come abbiamo visto in precedenza,
la distinzione tra Ebrei, Amorrei e Cananei non è una distinzione
etnica, poiché entrambi parlavano la stessa lingua, abitavano lo
stesso paese, ed erano emigrati dalla stessa valle dei due fiumi. Leco dellorigine mesopotamica di Abramo e dei suoi discendenti
non ci deve indurre in errore. La saga biblica delle migrazioni lungo i
percorsi della mezzaluna fertile non era particolare dei figli di Terah.
Anche i cittadini delle nuove città fortificate canaanee erano dello
stesso ceppo di semiti nord --occidentali e si erano mossi lungo lo stesso
percorso. Quindi, la distinzione tra Ebrei e Cananei, che fa la Bibbia,
è una distinzione sociale e non etnica. Questa diventò distinzione
culturale, quando coloro che passarono a una vita urbana, con il conseguente
rilassamento dei legami di sangue e del clan, furono denominati cananei
e coloro che mantennero il modello di vita seminomade furono definiti ebrei.
Di Noè, il padre comune, era stato detto:
Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una
vigna (Gn., 9,20), e questo si ricollega alla nostra analisi precedente:
i semiti occidentali, uscendo dalla penisola arabica erano penetrati in
Mesopotamia e lì avevano preso le usanze dei residenti fissi, lagricoltura,
di cui la vigna è il simbolo. Continuando a migrare da lì
verso la Siria e la Palestina, e ritornando ad essere nomadi, avevano perso
queste abitudini, ma qualcosa era nondimeno cambiato, perché mentre
gli Arabi, che erano rimasti nella penisola arabica e non erano penetrati
in Mesopotamia, avevano mantenuto linterdizione di bere vino proprio per
non dover piantare viti, gli Amuru, di cui anche gli Ebrei facevano
parte, avevano adottato, invece, lidea che la vite e il vino non fossero
tabù.
Sono molto significative tutte queste allusioni che il
testo biblico semina quà e là, come interiezioni, affinché
noi le si raccolga e decodifichi. La tradizione rabbinica dice che nessuna
parola della Torà è superflua, e se vi è una ripetizione
o uninteriezione queste hanno un significato speciale, poiché il
Signore allude a un significato particolare che ci voleva insegnare. Orbene,
noi non crediamo che il Signore centri in qualcosa, ma crediamo, ciononostante,
che queste siano le tracce mnestiche di una realtà dimenticata.
Quando il testo si sente in dovere di specificare Noè,
coltivatore delle terra, piantò una vigna è significativo
che non si accontentò invece di dire semplicemente: Noè
piantò una vigna. Perché questaggiunta? Il redattore non
si sentiva a suo agio con la storia di Noè che piantò una
vigna, poiché sapeva che gli antichi padri della nazione erano stati
pastori seminomadi e non agricoltori. Quando si trovò a mettere
per iscritto questa antica leggenda, temeva di non essere creduto, che
i suoi lettori avrebbero scosso le spalle dicendo: Non venire a raccontarci
storie, noi sappiamo che per i nostri padri era tabù essere agricoltori
e piantare vigne. E allora aggiunse specificatamente: coltivatore della
terra. La leggenda era vera, non laveva inventata il redattore, solo
che era così antica che rifletteva ancora la realtà sociale
mesopotamica, prima che Abramo lasciasse la casa di suo padre e cominciasse
ad emigrare.
Nel quattordicesimo capitolo della Genesi, quando deve
riportare la storia di Abramo che sconfigge i quattro re dOriente, e ci
parla del patriarca, deve nuovamente specificare, e questa volta
Abram lEbreo, che è esattamente lincontrario di Noè,
coltivatore della terra. Non era colpa del redattore del IX o dellVIII
sec. a.C, nel regno dIsraele, se il popolo ebraico conservava entrambi
le tradizioni.
I semiti che erano rimasti in Arabia e nei due millenni
seguenti si moltiplicheranno anche loro, saranno gli Arabi e invaderanno
a loro volta il seminato solo nel settimo secolo della nostra era. Questi
infatti non avevano imparato a piantare vigne e per loro il vino rimase
anatema. Gli Arabi sono i semiti occidentali più puri, e quelli
che più hanno conservato il modus mentale originale del nomade,
poiché vennero a contatto con le civiltà dei grandi fiumi
solo duemilacinquecento anni dopo gli Amuru, dei quali anche
gli Ebrei facevano parte. Le lingue semitiche occidentali che avevano una
madre comune si divisero in lingue diverse anche se sorelle: da una parte
lebraico-fenicio-cananeo-moavita-ammonita, che sono ununica lingua, poi
laramaico che si distingue dallebraico poco di più che lo spagnolo
dallitaliano, e la più separata di tutte larabo, che conserva
arcaismi superati dallebraico e dallaramaico.
Quindi, vediamo che anche nel contesto delle storie dei
Padri, la Bibbia opera qui una forzatura: in realtà Ismaele e Esaù,
i beduini, hanno una parentela più lontana con Abramo, Isacco e
Giacobbe,
gli Ebrei, di quanto questi ultimi lavessero con Amorrei e Cananei, ma
il redattore biblico preferì come parenti i beduini che invadevano
periodicamente il seminato, piuttosto che i Cananei, loro veri fratelli
di sangue.
La forzatura è prodotta dalla realtà di
vita, soprattutto mentale, del seminomade che è più vicina
a quella del beduino che a quella dellagricoltore, abitante delle città
fortificate. Il lungo giro che, verso la fine del terzo millennio, fecero
Ebrei, Amorrei e Cananei dalla penisola arabica attraverso la Mesopotamia
e da lì in Siria-Palestina, non corrispose a quello dei loro antichi
consanguinei, rimasti in Arabia. Questi invaderanno il seminato per stabilirvisi
solo quattromila anni dopo. Ai tempi dei Padri e del regno dIsraele erano
solo sporadici clan, emigrati direttamente dalla penisola arabica e spintisi
per ragioni di razzia prima e di commercio dopo (dal XII sec a.C) fino
ai deserti della Palestina. Da qui la stretta parentela tra ebraico e arabo,
ma anche la loro diversificazione in lingue diverse. I veri parenti degli
Ebrei erano i Cananei, dalla nefanda cultura idolatrica.
La Genesi mette Canaan tra i discendenti di Cam: Etiopia,
Egitto, Put e Canaan (Gn., 10,6), mentre la stirpe di Abramo tra i discendenti
di Sem (Gn., 11,10-27). Secondo Robertson Smith, questa genealogia rispecchia
la situazione politica della fine del secondo millennio quando, ai tempi
del Nuovo Impero egizio, le città fortificate della Palestina erano
soggiogate allEgitto, e quindi Canaan era percepito come figlio dellEgitto
(54). Secondo noi, bisogna cercare di più
nellintenzione del testo biblico. La Bibbia percepisce la cultura canaanea
come il non plus ultra del nefando e del corrotto, e quindi attribuisce
la discendenza dei Cananei al figlio malvagio di Noè, Cam, al pari
dellEgitto. A conferma di questa tesi, si può portare laccanimento
con il quale Noè maledice non tanto Cam, che ha peccato contro il
padre, quanto il nipote Canaan:
Quando Noè si fu risvegliato dallebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!. E aggiunse: Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! (Gn., 9,24-28).Oggi la chiameremmo propaganda politica! Gli Ebrei del secondo millennio maledicono così coloro, sangue del loro sangue e carne della loro carne, che avevano ripudiato la fedeltà di sangue dei pastori seminomadi, per diventare dei borghesi. In questo paragrafo il redattore biblico introduce una nota di astio verso coloro che avevano abbandonato i legami tribali di sangue, per passare a una cultura urbana, che nellantichità era anche agricola che, come abbiamo visto, era antitetica ed incompatibile con quella del pastore seminomade.
Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. IL Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta (Gn., 4,2 - 5).Caino, che nella storia dellumanità diventerà sinonimo di malvagità ed empietà, era agricoltore, come i corrotti abitanti delle città Canaanee, mentre Abele, il ben accetto al Signore, era pastore di greggi, come Abramo, Isacco e Giacobbe.
Links:
Un'analisi del dissenso tra Freud e Jung. La genealogia di un turbamento
Sapere e Conoscenza. Dai riti iniziatici alla filosofia platonica.
Trauma della nascita, esilio e monoteismo
Il Settimo: il giorno di riposo
Da Giacobbe a Ulisse:
una coazione a ripetere
Pinocchio. Il rito iniziatico di un burattino
La figura di Dio nell'ebraismo: Padre o Madre? (La lettera di una lettrice)
NOTE
1 Per unanalisi e una discussione
dettagliate su come avvenne questo processo vedi: Henry Frankfort, The
Birth of Civilization in The Near East, Anchor Books Edition, New York
1956.
2 Ibidem, p.38. 3600 bovini non sono poi tanti, specialmente se si considera che ai cronisti dei faraoni piaceva esagerare. Quindi, bisogna leggere: "riuscì a racimolare, malgrado i suoi sforzi, solo 3600 bovini".
3 Sullintroduzione
del cammello come animale addomesticato nel XII secolo a.C. vedi: William
F.Albright, The Biblical Period from Abraham to Ezra, Anchor, New
York 1963, p.47
4 H.Frankfort, ibidem,
pp.121-137.
5 H.Frankfort, ibidem, p.1.
Come ha notato lautore non sappiamo se le civiltà Maya, Inca e
quella cinese siano sorte in modo autonomo o sotto linfluenza di contatti
con altre culture.
6 Dizionario Garzanti,
Italiano, 1997
7 Eric R. Dodds, The
Greeks and the Irrational, Berkeley 1951, trad. it: I Greci
e lIrrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959 e 1978, pp. 65-6.
8 Per lauto-accecamento
di Edipo come sinonimo di auto-castrazione, vedi: Karl Abraham, Limitazione
del Piacere di Guardare in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1997,
Vol. 2, pp. 577-80.
Abraham cita Ferenczi (Symbolische Darstellung des
Lust-und Realtatsprinzips im Odipus Mythus, Imago Vol. I, (1912) p.281)
che riconobbe nellautoaccecamento di Edipo un sostituto simbolico dellautoevirazione,
cioè dellautopunizione adeguata allincesto.
9 Per il motivo per
cui i primi psicoanalisti siano stati quasi tutti ebrei, vedi Iakov Levi,
Un'analisi del dissenso tra Freud e Jung. La genealogia di un turbamento, in Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [Entered
26 luglio 2002].
10 Sulla ribellione
dellorda primitiva e luccisione del padre primigenio vedi: Sigmund Freud,
Totem e tabù, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino
1989, vol. VII, pp. 145-6.
11 Sia Achille che
Ulisse avevano tentato di sottrarsi a questa parte di protagonisti principali
dellepos incestuoso. Il primo nascondendosi tra le donne (Apollodoro 3.13.8),
il secondo fingendosi pazzo (Apollodoro E.3.7). La leggenda dà,
così, anche una rappresentazione figurata della conflittualità
e dellinibizione a compiere latto sacrilego. Il Fato non è altro
che linevitabilità delle pulsioni ad avere la meglio sullinibizione
e la tragedia si consuma quando lEroe ne deve pagare il prezzo.
12 Katleen Kenyon,
Archaeology
in the Holy Land, Ernest Benn Limited, London 1960, pp.54-5.
13 Gli scavi a Ugarit,
sulla costa siriana, hanno fatto emergere anche lì una città
di più modeste dimensioni ma circondata da mura di cinta che risale
al settimo millennio, e appartenente alla stessa cultura Neolitico pre-pottery,
come la città di Gerico. Vedi Claude Shaeffer, Stratum V,
in Le Fouilles de Ras Shamra.
14 I filologi distinguono
tre gruppi di lingue semitiche principali: 1) le lingue semitiche orientali,
di cui fanno parte laccade e il babilonese antico (del terzo millennio).
2) le lingue semitiche nord occidentali di cui fanno parte il cananeo,
(che come abbiamo visto sopra comprende lebraico, il sidonita, lugaritico,
lammonita, il moavita e il punico), laramaico del periodo neo-babilonese
( la lingua franca di tutta la Siria e Mesopotamia nel primo millennio
a.C.) e larabo 3) le lingue semitiche meridionali, che comprendeva
il Sabeo e le lingue parlate nellArabia del sud prima della conquista
araba.
15 H.Frankfort, ibidem,
p.85
16 K. Kenyon, ibidem, p.114.
17 Ibidem, p.109.
18 Ibidem, pp.111-2.
19 Encyclopaedia of Archaeological
Excavations in the Holy Land, Masada, Jerusalem 1970, pp.470-1.
20 K.Kenyon, ibidem,
pp.115-7.
21 I Caldei apparirono
in Mesopotamia solo nel primo millenio a.C., quindi bisogna vedere nellespressione
biblica Ur dei Caldei unespressione anacronistica inserita dal Redattore
alla metà del primo millenio per meglio chiarire ai lettori dellepoca
dove si trovasse Ur.
22 S.Freud, Totem
e Tabù, in op.cit, Vol. 7. pp.106-111.
23 È molto
illuminante leggere linterpretazione che da Rashi, nellXI secolo della
nostra era, al versetto:
perché con ira uccisero un uomo e con
la loro volontà hanno storpiato un toro(Gn.49,6,; la traduzione
della Bibbia episcopale italiana è estremamente inesatta perché
non si parla di uomini al plurale bensì al singolare come si parla
di toro e non di tori e di volontà e non di passione. È incomprensibile
perché mai il traduttore di sia sentito in diritto di storpiare
il testo in questa maniera), nella benedizione-maledizione di Giacobbe
a Simeone e Levi. Rashi dice: Volevano eradicare Giuseppe, che è
un toro. Quindi lantico totem della tribù di Giuseppe era il toro.
Questo è un classico esmpio di come le tracce mnestiche sella propria
preistoria siano indistruttibili. Anche Rashi, nell XI secolo, in pieno
Medio Evo sapeva che il toro è Giuseppe, o meglio la tribù
principale di Efraim.
24 Per la differenza
tra realtà materiale e verità storica vedi: S.Freud,
LUomo Mosè e la religione monoteistica, in op.cit. vol.
XI, pp. 444 sgg. J.Wellhausen scrive: Un vero mito non è
mai inventato; è tramandato. Non è vero ma è onesto
(Julius Wellhausen, (Prolegomena zur Geschichte Israels, Reimer,
Berlin 1899. Tr. Ingl. Prolegomena to the History of Ancient Israel,
The Meridian Library, New York 1957, p.318)
25 Il fatto che quando
i figli dIsraele peccarono nel deserto e si fecero un vitello doro non
e casuale. Secondo Theodor Reik, infatti, abbandonarono il Dio dIsraele, il quale simbolo totemico
è lariete, per riallacciarsi al culto di un totem più primitivo
che probabilmente era stato il toro (Lo
Shofar in Il Rito Religioso, Paolo Boringhieri, Torino 1969, pp. 267-8).
Secondo noi, in contraddizione a quello che sostiene Reik, il vero significato della storia del vitello
doro è che questa rappresenta la traccia mnestica di uno scontro
armato tra clan giudaici, il cui totem era lariete (Jahveh), e clan israeliti
il cui totem era il toro, o vitello. L'evento fu rimosso e spostato al Sinai, dove però i clan israeliti non avevano mai messo piede. La stesura della redazione finale avvenne in Giudea, dopo il ritorno dal primo esilio. I Giudei attribuirono al loro dio, Jahveh l'ariete, la vittoria finale contro El, il vitello, dio - totem dei clan israeliti. Non, quindi, il riallacciarsi a un totem più antico comune a Giudei e Israeliti, come suppone Reik, ma la vittoria di un totem su un altro.
Per Jahveh come dio guerriero, dio dei clan giudaici, distinto da El, dio d'Israele, vedi L.M. Barré, El, god of Israel--Yahweh, god of Judah
26 J.Wellhausen, ibidem,
p. 323.
27 Cfr. Es.19,13:
Quando suonerà il corno (dariete), allora soltanto essi potranno
salire.
Reik sostiene (op.cit, pp.267-8)che il culto del toro come animale totemico risale a quando
le tribù ebraiche erano ancora in Mesopotamia, che è molto
più adatta allallevamento del bestiame delle steppe della Palestina.
Il montone è sempre legato a Jahveh,
il cui culto, secondo Freud, fu introdotto per la prima volta da Jetrò, il sacerdote
madianita suocero di Mosè, ( cfr. S.Freud, "LUomo Mosè e
la religione monoteistica", terzo saggio, in op.cit., Vol. 11). Bisogna far risalire
ladozione dell'ariete alladozione stessa del Jahveismo. Se è giusta la supposizione di Freud, ciò potè avvenire solo nel XIV secolo,
e poteva essere valido solo per le tribù che vagavano nel Sinai e nel Neghev. Da qui lantagonismo con il vitello, che forse era legato solo
alle tribù che non avevano mai abbandonato la Palestina, di cui
Efraim faceva parte. La Palestina settentrionale, a differenza della Giudea,
è adatta allallevamento di bestiame. Quindi, bisogna far risalire
la tradizione del peccato del vitello doro al Regno di Giuda, come luomo
del Signore che va a Betel a redarguire Geroboamo veniva dalla Giudea.
(I, Re,13,1-20). È possibile che le tribù del regno settentrionale
avessero conservato il toro come animale totemico dai tempi della Mesopotamia,
da cui venivano tutti, sia Israeliti che Giudei, ma non è necessario
che sia andata così per la comprensione degli sviluppi posteriori.
28 S.Freud, Totem
e tabù, in op.cit., vol.VII, p.139.: Se si condivideva il pasto
con il proprio dio, ciò esprimeva la persuasione di essere fatti
con la stessa materia, mentre con colui che era considerato straniero non
si condivideva alcun pasto
29 J.Wellhausen, op.cit,
p.361.
30 Theodor Reik nelle
sue opere ha dimostrato che molti dei riti e dei miti biblici sono tracce
mnestiche di riti tribali preistorici: Myth and Guilt, George Braziller,
New York 1975; The Creation of the Women and The Temptation, George Braziller
Inc., New York 1959. tr.it: Psicanalisi della Bibbia, Sugar Editore,
Milano 1958; Pagan Rites in Judaism, Farrar, Straus & Co, New
York 1964 ; Mystery on the Mountain, Harper & Brothers, Publishers,
New York 1959.
31 Enc. Brittannica
2000, voce Middle Eastern religion.
32 Ibidem, voce Abraham.
33 Mircea Eliade,
Birth
and Rebirth, Princeton University Press , New York 1958, p.23.
34 J.Wellhausen, (op.cit.,
pp.318-321), ha notato per primo che i racconti di Isacco non sono che
una ripetizione di quelli di Abramo. Secondo Wellhausen la figura di Abramo
è stata creata posteriormente a quella degli altri due padri, poiché
le storie di Isacco e Giacobbe contengono elementi più realistici
e storici di quelle di Abramo, che sarebbero state forgiate su quelle di
Isacco e proiettate allinizio della storia della nazione. Secondo W. le
saghe dei padri ebbero origine nel regno settentrionale dIsraele nel IX-VII
secolo anche se contengono elementi più arcaici.
35 Encyclopaedia of
Archaeological Excavations in the Holy Land, op. cit.
36 Giacobbe era arrivato
in gioventù, nella sua fuga dal fratello, fino ai limiti della Siria
con la Mesopotamia e in vecchiaia sarà trascinato in Egitto, ma
questi erano anche il massimo dei limiti geografici conosciuti dal contemporaneo
del redattore nel X-IX sec. che era in una perpetua guerra contro il regno
arameo ai suoi confini settentrionali.
37 Rashi spiega che
400 shekels erano una cifra enorme per un campo. Rashi è il più
importante commentatore dei testi sacri. Visse in Francia a cavallo dellundicesimo
secolo.
38 Allinizio gli
angeli erano tre ma quando arrivano a Sodoma erano già diventati
solo due (Gn. 19,1)
39 In ebraico la parola
"ebreo", 'Ivri, viene dalla stessa radice che indica passare.
40 È molto
interessante notare che Safat, figlio di Hori era uno dei dodici esploratori
mandati da Mosè a esplorare la Terra Promessa (Nm.13,4) e
proprio come rappresentante della tribù di Simeone, che poi non
è più nominata in quanto viene distrutta. Questo ci insegna
che una parte dei Hurriti si erano assimilati alle tribù dIsraele.
Di nuovo ritorna solo nel libro delle Cronache: Costoro erano figli di
Abicail, figlio di Huri
(I, Cronache, 5,14) e tra gli Eroi di Davide
(I, Cronache, 11,32).
41 I popoli votati
allo sterminio erano sei, ma con i Cananei diventano sette, anche se non
appaiono mai sette popoli bensì solo sei. Gergesei e Cananei sembrano
intercambiabili, dove appare l;uno non appare laltro. In Es. 23,23 appare
il Cananeo, ma non appare il Girgheseo; in Giosue 3,10 appare il Girgheseo
ma non appare il Cananeo, così che il numero rimane sempre sei.
42 Enciclopedia Brittannica,
voce Amuru.
43 Enciclopedia Brittannica,
voce Amuru
44 Encyclopaedia
of Archaeological Excavations in the Holy Land, op.cit.: Hazor
45 Enciclopedia Brittannica,
Ibidem
46 Ibidem
47 "LUomo Mosè
e la religione monoteistica", secondo saggio, in op cit., Vol. 11
48 Per bocca di Tacito
si ha conferma del fatto che nel primo secolo della nostra era vi erano
conversioni in massa allebraismo, da parte delle masse estraniate, semiti
di cultura greca, che abbracciavano lebraismo, alla ricerca di unauto
- identità, negata loro dallla cultura pan - ellenica dellimpero
romano.
49 Bereshit Raba
38,13. La traduzione libera dallebraico, come delle susseguenti citazioni
dalla leggenda ebraica è dellautore.
50 S.Freud, op.cit.,
secondo saggio, cit., Vol. 11, p.372
51 S.Freud, ibidem,
p.354.
52 Per come la circoncisione
sia uno stadio essenziale nei riti della pubertà tribali vedi Theodor
Reik, I riti della pubertà, in Il rito religioso, Boringhieri,
Torino 1949 e 1969
53 S.Freud, op.cit.,
p. 439.
54 William.R.Smith,
The
Religion of the Semites, Schocken, New York 1972, pp.5-6.
55 J.Wellhausen, op.cit.,
p.319.