Supplemento di Le migrazioni protostoriche e lo psichismo collettivo
La situazione geografica in Palestina differisce da quella
della Mesopotamia e dellEgitto, in quanto mancarono ivi i fiumi come unica
fonte dacqua per lirrigazione, e quindi anche lo stimolo a creare la
struttura sociale altamente burocratizzata, necessaria a canalizzare le
energie in grandi opere per il bene comune. Daltra parte le piogge, allinizio
dellinverno, fecondano la terra e permettono un unico raccolto allanno,
in primavera, prima che la terra inaridisca sotto un solleone estivo che
si protrae per otto e talvolta nove mesi allanno.
Una zona semiarida dunque,
completamente dipendente dalla benevolenza del Baal, il dio delle piogge
Cananeo, e non dalla tenacia e dalla volontà politica dei suoi abitanti.
Come non mancò di far notare il Signore, ai figli
dIsraele che stavano per invadere la Terra Promessa
il paese di cui stai per entrare in possesso non è come il paese dEgitto dal quale siete usciti e dove gettavi il tuo seme e poi lo irrigavi con il piede, come fosse un orto di erbaggi; ma il paese che andate a prendere in possesso è un paese di monti e di valli, beve lacqua della pioggia che viene dal cielo: paese del quale il Signore tuo Dio ha cura e sul quale si posano sempre gli occhi del Signore tuo Dio dal principio dellanno sino alla finee da qui la minaccia che, in caso di disobbedienza, si accenderebbe contro di voi lira del Signore ed egli chiuderebbe i cieli e non vi sarebbe più pioggia e la terra non darebbe più i prodotti e voi perireste ben presto (Deut.11,10-18).
Beduini e tradizione biblica
La Bibbia ci descrive la realtà sociale della Palestina
attraverso le saghe dei Padri e dei Giudici. Queste saghe risalgono al
secondo millennio a.C., e riflettono le tensioni
tra seminato, pastori e beduini, che è radicata nella configurazione
geografica del paese.
Le lettere di El Amarna e gli Ebrei
Nel 1887, una contadina egiziana scoprì per caso
ad El-Amarna, nellEgitto centrale, una collezione di tavolette dargilla,
inscritte in caratteri cuneiformi.
Il libro della Genesi racconta le storie di Abramo e
i suoi figli: Ismaele e Isacco e la sua ripetizione (2)
nelle storie di Isacco e i suoi figli: Esaù e Giacobbe: Esaù
(Ismaele), dal quale discendono i beduini e Giacobbe (Isacco), da cui discendono
i seminomadi: fratelli, della stessa stirpe, ma diversi per carattere:
I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo
della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto
le tende (Gn.25,27).
La tradizione biblica posteriore, quando i figli dIsraele
erano già diventati agricoltori, attribuisce a Giacobbe la benedizione
di Isacco:
Ecco lodore del mio figlio come lodore di un
campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda la rugiada del cielo
e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto. Ti servano i popoli
e si prostrino davanti a te le genti. Sii il signore dei tuoi fratelli
e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto
e chi ti benedice sia benedetto (Gn.27,27-9).
I pastori seminomadi, figli di Giacobbe, diventeranno, dunque,
agricoltori e residenti fissi, mentre i figli di Esaù rimarranno
nomadi:
Hai una sola benedizione padre mio? Benedici
anche me padre mio! [...] Allora suo padre Isacco prese la parola e gli
disse: Ecco lungi dalle terre grasse sarà la tua sede e lungi dalla
rugiada del cielo dallalto. Vivrai della tua spada e servirai tuo fratello;
ma poi quando ti riscuoterai spezzerai il suo giogo dal tuo collo
(Gn. 27, 38-40)
Allusione, molto chiara, alle razzie del beduino che, come
risulta dalla saga di Gedeone e i Midianiti - Ismaeliti (Giudici,
6), continueranno a terrorizzare i figli dIsraele dopo che questi si saranno
insediati nel seminato.
Il mito della differenziazione tra Giacobbe, il pastore,
e Esaù, il beduino, non è che la ripetizione di quello dei
due figli di Abramo: Isacco e Ismaele, da cui sarebbero discesi, dal primo
i pastori e dal secondo i beduini.
Di Ismaele si era detto : Egli sarà come
un onagro: la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro
di lui e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli (Gn.
16,12), e di nuovo: E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò
nel deserto e divenne un tiratore darco (Gn.21,20). In entrambi
i casi, Ismaele come Esaù, il fratello maggiore sarà il padre
dei beduini, mentre il minore sarà il padre dei pastori seminomadi,
forse come percezione del fatto che la cultura seminomade sia, in
un certo senso, un compromesso tra quella del beduino e quella dell'agricoltore.
Anche il passaggio della primogenitura, dal figlio maggiore
a quello minore, allude al fatto che i pastori seminomadi si sarebbero
sviluppati in una grande nazione, mentre i beduini figli di Ismaele e di
Esaù sarebbero rimasti sparpagliati e nomadi, al di là del
seminato.
La variante della saga dei figli di Isacco, a differenza
di quella dei figli di Abramo, che si manifesta nella profezia della
benedizione di Isacco a Giacobbe, è che i seminomadi, loro discendenti,
sarebbero diventati agricoltori, mentre i discendenti di Esaù sarebbero
rimasti beduini: variante il cui scopo è riaffermare il quadro socio-economico-geografico
della Palestina, comera scontato dal redattore della versione eloista
(E) della Genesi, che visse ai tempi del regno dIsraele (3).
Il racconto della Genesi ci riporta che Questa è
la discendenza di Esaù, cioè Edom [...] Poi Esaù prese
le mogli e i figli e le figlie e tutte le persone della sua casa [...]
e andò nel paese di Seir, lontano dal fratello Giacobbe. (36,1-6).
L'interiezione nel testo, Esaù cioè Edom, è certamente
del periodo post-esilico, per spiegare ai lettori da dove venissero gli
Edumei, che approfittando della debolezza del regno di Giuda e del suo
esilio (VI sec. a.C.), erano emigrati da Seir, che è in Arabia,
a oriente del Mar Rosso, dove certamente conducevano una vita nomadica,
per insediarsi nelle colline a sud di Gerusalemme e fondare lì un
regno indipendente.
Entrambi i fratelli maggiori sono selvaggi e violenti
e la loro peculiarità è la caccia (Esaù) e il destreggiarsi
nelle armi (Ismaele), mentre entrambi i fratelli minori sono descritti
come pacifici e abitanti delle tende, anche se questo non corrisponde alla
descrizione che ci fa la Bibbia della violenza di Simeone e Levi
e delle saghe delle guerre dei figli dIsraele nella conquista della Palestina.
Particolarmente interessante è la menzione che
Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende (Gn.25,27).
Non sono forse i beduini ad abitare le tende?
Per capire questo versetto bisogna conoscere la realtà
di vita del Medio Oriente.
Anche oggi chi gira nel deserto del Sinai, dove la realtà
di vita del beduino non è cambiata da quattromila anni a questa
parte, può notare che il beduino molto raramente adopera le proprie
tende. Le tende sono fatte dalla pelle della capra nera che questi pascola,
e che per le dure condizioni e la mancanza dacqua e di pascoli del deserto
non può moltiplicarsi più di tanto. Tra Marzo e Dicembre
il beduino tiene le proprie tende impacchettate, oggigiorno sul dorso del
cammello, per non sciuparle, e dorme sotto il cielo stellato. Solo tra
Dicembre e Marzo, quando le notti del deserto si fanno rigide e fredde,
le tira fuori, e allora il deserto si punteggia di queste sparse macchie
nere.
Quindi, questa è la sorte del beduino, oggi come
ai tempi di Ismaele e di Esaù: vivere di razzia e di caccia al di
là del seminato, dormendo sotto il cielo stellato.
Il seminomade, invece, che ora è completamente
sparito dal panorama mediorientale, viveva ai margini del seminato,
attendendo loccasione per stabilirsi in esso, nei momenti di debolezza
dei suoi abitanti. Di Abramo e di Lot (Gn.13,1-7), di Isacco (Gn.26,12-5)
e di Giacobbe (Gn.30,25-41), i pastori, la Bibbia racconta che poterono
moltiplicarsi e riempire il paese, loro e le loro greggi: vagando, lungo
un percorso fisso e limitato, ai margini del seminato, e pascolando le
pecore dalla lana bianca in una zona climatica molto più benigna,
poterono prosperare e moltiplicarsi.
Molto illuminante, a questo proposito, è la descrizione,
contenuta nel libro della Genesi, su come Giacobbe riuscì ad arricchirsi,
sfruttando un trucco sulla riproduzione degli ovini (Gn.30,35-43).
Solo dal XII secolo a.C. in poi, con l'addomesticamento nel
Medio Oriente del cammello, il beduino poté dedicarsi al commercio,
poiché solo questo può percorrere il deserto. Quando i fratelli
di Giuseppe si apprestavano a ucciderlo, videro una di queste carovane,
che percorrevano la strada internazionale dallArabia verso la Siria: Quando
ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti
da Galaad, con i cammelli carichi di resina, di balsamo e di laudano, che
andavano a portare in Egitto... (Gn. 37,25).
Il racconto descrive una realtà geopolitica nota
al redattore del libro della Genesi, la cui prima versione non è
anteriore al X sec. a.C. (4)
Al tempo dei Padri, i cammelli non erano ancora stati
addomesticati come animali da soma, e non era stato ancora aperto il percorso
dei cammellieri dallArabia verso la mezzaluna fertile.
Inoltre gli Ismaeliti,
che nello stesso contesto vengono chiamati anche Madianiti -Intanto i
Madianiti lo vendettero in Egitto a Potifar, consigliere del faraone e
comandante delle guardie- (Gn.37,36), essendo carichi di resina,
di balsamo e di laudano, stavano necessariamente percorrendo la strada
in direzione contraria, da sud verso nord.
La resina, il balsamo e il laudano sono spezie che, dal
X sec. a.C. in poi, i tempi della monarchia israelita e giudaica, venivano importate dallAfrica
Orientale o dallo Yemen, e portate dalle carovane dallArabia verso la
Siria e lEgitto. Essendo Dotan a nord dellEgitto e a sud della Siria,
o la carovana aveva già scaricato le sue merci o stava percorrendo
la strada in direzione contraria. Lesigenza letteraria ha qui soppiantato la
realtà storica: al redattore biblico pareva importante descrivere
la peculiarità delloccupazione dei Madianiti e quindi spiega delle
merci che trasportavano, o meglio, che avevano trasportato, prima di incontrare
i figli di Giacobbe.
La metamorfosi dei trasporti moderni ha reso superflue
le carovane. Inoltre i confini politici attuali, dai quali il percorso
delle migrazioni beduine viene troncato, creano una nuova realtà
di limitazione alla libertà di movimento beduina. Di tanto in tanto,
neppure lefficiente polizia di frontiera israeliana riesce comunque ad
evitare lo sconfinamento, in entrambe le direzioni, delle greggi beduine.
Il racconto biblico di Gedeone, che libera il popolo
dIsraele dalla minaccia dei Madianiti, si riferisce a un periodo posteriore
di almeno cinquecento anni a quello delle saghe dei Padri, e qui i cammelli
dei Madianiti appaiono nel loro contesto originale:
La mano di Madian si fece pesante contro Israele;
per la paura dei Madianiti gli Israeliti adattarono per sé gli antri
dei monti, le caverne e le cime scoscese. Quando Israele aveva seminato,
i Madianiti con i figli di Amalek e i figli delloriente venivano contro
di lui, si accampavano sul territorio degli Israeliti, distruggevano tutti
i prodotti del paese fino allingresso di Gaza e non lasciavano in Israele
mezzi di sussistenza; né pecore né buoi né asini.
Poiché venivano con i loro armenti e con le loro tende e arrivavano
numerosi come le cavallette - essi e i loro cammelli erano senza numero
- e venivano nel paese per devastarlo (Giudici 6,2-6).
Come ha rilevato Albright, la recente introduzione del cammello
nel medioriente e la veloce mobilità, consentita da questo, aveva
reso ancora più temibile la razzia beduina (5).
Ai tempi dei Giudici, gli Israeliti si erano già
inseriti in Palestina e cominciavano a vivere una realtà di residenti
fissi ed agricoltori, e non più di pastori seminomadi.
I Madianiti, che erano i beduini di allora, sono coloro
che abitano le sabbie del deserto, che vivono di commercio e di razzia.
Emergono allimprovviso dal deserto, come pirati dal mare, gettandosi sul
seminato per saccheggiarne gli abitanti e venire ringhiottiti nuovamente
dal deserto. I figli dIsraele, che si erano da poco insidiati sulle colline
della Samaria e della Giudea, e non avevano ancora conquistato le città
canaanee fortificate delle valli, si trovavano tra lincudine di queste
e il martello delle invasioni beduine. Per questo non avevano mura, dietro
le quali ripararsi, e dovevano cercare rifugio negli antri dei monti e
nelle caverne. Gedeone, dopo aver gettato lo scompiglio nel campo dei Madianiti
e averli ricacciati al di là del Giordano, passa il fiume e li insegue
al di là di Succot e Penuel, sullaltopiano Transgiordano e profondamente
nel deserto dove questi avevano trovato rifugio: Gedeone salì per
la via dei nomadi a oriente di Nobach e di Iogbea e mise in rotta lesercito
che si credeva sicuro (Giudici 8,11).
I Madianiti si sentivano al sicuro tra le dune del deserto,
poiché gli abitanti del seminato non erano soliti inseguire i nomadi
dentro il deserto, dopo la razzia, e il Giudice israelita riesce a sorprenderli
e a prendersi la sua vendetta.
Vediamo, così, come la realtà geografica
e climatica della Palestina produsse
questa triplice realtà sociale: gli abitanti del seminato o agricoltori,
i pastori seminomadi loro nemici, e la grande minaccia comune: il beduino.
La Bibbia fa una distinzione etnica tra i diversi gruppi,
ma in realtà questa fu allinizio una distinzione sociale, che si
trasformò, col passare dei secoli, in differenziazione nazionale.
Questa si rivelò una delle scoperte più
importanti nella storia dellarcheologia del Medio Oriente (6).
Quellignara contadina era capitata nel bel mezzo dellarchivio imperiale
della capitale del Faraone eretico Amenophis IV, che si era ridenominato
Ekhnaton (1379-1362 a.C.).
Furono ritrovate più di 350 di queste tavolette,
e, tranne 25, si rivelarono tutte essere delle lettere mandate dalle città
della Palestina e della Siria al faraone, fin dai tempi del padre Amenophis
III (1417-1379 a.C.), per chiedere aiuto al faraone, per lamentarsi della
situazione politica instabile o per scusarsi del mancato invio dei tributi.
Le lettere sono scritte in accade, che nel secondo millennio era la lingua
internazionale (come oggi linglese), da scribi al servizio dei principi
locali, per i quali questa non era la lingua madre, visto lenorme quantità
di errori di ortografia e di sintassi di cui sono seminati i testi. Dalle numerose
intercalazioni con parole semitiche (in cananeo, che come abbiamo visto
corrispondeva allebraico) risulta chiaro che questa era la lingua parlata
nelle città fortificate della Palestina.
Dallinizio della XVIII dinastia (1570 a.C.), i principi
canaanei erano diventati vassalli dellEgitto, e si rivolgevano spesso
a questi, quasi sempre lamentandosi. I vassalli canaanei si autodefinivano
re (sarru, in accade, e poi aggiungevano la parola canaanea milku,
corrispondente dellebraico melek, per maggiore chiarezza) (7).
Questi erano spesso in guerra uno con laltro e si accusavano a vicenda
di tradimento nei confronti del faraone, ma una delle lamentele che ricorre
più spesso è quella diretta verso gli Apiru.
Erano
costoro una classe di uomini reputati senza patria e senza leggi (8),
situazione che ci ricorda quella di Abramo che dichiara di essere Gher,
forestiero: Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a voi... (Gn.
23,4). La forma cuneiforme di questa definizione, che si pronuncia Hapiru,
Habiru, Apiru o Abiru, appare, per esempio, nelle lettere di Abdi-Kheba,
re di Gerusalemme. Altrove, quando è scritto in ideogramma SA-GAZ
la parola appare con lo stesso logogramma usato per la parola Habbatu,
bandito, cosa che ci riporta alle scorrerie dei figli di Giacobbe nel seminato
di Sichem.
Il concetto di Apiru ricorre nei testi cuneiformi
da differenti parti della Mesopotamia, Siria, Egitto, quasi a ricalcare
il percorso delle migrazioni di Abramo. Nellarchivio del palazzo di Mari
ricorreva già dal XVIII secolo, tre secoli prima, spesso insieme
alla menzione dei Beniamiti.
In una scritta trionfale di Amenophis II (1450-1425
A.C.), alla fine di una lista di prigionieri, appaiono 3600 Apiru, 15200
Shasu, 640 Canaanei, 217 principi di Siria e Palestina ecc.
In una lettera,
Biryawaza, principe di Damasco scrive: Sono di fronte agli arcieri reali,
insieme alle mie truppe, ai miei carri e insieme ai miei Apiru e
ai miei Sutu (9).
Dal momento che il
termine Sutu è usato nelle tavolette di El-Amarna come termine
generico per beduino, secondo lusanza babilonese, abbiamo qui la stessa
terminologia del testo di Amenophis dove gli Apiru sono subito
seguiti dai beduini (Shasu).
Dobbiamo quindi differenziare tra i
due gruppi: entrambi sono nomadi, che usano lasino (almeno fino al XII
sec. a.C.), ma gli Apiru erano meno nomadi dei Sutu (10).
Nelle lettere di El-Amarna gli Apiru appaiono come nemici, sia dei
principi locali che degli ufficiali egiziani di guarnigione, e vengono
descritti come uomini che invadono il seminato. Ogni re locale accusa i
suoi vicini di essere in combutta con gli Apiru, e spesso chiamano
i loro peggiori nemici con questo appellativo.
In una lettera, il principe
canaaneo Dagan-Takala implora il faraone di salvarlo dalle mani degli
Apiru,
dei banditi (Habbatu), e dai beduini (Sutu). Questa lettera
mostra come gli Apiru fossero, in questo caso, distinti sia dai
banditi che dai beduini, malgrado si comportassero alla stessa maniera.
In uno dei testi si racconta che Zimredda di Lachish venne ucciso
da due schiavi che erano diventati Apiru. È ormai provato
che Habbatu, uno degli equivalenti del logogramma SA-GAZ, significasse
originalmente: senza casa, nomade, padrone di un asino, dal verbo Habatu
che significa: essere nomade, passare oltre, e il significato di bandito
è secondario (11). Nei testi ittiti
del 1500 a.C. sono menzionati gli uomini delle tribù del deserto
(i beduini), e i seminomadi (letteralmente gli uomini polverosi)
(12).
Qui, nuovamente cè una distinzione chiara tra il beduino e il seminomade.
Le fonti epigrafiche confermano la distinzione che fa la tradizione biblica
tra i due figli di Abramo: Ismaele e Isacco e nella sua ripetizione nei
figli di Isacco: Esaù e Giacobbe.
Ma la più interessante
tra le lettere di El-Amarna è quella di Shuwardata, uno dei principi
canaanei, che si lamenta che tutta la zona di Sichem era caduta in mano
agli Apiru, a conferma esterna del racconto biblico di Simeone e
Levi che saccheggiano Sichem (Gn.34,25-31).
Albright menziona il fatto che la parola Apiru
in semitico-nord-occidentale doveva significare polveroso e in siriaco
(aramaico del regno babilonese) la parola appare con lo stesso significato,
dalla caratteristica di chi porta questo appellativo di riempirsi della
polvere sollevata dagli asini delle carovane.
Albright ha raccolto tutto
il materiale archeologico ed epigrafico che si riferisce alle carovane
che solcavano la mezzaluna fertile nel XX e nel XIX sec. a.C. e ha trovato
una correlazione stupefacente alla tradizione della realtà di vita
dei Padri descritta dalla Genesi (13).
È
diventato particolarmente ovvio, quindi, identificare il termine Ibri
(ebreo)
con Apiru, pronunciato anche: Abiru, che anche in ebraico
significa: che passa, che viene dal. Novecento anni dopo Rashi, Albright,
larcheologo più importante della Palestina è arrivato, basandosi
su reperti epigrafici, alle stesse conclusioni del rabbino dellXI secolo.
Vediamo come anche dai documenti epigrafici esteriori
risulta che il significato originale della parola ebreo designasse una condizione
sociale, che come sempre succede, si tradusse in condizione mentale.
Gli Ebrei furono quei semiti nord-occidentali che, a differenza dei Canaanei,
mantennero lo stile di vita seminomade, e non passarono a uno stile di
vita urbana, come i loro consanguinei abitanti delle città fortificate.
Il motivo è che, essendo lultima ondata di semiti nord occidentali
che erano emigrati dalla Mesopotamia, avevano trovato le fertili valli
della Palestina già insediate, e fino al XIII o XII secolo, data
della conquista israelita attribuita a Giosué, non avevano avuto
la forza sufficente per conquistare le città fortificate.
In realtà,
la conquista non avvenne come descritto dal libro di Giosué in ununica
ondata ma, come comprovano gli scavi archeologici e come descritto dal
libro dei Giudici, prese un lasso di tempo di almeno due secoli.
Una parte di questi Apiru, secondo la tradizione biblica,
erano scesi in Egitto in un periodo di carestia, dove, essendo completamente
diversi, sia etnicamente che come stile di vita, non si amalgamarono mai
agli Egizi. Quando la moglie di Putifar accusa Giuseppe di averla violentata
dice: Guardate, ci ha condotto in casa un Ebreo per scherzare con noi...(Gn.39,14)
e quando il capo dei coppieri menziona Giuseppe al Faraone dice: Era là
con noi un giovane, un Ebreo, uno schiavo (14).
(Gn.41,12).
In entrambi i casi gli Egizi menzionano lEbreo, lApiru
con disprezzo, come con disprezzo sono menzionati gli Apiru palestinesi
delle lettere di El-Amarna.
Una parte di questi Apiru, che ora sarebbe più
preciso menzionare come tribù ebraiche, rimasero in Palestina ad
amareggiare la vita degli agricoltori canaanei, e quando i clan giudaici
che migravano nel Neghev e nel Sinai, da dove forse erano penetrati nel
delta del Nilo (Goshen), cominciarono a loro volta a premere sul
seminato, si amalgamarono a loro nel patto delle dodici tribù.
Contrariamente
alla sintesi schematica della Bibbia, vi è oggi un consenso tra
gli studiosi, anche quelli che prendono per buono il nucleo storico di
una possibile emigrazione in Egitto e il conseguente Esodo, che non tutte
le tribù dIsraele emigrarono in Egitto e una parte dei clan, che
costituiranno il nucleo principale di alcune tribù, non aveva mai
abbandonato il posto (15). Così il clan
dei calebiti, che costituì il nucleo principale della tribù
di Giuda, si amalgamò a questultima con i primi tentativi di penetrare
nel Neghev settentrionale (16).
NOTE
1 La parola italiana razzia
viene dallarabo razu, che descrive appunto lazione improvvisa e violenta
del saccheggio, che il beduino compie sul seminato.
2 Julius Wellhausen,
(Prolegomena zur Geschichte Israels, Reimer, Berlin 1899. Tr. Ingl.
Prolegomena
to the History of Ancient Israel, The Meridian Library, New York 1957,
pp. 318-321), ha notato per primo che i racconti di Isacco non sono che
una ripetizione di quelli di Abramo. Secondo Wellhausen la figura di Abramo
è stata creata posteriormente a quella degli altri due padri, poiché
le storie di Isacco e Giacobbe contengono elementi più realistici
e storici di quelle di Abramo, che sarebbero state forgiate su quelle di
Isacco e proiettate allinizio della storia della nazione. Secondo W. le
saghe dei padri ebbero origine nel regno settentrionale dIsraele nel IX-VII
secolo anche se contengono elementi più arcaici.
3 Per una cronologia
dei libri della Bibbia vedi: J.Wellhausen, ibidem, pp.2-12 e 368-390.
4 Ibidem. Come suggerisce
Wellhausen, le saghe dei padri furono formate ai tempi del regno settentrionale
dIsraele e probabilmente anche messe per iscritto per la prima volta in
questo periodo, ma, come proveremo anche in seguito esistevano delle tradizioni
orali anteriori che parlavano dei prototipi della nazione come di pastori
che vagavano ai margini del seminato. Il nucleo di queste saghe fu adattato
alla realtà del X-IX secolo e da qui tutti gli anacronismi che contengono.
5 William F. Albright,
The
Biblical Period from Abraham to Ezra, Anchor, New York 1963, p.41.
Come dice lo studioso: This was the first irruption of camel-riding nomads
into the Fertile Crescent of which we have any historical record...the
wild tribes of inner Arabia had learned how to ride the camel over long
distances and to surprise wholly unsuspecting victims asleep in remote
encapments.
6 W.F.Albright, The
Amarna Letters from Palestine, in Cambridge Ancient History, Vol. II,
Cambridge 1966.
7 Ibidem, p.8.
8 Ibidem, p.14
9 Ibidem, p.15.
10 Ibidem, p.15.
11 Ibidem, p.16.
12 Ibidem, p.17.
13 Ibidem, p.17.
14 Anche Rashi, nel suo
commento a questo versetto, menziona il disprezzo del coppiere del Faraone,
che pur aveva tratto beneficio da Giuseppe. La traduzione in italiano della
versione ufficiale della Bibbia non è esatta poiché traduce
: Era là con noi un giovane ebreo, schiavo del capo delle guardie...,
mentre la traduzione giusta dallebraico devessere : era là un
giovane, ebreo, schiavo,.... Rashi dice : maledetti i malvagi, che anche
quando fanno qualcosa di buono, lo fanno in malo modo: giovane (Nar),
cioè che non vale nulla, (poiché Nar è il contrario
di zaken=vecchio=saggio), ebreo(Ibri), cioè che non parla
neppure la nostra lingua, (abbiamo visto il disprezzo implicito nella parola
Apiru), schiavo (Eved), ed è scritto nelle leggi egizie che
uno schiavo non regna né viene vestito vestiti ministeriali (non
è certamente lusinghiero essere chiamato schiavo). [La traduzione
dallebraico è mia]. Rashi, che è il più importante
dei commentatori biblici, visse in Francia nellundicesino secolo della
nostra era.
15 Albright, The
Biblical Period from Abraham to Ezra, op. cit., pp. 31-3
16 Nei Numeri
21,1-3, ci viene raccontato che gli Israeliti sconfissero il re di Arad,
nel Neghev settentrionale. Gli scavi archeologici hanno dimostrato che
Arad , nel periodo del Bronzo Recente (Late Bronze) era in rovine da più
di mille anni e fu ricostruita solo nel X secolo, ai tempi della monarchia
giudaica. In secondo luogo non è chiaro perché gli Israeliti
non avessero proseguito da lì la penetrazione della Palestina, che
era la strada più breve per entrare nel paese, se non per la barriera rappresentata dalla citt� cananee fortificate della Giudea meridionale, Beer Sheba, Lachish, Tel Beit Mirsim e Hebron. Come emerge dal racconto
dei Giudici la zona tra Hebron e il Neghev settentrionale era abitata
dal clan di Otniel della tribù dei calebiti (Giudici 1,12-15), che a conquista completata si fusero con la trib� di Giuda e ne fecero parte integrale.