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Al tempo dei romani

Priapo: il culto del fallo

 


E' radicata nella mentalità popolare di varie culture la credenza nel potere magico-sacrale del fallo, simbolo di fecondità, prosperità e benessere. La civiltà romana non fa eccezione, e questo spiega la frequenza con cui il membro virile compariva nella vita di tutti i giorni.
Il fallo aveva un forte potere apotropaico (scacciava il malocchio) e perciò era scolpito a basso rilievo in fogge diverse sulle mura delle città, sulle facciate delle abitazioni e delle botteghe, spesso accompagnato da scritte beneauguranti. Dai soffitti poi pendevano i tintinnabula, altri falli provvisti di campanelli. Ninnoli a forma di fallo erano portati al collo o al polso, allo stesso modo in cui oggi in alcune zone d'Italia si portano dei cornetti di corallo (la cui forma riecheggia in effetti quella del fallo). Essendo Priapo figlio di Dioniso, la sua immagine figurava ampiamente sul vasellame destinato a contenere e a bere il vino (si sono trovati dei bicchieri di ceramica all'apparenza del tutto normali, ma che all'interno celano un fallo congegnato in modo tale da saltar fuori non appena vi si versa del vino: un innocente scherzo da fare a un commensale). Priapo presiedeva ovviamente alle attività erotiche e perciò, oltre a essere dipinto sulle pareti dei bordelli, decorava spesso le lucerne che si tenevano nelle camere da letto private.
Il culto del fallo è sopravvissuto sino alla fine del mondo antico. Ancora verso la fine del Settecento a Isernia, in occasione della festa del patrono, veniva esposto alla venerazione il "gran dito" (il fallo) di San Cosma, e le popolane offrivano sull'altare falli in cera per ottenere la fertilità. Quando un ambasciatore inglese a Napoli fece una grande pubblicità di questo cerimoniale, le autorità borboniche, imbarazzate, posero fine al singolare rito.

 

 

 

A cura di Noesis

 

 

 

 

 

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