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L'Osservatore europeo

 

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CRISI PALESTINESE, TENTATIVO DI RIFLESSIONE

Parigi, 10 aprile 2002

 

Le riflessioni seguenti non sono nate da una reazione emotiva di fronte all'attualità del dramma umano che si svolge in questo momento in Medio Oriente, ma piuttosto derivano da una riflessione storico-politica.

Molte delle affermazioni che farò non sono destinate a rimanere necessariamente attuali od eterne.
Infatti lo stato d'esasperazione di entrambe le parti porta a ritenere che la situazione vedrà sostanziali modifiche.
D'altra parte non intendo predire il futuro ma soltanto dare una chiave di lettura capace di servire come base per l'elaborazione di proposte risolutive.

Preciso inoltre che in questo testo non ci sono distinzioni tra ebreo e israeliano se non quando esplicitamente indicate.
Infatti in molti dei casi che c'interesseranno i due termini sono interscambiabili (ma questo non significa che siano sinonimi.)

Il dramma di Israele è più reale e complesso di quanto le opinioni pubbliche occidentali spesso pensano.

1. Israele nella sua storia ha subìto tre attacchi da parte di Paesi arabi (1948, 1967, 1973).
La superiorità militare di Israele è anche in parte dovuta alla reazione di una società che si è sentita minacciata nella sua stessa esistenza.

Gli israeliani mandano i loro figli al servizio militare non per amore della guerra o per odio del vicino ma per semplice necessità storica.

Ora è evidente che, data la situazione militare, un nuovo attacco ad Israele sarebbe stato insensato durante l'ultimo ventennio.

Questo non è però sufficiente per permettere ad Israele di abbassare la guardia.
Non penso sia necessario ricordare che la maggior parte dei Paesi dell'area non ritengono Israele uno Stato legittimo, anche se paradossalmente spesso lo riconoscono.

2. Israele è sistematicamente isolata politicamente.

bimbo israeliano ebreo osservante

L'unica presenza sulla quale può contare nella regione sono gli Stati Uniti (non propriamente uno Stato orientale).
Culturalmente ed etnicamente sono diversi dai loro vicini.
Li fronteggia la comunità arabo-musulmana, certamente spesso divisa, ma sicuramente ben concreta e capace di dialogare al suo interno.
Insomma, una coalizione fondata su una comunità di interessi (religiosi, politici, economici.)

3. La creazione di un'area unitaria israelo-palestinese distruggerebbe probabilmente Israele.

In effetti, Israele è uno Stato atipico.
Se il popolo israeliano s'integrasse con i suoi vicini, Israele perderebbe la sua ragion di essere (o ragion di Stato, se preferite).

Senza popolo israeliano, e in questo senso "popolo ebreo" (anche se la parola non va intesa in senso strettamente religioso), Israele ugualmente perderebbe la sua ragion d'essere (o di Stato).

La popolazione israeliana ha un tasso di crescita basso se non nullo, in questo rispecchiando le caratteristiche attuali occidentali.
D'altra parte la popolazione palestinese ha una crescita demografica di tipo terzomondiale. La situazione è tale che in poche generazioni del popolo israeliano non rimarrebbe nulla.

4. Sono certo che mi sto rivolgendo a lettori che come me non credono alle tesi sulle superiorità delle razze e a tutte quelle idee naziste.
Si potrebbe dunque pensare che in realtà il problema appena enunciato sia un non-problema.

Questo non è assolutamente vero a meno di rimettere in causa la legittimità di Israele.
Israele infatti esiste solo perché esiste il popolo ebreo: è la sua unica giustificazione storica.
Se il popolo ebreo (che non si confonde necessariamente con una comunità religiosa chiusa) non avesse più particolarità rispetto al vicino, non ci sarebbe bisogno di Israele.
Semplice... apparentemente!
Perché anche cosi, non ce la caviamo molto facilmente.

5. L'Europa è responsabile.

Innanzitutto, l'Europa è responsabile della stessa particolarità ebrea.

Durante secoli, la nostra civiltà ha costretto, creato, incoraggiato una separazione netta tra ebrei ed il resto della popolazione europea.

La divisione della Palestina in 2 Stati proposta dall'ONU nel 1947. Fonte: vedi link israeliano in fondo la pagina.

La così tanto stigmatizzata diversità israeliana è anche il frutto del nostro antisemitismo e di una cultura ebrea che ha fortemente integrato elementi «europei».

L'Europa è dunque la «causa» o l'origine della necessità storica di creare Israele.

Nessuno ha mai affermato che la Terra Promessa dovesse essere popolata solo da ebrei, ma poiché l'ebreo non può convivere con gli altri, la Terra Promessa può essere soltanto popolata da ebrei (o israeliani se preferite).

6. L'Europa è responsabile della creazione d'Israele.

E' un prodotto di origine ma anche di fabbricazione ed ideazione europea.

Si può spiegare la creazione di Israele soltanto studiando la storia europea.
Il resto è solo mitologia (o ideologia) e neanche poi tanto vincolante
poiché all'indomani della seconda guerra mondiale molti ebrei erano d'accordo anche su altri posti per creare Israele.
Si era seriamente pensato al Madagascar per esempio.

Il fatto che Israele sia in Palestina non è una necessità obbligatoriamente ricollegabile alla natura «religiosa» del popolo israeliano.

7. Di conseguenza l'Europa è anche responsabile delle difficoltà attuali di Israele, almeno quelle ricollegabili alla sua situazione geografica e militare.

Se l'antisemitismo non si fosse sviluppato in Occidente non ci sarebbe ora nessuna crisi israelo-palestinese perché non ci sarebbe stata nessuna necessità storica per creare Israele.

8. Il benessere israeliano (rispetto alle altre aree della regione) deriva dalla sua necessità di proteggersi.

Che questo sviluppo sia dovuto a cause esterne (il sostegno economico americano) o a uno sforzo interno particolare (ad esempio i kibbutz) non ha molta rilevanza nella nostra argomentazione.

Rimane indiscutibile che in una situazione di forte tensione il distacco economico rimane il miglior modo per ostacolare il nemico.
Più i vicini di Israele sono poveri, ovvero più Israele è ricca, più lo Stato ebraico è sicuro.

9. Queste differenze economiche creano ulteriore odio, sia da parte dei vicini, che da parte di chi vive sotto la dominazione israeliana (i palestinesi) ma sono allo stesso tempo la migliore garanzia di sopravvivenza.

Si entra così in un circolo vizioso.
Dal momento in cui si considera questa situazione «ingiusta», si rimette in causa l'esistenza di Israele, e abbiamo visto i problemi che questo comporta.

Le reazioni esagerate del premier israeliano Sharon sono certamente conseguenze di questa situazione umanamente paradossale. Il leader della destra, Ariel Sharon
Per uscire del paradosso bisogna conciliare gli opposti.

10. Analizziamo ora la Palestina.

Non discuterò qui della legittimità dello Stato palestinese.
Abbiamo visto che la diversità dei palestinesi è dovuta essenzialmente al carattere anomalo del popolo israeliano.

Non sono un esperto della diversità araba, dunque non discuterò della legittimità di uno Stato palestinese indipendente rispetto ai suoi vicini arabi.

Mi sembra tuttavia che la Palestina, riprendendo le «frontiere» dell'accordo di Camp David non sia una regione economicamente destinata ad essere molto indipendente.

Anche unificando la Palestina creando un unico territorio, esso non avrebbe nessun accesso al mare.

Non penso si possa escludere che la Palestina sia inglobata in un altro Stato, eventualmente e naturalmente preferibilmente con un vincolo di carattere federale.

11. Se deve esistere uno Stato palestinese questo deve avere un territorio ed una capitale.

Questo è il nodo della questione: Gerusalemme.

La spianata delle moschee

Nessuno è pronto a cedere sulla questione.
Cedere Gerusalemme significa per entrambe le parti rinunciare alla propria esistenza e legittimità.

Gerusalemme è un problema senza soluzione.
Non si può erigere un muro senza essere sicuri che la guerra dei terroristi si fermi.
Anzi, una divisione netta della città provocherebbe per entrambi una ragione valida per continuare la lotta, e alimentare l'odio.

Se i palestinesi rinunciassero a Gerusalemme questo vorrebbe dire per loro rinunciare alla specificità e legittimità della propria terra.
Questo può avere effetti terribili.

Se i moderati palestinesi cedono sulla questione di Gerusalemme rischiano di dare un ulteriore arma di rivendicazione agli estremisti per continuare il terrorismo, e Israele questo lo sa.

D'altra parte, è evidente che palestinesi ed israeliani non possono gestire insieme questa città.

Sarebbe come chiedere a francesi e algerini di gestire in comune l'Algeri del 1963.

L'unica soluzione è dunque l'intervento di un soggetto esterno.

12. Si pensa naturalmente all'ONU.

Il problema in questo caso non è tanto l'incapacità operativa dell'organizzazione ma deve essere ricollegato alla natura particolare d'Israele.
L'ONU è in maggioranza anti-israeliano.

C'è una forte comunità di Stati pro-arabi o islamici, o semplicemente musulmani, e l'isolamento d'Israele è dovuto alla sua natura religiosa.

Ma Israele è anche secondo molti "ingiustamente" ricca e privilegiata.

L'unico alleato vero, e spesso sufficiente, sono gli Stati Uniti.
E' vero che in certi casi Israele potrebbe o avrebbe potuto trovare nell'ONU un valido alleato ma rimane in ogni caso uno strumento del quale Israele non si fida, forse giustamente, per garantire la propria esistenza.

13. Gerusalemme deve dunque diventare «europea»!

L'Europa per i vari motivi esposti, tra i quali il primo, la responsabilità, deve intervenire ed è l'unico soggetto attivo capace di risolvere positivamente il conflitto, cioè senza guerre e senza l'eliminazione immediata o a termine di uno dei soggetti politici.

Non esiste una soluzione istituzionale per porre fine alla questione di Gerusalemme.

Si deve semplicemente assicurare una presenza internazionale accettata da entrambi le parti ed aspettare.

14. La pazienza.

Oggi non ci sono i presupposti per la Pace.

Le due strategie pensano semplicemente al dopo crisi senza preoccuparsi di come uscire dalla crisi oggi.
Hanno contribuito a creare un clima che non sarà un clima di pace sociale per molti anni, qualunque siano le decisioni politiche.

15. La politica ha i suoi tempi.
Essi possono essere brevi nel caso si debba risolvere un conflitto armato, ma anche lunghissimi quando si debba ristabilire una coesistenza pacifica «non assistita».

La coesistenza deve essere imposta da un soggetto forte, che in questo caso, difficilmente possono essere gli Stati Uniti e ancor più difficilmente la Russia o l'ONU.

16. Questo soggetto è l'Europa.

Ma l'Europa non è un potere «forte», e dunque la destra israeliana, che pensa come sempre al dopo crisi si guarda bene dall'aiutarla nei suoi tentativi d'affermazione politica sulla scena internazionale.

La consapevolezza generalizzata che l'Europa non costituisce un potere è evidente a tutti.
Da questa consapevolezza deriva la certezza che la crisi non si può risolvere definitivamente oggi.

17. E' un fatto che solo l'Europa (o meglio: uno sforzo internazionale guidato dall'Europa) può risolvere definitivamente la crisi.

L'Europa non è «potente» politicamente ma può occasionalmente rivelarsi un potere economico e diplomatico non indifferente.
In quest'ottica, la proposta di un "Piano Marshall" per la Palestina si rivela particolarmente interessante.

18. L'Europa ha la ricchezza e la capacità tecnico-operativa per realizzare un tale Piano.

Le virtù di un piano simile sarebbero numerose: creerebbe delle interdipendenze tra Israele e Palestina, risolverebbe il problema del dislivello economico, combatterebbe efficacemente contro la cancrena islamica «sociale» (Hamas) e permetterebbe al terzo soggetto (in questo caso l'Europa) di affermarsi (e dunque organizzarsi) come potere politico.

19. Infine, l'assenza di una organizzazione politica (e dunque di potere) in Europa non deve essere criticata sterilmente dall'interno, preoccupandosi dei costi della non-Europa, o considerando le possibilità di nuove guerre europee.

L'assenza di potere deve manifestarsi compiendo azioni internazionali, mostrando i limiti dell'azione europea oggi e così intrattenendo la dialogica necessaria al processo d'evoluzione generale.

L'Europa deve agire.
Agirà all'inizio in modo piuttosto inefficace, ma più diventerà indispensabile agli altri interlocutori più facilmente sarà tentata ad intraprendere processi d'evoluzione rivoluzionari per permettere alla sua propria potenzialità di esprimersi al meglio.

Pensiamo al peso che queste implicazioni potrebbero avere oggi, in uno dei momenti cruciali della costruzione europea.
Pensiamo se ci fosse stata una crisi del genere durante il tentativo fallito di una Comunità Europea di Difesa (CED) nel 1954.
Se invece di veder affrontarsi due giganti, l'Europa fosse stata messa sotto accusa dalla Storia, i senatori francesi avrebbero votato contro?

Non perdiamo tempo nel tentativo di creare o individuare quello che già esiste.

Un'arena politica, di quelle che cercava Spinelli nelle sue azioni politiche, esiste ed è la Convenzione sull'Avvenire dell'Europa.
Una crisi europea c'è: in Medio Oriente.
Manca solo un Altiero Spinelli per sfruttare questa rara occasione politica?

David Soldini

*** O ***

Per altri dati e informazioni vedi anche:
Cenni sulla storia dello Stato di Israele dal punto di vista israeliano
Associazione di amicizia Italia-Palestina

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