Antonio Montanari

I giorni dell'ira

Settembre 1943 - settembre 1944 a Rimini e a San Marino

Bisogna avere il coraggio di confessare e di riconoscere le piaghe e le ferite dell’uomo malato, spogliarle dei cenci vergognosi con i quali si cerca di mascherarle. Se non si conosce il male, se non lo si riconosce, come si può guarirlo?
Jean-Marie Lustiger, Cardinale di Parigi, 1989

Mai forse come allora si toccò con mano quale barbarie potesse produrre il delirio della potenza.
Noberto Bobbio, 1997

13. Il Venerdì Santo di Fragheto

Tedeschi e fascisti, alla caccia di partigiani, fanno strage di vecchi, donne e bambini. L'agonia di Rimini.
I giorni dell'ira, 13. "il Ponte", 04.11.1990

60. Settimana di passione.
«A Viserba, c'era un fascista che tutti i giorni si metteva in mezzo alla strada, in divisa nera, pistola al fianco, due pugnali alla cintura, mentre un disco suonava 'Giovinezza'», rammenta Nicola Padovani, classe 1921. (1)
A Viserba, nella corderia, vengono rinchiusi gli italiani rastrellati dai tedeschi e dai repubblichini. Salvatore Berardi, classe 1932, giocando con altri ragazzi suoi coetanei, aveva scoperto per caso che una specie di fogna collegava la corderia con la fossa esterna dove scorreva l'acqua per il mulino: «Essendo dei bambini noi allora potevamo girare senza paura e così ci avvicinammo ai cancelli», per avvisare i prigionieri italiani di quella possibile via di fuga. «Ne sono usciti molti, e a guerra finita, in tanti sono ritornati qui per ringraziarci». (2)
Ma nella corderia si trovano anche i «turkestani prigionieri dei tedeschi». Addestrati dai nazisti, «quando iniziarono ad uscire dalla corderia si dimostrarono sùbito più cattivi degli stessi tedeschi, perché quando vedevano i giovani cercavano di catturarli per portarli come prigionieri alla corderia». (3)
Di quei giorni, la gente ricorda i rastrellamenti operati dai militi di Salò, assieme ai tedeschi. Un episodio accaduto in Valmarecchia, a Ponte di Casteldeci: «I rastrellatori tedeschi... oltre il bestiame razziato avevano nove ragazzi che consegnarono ai repubblichini... Per evitare che durante la notte i prigionieri fuggissero, li avevano messi sul ponte, e all'entrata e all'uscita del ponte s'erano accampati centinaia di militi». (4)
Nonostante questo imponente servizio di sorveglianza, un rastrellato di origine slava riesce a fuggire.
«Al mattino presto i militi prendono gli altri otto prigionieri, ad uno ad uno gli tagliano i capelli con la baionetta, asportando anche diverse parti della pelle della testa, poi li conducono nel fiume e gli chiedono qual era il loro ultimo desiderio...». Uno di quei ragazzi vuole una sigaretta, come nei film. Un altro va a lavarsi il viso nell'acqua del fiume, altri bevono: «Poi li fecero mettere tre per tre, con le braccia incatenate l'uno all'altro, e quando erano a posto un milite dalla strada li ha falciati con un mitra». Era il sabato santo , 8 aprile 1944.
I repubblichini spogliarono di scarpe, portafogli e documenti quei giovani, e stavano per andarsene quando si accorsero che uno di loro era ancora vivo: un grosso busto di gesso che indossava, aveva ridotto l'effetto delle pallottole. Si era alzato dal mucchio dei cadaveri, chiedendo perdono: «Sono figlio di mamma anch'io, lasciatemi vivere». Una seconda raffica lo fulmina. Poi, «il brigatista boia, prende delle bombe a mano e le lancia sui cadaveri, riducendoli in uno stato pietoso». (5)
A Tavullia, le bombe a mano i repubblichini le tirano contro la popolazione inerme che attende un'assegnazione di grano. (6) E' un ricordo di Carlo Toni che dopo l'otto settembre fu costretto dai Carabinieri di Cattolica a presentarsi al Distretto militare di Forlì, dove assistette alla fucilazione di un gruppo di reclute (che rifiutavano di indossare la divisa di Salò), e di altri soldati che avevano tentato un'evasione : «Le fucilazioni furono eseguite alla presenza delle reclute in modo da intimorirle a non tentare altre fughe». (7)
A Gabicce, c'era il Comando dei Bersaglieri di Salò: due militari che avevano tentato di scappare, Rasi e Spinelli, vengono ripresi e giustiziati entro le mura del cimitero di Cattolica. (8)
Una pensionata comunale di Tavullia, Luigia Benelli, così ritrae la situazione nella primavera del '44, nel suo paese: con l'arrivo di molti militi della Legione Tagliamento, comandati dal cap. Antonio Fabbri, quella popolazione, «visse giorni tristi, difficili e tragici». Anche qui, cinque giovani fucilati accanto alle mura del cimitero per non aver risposto alla chiamata alle armi. Tra i fascisti, ricorda la Benelli, «oltre ai fanatici, vi erano anche dei buoni ragazzi, ingannati, costretti a dover prestar servizio militare perché presi in rastrellamenti». Ne ricorda uno, con la testa rapata a zero, per punizione: aveva rifiutato di partecipare al plotone di esecuzione. Un altro era stato incarcerato, e raccontava: «Vede, per non fare del male agli altri, mi hanno messo in prigione». (9)
Nella settimana santa del '44, tedeschi e repubblichini danno la caccia ai partigiani tra i monti della Valmarecchia: siamo a Fragheto, frazione di Casteldeci. Candido Gabrielli, classe 1921, vede arrivare i partigiani che portano con loro un soldato germanico. «Lo scontro tra partigiani e tedeschi... durò tre o quattro ore», e si risolse con la fuga dei partigiani, sopraffatti dalle truppe hitleriane. Il tedesco prigioniero riesce a scappare, raggiunge il suo Comando che decide un'azione di rappresaglia contro la popolazione di Fragheto, rea di aver ospitato i partigiani. I nazisti passano casa per casa, «uccidendo vecchi, donne, bambini». Le case vengono incendiate. E' il venerdì santo. (10)
La domenica di Pasqua, mons. Luigi Donati si unisce a Ponte Messa ad un gruppo di persone che stava andando a Fragheto: «Ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo terribile, raccapricciante. [...] La maggior parte delle case bruciate aveva il tetto di lastre che era crollato seppellendo persone e cose, lì sotto il fuoco ardeva ancora». A chi gli chiedeva notizie, nei giorni successivi, sulla ferocia di tedeschi e repubblichini, abbattutasi a Fragheto, mons. Donati rispondeva: «Mi vergogno di essere uomo». (11)
Scheda. Le vittime civili furono 33, tra cui «un bimbo di 18 anni», come scrisse Guglielmo Marconi nelle sue memorie (p. 139 di Vita e ricordi sull'8ª brigata romagnola, Maggioli, 1984). Nello stesso testo (p. 96, nota 93), è riportato un bollettino militare sullo scontro armato tra partigiani e tedeschi, prima dell'eccidio: «Dopo quasi tre ore di combattimento i tedeschi lasciavano sul terreno più di cento [uomini] tra morti e feriti, mentre i nostri reparti si ritiravano con soli quattro morti e due feriti leggeri». Poi, «i tedeschi fucilarono trentatré persone della popolazione locale, unicamente responsabile dell'esser stata vicino al luogo del combattimento». In altre parti del testo di Marconi, si parla di responsabilità di «brigatisti italiani» (p. 104) e di «sete di sangue dei fascisti» che «si scagliò anche sui pochi civili, vecchi, donne e bimbi del luogo… senza che fossero colpevoli di atti di guerra» (p. 105).

Note
(1) Cfr. l'intervista in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 327.
(2) Ibidem, p. 347.
(3) Ibidem, pp. 346-347.
(4) Cfr. l'intervista a Benedetto Carattoni, ibidem, p. 308.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem, p. 338.
(7) Ibidem, p. 336.
(8) Cfr. le testimonianze di Carlo Tonti, ibidem, p. 337 e Cristoforo Galli, ibidem, p. 340.
(9) Ibidem, pp. 318-319.
(10) Ibidem, pp. 306-309.
(11) Cfr. La Repubblica di San Marino, Storia e cultura, Il passaggio della guerra 1943-1944, cit., p. 110.

61. «Basta con la guerra».
Il calvario di Rimini inizia il primo novembre 1943, alle 11.50, con una missione di diciotto aerei inglesi, divisi in tre squadriglie. Continuerà fino all'alba del 21 settembre 1944, giorno della nostra liberazione.
Ci saranno 396 bombardamenti in tutto. Non resterà in piedi che qualche brandello di muro.
La gente scappa, senza una mèta precisa, racconta nel suo diario Flavio Lombardini: «Sul volto di ciascuno si notava la disperazione». (1)
Il 4 novembre, venticinquesimo anniversario della Vittoria, vengono sepolte le vittime del bombardamento di tre giorni prima. E nei «sobborghi... vengono stampati e diffusi migliaia di volantini con la scritta "basta con la guerra: vogliamo la pace e il ritorno alla libertà"». (2)
Chi li ha pubblicati? Annota Lombardini che i responsabili sono «da ricercarsi fra i 'sovversivi' d'ispirazione anarchica». E' un'immagine che restituisce, fedelmente e con grande efficacia, i tormenti e i contrasti di quei giorni terribili, con le incertezze di giudizio e le cariche di pregiudizi che impedivano di comprendere come il desiderio di pace non fosse soltanto aspirazione dei seguaci di Bakunin.
Prosegue Lombardini: «I borghi Marina, San Giuliano e Sant'Andrea, maggiormente indiziati, vengono minuziosamente setacciati. Segni iniziali di resistenza. Se qualcuno di muove, i tedeschi distruggono tutto. Si registrano alcuni arresti fra gli elementi più sospetti». (3)
Il 27 novembre, il Commissario prefettizio avv. Eugenio Bianchini lascia il suo incarico. Lo sostituisce Ugo Ughi, il cui nome è stato imposto al prefetto di Forlì da Paolo Tacchi che, assieme a Frontali e Buratti, è a capo del fascio repubblicano.
Ughi, nato a Rimini nel 1908, è un funzionario dell'ente ospedaliero cittadino. Capitano combattente sul fronte albanese e su quello greco, l'8 settembre si trovava a casa in licenza. (4)
Ughi accetta controvoglia, ma prima tenta di rifiutare l'incarico. Cerca di utilizzare ambiguamente la cartolina precetto che gli era appena arrivata. Dice all'Esercito che doveva fare il Commissario in Comune a Rimini, e comunica alla Prefettura che doveva partire per le armi. Tenta cioè di servirsi della cartolina come «arma per evitare» sia il ritorno in divisa sia la nomina politica. Da Forlì lo costringono a scegliere: «Non c'erano scappatoie e scelsi l'incarico civile». (5)

Note
(1) Cfr. F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., p. 19.
(2) Ibidem, p. 21.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. la presentazione, a cura di Piero Meldini, delle Memorie dal settembre 1943 all'aprile 1945 di Ugo Ughi, in «Storie e storia», n. 4, p. 75.
(5) Cfr. U. Ughi, Memorie, cit., p. 82.

14. Scampoli di retorica sopra le macerie

«Serenità e stoicismo», mentre cadono le bombe, secondo le relazioni ufficiali. Tutti invece scappano disperati. I giorni dell'ira, 14. "il Ponte", 25.11.1990
62. La «Città morta».
Nelle sue pagine, Ughi ricorda «i veti e le pretese dei Comandi Tedeschi». (1)
Annota Lombardini, sotto la data dello stesso 27 novembre 1943: «I tedeschi la fanno da padroni assoluti. Il loro comportamento nei confronti delle Autorità civili e dei pochi riminesi che vivono ai margini della città o sfollati nelle campagne... si palesa aggressivo, spesse volte disumano. Sentono per noi un disprezzo senza limiti... e lo dimostrano con retate di giovani, razzìe di bestiame, cereali, automezzi...». (2)
Cominciano ad operare i partigiani: «Vengono abbattuti pali telefonici, poste mine anticarro, messa in opera ogni forma di sabotaggio». La reazione tedesca è «dura, spietata», scrive Lombardini. I civili sono costretti a lavori massacranti. Al mare, si demoliscono le ville e si distrugge il viale Principe Amedeo, per creare postazioni di difesa antisbarco. (3)
Ma non ci sono soltanto i tedeschi e le bombe che piovono dal cielo, a rendere difficile la vita. I fascisti fanno da spietati servitori ai tedeschi.
Testimonia il pittore Demos Bonini: «Una notte, il ras della Rimini repubblichina [Paolo Tacchi, n.d.r.], venne ad arrestarmi come ostaggio politico, e assieme ad altri otto finii nelle mani dei tedeschi... Fummo portati al Comando di Villa Spina sulle colline riminesi e passammo tre giorni in uno stanzone vuoto, in piedi o sdraiati sul pavimento...». (4)
Era il dicembre '43: «Poi venne la fine della prigionia, ma la vigilanza della polizia politica era sempre presente. Così cominciò la lunga fuga, mai in casa, via per le montagne vicine, partenza all'alba, e ritorno alla sera». (5)
Pietro Arpesella, che a Riccione aveva partecipato al salvataggio di tre generali inglesi, ricorda quanto si fosse dato da fare Paolo Tacchi per catturare lui e gli altri antifascisti che avevano agito in quell'occasione. Ad aiutarlo, ci furono i Carabinieri, «rischiando di persona»: il maresciallo Fico, attraverso il brigadiere in pensione Russo, fa sapere ad Arpesella che Tacchi ha dato un ordine preciso: se lo prendono, non arrestarlo, ma fucilarlo sul posto. (6)
La famiglia Lanzetti subisce le ire di Tacchi per aver dato ospitalità ad un soldato inglese. All'arresto dei fratelli Gino ed Anselmo, segue il loro trasferimento a Lugo, dove i due vengono colpiti con «botte da orbi». A Bologna, deve svolgersi il processo contro di loro, li salva un bombardamento: «Avevamo una scorta di dodici persone con due Carabinieri; i dodici se la sono squagliata» ed i due Carabinieri dicono ai Lanzetti: «Noi vi diamo la libertà».
Maria Geroni, moglie di Anselmo Lanzetti, aggiunge: «Dopo l'arresto di mio marito, una sera si presenta Platania e si mette a parlare», dicendo che «Tacchi voleva che la famiglia dei Lanzetti fosse sterminata...». (7)
Intanto Rimini, dopo i bombardamenti del 26 novembre e del 28, 29, 30 dicembre, diventa una «Città morta», come la definisce Ugo Ughi nel suo rapporto al prefetto, scritto il 2 gennaio '44.
«Una sola cosa mi conforta», scrive Ughi, «che Iddio e gli uomini dopo la sperata vittoria vendichino tanta strage e tanti danni arrecati su una Città inerme...». (8)

Note
(1) Cfr. U. Ughi, Memorie, cit., p. 84.
(2) Cfr. F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., p. 26.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. l'intervista in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 228.
(5) Ibidem.
(6) Cfr. l'intervista in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 232.
(7) Cfr. le interviste in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., pp. 236-237.
(8) Cfr. la relazione in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 144.

63. Retorica e cronaca.
Le relazioni di Ughi al prefetto sono una fonte di cronaca sulla vita a Rimini sotto i bombardamenti. Ma in quelle pagine, s'intravedono pure i segni della realtà politica di quei giorni.
I protagonisti sono divisi su due opposti palcoscenici. Da una parte, la gente comune, con la sua sofferenza in quel tragico spettacolo di morte, con la distruzione lenta della città, voluta non dal caso, ma dai piani di guerra, decisi dopo la conferenza di Teheran, svoltasi dal 28 novembre al 2 dicembre '43. (1)
Dall'altra, il capo dell'amministrazione pubblica che ostenta sicurezza nella «sperata vittoria» e negli incrollabili destini della Patria, secondo gli ultimi scampoli della vecchia retorica di regime.
A volte, sembra quasi che Ughi non riesca a rendersi conto di quanto scrive. Dopo i bombardamenti succedutisi dal 28 al 30 dicembre '43, egli riferisce: «La cittadinanza -percossa da così vasta sciagura- ha mantenuto contegno calmo e, vorrei dire, spartano: gran parte lavoravano sulle macerie...». (2)
Don Angelo Campana racconta invece che quei «tre bombardamenti costrinsero tutti ad andare via, ben pochi rimasero» in città. (3)
Dopo l'incursione del 21 gennaio '44, Ughi annota: «La popolazione presente in Rimini ha tenuto un contegno tranquillissimo: i bombardamenti subìti l'hanno già spiritualmente corazzata». (4)
Ed aggiunge di sperare nella «risurrezione di Rimini». (5)
«Tutta Rimini e dintorni in campagna!», riporta don Serafino Tamagnini nella «Cronaca parrocchiale» di Vecciano (Coriano). (6)
Il potere mostra certezza in se stesso, pur in mezzo alle difficoltà: «Durissimo il mio compito - quello del camerata Tacchi Segretario del Fascio... attivissimo il Fascio». (7)
Tra la gente si acuisce «l'odio ai fascisti, causa di tutti i guai d'Italia», spiega don Tamagnini. (8)
Il 30 gennaio, Ughi definisce Rimini una «Città quasi deserta». Il giorno prima, le bombe hanno arrecato «irreparabile offesa» al Tempio malatestiano: «Dall'immane ferita aperta verso il cielo non più sale a Dio la preghiera dei fedeli, ma sì una invocazione di giusta vendetta contro gli assassini degli innocenti e i distruttori dei più alti valori dello spirito e della civiltà umana», dei quali ovviamente i fascisti si sentono eredi ed incarnazione. (9)
Le autorità sono sempre «sul posto prima del cessare dell'allarme». «Calmo ed ordinato il contegno della popolazione presente»: Rimini dà un esempio «meritevole... di essere posto all'ordine del giorno della Nazione». (10)
Don Tamagnini scrive: «La storia d'Italia e del mondo non ha forse visto spettacolo più triste! Che orrore! Che disfatta! Povera Patria! Povera Rimini!». (11)
Dalle campagne e dai Comuni limitrofi, scendono a Rimini i «corvi umani», contro cui nulla può , precisa Ughi, «la dinamica energia del Segretario del Fascio», Tacchi. (12)
Nelle retrovie, racconta don Tamagnini, i tedeschi procedono al saccheggio «delle nostre belle contrade. Razzìe di bestiame, rubamenti a mano armata nelle case e nei campi, oltraggi alle persone...». (13)
Il 23 marzo '44, Ughi elogia ancora il comportamento «veramente ammirevole» della popolazione di Rimini che «merita di essere additata ad esempio di elevatezza morale, di sentimento patriottico, di spartano stoicismo non solo alle Città di Romagna, ma a tutta l'Italia». (14)
«Serenità e stoicismo», ribadisce tre giorni dopo, quando viene sconvolto il Cimitero: «...oggi anche la maledizione dei morti» perseguita «i selvaggi nemici». (15)
«Serenità». La gente vive invece nel terrore. Dal cielo, arrivano le bombe. E sulla terra, ci sono repubblichini e nazisti.
I tedeschi rastrellano in continuazione la popolazione, per i lavori forzati. Qualcuno riesce a fuggire, col cuore in gola, gettandosi tra l'erba alta dei campi della periferia. E per trovare forza a continuare a scappare, mangia fili d'erba, per placare l'arsura.
Qualcun altro è meno fortunato. Athos Olmeda, un riccionese di 18 anni, viene ucciso perché avvicinatosi ad una fontanella per bere: i tedeschi sospettavano una fuga. (16)
Ad un pranzo ufficiale di ringraziamento da parte dei tedeschi ai medici dell'ospedale di Rimini (siamo nel giugno '44), Paolo Tacchi pronuncia «una specie di discorso»: «...penso che la guerra per noi sia già perduta... (...) La Germania e l'Italia... ormai sono fuori combattimento». (17)
Il col. Christiani, ascoltando le parole di Tacchi, tradotte da un interprete, «diventò pallido e mostrò la sua incredulità e sofferenza». Un allarme aereo tolse dall'imbarazzo gli invitati italiani, già in preda ad un «certo panico» per quell'incidente politico. Ognuno «prese la via della fuga». (18)
Quando, nell'estate del '44, il ten. col. Werner von Lutze se ne va da Rimini, il nostro Municipio gli regala per ricordo un portasigarette d'argento, dal valore di 2.400 lire. Alle gentilezze, i nazisti rispondono requisendo tutti gli automezzi.
E' del luglio il bando tedesco che obbliga tutti gli uomini dai 18 ai 30 anni, a presentarsi a lavorare per le truppe germaniche. Il 12 agosto il maresciallo Kesselring annuncia che sono previste feroci rappresaglie contro le popolazioni residenti dove agiscono i partigiani.
Dal 15 luglio, i partigiani sono stati riconosciuti dal governo italiano «come parti integranti dello sforzo bellico della nazione». (19)
Dal 5 luglio, l'ingresso a Rimini è vietato senza un lasciapassare. Annota nel suo diario, Lombardini: «La città è irriconoscibile. Sul viso di quanti incontro noto i segni della disperazione. Quando avrà fine il triste calvario? L'avanzata delle truppe alleate procede lentamente. Sono ancora assai lontane». (20)
Il 4 giugno è stata liberata Roma. Il 6, c'è lo sbarco in Normandia. L'attacco alleato alla Linea Gotica inizia nella notte tra il 25 ed il 26 agosto 1944, sulle rive del fiume Metauro. L'arrivo a Rimini, il 21 settembre, apre le porte all'Italia del Nord. Il fiume Marecchia, scrive il Quartier generale alleato, era «l'ultima barriera prima della pianura».
I soldati alleati che girano per le nostre strade tra le infinite macerie, hanno sulla bocca una sola esclamazione: «Cassino, Cassino!».
La «carovana» dei repubblichini è scappata da Rimini l'ultimo giorno di agosto.

Note
(1) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., cap. 7. «"A Rimini", dicono a Teheran», pp. 37-38.
(2) Cfr. la relazione in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 144.
(3) Cfr. Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 242.
(4) Ibidem, p. 145.
(5) Ibidem, p. 146.
(6) Ibidem, p. 277. Altri particolari su don Tamagnini, sono in A. Montemaggi, Nella Romagna sconvolta dalla guerra, la Chiesa è l'unica isola di conforto e aiuto, «Il Ponte», 31. 7. 1988.
(7) Ibidem, p. 143.
(8) Ibidem, p. 278.
(9) Ibidem, pp. 146-147.
(10) Ibidem, p. 147.
(11) Ibidem, p. 278.
(12) Ibidem, p. 148.
(13) Ibidem, pp. 278-279.
(14) Ibidem, p. 149.
(15) Ibidem, p. 151.
(16) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., pp. 50-51.
(17) Cfr. l'intervista al dott. Marino Righi, in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 253.
(18) Ibidem.
(19) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., cap. 11. «Arbeit, a lavorare!», p. 49.
(20) Cfr. F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., p. 44.

15. Giovani senza più «Giovinezza»

L'esperienza nel mondo cattolico maturò molti cattolici verso scelte antifasciste. Benigno Zaccagnini alla Fuci in via Bonsi. I giorni dell'ira, 15. "il Ponte", 09.12.1990
64. Radio Londra.
«La conversazione serale verte sulle armi segrete che la Germania starebbe apprestando per mettere in uso prima del sopraggiungere dell'inverno», annota nel suo diario Flavio Lombardini, il 12 giugno '44. (1)
I discorsi della gente sono inframmezzati dall'ascolto della mitica Radio Londra. L'emittente britannica «dà notizie di spaventosi stermini operati dai tedeschi nei campi di concentramento riservati agli ebrei». (2)
Radio Londra trasmetterà anche parole d'ordine per la Resistenza: «La luna è bella. Suonata di Mozart. Maria va al fosso. La terra è bruciata. Hanno rubato le galline. Il latte è bianco. Hanno preso mia moglie. Don Giovanni. Salvatore ha tradito. Torna maggio». (3)
Ci sono radio che ricevono e radio che trasmettono. Di una di questo secondo tipo, è fornito un giovane che «dirigeva i bombardamenti e diceva dove c'era da buttar bombe, cioè informava gli alleati di quello che era avvenuto nella città di Rimini», testimonia don Angelo Campana: «Aveva anche dei vocaboli strani che io pensavo fossero parole in codice, per non far capire quello che diceva... (...) stava qui in questi paraggi, non era di Rimini, era un italiano però». (4)

Note
(1) F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., p. 44.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem, p. 89.
(4) Cfr. Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 242.

65. Incontri in parrocchia.
I «primi manifesti antifascisti, apparsi nel giugno '43 nelle sale d'aspetto delle stazioni ferroviarie fra Rimini e Imola», erano nati nelle riunioni della parrocchia di San Nicolò fra Ercole Tiboni, Renato Zangheri e don Angelo Campana, il quale «rappresentava il giovane mondo cattolico inquieto» che sfidava l'apparato della gerarchia fascista. (1)
«Oggetto degli incontri -ricorda Vincenzo Cananzi- sono temi vari: dal significato della democrazia, al valore dell'economia di mercato, dai rapporti fede e politica alla liceità della ribellione ai regimi totalitari, dalle differenze ideologiche tra i vari partiti politici ai mutamenti da introdurre nell'economia al termine della guerra». (2)
Tiboni diventerà socialista, Zangheri comunista. Zangheri «nella primavera del '43 organizza la lettura di un dattiloscritto che riproduce la vita di Gramsci scritta da Togliatti». (3)
Zangheri, nel 1942 aveva collaborato al periodico studentesco fascista riminese «Testa di Ponte». Sul numero 18 (mese di maggio), aveva scritto: «I vecchi sono tramontati con le loro vecchie idee e con le loro colpe vecchie e recenti. Noi, moralmente puri, li dobbiamo sostituire». E poi: «I vigliacchi di pensiero e dell'azione rimangano pure a muffire dentro ai loro gusci: noi intendiamo uscirne». Era una dichiarazione di fede nel fascismo, od un segno di timida fronda?
Zangheri aveva allora 17 anni. Nello stesso periodico fascista, in marzo, egli aveva esposto le sue idee che erano in antitesi rispetto a quelle di Glauco Jotti.
Jotti, firmandosi "Un fante", aveva proclamato in puro stile littorio: «Agli squadristi prudono le mani», aggiungendo che il manganello, con un ordine, poteva tornare in azione.
Replicava Zangheri: «Assaltiamo per ora noi stessi», «perché ognuno ha le sue colpe, e se qualcosa vi è ancora di lercio nella nostra coscienza, togliamolo». E concludeva: «Poi saranno altri assalti».
Osserva Liliano Faenza: «A ben riflettere... poteva esserci in Zangheri... un motivo cattolico, un desiderio di purezza, che spingeva semmai a segnalare al pubblico... i buoni "di ogni partito e di ogni idea..."». (4)
«E, con quel desiderio», aggiunge Faenza, c'era anche «un bisogno di scuotere... una gioventù che... stava "sguazzando in una vergognosa apatia". Con Zangheri intendeva farsi avanti una generazione diversa», quella che lo stesso Zangheri appunto chiamava dei «moralmente puri». (5)
Assieme a Zangheri, su «Testa di Ponte», aveva scritto anche Sergio Zavoli. Le sue parole suonano tonanti, nello stile allora in voga. Nel numero 9 dello stesso 1942, proclama: «Oggi più di ieri abbiamo bisogno di scuotere i famosi 'montoni belanti', 'pecore rognose'...Attorno a te c'è ancora troppa gente che non sà [sic, n.d.r.] e non è degna di vivere questo grande momento...Deve essere dato a tutti il privilegio di 'vivere' e 'vincere'. Con ogni mezzo».
In un altro articolo di Zavoli (febbraio '42), si legge: «Io non sono psicologo: pure con la fiducia nelle nostre idee e in quelle delle generazioni capaci di comprenderci, arriveremo!».
Queste citazioni, anteriori al momento che ci interessa nella nostra ricostruzione storica, sono utili per comprendere certi aspetti psicologici, culturali e soprattutto politici, che si andavano delineando lentamente, con il succedersi degli eventi traumatici e drammatici della storia italiana tra 1943 e 1945.
In mezzo a quegli eventi, la gioventù allevata al canto di «Giovinezza», è costretta a scegliere. La tragedia della guerra, con la constatazione di quanto fosse stato illusorio il sogno di un conflitto rapido, e con la scoperta di un'impreparazione militare che andava a scontrarsi con i miti del guerriero fascista, pone difronte a scelte di campo.
La nascita di Salò, con l'intrecciarsi della duplice violenza dei repubblichini e dei nazisti, quasi in gara tra loro per dimostrare una ferocia che cancellava ogni sentimento di umanità, costringono la gente a riflettere, pur nella stanchezza degli animi, nell'abitudine al dolore e alla malvagità che toglie spazio alla meditazione.
Al proposito, c'è una pagina interessante scritta da Liliano Faenza, che ci pare utile riproporre. Sono i giorni tra la fine del '42 e l'inizio del '43.
«Qualcosa allora aveva cominciato a muoversi nel sottosuolo della città, sia pure impercettibilmente... Alcuni giovani, toccati dalla resistenza armata russa e dalla sua capacità controffensiva a Stalingrado [novembre 1942-gennaio 1943, n.d.r.], avevano cercato contatti con elementi antifascisti. (...) Altri giovani tra cui lo Zangheri, allora attento lettore di scritti tomistici, si erano invece interessati agli incontri di studio sulla dottrina sociale della Chiesa e sul pensiero di don Sturzo, presso la Fuci di via Bonsi, a cui era presente l'ex popolare Giuseppe Babbi e qualche volta Benigno Zaccagnini. Presso l'oratorio di San Nicolò al Porto invece, era maturata una fronda sotto la guida di un sacerdote», quel don Campana che abbiamo già ricordato, e che allora insegnava Religione al liceo classico della città.
«Lì un giovane refrattario a "Testa di Ponte", Ercole Tiboni, compagno di liceo di Renato Zangheri, aveva fatto una specie di noviziato antifascista... C'erano poi i ragazzi sfollati dalle città del Nord. Un centinaio circa, disseminati per le varie scuole e nei due licei. Costoro avevano portato con sé, nelle classi, un'atmosfera diversa, il clima del dramma delle loro città che poteva per essi volgersi in tragedia, ma che intanto imponeva agli altri, anche ai meno sensibili, una pausa di riflessione, scuotendoli da una sonnolenta atmosfera provinciale, quella di una città la quale, dopo tutto, conosceva la guerra solo dai bollettini dell'Eiar e dai giornali, e si divideva tra una pausa estiva e un sonnacchioso lungo inverno, come nei tempi andati». (6)

Note
(1) Cfr. A. Montemaggi, Lo schieramento dei partigiani agli inizi della lotta armata, «Carlino», 22. 4. 1964. Cfr. pure L. Faenza, Fascismo e gioventù, in «Storie e storia», n. 5, pp. 89-90. Sui cattolici riminesi durante il fascismo, vedi ampia bibliografia nel nostro Rimini ieri, cit., p. 24.
(2) Cfr. Piergiorgio Grassi e Francesco Succi, Cattolici riminesi nella Resistenza, «Il Ponte», 9. 2. 1986.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. L. Faenza, Fascismo e gioventù, cit., pp. 74-75.
(5) Ibidem, p. 75.
(6) Ibidem, pp. 84-85.

66. «Non obbedire».
L'ultima manifestazione del fascio riminese, è stata quella del 23 marzo '43, con un «entusiasmo di facciata». (1)
Tre mesi prima per dei volantini intitolati «Non credere, non obbedire, non combattere», erano stati arrestati, su segnalazione di una spia della Polizia, Guido Nozzoli e Gino Pagliarani. L'imputazione era di «attività politica contraria al regime».
Nozzoli fu preso a Bologna, dove svolgeva servizio militare: tra i capi d'imputazione, anche quello di essere detentore di libri proibiti dal regime, come il «Tallone di ferro» di London o «La madre» di Gor'kij, libri che peraltro «venivano venduti anche sulle bancarelle». (2)
«Gino e Guido, i nostri aedi inquieti e prediletti, erano finiti in galera, primi fra gli studenti di tutta la regione», ricorderà poi Sergio Zavoli. (3)
«I due giovani intellettuali riminesi... erano diventati due piccoli leader sui quali cominciava ad orientarsi un pò la bussola dell'antifascismo riminese. La notizia attraversò la città e fece correre, soprattutto in noi giovani, un piccolo brivido». (4)
Le singole vicende personali di quei giovani, sono le tessere di un più vasto mosaico su cui si svolge la storia collettiva di una città, nel travaglio dei cambiamenti che segnano gli eventi del nostro Paese.
Sono giovani nati attorno al 1920. Tra di loro, ha detto Liliano Faenza, c'era una minoranza che non cercava perché aveva già trovato, cioè si affidava al «credere, obbedire, combattere», e si segnalava «per zelo, per dedizione alle attività della Gioventù italiana del littorio». Dall'altro lato, c'era un'altra minoranza che tra '37 e '39 aveva cominciato a cercare confusamente, senza trovare. In mezzo, si trovava la grande maggioranza dei giovani riminesi, studenti intruppati, che non cercavano e non trovavano, ma si rassegnavano e si lasciavano trasportare. E che erano «lo specchio della maggioranza nazionale degli italiani di tutte le classi: borghesia, ceto medio, proletariato». (5)

Note
(1) Cfr. L. Faenza, Fascismo e gioventù, in «Storie e storia», n. 5, p. 85.
(2) Cfr. l'intervento di G. Nozzoli in Autobiografia di una generazione, cit., p. 26.
(3) Cfr. S. Zavoli, Romanza, Mondadori, Milano, 1987, p. 178.
(4) Cfr. l'intervento di S. Zavoli in Autobiografia di una generazione, cit., p. 16.
(5) Cfr. l'intervento di L. Faenza in Autobiografia di una generazione, cit., pp. 40-41.

16. L'ora delle scelte

Ed i vecchi compagni di adunata si ritrovarono nemici, su barricate opposte. Due frati e tre martiri.
I giorni dell'ira, 16. "il Ponte", 06.01.1991

67. «Con chi stai?»
L'ora delle scelte venne con la guerra prima e poi con la caduta di Mussolini.
Il 24 marzo '43, due classi del liceo scientifico Serpieri, al termine delle lezioni di ginnastica, si erano ammutinate, rifiutando l'invocazione al duce. Avevano gridato soltanto «Viva il Re!». Ragazzate? Al fascio, pensano che si tratti di «una pericolosa minaccia all'ordine pubblico» e convocano il capitano dei Carabinieri Giovanni Bracco, il cui figlio Cesare faceva parte della scolaresca incriminata. «Ne era seguita la denuncia dei giovani e la condanna di tutti a un anno di sospensione dalle scuole del Regno. Sei di essi avevano subìto anche una punizione aggiuntiva», un pò di carcere: Abner Fascioli passerà trenta giorni in cella. (1)
Sette giorni prima della caduta di Mussolini, l'ultima sfilata dei giovani fascisti percorre le vie di Rimini, con inni e discorsi. La solita musica. Che stava per cambiare.
«La banda della GIL aveva intonato gli inni della patria e della rivoluzione. E il fascio riminese era calato lentamente nella tomba, così, con quegli inni con i quali aveva celebrato se stesso, per un ventennio. Era finito il dramma. Fra poco sarebbe cominciata la tragedia». (2)
La contestazione, tra serietà di un impegno politico che s'affacciava pallido nell'ansietà giovanile, e goliardate che avevano mosso alcuni giovani nelle occasioni ufficiali del regime, diventa opposizione ed impegno, sacrificio personale, rischio della lotta. E' la guerra. E' la guerra civile. Compagni delle stesse classi, delle stesse adunate, si ritrovano nemici, su barricate opposte. Le strade si sono divise.
Ricorda Sergio Zavoli: «con quale senso di colpa» visse i giorni dell'arresto di Gino Pagliarani, il suo «amico prediletto», e ne spiega il perché: «Avevo... un padre che era uomo d'ordine; non posso dire fascista, anche se portò la sua divisa, anche se era, a suo modo, mussoliniano. E Gino invece aveva un padre antifascista, comunista. (...) E quando Gino e Guido [Nozzoli] finirono in galera... si istruivano dei processi agli amici di Gino. Si voleva stabilire chi stava con Gino, chi ci stava tiepidamente, chi invece con convinzione; o, peggio, chi non ci stava affatto; o peggio ancora, chi non ne voleva sapere neanche un pò. E nascevano delle sentenze inappellabili che scavavano degli abissi, oppure cementavano delle solidarietà che durano ancora da allora». (3)
Era l'inizio del '43. Dopo la nascita della repubblica di Salò, Zavoli aderirà al nuovo fascismo, secondo Elio Ferrari: «A Rimini chi non lo vedeva in divisa e con il mitra a tracolla (teste Stelvio Urbinati) pure alla colonia Montalti? ». (4)

Note
(1) Cfr. L. Faenza, Fascismo e gioventù, cit., p. 87.
(2) Ibidem, p. 91.
(3) Cfr. l'intervento di S. Zavoli in Autobiografia di una generazione, cit., pp. 16-17.
(4) Cfr. Scrive un partigiano riminese - Ex repubblichino e adesso sindaco? - La ventilata candidatura di Zavoli, «La Gazzetta di Rimini», 16.10.1989.

68. Gente comune.
L'ora delle scelte giunge per tutti, studenti, operai, contadini. Purtroppo, le documentazioni storiche esistenti limitano spesso il discorso a quel gruppo di giovani, quasi sempre intellettuali, che hanno potuto e saputo riproporre le vicende della guerra, attraverso scritti ed interventi.
Per gli altri, però, basta andare a pescare nelle cronache dolorose di quei mesi tra '43 e '44, ed allora càpita di ritrovare accanto ad un professore di scuola media, come Rino Molari, un ferroviere, Walter Ghelfi: sono entrambi fucilati a Fossoli nel luglio '44. (1)
I Tre Martiri di Rimini rappresentano bene l'immagine di gente comune, oscuri attori che la cieca violenza nazifascista fa diventare protagonisti, recidendo vite giovani. Sono ragazzi costretti a vedere nella lotta armata l'unica strada per riconquistare la libertà per tutti.
La Resistenza fece dimenticare ai suoi uomini le differenze sociali, e quelle ideologiche. A ricrearle, quelle differenze, spesso ci hanno pensato gli storici, quando hanno ricostruito le vicende di quei momenti.

Note
(1) Cfr. la puntata n. 6 de I giorni dell'ira, capp. 26 e 27.

69. Al convento.
In una stanza al pianterreno del convento delle Grazie, trasformata in prigione, trascorsero le loro ultime ore Mario Capelli (23 anni), Luigi Nicolò (22) e Adelio Pagliarani (19), i Tre Martiri, che erano stati sorpresi nella base partigiana di via Ducale a Rimini.
«Penso che siano stati collocati lì, perché quella stanza funzionava già da prigione e, per di più, il luogo non era molto lontano dal Comando tedesco»: infatti erano frequenti le ispezioni dei militari germanici. Così ricorda quei momenti padre Teodosio Lombardi che allora si trovava nel convento del Covignano. (1)
Prosegue padre Lombardi: «Il padre Callisto Ciavatti... ebbe contatti con i tre partigiani e li visitò più volte, fino al giorno in cui furono condotti nella piazza Giulio Cesare di Rimini per essere impiccati». (2)
Nel 1946, padre Ciavatti inviò al tribunale di Forlì, dove si discuteva la causa per la morte dei Tre Martiri, una deposizione scritta che ricostruisce in maniera molto particolareggiata quanto avvenne alle Grazie il 15 agosto 1944: quel giorno, scriveva padre Ciavatti, «fui informato dal Comando tedesco di Covignano della cattura operata dal Segretario Politico di Rimini [Paolo Tacchi, n.d.r.], di tre giovani della città di Rimini. Fui pure informato che sarebbero stati giustiziati l'indomani mattina. Mi presentai al Comando tedesco alle 19 del giorno stesso, dopo aver porto ai tre prigionieri il mio primo saluto. I tre prigionieri, sottoposti evidentemente a torture, erano in condizioni pietose. Il Comando tedesco, dopo ripetute richieste, mi concesse di portare l'assistenza spirituale ai detenuti, il mattino seguente alle 6,30. Successivamente però potei ancora intervenire, attraverso l'interprete, onde commutare la pena di morte nella deportazione. Alle 20 circa uscii dal Comando di Covignano, con la promessa fattami, tramite l'interprete, di rivedere la cosa e con l'ordine di non presentarmi al mattino successivo, attendendo nuove disposizioni. Ma fatti pochi passi, incontrai Tacchi. Egli mi chiese in tono perentorio il perché della mia visita e, alle mie spiegazioni, esclamò: "Niente da fare, padre. La giustizia umana è ormai compiuta". Ma il dubbio che mi percosse in quel momento, diventò certezza allorché, incontrato di nuovo il Tacchi, verso le 22, egli ebbe ad esclamarmi: "Padre, lei è servito!". Poco dopo l'interprete mi confermava la condanna a morte per impiccagione dei tre giovani». (3)
Padre Lombardi, la mattina dell'impiccagione, il 16 agosto, si reca a dir Messa nella chiesa di San Gaudenzio: «Nel ritorno al convento», racconta, «vidi i Tre Martiri, legati con le mani dietro la schiena, scortati dai tedeschi, che si dirigevano verso Rimini». (4)
Padre Amedeo Carpani, che si trovava pure lui al convento del Covignano, il 16 agosto mattina si alzò alle tre e andò subito sotto il portico della Chiesa, «pensando al destino dei poveri giovani». (5)
Non ha più speranze di salvarli dall'esecuzione capitale. La sera prima, è andato assieme a padre Callisto Ciavatti, a scongiurare il Comando tedesco «di non ucciderli, ma di portarli eventualmente in Germania». Conferma padre Carpani: «Non ci fu niente da fare, anche perché Tacchi, che comandava a Rimini, era molto deciso a giustiziarli». (6)
Padre Carpani, alle sei di quel 16 agosto, vede arrivare «sul piazzale delle Grazie gli ufficiali tedeschi, con una piccola squadra di Mongoli, a prelevare i tre giovani», che, con le mani legate dietro alla schiena, vengono condotti in piazza Giulio Cesare: essi «erano convinti di essere fucilati, ma poi quando seppero che venivano impiccati rimasero molto male». (7)
Padre Carpani «di nascosto riuscì a seguire i particolari di quella triste vicenda andando sino alla piazza» Giulio Cesare. (8)
Dopo l'esecuzione capitale dei Tre Martiri, la Polizia di Rimini invia un rapporto al federale fascista di Forlì: «La cattura, nella caserma di via Ducale, di tre ribelli è stata opera personale della intelligente ricerca del Segretario Politico della città di Rimini, coadiuvato da elementi della Feld-Gendarmeria tedesca». (9)
Quel segretario politico è Paolo Tacchi. La sua figura è emblematica della situazione italiana tra 1943 e 1944.

Note
(1) Cfr. Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 270.
(2) Ibidem, p. 271.
(3) Cfr. «Città nuova», 12. 5. 1946.
(4) Cfr. Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 271.
(5) Ibidem, p. 269.
(6) Ibidem.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem, p. 270, testimonianza di p. T. Lombardi.
(9) Cfr. «Città nuova», 12. 5. 1946.

17. Un ducetto di provincia

Paolo Tacchi figura emblematica dell'Italia di Salò. Dai sogni di gloria alle violenze compiute presso la sede del fascio, nella Colonia Montalti sul Marecchia.
I giorni dell'ira, 17. "il Ponte", 03.02.1991

70. Un simbolo.
La vicenda umana e politica che lega Tacchi al destino dei Tre Martiri, ha tutti i caratteri di altre storie nate sotto il fascismo e poi sfociate nello scontro della guerra civile.
Ricostruire la figura di Tacchi e la la sua vicenda, significa anche descrivere un tratto di storia nazionale, con le contraddizioni, le esaltazioni e le miserie morali di ogni guerra.
Chi è Tacchi? Nato a Scheggia nel 1905, alto 1.64, occhi castani, colorito roseo, capelli lisci, «doveva essere un ragazzo esuberante, un pò vocione e spavaldo». (1)
Nelle cronache locali, il suo nome appare raramente, prima della guerra. Nel '25, Tacchi viene descritto come un giovane «allegro», in mezzo ai balli di carnevale. (2)
Dieci anni dopo, egli è fra i trentotto riminesi che ottengono il brevetto della Marcia su Roma: molti di loro non si erano mossi da Rimini, il 28 ottobre 1922. Nello stesso '35, Tacchi diventa dirigente dei fasci giovanili: nelle parate, sfila in testa alla premarinara. (3)
«Nel 1938 ha delle reprimende dal Fascio perché troppo impulsivo». Nel '41, organizza la giornata di propaganda marinara; scrive un articolo sul «Corriere Padano» in ricordo di un caduto, e porta i premarinari in gita a Venezia. Poi, c'è il richiamo alle armi, come maresciallo di Marina, al deposito di Pola, quindi a Piombino, Roma e Trapani. (4)
La sera del 25 luglio '43, ritorna a Rimini, per una licenza di convalescenza. Davanti al Caffè Marittimo gli gridano: «E' finita anche per te». Per lui, invece, deve ancora cominciare. Dopo la liberazione di Mussolini, Perindo Buratti lo lancia verso il vertice del partito repubblichino, di cui diventa segretario per Rimini. (5)
Da quel momento, Tacchi detta legge in città e nel circondario. Non solo, tenta pure di estendere la sua influenza anche sulla neutrale San Marino. Impone il nome di Ughi quale Commissario al Comune, spaventa la gente con minacce, prepotenze, soprusi di ogni tipo.
Fino all'ultimo giorno di agosto '44, quando fuggirà da Rimini all'avvicinarsi degli alleati, sarà «il fascista di punta», come lo definisce Cavallari. (6)
Cavallari ha consultato documenti ed interrogato nemici ed amici di Tacchi, ricavandone un ritratto a due luci, in netto contrasto, senza alcuna sfumatura. «Un generoso, un uomo pieno di fede, un uomo che si esaltava nell'azione», rispondeva (ovviamente) il suo patron Buratti.
«Servì mirabilmente la causa della fraternità, della pace e della fede», attestò mons. Giuseppe Zaffonato, vescovo di Udine, nel '72.
«Ligio al dovere e operoso», secondo il cap. Umberto Zamagni di Venezia.
«Un sadico, un delinquente», «Mezzo normale e mezzo fanatico, quando era in divisa voleva fare il 'duro', peccato che fosse quasi sempre in divisa», dicono due riminesi indicati con le sole sigle (A.F. ed N.T.). (7)
«Girava armato fino ai denti su un'auto con mitraglia sempre con la scorta. Voleva combattere, ma a combattere non andava, non andò. Anzi fuggì», puntualizza Cavallari. (8)
Il gen. Carlo Capanna, in un'intervista esclusiva per «Il Ponte», ci dichiarò: Tacchi era «un matto, un esaltato e violento. Uno che faceva pressione sui ragazzini». (9)
Taglia corto efficacemente, Cavallari: «Tacchi: un uomo sbagliato al posto sbagliato». (10)

Note
1) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 77.
(2) Cfr. O. Cavallari, Rimini imperiale!, cit., p. 38.
(3) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 77.
(4) Ibidem, p. 78.
(5) Cfr. cap. 56, puntata n. 11 de I giorni dell'ira.
(6) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 78.
(7) Ibidem, pp. 78-79.
(8) Ibidem, p. 79.
(9) Cfr. «Così arrestai Tacchi a Padova», «Il Ponte», 29. 8. 1989.
(10) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 85.

71. Il riposo del guerriero.
Quando Tacchi cadde in disgrazia, dopo la Liberazione, anche i suo ex camerati lo attaccarono. Giuffrida Platania mostrò verso di lui «un odio ben chiaro», dicendo che 'Paolino' «era intrattabile specialmente se in compagnia delle sue belle, la Ines Porcellini e la Maria Succi, quest'ultima sua segretaria privata e cassiera del Fascio». (1)
Altra accusa di Platania: Tacchi aveva portato «il suo quartier generale a San Marino, ove soleva riposarsi dalle fatiche fasciste in compagnia delle sue compagne ed amanti abbandonandosi ad orgie neroniane durante le quali spesso venivano torturati i partigiani caduti nelle imboscate».
Il riposo del guerriero. «Il Platania ha aggiunto di aver sempre detestato il Tacchi per i suoi atti di violenza per le azioni criminose che questi commetteva soprattutto se ispirato dalle sue amanti». (2)
Bianca Rosa Succi 'canta' davanti ai partigiani, nel '45, accusando Tacchi di aver bastonato «spesse volte» alla Colonia Montalti, sede del fascio: «Platania poi, rimproverava Tacchi di essere troppo buono». (3)
I riminesi, aggiungeva la Succi, «quando avevano bisogno di fare affari o di ottenere qualcosa... strisciavano» Tacchi, «magari inneggiando anche al Fascio Repubblicano». (4)
«Per ordine del Capo della Provincia», leggiamo in una cronaca del '45, «il Tacchi aveva avuto l'incarico di comandare tutti gli organi di polizia, compresi i carabinieri. La sua guardia del corpo era costituita da militi della Venezia Giulia in un primo tempo, poi da dodici ragazzi di Corpolò. Verbali e interrogatori erano spesso eseguiti da una delle donne che se la intendevano con lui, certa Bianca Rosa Succi...». (5)
La Succi, in una lettera al presidente del tribunale di Forlì, ove era imputato Tacchi, accusava il suo ex amante di aver organizzato i rastrellamenti nel Riminese, di aver catturato prigionieri di guerra alleati, e di aver collaborato con il Comando tedesco, per la compilazione di liste di riminesi da deportare in Germania. (6)
«La Ines Porcellini afferma nella sua deposizione scritta che... i rapporti fra il federale riminese [Tacchi, n.d.r.] e gli ufficiali germanici furono improntati sempre alla massima cordialità, provocando frequenti reciproci inviti a cene e a divertimenti». (7)
Il vice di Tacchi nel partito, Mario Mosca, dichiarò a Cavallari: «Tacchi era un impulsivo e più di una volta mi opposi a lui per certe spericolate e inutili missioni». (8)
A proposito della cattura dei Tre Martiri, Mosca difende Tacchi da ogni responsabilità, raccontando che «un maresciallo tedesco si mise alle costole di Tacchi», in via Ducale. (9)
Tacchi invece dichiarò al processo di aver seguito lui, casualmente, la macchina con il maresciallo tedesco che si recava in via Ducale. (10)

Note
(1) Cfr. «Giornale di Rimini», 15. 7. 1945.
(2) Ibidem.
(3) Cfr. «Il Garibaldino», 8. 9. 1945.
(4) Ibidem.
(5) Cfr. «Giornale di Rimini», 8. 7. 1945.
(6) Cfr. «Città Nuova», 12. 5. 1946.
(7) Ibidem.
(8) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 85.
(9) Ibidem, p. 86.
(10) Cfr. A. Montemaggi, 16 agosto 1944: impiccati in piazza tre giovani partigiani riminesi, «Carlino», 15. 8. 1964. Tacchi, al processo di Forlì del '46, dove era imputato anche per l'uccisione di partigiani e di renitenti alla leva oltre alla «responsabilità presunta» nell'impiccagione dei Tre Martiri, fu condannato a morte. Nel '49, la Cassazione lo assolse per non aver commesso il fatto: l'uccisione dei Tre Martiri avvenne, secondo la sentenza della Suprema Corte, «per circostanze improvvisamente sorte e non prevedute, per iniziativa e ordine dell'autorità militare germanica» (ibidem). Sull' argomento, vedi nel nostro «Rimini ieri», cit., il cap. 26. I conti con il passato.

18. La carovana repubblichina in fuga

L'ultimo giorno di agosto, dopo l'attacco alleato. "Non si è mai ricordata l'attività criminale che Tacchi svolse a Modena con la brigata mobile Pappalardo".
I giorni dell'ira, 18. "il Ponte", 24.02.1991

72. Croci e lacrime.
Federigo Bigi definì Tacchi «molto più odioso» del Comandante delle SS. (1)
A San Marino, conoscevano bene l'arroganza di 'Paolino', la sua «aria di spavalderia e di sfida». (2)
La violenza esercitata ed esibita, costituiva il suo credo. Un'anziana signora di Rimini ci dice che il nome di Tacchi, per la gente, significava terrore.
Giuffrida Platania ricostruì al «Giornale di Rimini» nel 1945 la spedizione di Cagli, in cui Tacchi rimase ferito. Era stata organizzata, nel marzo '44, contro la Quinta brigata Garibaldi, con una cinquantina di fascisti provenienti da Santarcangelo, Viserba e Bellaria.
«La spedizione di rastrellamento non era ancora giunta sul posto», scrisse il giornale, «che fu accolta da un fitto fuoco di fucileria da parte dei gruppi di patrioti nascosti nei paraggi». (3)
Tacchi venne ferito in modo «piuttosto grave», come scriverà lui stesso al «Carlino» nel 1964, lamentando di esser stato «lasciato quasi solo» dai 'suoi'. (4)
Il 15 maggio dello stesso '44, un altro attentato contro Tacchi, avvenne nei pressi della sede del fascio alla Colonia Montalti, mentre lui stava ritornando in auto da Santarcangelo: «Gli attentatori fuggirono, lasciando sul terreno le armi, con tracce di sangue». (5)
Ad agire erano stati due gappisti, Alfredo Cicchetti e Gino Amati. Tacchi dice di esser stato fatto segno a colpi di mitra e di moschetto. I partigiani scrissero nella loro relazione che l'attentato non riuscì «causa inceppamento». (6)
Tacchi elenca in tutto sei attentati alla sua persona.
E smentisce quanto scritto nel '62 da Adamo Zanelli, che cioè il 2 gennaio '44 i gappisti lo ferirono gravemente. (7)
Oltre che alla Colonia Montalti e a Cagli, Tacchi sarebbe stato attaccato (a suo dire), a Spadarolo, alla Grotta Rossa, a Villa Ruffi e a Serravalle.
Quest'ultimo episodio è il più misterioso. Tacchi parla di «colpi» contro la sua 'Topolino', dalla quale egli era sceso poco prima. In qualche ricostruzione storica, quei colpi diventano «una raffica di mitra e lancio di bombe a mano», con un volume di fuoco imponente che non avrebbe lasciato scampo al conducente della vettura, Francesco Raffaellini.
Tacchi, racconterà Giordano Bruno Reffi (che allora faceva parte della Milizia confinaria di San Marino, e che intervenne sul posto dell'attentato), «sospettava che i colpi che avevano perforato la macchina fossero partiti all'interno della stessa auto», e fece una «scenata» a Raffaellini, uno dei fedelissimi del federale. (8)
Era il luglio '44. L'episodio di Serravalle sembra siglare la storia di un personaggio «ambiguo e contraddittorio» come Tacchi. (9)
Mentre il cerchio stava per stringersi attorno a fascisti e tedeschi, la loro violenza si fa più sottile e vigliacca. Sono episodi che, in parte, abbiamo raccontato nelle pagine precedenti. Rileggerli oggi può servire forse a comprendere come quei fatti straordinari che ci fanno inorridire, fossero allora eventi quotidiani, in ogni angolo delle nostre contrade.
L'ultimo giorno di agosto, Tacchi scappa da Rimini verso il Nord, con la carovana repubblichina. «Si è parlato sempre e soltanto del suo successivo 'soggiorno' a Como», ci dice un partigiano: «Non si è mai ricordata l'attività criminale che Tacchi svolse a Modena con la brigata nera 'mobile' Pappalardo» che aveva sede a Concordia ed era comandata dal medico bolognese Franz Pagliani, uno degli autori della strage di Ferrara, squadrista fanatico inviso agli stessi tedeschi. (10)

Note
(1) Cfr. La Repubblica di San Marino, Storia e cultura, Il passaggio della guerra, 1943-1944, cit., p. 84.
(2) Ibidem, p. 70: testimonianza di Maria Teresa Babboni De Angelis.
(3) Cfr. Giuffrida Platania parla di Tacchi, «Giornale di Rimini», 15. 7. 1945.
(4) Cfr. A. Montemaggi, I rapporti fra nazisti e fascisti ed i primi scontri con i partigiani, «Carlino», 25. 4. 1964.
(5) Ibidem.
(6) Cfr. Relazioni sulle azioni svolte dai gruppi d'azione partigiana nella zona riminese del Comitato militare di liberazione nazionale, in «Copie di documenti originali sull'attività partigiana a Rimini e nel Riminese (1944-1945)», presso la Biblioteca Gambalunga di Rimini (C 961).
(7) Cfr. A. Zanelli, La Resistenza nel Forlivese, Cappelli, Rocca San Casciano, 1962, pp. 37-38.
(8) Cfr. La Repubblica di San Marino, Storia e cultura, Il passaggio della guerra 1943-1944, cit., p. 195. (Vedi anche cap. 8, puntata n. 2 de I giorni dell'ira). Reffi parla dell'episodio di Serravalle come di un «presunto attentato». C'è qualche partigiano, da noi ascoltato, che non è d'accordo su ciò. L'attentato sarebbe stato compiuto da due gappisti e da Adelmo Ciavatti (Sap), come si legge nelle cit. Relazioni di Giuliani. In quei giorni, però, Giuliani non è in zona, ma in montagna, da dove rientra nell'agosto '44. Ciavatti fu fucilato dai tedeschi che cercavano un suo fratello, accusato di aver ucciso un soldato nazista. Dei due gappisti, che sarebbero viventi, ma di cui nessuno ha voluto farci i nomi, non parlano gli atti storici dei Gap («Relazione Gabellini»), dove non è neppure citato l'episodio di Serravalle.
(9) La definizione è di Bruno Ghigi nel suo La guerra a Rimini…, cit., p. 212.
(10) «E nella prima metà di Ottobre a dare man forte ai camerati… si trasferiscono a Modena molti elementi della Brigata Nera "Capanni" di Forlì…», si legge in Pietro Alberghi, Giacomo Ulivi e la Resistenza a Modena e Parma, Teic Modena, 1976, p.151, dove si rimanda alla Gazzetta dell'Emilia del 15 ottobre 1944. La brigata nera di Rimini, che era il terzo battaglione di quella forlivese, si intitolava anch'essa ad Arturo Capanni, segretario federale del capoluogo, ucciso dagli antifascisti il 10. 2. 1944. Su Pagliani, vedi S. Bertoldi, Salò, cit., p. 173.

73. Modena.
La brigata nera «Pappalardo» operò tra Modena e Reggio Emilia. Su questo episodio, rimasto finora sconosciuto, è necessario aggiungere qualche altro elemento.
Franz Pagliani era noto per il suo oltranzismo. Professore universitario, dirigeva l'Istituto di patologia chirurgica all'ateneo di Bologna. Pagliani fu anche federale di Modena, e poi divenne ispettore regionale per l'Emilia-Romagna di tutte le brigate nere.
A Pagliani fece capo la «corrente più violenta del fascio modenese». Di lui, si ricorda una frase pronunciata dopo l'adunata del 28 ottobre 1943: «Da oggi cominceranno a funzionare sul serio i picchetti di esecuzione». (1)
Nel gennaio '44, egli fu giudice al processo di Verona.
Il generale tedesco Frido von Senger und Etterlin, comandante del 14º Corpo d'armata corazzato, definisce Pagliani l'«anima nera» del brigatismo fascista, un intrigante che von Senger stesso fece di tutto per estromettere dall'incarico di ispettore regionale. E ciò avvenne il 28 gennaio 1945, per decisione di Mussolini (2), dopo l'uccisione di quattro noti professionisti di Bologna.
Von Senger, in un libro di memorie, scrisse parole di fuoco contro le brigate nere emiliane, da lui definite «nostro comune avversario»: «Autentico flagello della popolazione, queste erano oltrettanto odiate dai cittadini come dalle autorità... e da me. Le brigate nere erano composte dai seguaci più fanatici del partito», i quali «erano capaci di compiere qualsiasi nefandezza quando si trattava di eliminare un avversario politico». Quei fascisti, prosegue il generale tedesco, si dimostravano solo «fedeli e devoti al Duce», ed erano «incapaci di esprimere un giudizio personale». (3)
Von Senger ricorda anche che, a seguito di una serie di azioni terroristiche, violenze, torture ed omicidi compiuti dalle brigate nere emiliane nel tardo autunno 1944, lui stesso, come capo della zona di operazioni, il 21 dicembre convocò a rapporto i maggiori responsabili politici e militari del fascismo. In quell'occasione, Von Senger accusò le brigate nere di compiere azioni «che hanno tutte le caratteristiche di assassinii da strada». (4)
Dopo la guerra, Pagliani fu condannato, e scontò un lungo periodo di detenzione prima di tornare a fare il chirurgo, non più a Bologna, ma a Perugia. (5)

Note
(1) Cfr. Luciano Bergonzini, La lotta armata, vol. I de «L'Emilia Romagna nella guerra di liberazione», a cura della Deputazione Emilia Romagna per la Storia della Resistenza e della guerra di Liberazione, De Donato, Bari, 1975, p. 82 e p. 122.
(2) Ibidem, p. 125, nota 120.
(3) Il libro, intitolato Combattere senza paura e senza speranza, apparso a Milano nel 1966, è citato da L. Bergonzini, ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Cfr. Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, 1943-45, vol. I, Val Padana, Milano, 1974, p. 425. Nel III vol. dell'opera, si legge l'autodifesa di Pagliani: «Lo strano ostracismo» nei suoi confronti «fu revocato da Kesserling personalmente» (p. 1817).

19. I misteri del dopoguerra

La corsa a cancellare il passato. La scomparsa della "relazione Zangheri" è legata all'uccisione del sarto Paolini? L'ex capo repubblichino Tacchi ottiene un certificato da partigiano.
I giorni dell'ira, 19. "il Ponte", 10.03.1991

74. Il dopoguerra
L'ambiente della brigata nera modenese Pappalardo, nel quale la testimonianza inedita, raccolta nella scorsa puntata, inserisce la figura di Paolo Tacchi, è uno dei più terribili dell'Italia di Salò. Mai (come ci ha dichiarato quel partigiano), si è parlato di questa fase emiliana delle avventure politiche di Tacchi, dopo la sua fuga da Rimini.
Anche Bianca Rosa Succi, che da amante di Tacchi si trasformò in sua accusatrice, non porta lumi al riguardo: nell'intervista concessa a «Il Garibaldino» del 14. 9. 1945, la Succi accenna soltanto a «rastrellamenti contro i Partigiani in Val Sesia e in altre località del Nord», compiuti da Tacchi che «divenne comandante del reparto operativo di Como».
Dopo il 25 aprile '45, Tacchi cercò di "cancellare" i precedenti a suo carico. Nel «Garibaldino» del 14. 9. 1945, si legge di un «padre Stanislao Sgarbozza... lurido frate, ex cappellano delle Bande Nere», che «divenuto membro del C.L.N [di Appiano Gentile, n.d.r.]... stava lavorando alacremente per dimostrare alle autorità locali... che Tacchi aveva fatto soltanto del bene e che, nemmeno a Rimini, esisteva nulla a suo carico».
Secondo il «Giornale di Rimini» dell'8. 7. 1945, il vice di Tacchi nel partito e nella brigata «Capanni», Mario Mosca, «rivelò che il Tacchi... era in possesso di un certificato di partigiano». Aggiungeva il giornale che «forse facendosi forte di questa carta il Tacchi non s'è peritato di scrivere al sindaco di Rimini una lunga lettera nella quale, "dopo lunghe giornate di dolore", intende aprire il suo animo per ottenere "non la pietà ma la giustizia"».
Era particolamente abile Tacchi, oppure i tempi confusi dell'immediato dopoguerra favorivano il recupero di personaggi che, per quanto compromessi con il passato regime, potevano far sempre comodo, in funzione anticomunista, come sembrano dimostrare certe recenti vicende politico-storiche? (Il caso Gladio, ad esempio, potrebbe insegnare qualcosa: con quel simbolo, il gladio appunto, che nel settembre '43 i repubblichini avevano messo sulle loro divise, al posto delle stellette del Regio Esercito).
All'inizio del 1965, Tacchi farà una specie di giro di propaganda a San Marino, alla ricerca di «un attestato di 'benemerenza' per il gran bene che dispensò al tempo del neonato fascismo locale durante il tragico periodo della seconda guerra mondiale». (1)
Non gli andrà bene, come invece gli era andata con «Il Resto del Carlino» che l'anno prima aveva ospitato, senza aprire nessun dibattito storico, una lettera-intervento in cui Tacchi scriveva: «Noi ci frapponemmo fra la popolazione italiana e l'ira, comprensibile, dei tedeschi e sempre in noi prevalse, su ogni altra considerazione, e con personale nostro rischio, la difesa morale e materiale dell'Italia». (2)
Tacchi ha cercato sempre di accreditare di se stesso l'immagine del salvatore della patria e dell'uomo che pagava per colpe non sue. C'è un'altra lettera, inviata il 2 maggio '48 da Procida a Mario Mosca, in cui leggiamo che, quando ebbe «necessità che qualcuno di Savignano certificasse che il giorno» dell'uccisione di Chesi e Battarra (a Rimini il 24 agosto 1944) egli era stato in quella località, «l'unica persona che mi rilasciò una dichiarazione fu l'antifascista signora della Posta e Telefoni che aveva raccolta la telefonata che mi informava dell'accaduto», mentre «lo sapevano tutti in quel paese e meglio i fascisti dato che ero colà per comporre le loro beghe». (3)

Note
(1) Cfr. «Riscossa socialista», marzo 1965. Si veda pure il cap. 50 della nostra puntata n. 9.
(2) Cfr. A. Montemaggi, Fascisti, antifascisti e tedeschi fra le macerie di Rimini distrutta, «Il Resto del Carlino», pagina di Rimini, 31. 1. 1964.
(3) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 89. Circa la presenza di Tacchi a Modena, non esistono atti ufficiali, come ci testimonia questa lettera del 26. 11. 1990 dell'Anpi di Modena: «Delle nefaste gesta della Pappalardo nel Modenese, possediamo solo documentazioni e nomi di appartenenti alla medesima, ricavati dal processo celebrato contro il 'comandante' Franz Pagliani ed altri, ma il Tacchi non figura tra essi. Abbiamo interessato l'Istituto Storico della Resistenza di Modena della questione, ma nulla è stato trovato nei suoi archivi sul Tacchi».

75. San Marino.
Perché i fascisti non difesero Tacchi? Le vie della Storia sono talora più misteriose di quelle della Provvidenza.
Gli interrogativi che restano su quelle vicende, sono tanti. Un esempio lo ricaviamo da un documento del 17 novembre 1944. E' il verbale della Giunta comunale di Rimini, relativo alla lettura di sette relazioni sulla guerra partigiana, a firma rispettivamente di Innocenzo Monti, Guido Nozzoli, Giuseppe Gabellini, Paolo Sobrero, Arnaldo Zangheri, Angelo Galluzzi e Veniero Accreman. Negli allegati, però manca la relazione di Zangheri, inerente al Gap di San Marino. (Zangheri, subito dopo la liberazione di Rimini, avvenuta il 21 settembre 1944, rivestì la carica di sindaco provvisorio della città). (1)
Nel verbale di Giunta, si legge che «detta relazione viene approvata; ma si chiede lo stralcio del nome di Stracciarini Tonino».
Antonio Stacciarini (e non Stracciarini), è un nome che abbiamo già incontrato all'inizio delle nostre puntate, legato alla vicenda Paolini. (2)
Nei documenti partigiani, l'unico accenno a questa tragica storia, è nella relazione Monti dell'8 novembre '44, dove si legge: «In M. Diciano (S. Marino) veniva, nell'agosto del c.a. da un reparto di partigiani agli ordini del sarto Pavolini assalito un carro trainato da buoi e carico d'armi e munizioni tedesche. I sei soldati tedeschi di scorta dopo esser stati disarmati venivano disarmati e rilasciati. Il capo gruppo Paolini, successivamente arrestato decedeva per torture inflittegli dai fascisti. Altri 16 partigiani venivano deportati in Germania».
(Nello scritto ci sono varie imprecisioni: il paese di Montelicciano è in Comune di Montegrimano, e l'episodio della cattura di Paolini risale al 12 luglio '44, non all'agosto. Paolini viene chiamato anche Pavolini).
Paolini era agli ordini di Stacciarini, un ex sergente della Milizia e figlio di un manganellatore fascista. Per i precedenti suoi e del padre, di lui non ci si fidava pienamente: Paolini dette credito alla buona fede del capo, ma lo fece seguire da Francesco Penserini. (3)
Perché in Giunta comunale si chiese «lo stralcio del nome di Stracciarini Tonino»? Questo nome ai più sembra alquanto sconosciuto. Terminata la guerra, su Stacciarini si ebbero probabilmente notizie più precise, e lo si volle depennare dall'elenco dei partigiani attivi a San Marino. Ma perché sparì la relazione Zangheri? Forse la chiave del piccolo mistero, sta proprio nella vicenda di Duilio Paolini, dalla quale siamo partiti nella nostra ricostruzione.
A proposito di atti scomparsi: Bianca Rosa Succi raccontò al «Garibaldino» del 14. 9. 1945 che a Padova i repubblichini avevano distrutto la lista dei circa 600 loro iscritti, «assieme ad altri documenti compromettenti».
Un altro documento sparì dopo la guerra: l'archivio del Pci clandestino, «conservato in un bidone di bitume vuoto», posto in un pozzetto scavato lungo un argine, nei pressi della casa colonica di Franzchin Zani, a San Giovanni in Bagno: «Chissà chi ha avuto interesse a farlo sparire», si chiede lo scrittore Guido Nozzoli (4), in una testimonianza su quei «giorni dell'ira», come li ha chiamati lo storico Lorenzo Bedeschi. (5)

Note
(1) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., p. 69.
(2) Cfr. parte prima de I giorni dell'ira, puntata 1, puntata 2 e puntata 3.
(3) Cfr. puntata 4, scheda n. 2, «La banda Stacciarini» e relativa bibliografia.
(4) Cfr. Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., pp. 216-217, e A. Montanari, Rimini ieri, cit., p. 28.
(5) Cfr. L. Bedeschi, Don Giovanni Montali parroco di S. Lorenzino in Strada, in «storie e storia», n. 10, ottobre 1983, p. 14.
Liliano Faenza, LA RESISTENZA A RIMINI.
Istituto storico della resistenza di Rimini [1995].

Citazioni dei lavori di Antonio Montanari, 1989-1991.


Dal saggio di Liliano Faenza, LA RESISTENZA A RIMINI
a cura dell'Istituto storico della resistenza di Rimini [1995]
Dalla presentazione di Liliano Faenza, pag. 24.
"[...] accanto alle ricerche e agli studi del Montemaggi e alle pubblicazioni dell'editore Ghigi, sarà doveroso segnalare anche i servizi di Antonio Montanari, sempre sul settimanale "Il Ponte" che, nel 1989-1991 ha ripercorso il medesimo periodo di oppressione e di resistenza all'oppressione, con saggi informati e precisi corredati anche di schede. Saggi che si aggiungono a quelli che sempre sullo stesso "Ponte", il Montemaggi aveva svolto in chiave politico-militare."
Dalla presentazione di Liliano Faenza, pagg. 29-30.
"Su due soli titoli, qui segnalati, non abbiamo saputo resistere resistere alla tentazione di infrangere (per la seconda volta, dopo il "caso" Gumpert) la norma che ci siamo imposta di non entrare nel merito (e ne chiediamo venia al lettore). E sono quelli relativi ai saggi del Bedeschi e del Montanari, rispettivamente del 1983 e 1993 su Giovanni Montali. (Montali, unitamente a Rino Molari, ? fucilato quest'ultimo a Fossoli nel 1944, ? entrambi santarcangiolesi, ? sono i resistenti che lo schieramento cattolico può affiancare in loco ai "Tre Martiri" riminesi annualmente rievocati dall'Anpi e dall'Amministrazione comunale). Il Montali, dicevamo, sacerdote ex modernista, ? rimasto intimo dello scomunicato "vitando" Romolo Murri, nonostante i fulmini della scomunica, e fermo antifascista, che nel 1944 evitò a stento la cattura da parte di fascisti della repubblica sociale che, per soddisfare una loro vendetta intendevano eliminarlo, ed al quale essi uccisero il fratello e la sorella buttandoli poi in un pozzo ? negli anni del regime si adoperò senza posa, come ricordano i due autori sopracitati, per il rientro all'ovile del "vitando", che il Montali rifornì, durante gli anni della guerra, anche di viveri, allora piuttosto scarsi, recandosi a Roma con indosso la "saccona" da cacciatore, e ciò, come precisa il Bedeschi, per sfuggire ai controlli e alle sanzioni ecclesiastiche (quella "saccona" un tempo serviva al clero romagnolo per sfuggire allo sbarramento anticlericale).
Se ciò risponde al vero, e non dovremmo dubitarne data l'autorevolezza dell'Autore, dovremmo concludere che il cattolicesimo del Montali, anche dopo la Pascendi ? non dovette essere molto rigoroso, ma da cattolico "a modo suo" cioè, oseremmo dire, da cattolico vero (si ricordi la giobertiana "poligonia" del cattolicesimo), per non dire "disubbidiente", a volerci esprimere alla Bedeschi autore, come noto, de I cattolici disubbidienti. In quegli anni, infatti, un sacerdote cattolico che avesse mantenuto rapporti con un "vitando", anziché evitarlo, diventava eo ipso "vitando" agli occhi della Chiesa e quindi anche di Dio, che detta norme tramite la Chiesa. Il Montanari però, nella sua biografia, corregge il Bedeschi avvertendoci a questo punto, in base a una precisazione di don Michele Bertozzi, nipote del Montali, che quest'ultimo frequentò lo scomunicato consenziente la Chiesa (consenso verbale? scritto?). Ma allora non si capisce per quale ragione il Montali sentisse il bisogno di "mimetizzarsi" vestendo la "saccona" per incontrare il reprobo (e l'informatissimo Bedeschi non sapeva nulla di quel consenso ecclesiastico?). Le scomuniche vanno (o andavano) soggette a interpretazioni di comodo? (il che potrebbe anche darsi, se il cattolicesimo si risolve nella casistica dei gesuiti). Sarebbe poi interessante sapere se ai tentativi compiuti dal Montali per riportare lo scomunicato in seno alla Chiesa, si siano aggiunti tentativi analoghi per guadagnare il Murri al campo dell'antifascismo, dato che il Murri al fascismo aveva aderito, contrariamente al Montali, esaltandolo anche in pubblicazioni concepite in chiave clerico-fascista."

SCHEDE
Montanari, Antonio
Rimini ieri. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica (1943-1946), (Rimini), Il Ponte 1989, pp.158, (ill.).
Rievoca in venticinque capitoli le vicende liete, tristi e tragiche della città, movendo dalla Rimini balneare di fine anni '30 e toccando la caduta e rinascita del fascio locale, l'inizio delle attività clandestine, le incursioni aeree, le drammatiche scelte di campo, lo scampo dei centomila a San Marino, i tre martiri, il lungo inverno del 1944, la ripresa.
Montanari, Antonio
I tre martiri, "Il Ponte" (Rimini), 6 agosto 1989 (ill.).
Ricostruisce la tragica vicenda dei tre martiri, a 45 anni dalla loro impiccagione. L'articolo viene poi ampliato nel cap.XIII del libro Rimini ieri. 1943-46. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica (ed. "Il Ponte"), dello stesso autore, con aggiunta di particolari sulla figura e il ruolo della spia Leo Celli che avrebbe fatto catturare i tre giovani riminesi in via Ducale (cfr. pag.57 del volume cit.: "Celli si sarebbe trovato coinvolto casualmente..." ecc.).
Cenni anche sul processo a Paolo Tacchi dopo la sua fuga da Rimini all'arrivo degli Alleati, alla sua condanna a morte e all'assoluzione.
Montanari, Antonio
L'ultima estate di pace, "Il Ponte" (Rimini), 10 settembre 1989 (ill.).
Una carrellata sulla Rimini balneare alla vigilia del secondo conflitto. Una Rimini dalla vita gaia e spensierata, secondo il cinegiornale Luce; meta di treni popolari e di gerarchi in vacanza tra gite di villeggianti e tridui di preghiera per evitare il conflitto. Il primo settembre Hitler aggredisce la Polonia.
Montanari, Antonio
"Chi dei due" è Mat?, "Il Ponte" (Rimini), 24 settembre 1989 (ill.).
Un errore di stampa del "Corriere padano" organo ferrarese di Italo Balbo, o forse la fronda di qualche tipografo, presenta la nuova rivista delle "Fantasie comiche Max" come "Fantasie comiche Mat. Chi dei due?", al teatro Novelli. Può essere un'allusione alla coppia Mussolini-Hitler. Siamo sempre nella Rimini della vigilia. Il fascista duro e puro Giuffrida Platania diletta il pubblico sul piazzale Cesare Battisti con il suo teatro dei burattini, in cui è provetto.
Paolo Tacchi, dirigente dei fasci giovanili, ma ancora poco noto, debutta presso l'istituto di cultura fascista con il tema: "Mussolini: 'Il Popolo d'Italia', l'intervento, la guerra".
Il capomanipolo Ugo Ughi parla invece sul trattato di Versaglia, sul dopoguerra e sui partiti politici del dopoguerra. Il giornalista-scrittore Ezio Camuncoli stigmatizza sul "Popolo d'Italia" le turiste vibranti di emozioni americane, amanti del "giazzo" (il jazz italianizzato), e i riminesi diventati per lui "riminaschi". Ai ludi giovanili della Gil si segnalano Sergio Ceccarelli e Luigi (Gino) Pagliarani. In commissione, a giudicare i candidati c'è Albertina Crico, docente di inglese che è in realtà Roxane Pitt agente della Intelligence Service.
Montanari, Antonio
Il comune se ne fregia, "Il Ponte" (Rimini), 1 ottobre 1989 (ill.).
Il re concede alla nostra municipalità una promozione. Con quasi settantamila abitanti diventa comune di secondo grado. Ha grandi lavori in corso "per l'intervento del Duce" il pilota che non va turbato. Le disavventura del povero Nasi, troppo facile alle libagioni, sottoposto a frequenti arresti, noto in città per l'imperativo: "Comando posso e voglio" che è una parodia di "Credere obbedire combattere".
Montanari, Antonio
Così arrestai Tacchi a Padova, "Il Ponte" (Rimini), 29 ottobre 1989 (ill.).
L'attuale generale di aviazione Carlo Capanna, già partigiano collegato con l'VIII Brigata Garibaldi,
rievoca per "Il Ponte" un episodio del 1946, legato alla tragica vicenda dei tre martiri. Si reca a Padova a prelevare Paolo Tacchi, dopo la caduta della Rsi. Ha un drammatico colloquio con l'ex comandante fascista repubblicano durante il trasferimento: "Che cosa dicono di me?" ? "La cosa più grave è l'impiccagione di quei ragazzi. C'è la denuncie del frate..." ? "Allora per me non c'è più niente da fare. Se scappo mi sparate?".
Montanari, Antonio
Papà mio, dove lo portate?, "Il Ponte" (Rimini), 3 dicembre 1989 (ill.).
Nella notte del 12 luglio 1944, i brigatisti della Rsi sequestrano e torturano Duilio Paolini, sarto marchigiano confinato dalla polizia a Montelicciano, frazione di Montegrimano. La figlia Ines di 14 anni, impazzisce per il dolore.
Il Paolini a Montelicciano faceva aperta fede di antifascismo. Svolgeva senza preoccuparsi di chi lo ascoltava una intensa attività di propaganda antifascista tra i giovani. Ospitava ad ascoltare radio Londra e radio Mosca, clienti, amici e forse qualche falso amico. Questa la ragione della furia repubblicana che si accanisce con odio incredibile contro di lui uccidendolo e rendendone introvabili i resti.
Montanari, Antonio
La caccia all'uomo, "Il Ponte" (Rimini), 17 dicembre 1989 (ill.).
È il secondo dei tre articoli dedicati all'uccisione di Duilio Paolini da parte dei brigatisti neri. I brigatisti espatriano sul Titano in cerca di antifascisti. Lo strano (o presunto) attentato politico a Paolo Tacchi, del luglio 1944, fa da pretesto a un rastrellamneto a San Marino, e forse anche all'eliminazione del sarto di Montelicciano, il quale è creduto organizzatore di bande partigiane. Nell'articolo si accenna anche all'arresto di Giuseppe Babbi (18 marzo 1944) che viene avviato al carcere di Bologna; a quello dei partigiani riminesi Decio Mercanti, Giuseppe Polazzi, Leo Casalboni ed Elio Ferrari (che vengono tradotti a Forlì) e del sammarinese Gildo Gasperoni (del 4 giugno successivo) presso il cimitero di Montalbo; e a quello di Rino Molari avvenuto a Riccione il 4 aprile e fucilato a Fossoli il 13 luglio insieme al riminese Walter Ghelfi e al corianese Edo Bertaccini.
Montanari, Antonio
L'ombra della guerra oscura il sole delle vacanze, "Il Ponte" (Rimini), 24 giugno 1990 (ill.).
Campane, trombe, tamburi, il 10 giugno, giorno dell'entrata in guerra, per chiamare la gente in piazza Cavour e Giulio Cesare ad ascoltare il discorso di Mussolini da Palazzo Venezia. Si va diffondendo con cautela, l'ascolto di Radio Londra.
Montanari, Antonio
L'agosto di passione, "Il Ponte" (Rimini), 7 gennaio 1990 (ill.).
È il terzo dei tre articoli relativi alla cattura e all'uccisione del sarto Duilio Paolini a Montelicciano (il primo e il secondo sono in "Il Ponte" del 3 e 17 dicembre 1989).
Una relazione ai Capitani Reggenti, del capitano Schutze, tende a far apparire il Paolini come delatore. Egli secondo i tedeschi prima di essere fucilato avrebbe confessato che i sanmarinesi Gildo Gasperoni e Luigi Giancecchi arrestati dalle SS erano in contatto con una banda di circa trenta uomini (banda Stacciarini) agenti ai confini della RSM. La versione tedesca ha probabilmente lo scopo di coprire la responsabilità dei brigatisti neri nella eliminazione del Paolini, che non poteva far nomi perché non conosceva gli arrestati.
Nell'articolo si accenna anche alla cattura e impiccaggione dei tre martiri, avvenuta il 13 agosto 1944 a Rimini; alla insistenza di Paolo Tacchi a voler effettuare un rastrellamento di giovani a San Marino, sventato il 25 agosto, grazie alla abilità diplomatica del dott. Ezio Balducci ex fascista che agisce in qualità di plenipotenziario della Repubblica presso gli stati belligeranti; all'arresto di dodici sanmarinesi catturati come ostaggi in seguito all'uccisione in una imboscata di un russo aggregato all'esercito germanico; arresto seguito dal rilascio, grazie all'intervento di Federico Bigi, membro del governo provvisorio, ma anche dall'incendio, per rappresaglia, di due case. Gli ostaggi erano stati condotti a Montegrimano, tenuti nudi per tre giorni e costretti ad attingere acqua alla fontana pubblica. Cenno sulla banda Stacciarini che ha avuto ordine dal comando partigiano di sconfinare nella RSM in caso di reazione tedesca. Lo Stacciarini è figlio di un ex gerarca fascista. Della sua banda fanno parte anche ex ufficiali del disciolto esercito italiano.
Montanari, Antonio
28 luglio 1943. San Marino volta pagina, "Il Ponte" (Rimini), 4 marzo 1990 (ill.).
È il "25 luglio" sammarinese, messo in opera con tre giorni di ritardo. La sera del 25 luglio italiano, i notabili sanmarinesi giocano a poker nell'albergo Titano. Giunge una telefonata: "Badoglio ha sostituito Mussolini". Commento umoristico di Giuliano Gozi: "Allora a Palazzo metteremo il ritratto di Badoglio al posto di quello del Duce".
Il 28 luglio al teatro del Borgo ha luogo una grande manifestazione popolare preorganizzata due giorni prima nell'ambulatorio del dott. Alvaro Casali, anti-fascista. Chieste le dimissioni del governo. Costituito un governo provvisorio. Cancellati tutti i provvedimenti adottati dalla RSM dal 1° aprile 1923 al 27 luglio 1943. Il 5 settembre 1943 indetti i comizi elettorali. Il 16 nuovo Consiglio grande e genarale con un discorso del vecchio leader socialista Gino Giacomini. Il 5 ottobre un reparto SS, con tre autoblinde, entra nel territorio della Repubblica.
C'è a corredo dell'articolo anche una scheda sulla banda partigiana guidata da Antonio Stacciarini a Montegrimano che però si disperde assai presto (dall'aprile al giugno 1944), e un accenno all'arresto di dodici perseguitati mantovani giunti a Montegrimano e catturati dai tedeschi nei primi mesi del 1944.
Montanari, Antonio
Chi minaccia San Marino, "Il Ponte" (Rimini), 18 marzo 1990.
Reparti di SS provenienti da Pesaro il 5 ottobre 1943 tentano di catturare Alvaro Casali uno dei principali promotori della caduta del regime fascista sanmarinese il 28 luglio 1943. Casali riesce a fuggire. Tedeschi e repubblicani perlustrano San Marino, Borgo e Città. In seguito lo stesso Casali con Gino e Remy Giacomini e Doro Lonfernini trovano riparo a Torriana e a Rimini. Brigatisti neri fanno periodiche incursioni in Repubblica. Proteste del governo sanmarinese presso il ministro italiano degli affari esteri. Il console tedesco a Venezia dà assicurazione. Il 25 ottobre 1943 Rommel giunge a San Marino. La sua visita dà fiato ai fascisti locali i quali il 28 ottobre riescono ad ottenere la inserzione di cinque loro rappresentanti nel Consiglio grande e generale, ivi incluso Giuliano Gozi. È il cosidetto "patto di pacificazione". Con il quale viene richiamato a San Marino il dott. Ezio Balducci nominato plenipotenziario e inviato straordinario della Repubblica presso gli stati belligeranti (il fascista Balducci nel 1934 era stato condannato e venti anni di lavori pubblici per complotto contro lo stato sanmarinese). Il 4 gennaio 1944 sorge il partito fascista repubblicano di San Marino. Ne è segretario Giuliano Gozi.
Montanari, Antonio
L'attentato a Casali, "Il Ponte" (Rimini), 1 aprile 1990 (ill.).
Il 6 febbraio 1944 il medico antifascista sanmarinese Alvaro Casali è aggredito e ferito da un colpo di pistola a due centimetri dal cuore. Il 18 marzo viene arrestato a Serravalle l'antifascista riminese Giuseppe Babbi, cattolico. Suo incontro con Rino Molari e Walter Ghelfi nel carcere di Bologna. Una scheda su don Giovanni Montali e sull'uccisione di suo fratello Luigi e della sorella Giulia con una testimonianza inedita di Maria Teresa Avellini Semprini su Rino Molari. Inizia il 1 aprile 1944 la reggenza di Francesco Balsimelli e Sanzio Valentini.
Montanari, Antonio
La professoressa che faceva la spia, "Il Ponte" (Rimini), 29 aprile 1990 (ill.).
Viene festeggiato il I maggio 1944 clandestinamente. I cantieri sono deserti. Gildo Gasperoni, comunista, viene arrestato. Tradotto in carcere. Fugge il giorno dopo quando sta per essere condotto in Italia per essere sottoposto alle vendette del col. Fattori un sanmarinese che è fanatico-fascista repubblicano (e che finirà fucilato). Il 4 giugno a Montalbo catturati quattro antifascisti (Decio Mercanti, Giuseppe Polazzi, Leo Casalboni, Elio Ferrari), e ancora una volta il Gasperoni. Il 26 giugno è bombardata San Marino dall'aviazione alleata. Sessantatre morti. Azione diplomatica sulle potenze alleate e sulla Germania perché sia rispettata la neutralità. San Marino bombardata perché ondeggiante tra il rispetto della neutralità richiesta agli angloamericani e la passività dimostrata verso nazisti e i fascisti di Salò (con una scheda su Roxane Pitt (alias Albertina Crico insegnante presso il ginnasio di Rimini), agente segreta dell'Intelligence Service tra Rimini e San Marino).
Montanari, Antonio
Tra saluti romani e bombe alleate, "Il Ponte" (Rimini), 20 maggio 1990 (ill.).
Il primo agosto una delegazione diplomatica sammarinese tra cui Giuliano Gozi del partito fascista sanmarinese, Francesco Balsimelli reggente, ed Ezio Balducci plenipotenziario, si reca a Salò dal Duce per ottenere assicurazioni che la Repubblica non sarà invasa da truppe germaniche. A metà agosto una seconda missione presso il generale Kesselring a Reggio Emilia e presso l'ambasciatore Rahn a Fasano, per evitare l'installazione di un ospedale militare germanico a San Marino.
Inizia l'offensiva sulla Linea Gotica. I tedeschi si portano sul territorio della Repubblica che per essi diventa zona di operazioni. Trattativa convulsa con tedeschi e alleati per evitare che San Marino sia campo di battaglia. Ricorso anche ad agenti segreti e militi della confinaria.
Montanari, Antonio
Fascisti alla sbarra, "Il Ponte" (Rimini), 10 giugno 1990 (ill.).
In esclusiva il racconto inedito del processo ai fascisti repubblicani del Titano, desunto dagli appunti di un giudice, il prof. Giovanni Franciosi (con una scheda sullo stesso prof. Franciosi). Il Franciosi rileva che i fascisti repubblicani sanmarinesi si sono macchiati di colpe in un certo senso permesse loro anche dagli avversari antifascisti, perché tra gli uni e gli altri era stato stipulato un atto di "pacificazione cittadina". È decretata una sanzione morale a tutti gli ex fascisti repubblicani, infliggendo loro la perdita dei diritti politici per un tempo da determinarsi caso per caso. A Giuliano Gozi nel gennaio 1946 sono comminati sette anni di carcere. Al fratello Manlio, cinque. In Franciosi prevale amarezza. Egli ha espresso voto contrario alle pene.
Rientro di Paolo Tacchi a San Marino (agli inizi del 1965) nel tentativo di ottenere un attestato di benemerenza per ciò che, a suo dire, ha compiuto in pro della Repubblica durante i mesi della occupazione tedesca in Italia. La sua richiesta, giudicata provocatoria, non trova accoglienza.
Montanari, Antonio
La pacificazione impossibile, "Il Ponte" (Rimini), 29 luglio 1990 (ill.).
È annunciata la caduta di Mussolini. Si forma un corteo da Marina centro verso piazza Cavour, al grido di: "Viva la libertà! Vogliamo la pace".
In piazza Cavour, un tafferuglio. Un giovane comunista Alessandro Ghelfi, riceve un pugno in faccia da un ufficiale della milizia. Battibecchi in piazza Giulio Cesare (oggi Tre Mrtiri). Rientra Paolo Tacchi a Rimini per una licenza di convalescenza. Grida partono contro di lui. Giuffrida Platania fascista, in via Garibaldi riceve zoccolate in testa. Nello studio dentistico di Alvaro Casali si progetta un "25 luglio" sanmarinese (sarà attuato il 28 luglio). Arrestati i fascisti Platania, Perindo Buratti, Eugenio Lazzarotto, Giuseppe Betti, Valerio Lancia. Carlo Capanna, accademista dell'aereonautica di Forlì, scappa a Meldola con una piccola scorta d'armi.
I tedeschi occupano la città (10 settembre). Tentativo di tregua tra fascisti e antifascisti, nello studio del fascista Frontali in via Bonsi (con lui, Paolo Tacchi e Perindo Buratti, uscito dal carcere grazie ai tedeschi). Tra gli antifascisti Giuseppe Babbi, Gomberto Bordoni, Isaia Pagliarani, Decio Mercanti e Dario Celli. Il tentativo fallisce.
Montanari, Antonio
Foto di gruppo in camicia nera, "Il Ponte" (Rimini), 30 settembre 1990 (ill.).
Nasce a Rimini il 16 settembre 1943 il fascio repubblicano, con cento iscritti. Fondatori: Paolo Tacchi, Giuffrida Platania, Cesare Frontali, Perindo Buratti. Viene scattata una foto ricordo. Si forma un trimvirato: Tacchi, Frontali, Buratti. Poi Tacchi sarà eletto segretario, Mario Mosca sarà suo vice. A dicembre gli iscritti salgono a un migliaio.Montanari, Antonio
"Sbandati al muro" "Il Ponte" (Rimini), 21 ottobre 1990 (ill.).
Il 18 novembre 1943 pubblicato a Rimini il bando del ten. col. Dino Pancrazi, comandante del Distretto Militare di Forlì per un primo richiamo alle armi. Succede al Pancrazi il col. Dominici che minaccia i renitenti con denuncia dei capifamiglia al Tribunale.
Infine, bando Graziani del 18 febbraio 1944 che commina la pena di morte ai renitenti delle classi dal 1922 al 1924. I fascisti di Tacchi rastrellano giovani riminesi già impegnati nella Todt, suscitando proteste dai tedeschi, che si vedono sottrarre mano d'opera. I giovani rastrellati sono condotti alla sede del fascio, sul Marecchia (colonia elioterapica Montalti) e picchiati. Per scompigliare le operazioni di reclutamento o impedire il controllo della renitenza, asportati i registri di stato civile del Comune di Gemmano da parte di un gruppo partigiano guidato da Gianni Quondamatteo.
Montanari, Antonio
Il venerdì santo di Fragheto, "Il Ponte" (Rimini), 4 novembre 1990 (ill.).
Civili riminesi rastrellati periodicamente da tedeschi e da fascisti repubblicani e rinchiusi nella corderia di Viserba. Fughe di catturati, in varie parti del Riminese. Il venerdì di Pasqua 1944 scontro tra partigiani e tedeschi che dura tre o quattro ore, a Fragheto. I partigiani sono sopraffatti dalle truppe hitleriane. Perdono un prigioniero tedesco che avevano con sé. Il comando tedesco punisce Fragheto rea,a suo giudizio, di ospitare partigiani. Strage raccapricciante di uomini e cose.
Dal novembre, inizio dei bombardamenti aerei su Rimini. Il 27 dello stesso mese, Ugo Ughi commissario prefettizio al posto di Eugenio Bianchini. La sua nomina è imposta al prefetto da Paolo Tacchi.
Montanari, Antonio
Scampoli di retorica sopra le macerie, "Il Ponte" (Rimini), 5 novembre 1990 (ill.).
La città è sepolta sotto un cumulo di macerie. I civili arruolati nella Todt, sono impiegati in lavori di demolizione di ville al mare per creare postazioni di difesa antisbarco. Sofferenze di gente comune, in un tragico spettacolo di morte, da un lato; ostentata sicurezza e fiducia nella vittoria nelle relazioni del commissario Ughi, dall'altro.
Proseguono i rastrellamenti dei tedeschi fra la popolazione. Ad un simposio sul colle Covignano, Paolo Tacchi esce in una confessione: "La guerra, per l'Italia e per la Germania è già perduta" che lascia esterrefatto il ten. col. Christiani. Dono di un portasigarette d'argento da parte del Municipio al ten. col. Werner von Lutze che lascia Rimini nell'estate 1944.
Montanari, Antonio
Giovani senza più giovinezza, "Il Ponte" (Rimini), 9 dicembre 1990 (ill.).
Giovani adolescenti nel 1943 cominciano confusamente a orientarsi verso un altro domani. Don Angelo Campana, attenta guida spirituale di alcuni di loro (Ercole Tiboni, Renato Zangheri). Collaborazioni di Zangheri e Sergio Zavoli a "Testa di ponte" periodico diretto da un giovane del Guf. La Fuci di via Bonsi ? dove capitano il cattolico ex popolare Giuseppe Babbi e il laureando Benigno Zaccagnini ? vivaio di formazione e orientamento. Arresto nel 1943 di due giovani studenti, Guido Nozzoli e Gino Pagliarani, rei di aver diffuso volantini recanti la scritta: "Non credere, non obbedire, non combattere".
Montanari, Antonio
L'ora delle scelte, "Il Ponte" (Rimini), 6 gennaio 1991.
L'articolo rievoca l'ammutinamento di due classi del liceo scientifico, il 24 marzo 1943. Si rifiutano di rispondere con l'"a noi!" all'invocazione di "saluto al Duce" al termine di una lezione di educazione fisica. Accenna anche al sacrificio di Rino Molari e Walter Ghelfi, fucilati a Fossoli nel luglio 1944, e a quello dei tre martiri, il 16 agosto 1944. Sono mesi di dramma che volge in tragedia. È guerra civile. Giovani delle stesse classi e stesse adunate si trovano su barricate opposte, non più amici ma nemici.
Montanari, Antonio
Un ducetto di provincia, "Il Ponte" (Rimini), 3 febbraio 1991.
È il curriculum politico di Paolo Tacchi, nato nel 1905. Allegro di carattere in gioventù, ottiene il brevetto della Marcia su Roma. Nel 1935 è dirigente dei fasci giovanili, centurie premarinare. Nel 1938 è giudicato troppo impulsivo dai dirigenti locali del fascio. Nel 1941 porta i premarinari in gita a Venezia. Richiamato alle armi come maresciallo di marina, prima a Pola, poi a Piombino, poi a Roma e a Trapani. Rientra a Rimini il 25 luglio 1943. Segretario del fascio repubblicano dopo l'8 settembre fino alla fine di agosto 1944. Seguono giudizi favorevoli e contrari su di lui, da parte di chi lo conobbe. Giudizi, dopo la sua caduta, delle due donne che gli furono sentimentalmente legate.
Montanari, Antonio
La carovana repubblicana in fuga, "Il Ponte" (Rimini), 24 febbraio 1991.
L'articolo accenna alla spedizione di brigatisti neri comandati da Tacchi contro i partigiani della V brigata Garibaldi, a Cagli. Tacchi è ferito piuttosto gravemente. Fa cenno agli attentati subiti da Tacchi (sei attentati, secondo lui). Poi alla fuga da Rimini alla fine d'agosto, e al suo passaggio a Modena agli ordini della brigata nera mobile "Pappalardo", comandata da Franz Pagliani, invisa agli stessi tedeschi.
Giudizio negativo sulle brigate nere, espresso in un libro di memorie scritto dal generale Frido von Senger und Etterlin.
Montanari, Antonio
I misteri del dopoguerra, "Il Ponte" (Rimini), 10 marzo 1991.
Ancora su Tacchi, partecipe di rastrellamenti contro partigiani in Val Sesia e altre località del nord. Un frate, cappellano delle brigate nere poi membro del Cln, di Appiano Gentile, cerca di provare che Tacchi ha fatto solo del bene e che a Rimini nulla esiste a suo carico. Tacchi in possesso di un certificato di partigiano. Chiede al sindaco di Rimini non pietà ma giustizia. Si reca a San Marino nel 1965 per chiedere un attestato di benemerenza per l'azione svolta, secondo lui, a favore della RSM durante i mesi dell'occupazione tedesca. Cenni su un verbale della Giunta comunale di Rimini, in data 17 novembre 1944, relativo alla lettura di sette relazioni sulla guerra partigiana, redatte da Innocenzo Monti, Guido Nozzoli, Giuseppe Gabellini, Carlo Sobrero, Arnaldo Zangheri, Veniero Accreman. Manca la relazione Zangheri, inerente al Gap di San Marino.
Cenni anche sull'archivio del Pci clandestino, conservato in un bidone di bitume vuoto e sepolto nei pressi di una casa colonica a San Giovanni in Bagno, e andato smarrito.
Montanari, Antonio
L'Oberdan della resistenza, "Il Ponte" (Rimini), 21 luglio 1991.
Rievoca la figura di Carlo Capanna (partigiano "Oberdan") deceduto l'11 luglio 1991, all'età di 70 anni. Accenna ad alcune memorie sulla sua vita di partigiano combattente, che avrebbero dovute essere pubblicate sul "Ponte"; e ad un suo duro giudizio sulla cattura dei tre martiri. I quali quando furono condotti al supplizio erano accompagnati solo da otto soldati tedeschi (così era stato riferito a lui). Incolpa i partigiani di Rimini per quella cattura. A cominciare da chi, in quel momento, era sul tetto della casa di via Ducale a raccogliere rosmarino per cuocere un pollo, e se ne è rimasto lì, senza far nulla. Conclude affermando che a Rimini i partigiani erano tutti fifoni. I tre a pian terreno, si erano trovati improvvisamente davanti ai due tedeschi, a Tacchi e a Mosca, che senza esitazione li avevano fatti prigionieri.
Montanari, Antonio
Una cara "vecchia quercia". Don Giovanni Montali. Biografia, "Il Ponte" (Rimini), 1993, pp.304 (ill.).
Rievoca in dettaglio la figura di don Giovanni Montali prete ex modernista e antifascista, costretto, all'approssimarsi del fronte, a fuggire a San Marino per sottrarsi alla cattura dei brigatisti che gli davano la caccia.
Contiene, inoltre, una ricostruzione informata e dettagliata della resistenza nel Riminese, nei capp. 17° (Dopo il 25 luglio 1943 ), 18° (L'ora delle scelte ), 19° (I giorni dell'ira ), 20° (La battaglia attorno alla chiesa ), 21° (La "seconda Cassino" ) (quest'ultimo è la riproduzione di un "memoriale" scritto dallo stesso don Montali l'11 giugno 1957); 22° (I giorni del perdono ); e una autobiografia di don Giovanni Montali, redatta il 15 febbraio 1945; in essa il sacerdote dichiara di avere avuto nella vita un viso e una fronte sola: quelli di cristiano-cattolico in religione e di democratico in politica.


Tonelli, Giorgio
Solidarietà e ipocrisie fra le macerie della città morta, "Il Ponte" (Rimini), 10 dicembre 1989.
Recensisce il volumetto di Antonio Montanari, Rimini ieri (cfr. Montanari, 1989) notandone la stringatezza, la richezza di note e di documentazione. Si ferma, tra l'altro, su di alcuni particolari: a S. Giovanni in Bagno, l'archivio del Cln, già nascosto in un bidone e conservato in un pozzetto lungo un argine, scompare nel dopoguerra; a Padova viene distrutta la lista dei fascisti repubblicani riminesi, insieme ad altri documenti troppo compromettenti per chi si stava costruendo un presente di onorato antifascista. Persino Paolo Tacchi riesce, nei caotici giorni della fine, a procurarsi un certificato di partigiano.


I giorni dell'ira [ed. 1989-1991].



Versione unificata:
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-19
Articoli apparsi ne "il Ponte", settimanale di Rimini.

Pagina indice. I giorni dell'ira [ed. 1989-1991].


I giorni dell'ira [ed. 1989-1991]. Indice dei singoli capitoli.
Parte prima. Il delitto Paolini
<1. «Papà mio, dove lo portate?» [03.12.1989]
2. La caccia all'uomo [17.12.1989]
3. L'agosto di passione [07.01.1990]
Parte seconda. San Marino
4. 28 luglio 1943, San Marino volta pagina [04.03.1990]
5. 8 luglio 1943. Chi minaccia San Marino [18.03.1990]
6. L'attentato a Casali e l'arresto di Babbi [01.04.1990]
7. La prof. che faceva la spia [29.04.1990]
8. Tra saluti romani e bombe alleate [20.05.1990]
9. Fascisti alla sbarra [10.06.1990]
Parte terza. Rimini
10. La pacificazione impossibile [29.07.1990]
11. Foto di gruppo in camicia nera [30.09.1990]
12. "Sbandati" al muro [21.10.1990]
13. Il Venerdì Santo di Fragheto [04.11.1990]
14. Scampoli di retorica sopra le macerie [25.11.1990]
15. Giovani senza più «Giovinezza» [09.12.1990]
16. L'ora delle scelte [06.01.1991]
17. Un ducetto di provincia [03.02.1991]
18. La carovana repubblichina in fuga [24.02.1991]
19. I misteri del dopoguerra [10.03.1991]
Appendice
1944. I Tre Martiri
1945. «Così arrestai Tacchi a Padova» [[Scribd]]
1945. Il ruolo di Carlo Capanna
Versione integrale su Scribd: 1943-1944. I giorni dell'ira. "il Ponte", 1989-1991
© RIPRODUZIONE RISERVATA - Riministoria-il Rimino - Rev. graf. 17.02.2015/Agg. 18.02.2015, 16:05