Antonio Montanari I giorni dell'ira Settembre 1943 - settembre 1944 a Rimini e a San Marino | Bisogna avere il coraggio di confessare e di riconoscere le piaghe e le ferite delluomo malato, spogliarle dei cenci vergognosi con i quali si cerca di mascherarle. Se non si conosce il male, se non lo si riconosce, come si può guarirlo? |
1. «Papà mio, dove lo portate?» | 2. La caccia all'uomo Perché fu catturato Duilio Paolini? I brigatisti neri di Rimini espatriano sul Titano in cerca di antifascisti. Lo strano attentato alla "Topolino" di Tacchi (che però non era a bordo), come pretesto per un rastrellamento a San Marino e forse anche per l'uccisione del sarto di Montelicciano. I giorni dell'ira, 2. "il Ponte", 17.12.1989 5. Cosa dicono le SS. Galliano Severi che ha assistito alle torture inflitte dai repubblichini al sarto di Montelicciano, diffonde subito in paese la notizia che Duilio Paolini è stato assassinato. La gente aggiunge altri particolari mai verificati, come quello del cadavere gettato sotto il ponte di Ornaccia, sulla strada per Combarbio. Per tutti è un delitto politico delle brigate nere. Una diversa versione dei fatti viene fornita però dalle SS, il 25 agosto, ad una delegazione sammarinese. I nazisti dicono che Paolini è stato arrestato «da un mese circa» e fucilato «pochi giorni fa». La delegazione sammarinese è a colloquio con il comandante delle SS a Forlì, capitano Kurt Schutze, per una vicenda a cui il povero Paolini è estraneo. Il 12 agosto, sul Titano, brigatisti neri italiani ed un gruppo di SS, hanno arrestato se sammarinesi. Le autorità della Repubblica riescono a non far deportare quei loro concittadini. Dopo una lunga trattativa, conclusasi appunto il 25 agosto, gli arrestati possono tornare liberi. Per capire il clima in cui maturò l'omicidio di Paolini ed avvenne la retata dei brigatisti neri sul Titano, bisogna dare uno sguardo d'assieme alla situazione generale della guerra, ed al quadro locale nella zona di Rimini e della stessa San Marino. 6. Il cerchio si stringe. Tra giugno ed agosto 1944 sono i mesi decisivi del conflitto nell'Italia centrale. Il 5 giugno gli Alleati entrano a Roma. I tedeschi ripiegano dietro la Linea Gotica. Un fatto europeo, il giorno 6 avviene lo sbarco in Normandia. L'avanzata alleata in Italia procede lungo varie direttrici. Il primo luglio è liberata Cecina, il 12 comincia il bombardamento Usa dei ponti sul Po. Il 14 è liberata Poggibonsi. Il 15 c'è l'attacco verso Arezzo, il 18 i polacchi sono ad Ancona. Il 20 luglio, nella Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler in una foresta della Prussia Orientale, avviene l'attentato al führer. Fallisce. Hitler si vendica, facendo uccidere migliaia di militari e di civili 'sospetti'. Dal 15 luglio, il governo italiano ha riconosciuto i partigiani «come parti integranti dello sforzo bellico della nazione». Nella notte tra 25 e 26 agosto, inizia l'attacco alla Linea Gotica. La fine del nazismo è ancora lontana, ma ormai certa. Non è la propaganda alleata a sostenerlo. Lo pensano ormai anche i fascisti. Al Comando tedesco di Rimini, a Villa Danesi, nel giugno 1944 c'è un pranzo di ringraziamento ai medici del nostro ospedale per le cure prestate ai militari germanici. Ricorda il dottor Marino Righi che, alla fine del banchetto, il capo repubblichino di Rimini, Paolo Tacchi, dichiara: «Non capisco come l'asse possa vincere questa guerra. Anzi penso che per noi sia già perduta». La lotta partigiana si fa generale in pianura, con azioni rapide di guerriglia. In montagna ed in collina, con operazioni militari. Già dal novembre 1943, il partito fascista repubblichino ha ordinato di «passare per le armi» gli «elementi antinazionali al soldo del nemico» che compiano «atti proditori nei riguardi dei fascisti repubblicani». È la politica del pugno duro, dopo il tentativo (deriso dagli oppositori interni come «abbraccio universale»), di una pacificazione nazionale. Lo compiono «fascisti troppo ingenui o troppo furbi» che (secondo lo storico Arrigo Petacco) andavano «predicando qua e là per l'Italia la necessità "di una assoluta fratellanza fra gli italiani, senza distinzione di partito"». Anche a Rimini, il 12 settembre 1943, Paolo Tacchi aveva chiamato a raccolta gli antifascisti del Cln, per un patto di non aggressione che non venne stipulato. Dal primo luglio 1944, «tutti gli iscritti regolarmente al PFR di età fra i 18 e i 60 anni e non appartenenti alle Forze Armate repubblicane, costituiscono il corpo ausiliario delle Camicie Nere composto dalle squadre di azione». Scrive Petacco: «Le Brigate nere si riveleranno nella loro stragrande maggioranza delle bande di canaglie e di torturatori...», mentre la "carta bianca" del novembre 1943 di passare per le armi gli antifascisti, costituì «l'inizio di una spirale di violenza che insanguinerà il Paese». Sono cose che accadono anche a Rimini. 7. Tra Rimini e San Marino. Alle brigate nere danno manforte i nazisti. E viceversa. Il 26 ottobre 1943, il Commissario prefettizio Bianchini aveva avvisato: «In caso di nuovi atti di sabotaggio comunque compiuti il Comando militare germanico procederà alla deportazione dei cittadini in ostaggio. Poi aveva aggiunto che da parte italiana i colpevoli sarebbero stati punti con la pena di morte. Gli italiani, dunque, peggio dei tedeschi. Ai nazisti però non piacerà per nulla lo zelo dei repubblichini riminesi. Comunque, tra fascisti di Salò e tedeschi, c'è scambio di favori, in vista di un fine comune, ed in nome di una causa altrettanto comune. Essi sconfinano assieme nella neutrale San Marino, alla ricerca di oppositori politici e partigiani. Le spie sono italiane. La protezione armata è quella germanica. Il 18 marzo 1944 a Serravalle, i fascisti riminesi arrestano Giuseppe Babbi, un dc, e lo consegnano alle SS dalle quali sarà portato a Bologna. Il 4 giugno, al cimitero di Montalbo, sono catturati dai repubblichini quattro riminesi (Decio Mercanti, Giuseppe Polazzi, Leo Casalboni ed Elio Ferrari), ed un sammarinese, Gildo Gasperoni. Li interroga Paolo Tacchi assieme a Marino Fattori. I quattro riminesi sono tradotti a Forlì, dove incontrano anche Luigi Nicolò e Mario Capelli che il 16 agosto, assieme ad Adelio Pagliarani, saranno impiccati a Rimini. Mercanti riesce a fuggire verso il 15 giugno durante un allarme per strada, mentre veniva condotto al palazzo di Giustizia. Ferrari e Casalboni dovevano essere fucilati il 29 giugno. Si erano già scavati la fossa, quando un bombardamento mise in fuga il plotone di esecuzione. Il frate che li aveva assistiti, li aiutò a fuggire. Nell'aprile 1944, è stato arrestato a Riccione un antifascista di Santarcangelo, Rino Molari. Lo uccideranno a Fossoli tra il 12 ed il 13 luglio 1944, assieme ad un riminese, Walter Ghelfi, ed a Edo Bertaccini (detto Fulmine) di Coriano. In questi mesi, la rabbia nazista e repubblichina, è al suo culmine. Come belve infuriate per il cerchio della guerra alleata che si stringe attorno a loro, tedeschi e brigatisti neri spargono terrore. Il 12 agosto, un bando di Kesselring prevede rappresaglie contro le popolazioni residenti dove agiscono i partigiani. 8. Uno strano attentato. Francesco Balsimelli rievoca quei giorni dell'estate 1944, quando era Capitano Reggente della Repubblica di San Marino, in un articolo del 18.8.1956 («La fermezza dei governanti sammarinesi», ne «il Resto del Carlino»): «Numerosi e gravi atti di sabotaggio si verificarono nei paesi vicini e nella stessa Rimini, senza che la polizia germanica e fascista riuscissero ad evitarli e a scoprirli, onde le repressioni e le rappresaglie di infame memoria». A San Marino, invece, «le cose procedettero con abbastanza calma, nonostante alcune intemperanze da parte di elementi forestieri e nostrani». Dietro la formula, fredda e diplomatica, delle «intemperanze», si nasconde la realtà dei partigiani che da Rimini salivano a San Marino per trovare rifugio o per organizzarsi. Senza però ricevere mai un aiuto concreto, come ad esempio un lasciapassare diplomatico. Ai primi di luglio, a Serravalle accade uno strano episodio: il «presunto attentato ad un'auto repubblichina entrata in San Marino», racconta Giordano Bruno Reffi che allora era caporale della Milizia Confinaria sul Titano e che nel dopoguerra rivestirà alti incarichi nel governo della Repubblica. La vettura, di proprietà di Paolo Tacchi, aveva a bordo il repubblichino Raffaellini, considerato la spia che aveva fatto arrestare Babbi a Serravalle. Reffi racconta di una «scenata» di Tacchi a Raffaellini, perché il federale riminese «sospettava che i colpi che avevano perforato la macchina fossero partiti dall'interno della stessa auto». Raffaellini rispose a Tacchi: «Ma che cosa dici, Paolino? Come puoi pensare ad una cosa del genere?». Tacchi subito dopo scese a Rimini, ma la sera stessa tornò a Serravalle, con il rinforzo di alcuni repubbichini. Per tutta la notte, Tacchi discusse con il Ministro Plenipotenziario di San Marino Ezio Balducci, su di una possibile rappresaglia da attuare sul luogo dell'attentato. Balducci (era ovvio) si oppose in modo fermo, però all'alba (precisa G. B. Reffi), Tacchi egualmente «si portò via delle persone prese fra gli sfollati italiani». Nel dopoguerra, Balducci difenderà in tribunale Tacchi dall'accusa di aver compiuto quel rastrellamento, e sosterà che il ras di Rimini se n'era andato senza aver commesso «violenza alcuna». Ma, come si è visto, la testimonianza di Reffi sostiene tutto il contrario. Il particolare della «scenata» di Tacchi a Raffaellini, inoltre, toglie ogni valore alla ricostruzione fornita dallo stesso Tacchi al «Carlino» nel 1964: «Casualmente avevo cambiato poco prima la macchina ed i colpi furono diretti contro la mia "Topolino". Della macchina che seguiva uscimmo con le armi in pugno, ma gli attentatori ci sfuggirono». Se le cose fossero andate così, Tacchi non avrebbe pronunciato contro Raffaellini la frase ascoltata da Reffi. La storia dell'attentato contro il ras di Rimini perde di conseguenza ogni credibilità. Anzi, il particolare della «scenata» contro Raffaellini potrebbe far pensare che, da parte dei repubblichini, ci fosse stata una messa in scena per creare un incidente diplomatico con San Marino e giustificare un rastrellamento delle brigate nere ai danni degli italiani rifugiati in Repubblica. Di questa messa in scena avrebbe approfittato lo stesso Tacchi non soltanto subito, quella stessa sera ai primi di luglio, dopo gli spari contro la sua "Topolino", ma anche nei giorni successivi. Grazie a quel presunto attentato Tacchi poté accanirsi contro San Marino ed i suoi rifugiati italiani. Ogni atto di violenza commesso dai repubblichini riminesi in territorio sammarinese, poteva giustificarsi con quegli spari di Serravalle. Le spie repubblichine sospettavano su tanti ospiti della Repubblica e su abitanti delle zone di confine. Uno degli indiziati è appunto Duilio Paolini. Lo credono un organizzatore di bande partigiane. Siamo nella notte tra il 12 ed il 13 luglio, quando Paolini è catturato dalle brigate nere. Lo torturano e forse lo uccidono subito, poi fanno scomparire un cadavere scomodo. Gli "amici" tedeschi delle SS hanno tutto il tempo necessario per preparare la versione ufficiale. Paolini è stato arrestato e poi fucilato da loro. Versione comunicata il 25 agosto, il giorno in cui sono liberati i sei sammarinesi arrestati dai brigatisti neri italiani e dai nazisti il 12 agosto. Senza gli spari di Serravalle, forse Paolini non sarebbe stato eliminato. I giorni dell'agosto 1944 sono cruciali nella lotta politica e militare della nostra zona. Accadono infatti anche altri episodi. Nota bibliografica. È tratta dal volume di Bruno Ghigi (curatore ed editore, 1980) «La guerra a Rimini e sulla Linea Gotica dal Foglia al Marecchia», la testimonianza del dott. M. Righi (p. 253). Sono contenute nel volume già cit. «La Repubblica di San Marino, Storia e Cultura, Il passaggio della guerra, 1943-1944», le testimonianze di E. Ferrari (pp. 112-116), D. Mercanti (168-170) e G. B. Reffi (194-197). Per le notizie storiche locali, cfr. il nostro «Rimini ieri. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica, 1943-1946», ed. il Ponte, Rimini 1989. Su E. Balducci, v. A. Montemaggi, «San Marino nella bufera», Della Balda, RSM 1984, alle pp. 24 e 50. Su P. Tacchi, cfr. A. Montemaggi, «I rapporti fra nazisti e fascisti e i primi scontri con i partigiani», «il Resto del Carlino», 26.04. 1964. Il volume di Arrigo Petacco è «Pavolini», Oscar Mondadori, 1988: cfr. soprattutto alle pp. 166 e 193. |
3. L'agosto di passione Perché le SS coprono i brigatisti neri sull'uccisione di Duilio Paolini? L'arresto di sei sammarinesi salvati poi dalla fucilazione. I repubblichini vorrebbero rastrellare sul Titano i giovani italiani sfollati. L'uccisione di un russo aggregato ai nazisti, e la rappresaglia tedesca. I giorni dell'ira, 3. "il Ponte", 07.01.1990 9. Il 12 agosto. Riprendiamo il racconto dell'ex Capitano Reggente di San Marino Francesco Balsimelli sull'agosto 1944 che «non trascorse immune da complicazioni e da pericoli». Il giorno 6, sulla strada tra Dogana e Serravalle erano stati rinvenuti dei manifestini «incitanti alla rivolta contro i tedeschi». Erano sparsi sulla carreggiata ed affissi alle piante. Fu un fatto, scrive Balsimelli, «che costituiva un grave rischio per l'incolumità della nostra neutrale Repubblica». Nella notte del 10, ignoti spacciandosi per partigiani, avevano svolto azioni di estorsione a Montegiardino». Il giorno 12, c'è l'arresto di sei sammarinesi che saranno poi liberati, per ordine delle SS, il 25 dello stesso mese. È un episodio al quale abbiamo già accennato, ma su cui occorre ritornare. Leggiamo la testimonianza di Federico Bigi. Il sammarinese Luigi Giancecchi detto Chicone viene arrestato quel 12 agosto «da un gruppo di SS tedesche e da brigatisti neri italiani, lungo la Costa, una scorciatoia che unisce Borgo a Città, mentre stava consegnando del materiale di propaganda antitedesco ad un giovane italiano che poi risultò essere un agente provocatore e che mi risulta sia stato fucilato dopo l'arrivo degli alleati», racconta Bigi. Dopo Giancecchi, «le SS ed i brigatisti prelevarono dalle loro abitazioni anche Ermenegildo Gasperoni, i fratelli Giuseppe ed Armando [Pier Gaetano, n.d.r.] Renzi e Nazzareno Arzilli e li portarono» al Comando della Milizia sammarinese. Bigi dimentica il sesto nome, quello di Vincenzo Pedini. Gasperoni racconta quei momenti. Un capitano tedesco lo interroga: «Gentilmente mi chiese se ero stato nelle Brigate internazionali in Spagna... Alla mia risposta affermativa mi chiese se a San Marino vi fossero formazioni partigiane o di prigionieri alleati nascosti. Risposi negativamente, affermando che essendo la Repubblica di San Marino un Paese neutrale, non vi era motivo di avere un'organizzazione partigiana». Non ci sono neppure partigiani italiani nascosti sul Titano, aggiunge Gasperoni: «Alla mia risposta negativa insorse un tenente dei battaglioni M, presente all'interrogatorio, gridando ferocemente che io mentivo; chiese al Capitano di consegnarmi nelle sue mani, che avrebbe trovato lui il modo di farmi parlare». Il capitano tedesco, laureato in Legge, chiamò i Carabinieri e disse loro: «Gasperoni è vostro prigioniero, con l'esercito germanico non ha nulla a che fare». Giuseppe Renzi: «I fascisti volevano portarci in Italia, per fucilarci. Il capo era Paolo Tacchi». Bigi conferma: le SS volevano portare via i sei arrestati, «nel qual caso la loro sorte era facilmente prevedibile» Il capo delle brigate nere Paolo Tacchi, dice Bigi, era «molto più odioso del tedesco». Per tutta la notte andò avanti una lunga trattativa condotta soprattutto dal Plenipotenziario Ezio Balducci: «Alle cinque del mattino, dopo estenuanti colloqui, il Comandante delle SS, nonostante che il Capo delle Brigate Nere protestasse energicamente, si convinse a non esigere la deportazione dei nostri concittadini, a condizione però che noi li avessimo trattenuti in carcere», conclude Bigi. 10. La trebbiatrice bruciata. Era l'alba del 13 agosto 1944. La sera prima una trebbiatrice al servizio dei tedeschi, in località Fornaci Marchesini a Rimini, è data alle fiamme. È un atto di sabotaggio contro razzie, rubamenti e requisizioni dei tedeschi. I nazisti, nel corso dell'estate, sono diventati sempre più prepotenti. A tutto ciò, il Comitato di Liberazione Nazionale ha reagito con un appello del primo luglio: non trebbiate il grano, per impedire che i tedeschi se lo prendano e lo portino in Germania. Lo stesso 13 agosto, militi repubblichini e soldati tedeschi guidati da Paolo Tacchi circondano la base partigiana di via Ducale a Rimini, da cui era partito il commando dei Gap (Gruppi di azione patriottica) che aveva incendiato la trebbiatrice, ed arrestano Mario Capelli, Luigi Nicolò ed Adelio Pagliarani. Intanto a San Marino si forma una delegazione composta da Federico Bigi, Marino Beluzzi ed Ezio Balducci per trattare con le SS di Forlì la liberazione dei sei arrestati. A Rimini il 14 agosto Capelli, Nicolò e Pagliarani sono sottoposti dai tedeschi a processo sommario. Il verdetto, condanna a morte. Padre Callisto Ciavatti chiede al Comando tedesco di «commutare la pena di morte nella deportazione», e riceve «la promessa di rivedere la cosa». È lo stesso frate a raccontare questi particolari. Il suo confratello padre Amedeo carpani dichiarò: «Non ci fu niente da fare, anche perché Tacchi che comandava a Rimini, era molto deciso a giustiziarli». Ma Tacchi voleva comandare anche a San Marino, come precisa Bigi che lo definisce (si è già visto) «molto più odioso del tedesco», ovvero il ricordato capitano germanico. Il 16 agosto, dalla forca eretta in piazza Giulio Cesare a Rimini, pendono i corpi senza vita dei Tre Martiri. 11. Ritorsione sul Titano. Il giorno 20, in territorio sammarinese «erano apparsi razzi segnalatori [...] senza che le pattuglie sguinzagliate in ricognizione riuscissero a scoprire traccia degli incauti» che avevano agito, scrive Balsimelli. L'ex Reggente Balsimelli accusa apertamente Paolo Tacchi per un episodio accaduto il 25 agosto: «... forse per ritorsione [...] giungeva a San Marino Paolo Tacchi da Rimini accompagnato da alcuni ufficiali delle SS con la pretesa tante volte ventilata di procedere ad un rastrellamento degli innumerevoli giovani italiani quivi sfollati». Il «terrore di Rimini», come la gente chiamerà Tacchi, voleva diventare pure il terrore di San Marino. «Paolo Tacchi fu uno dei numi tutelari dei repubblichini sammarinesi», ci dichiara il prof. Cristoforo Buscarini. Il quale ci mostra una pagina di Alvaro Casali in cui si parla di tacchi come di un «criminale». Per l'episodio del 25 agosto, a difendere Tacchi è ancora una volta il Plenipotenziario Balducci. Nel corso del primo processo al ras repubblichino, nel dopoguerra, Balducci testimoniò che il governo sammarinese era stato avvisato dal colonnello tedesco Christiani dell'intenzione che costui aveva «di effettuare un rastrellamento con 1.500 uomini sul Titano». Balducci parla con Christiani alla presenza di Tacchi di cui aveva chiesto la collaborazione a favore di San Marino, «ricordandogli i trascorsi studenteschi nella Repubblica», Balducci in tribunale spiegò che Christiani fu così convinto «a telefonare ai suoi superiori, affinché rinunciassero al rastrellamento», e che alla fine Christiani gli comunicò: «È tutto rinviato». San Marino era stata salvata in extremis da Tacchi, secondo Balducci. Era il 25 agosto, ed i nostri tre protagonisti si trovavano a Rimini. Come mai, lo stesso giorno, secondo il racconto di Balsimelli, Tacchi sale sul Titano per un rastrellamento di giovani sfollati? Ancora una volta, le dichiarazioni di Balducci si scontrano con altre ricostruzioni. Ma Balducci, chi era? Così lo descrive lo storico Amedeo Montemaggi: «già fascista ed amico di fascisti», aveva molte conoscenze nella Repubblica di Salò. Dal 28 ottobre 1943, è Ministro Plenipotenziario della Repubblica prsso gli Stati belligeranti. Prima di quel giorno, Balducci era in esilio: nel 1934, si era messo in urto con i fratelli Manlio e Giuliano Gozi, che comandavano a San Marino in quegli anni e che «per liberarsi di lui» lo avevano accusato di complotto contro lo Stato e fatto condannare a venti anni di lavori pubblici. Montemaggi parla di un ascendente di Balducci su Tacchi. Bigi racconta dell'odio che molti repubblichini avevano nei confronti di Balducci, considerato un traditore. Ed aggiunge: «Era di una capacità diplomatica e manovriera enorme». Tanto che quel 25 agosto riesce a risolvere con il capitano Kurt Schutze, comandante delle SS di Forlì, il caso dei sei arrestati a San Marino il 12 agosto, che così poterono ritornare liberi. 25 agosto, si è detto. Pochi giorni prima, il Commissario di Pubblica Sicurezza di Rimini ha inviato al federale di Forlì un rapporto in cui dichiara che la cattura dei tre partigiani impiccati il 16 «è stata opera personale della intelligente ricerca del Segretario Politico della città di Rimini», cioè di Paolo Tacchi, «coadiuvato da elementi della Feld-Gendarmeria tedesca». Nella stessa notte tra 25 e 26 agosto, inizia l'attacco alla Linea Gotica. Il 31 agosto, la «carovana» di repubblichini abbandona la nostra città. Anche Paolo Tacchi fugge da Rimini. 12. La banda Stacciarini. Intanto,il 29 agosto, la delegazione sammarinese che aveva trattato con il capitano Schultze, invia ai Capitani Reggenti il suo rapporto, dove appare il nome di Duilio Paolini. Secondo le SS, il sarto era stato un delatore. Dopo l'orrore della sua morte violenta, ecco apparire l'infamia di una falsa accusa. Riproduciamo alcuni passi della relazione ai Capitani Reggenti, che riferisce le opinioni di Schultze: «Il Comando SS di Forlì è informato che nella zona di Montemaggio, Montelicciano e Montegrimano e regione limitrofa si trovano nuclei di partigiani. Nella zona suaccennata scorrazza la banda composta di non meno trenta partigiani, al comando del già famoso Stacciarini». Stacciarini era un giovane, figlio di un «gerarca fascista bastonatore», ricorda Giuseppe Maiani. «Fanno parte della banda stessa ex ufficiali del disciolto R. Esercito italiano e fra questi sono gli ex ufficiali Pelluccio Emanuele e Bacchilega», prosegue la relazione: «Informatori al servizio del Comando di Polizia tedesco, che hanno avuto e tuttora mantengono rapporti con queste bande, assicurano che la banda Stacciarini ha avuto l'ordine dal Comando superiore dei partigiani di sconfinare nel territorio della Repubblica ed ivi rifugiarsi in caso di reazione tedesca». 13. Quale deposizione? È a questo punto che appare nella relazione il nome di Duilio Paolini: «Da informazioni pervenute al Comando delle SS e da deposizione del sarto di Montelicciano Paolini, da un mese circa arrestato e pochi giorni fa fucilato, risulta che i Sammarinesi Gasperoni Gildo e Gianfrancesci Luigi sono in contatto con le bande che hanno stanza in prossimità dei confini della Repubblica di San Marino». Ecco che, per «sottilissimo e invisbile filo» che talora sembra legare persone e datti tra loro tanto lontani, s'incontra il nome del povero Paolini, infangato dalle SS come un traditore dei propri compagni. Poteva fare nomi, Paolini? «Non conosceva gli arrestati», ci dice Pippo Bartoli. Allora perché le SS parlano di una «deposizione»? In quel gioco di reciproci favori, fatti all'insegna di una disumana ferocia che caratterizza più i repubblichini degli stessi nazisti (nonostante postumi tentativi di rovesciare la verità storica), forse le SS vollero mascherare l'omicidio compiuto dalle brigate nere che e seguivano le direttive partite da Salò, come metodo di azione. Per fortuna, non tutti i repubblichini erano «odiosi» come Tacchi o quelli che agirono tra Rimini e San Marino. «A Montegrimano, il segretario del fascio era Enzo Pozzi, figlio di un signore, che faceva il vagabondo», rievoca Pippo Bartoli. «Quando c'erano pericoli, ci avvisava. Faceva la spia per opportunismo, ma aveva l'animo buono. Era senza nessuna idea, uno di quelli che sono contro tutti. Rompeva le scatole alla gente. Arrestava i genitori di richiamati alla leva. Dopo la liberazione, Pozzi finì in un campo di concentramento, arrestato dalla Polizia alleata. Fu preso dai partigiani. L'ho salvato io, perchè non aveva fatto nulla di male». Non ha mai voluto vendette, Bartoli. Per dare una lezione morale, dice, a quanti negli anni precedenti avevano elevato la violenza a loro credo politico. 14. Odio chiama odio. Vendetta pura e semplice pare essere invece quella che ha colpito Paolini. Hanno voluto punirlo per le sue idee. Non fu un congiurato, non tesseva complotti. Nulla autorizza a parlare di un legame tra la sua cattura da parte dei repubblichini, e gli arresti del 12 agosto a San Marino, che furono uno dei tanti episodi della caccia agli oppositori del fascismo di Salò nella neutrale San Marino. Non c'è nessun motivo per credere che la cattura di Paolini abbia permesso di scoprire un complotto antitedesco. Esisteva soltanto una propaganda contro il nazismo che s'intensificava in quei giorni, in cui stavano per arrivare gli Alleati. L'avanzata degli anglo-americani cambierà il volto della storia. Prima che gli impavidi repubblichini scappino, alla fine di agosto e che il terrore delle armi disegni di croci le nostre terre, il 29 agosto, proprio tra Montelicciano (dove era stato catturato Paolini) e San marino, accade un altro tragico episodio. Odio chiamava odio. Verso le 17, a duecento metri dal confine, è ucciso in un'imboscata un russo, ex prigioniero di guerra, aggregatosi all'esercito tedesco. Scrive Balsimelli che «in seguito a ciò, dalle truppe germaniche immediatamente giunte sul luogo, erano state incendiate per rappresaglia due case», ed arrestate le prime persone trovate nella località. Sul numero degli arresti c'è discordanza: Balsimelli parla di otto sammarinese e due italiani, ma poi elenca nove nomi di suoi connazionali. Federico Bigi che partecipò alla trattativa per la liberazione di quelle persone, le ricorda in numero di dodici, tra cui due italiani. Uno degli arrestati, Guerrino Maiani, elenca quindici nomi in tutto. Nota bibliografica. Sono tratte dal volume già cit. di Bruno Ghigi «La Repubblica di San Marino, Storia e Cultura, Il passaggio della guerra, 1943-1944», le testimonianze di F. Bigi (pp. 77-86), G. Gasperoni (125-138) e G. Renzi (203-205). La testimonianza di E. Balducci è nel cit. volume di A. Montemaggi, «San Marino nella bufera», p. 50. Per la storia dei Tre Martiri, cfr. il cit. nostro «Rimini ieri. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica, 1943-1946», al cap. 13. L'articolo di Balsimelli è lo stesso citato nella scorsa puntata: «La fermezza dei governanti sammarinesi», «il Resto del Carlino», 18.8.1956. | 4. 28 luglio 1943, San Marino volta pagina Da San Marino partono spedizioni punitive in territorio italiano, guidate dal repubblichino Marino Fattori. A San Marino approdano spavalderie e bravate delle brigate nere riminesi di Paolo Tacchi. I giorni dell'ira, 4. "il Ponte", 04.03.1990 15. Denudati dalle SS Alle 17 circa del 29 agosto 1944, fra Montelicciano e San Marino, a 200 metri dal confine della Repubblica, viene ucciso un russo aggregato all'esercito germanico, "mentre con una carretta unitamente ad un militare tedesco, andava in perlustrazione nelle varie case per inventariare o procurare gli alloggi alla truppa che stava ripiegando dal fronte delle Marche". Il racconto è di Guerrino Maiani, uno degli arrestati per rappresaglia dalle truppe naziste: "In colonna, a piedi dalle Capanne, sotto una scorta siamo stati portati ai Monti di Montelicciano, sull'aia del contadino Temeroli", dov'era stato ucciso il russo. "Siamo stati messi contro un muro. Sull'aia, distesi per terra, con i fucili puntati addosso c'era già un altro gruppo di rastrellati italiani mentre la casa di Temeroli bruciava, incendiata dalle truppe tedesche (...). I soldati erano tutti schierati con le armi in mano pronti a sparare". Un altro rastrellato, l'anziano Erminio Podeschi, lo rimandano indietro, dicendogli: "Tu vecchio vai a casa e quando sai che ci sono i ribelli vieni a dirlo a noi al Comando di Montegrimano". "A piedi, passando per i calanchi, siamo stati portati ai bagni di Meleto" su di un camion aperto, e "abbiamo raggiunto Montegrimano". Così Guerrino Maiani. Suo fratello Giuseppe prosegue: "Portati nei locali del Comune... ci hanno costretto a spogliarci...": per tre giorni, restano "nudi come quando nostra madre ci mise al mondo". E nudi li mandano a prendere l'acqua nella fontana pubblica, nella piazza del paese. 16. L'interrogatorio Dalla loro cella, i prigionieri ascoltano le torture inflitte dai tedeschi a due partigiani, Renato Parlanti e Mario Galli. Poi vengono interrogati "con due pistole puntate alla tempia, un fucile al petto", precisa Giuseppe Maiani: "Volevano sapere se noi conoscevamo i ribelli" della banda Stacciarini, "e chi aveva ucciso il tedesco. L'interrogatorio veniva di tanto in tanto interrotto da botte; durò circa un'ora". La banda prendeva nome da Antonio Stacciarini, un giovane, figlio di un "gerarca fascista bastonatore", e lui stesso ex sergente della Milizia. Il governo di San Marino interviene subito presso le SS. Spiega Federico Bigi: "Trovai sempre un'estrema durezza nelle trattative da parte del Comando tedesco" che esigeva che almeno dieci persone fossero fucilate per rappresaglia. "Quel comandante arrivò a prospettarmi una soluzione veramente terrificante... la consegna da parte mia di dieci italiani scelti a mio piacimento fra i rifugiati di San Marino", in cambio della libertà per il gruppo arrestato il 29 agosto. Bigi riesce ad ottenere la consegna di tutti i prigionieri senza contropartita, e li fa trasferire nel carcere della Rocca, "per ragioni di sicurezza nel timore che venissero nuovamente arrestati o prelevati". E' il 4 settembre. 17. Il perché della clemenza Nella notte tra il 31 agosto ed il 1° settembre, i tedeschi hanno ucciso, a furia di botte, i due partigiani torturati nel 'carcere' di Montegrimano, Renato Parlanti (22 anni) e Mario Galli (30). Erano stati "catturati armati in una zona liberata dagli inglesi", come aveva confessato a Giuseppe Maiani lo stesso Parlanti. Maiani aggiunge un particolare: durante il ritorno a San Marino, il 4 settembre, "siamo ripassati dai bagni di Meleto e lì ci ha investito un irrespirabile fetore di cadaveri in decomposizione. Dopo il passaggio del fronte venimmo a sapere che nel fosso di quella località erano stati trovati i corpi di Parlanti e Galli ammazzati dai tedeschi". Perché i nazisti avevano 'graziato' il gruppo degli arrestati il 29 agosto? Il Comando germanico era consapevole "che la fucilazione di innocenti cittadini sammarinesi, in quanto sudditi di uno stato neutrale, avrebbe suscitato non poche proteste diplomatiche", sostiene Francesco Balsimelli. Del fatto, avrebbe poi approfittato inevitabilmente la propaganda alleata. Infine, conclude Balsimelli, "a Montegrimano cominciavano ad arrivare le granate alleate". Come gli episodi finora ricostruiti (dal delitto Paolini alle retate sul Titano), anche questa vicenda mette in luce gli stretti collegamenti esistenti tra la storia di San Marino e quella italiana, nel periodo 1943-44. Da San Marino partono spedizioni punitive in territorio italiano, guidate dal repubblichino Marino Fattori. A San Marino approdano spavalderie e bravate delle brigate nere riminesi, comandate da Paolo Tacchi. Sono fatti in apparenza confusi ed ambigui. Ma che, come il delitto Paolini, dimostrano l'esistenza di legami di collaborazione tra fascisti ed SS, sui quali si è spesso taciuto, per dimostrare che i repubblichini erano in stato di sudditanza nei confronti dei tedeschi, considerati gli unici responsabili di tutto. L'attentato di Serravalle a Tacchi (cap. 8), si collega ad una strategia del terrore messa in atto dai fascisti riminesi, con rappresaglie e violenze in territorio sammarinese. Più confuse ed ambigue dei fatti stessi, appaiono poi certe ricostruzioni storiche che non hanno tenuto conto della successione degli episodi. Tra i quali passa un "sottilissimo ed invisibile filo" che si dipana pure all'interno della Repubblica di San Marino. Per meglio comprendere il senso degli avvenimenti narrati, è necessario perciò ricostruire la vita politica sul Titano, dal luglio '43 al 20 settembre '44, giorno in cui gli alleati raggiunsero l'antica Terra della Libertà. Furono i mesi in cui il leggendario principio della Libertà, sancito dal Santo fondatore e poi concretamente vissuto e testimoniato attraverso i secoli, corse gravi rischi di ripetute violazioni. Fu il tempo in cui San Marino dovette di continuo fronteggiare i fascisti locali, i repubblichini italiani e quei tedeschi che avevano l'intenzione di diventare anche gli occupanti del Monte Titano. Le pagine che seguono non sono la "solita storia" sui giorni drammatici della guerra. Esprimono piuttosto un tentativo di rileggere momenti del tutto ignorati (anche in storie 'ufficiali' di San Marino), o ricostruiti secondo ottiche preconcette e parziali, attraverso censure di testimonianze e travisamenti. C'è infine un motivo ideale che ci accompagna, riassumibile in recenti parole del cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger: "Bisogna avere il coraggio di confessare e di riconoscere le piaghe e le ferite dell'uomo malato, spogliarle dei cenci vergognosi con i quali si cerca di mascherarle. Se non si conosce il male, se non lo si riconosce, come si può guarirlo?". 18. "Cambieremo il ritratto" Quando la sera del 25 luglio 1943 alle 22.45 la Radio italiana annunciò la caduta di Mussolini, all'albergo Titano (noto covo dei fascisti sammarinesi), si svolgeva la solita partita a poker dei capi locali. Il segretario di Stato Giuliano Gozi "rimase tranquillissimo", mentre suo fratello Manlio (segretario del pfs) "fu colto da emozione". Ricorda Federico Bigi che da Roma arrivò una telefonata del console sammarinese: Badoglio è nostro amico, non c'è nulla da temere. "La serata si chiuse con questo commento umoristico di Giuliano Gozi: 'Allora vorrà dire che a Palazzo al posto del duce metteremo il ritratto del maresciallo Badoglio'". C'era poco da ridere, per la verità. Anche San Marino stava per cambiare aria. Ma non senza traumi. Anzi, la Repubblica dovrà vivere momenti assai dolorosi. "L'ora della resa dei conti era giunta anche per questi parodianti buffoni, e vani risultarono gli espedienti posti in atto il giorno 26 luglio, colla pubblicazione di un manifesto della Reggenza del tempo, in cui alle suadenti e fraterne raccomandazioni di calma e disciplina, si aggiungevano minacce di applicare con rigore le leggi contro coloro che intendessero turbare l'ordine pubblico. Non mancava il pistolotto in elogio al Maresciallo Badoglio che lo si considerava un caldo amico della Repubblica. Questa ostentata premessa che mascherava una latente paura, non servì che a prolungare di poche ore la vita dell'infausto regime": è una testimonianza del dottor Alvaro Casali. Gli antifascisti locali si riunirono subito a Rimini, il pomeriggio del 26, nell'ambulatorio dello stesso dott. Casali, un socialista che nel '40 era stato costretto ad emigrare in Francia, da dove era tornato dopo l'occupazione tedesca, aprendo due studi, uno a Borgo ed uno a Rimini. Da quell'incontro, nasce il progetto di una manifestazione popolare che si tiene il 28 luglio al Teatro del Borgo, alla presenza di una folla strabocchevole. La vedova del dott. Casali, Antonia Amadei, ricorda che da Borgomaggiore gli antifascisti in corteo salirono al Palazzo della Reggenza, "per chiedere le dimissioni del Governo e lo scioglimento del Consiglio fascista". Il giorno prima, 27 luglio, era stato sciolto il partito fascista sammarinese. Nella riunione del 26 a Rimini, era nato il "Comitato per la libertà" che il 27 tiene una seconda riunione "nella quale si decise di rompere ogni indugio e di passar la sera stessa all'azione, soprattutto perché nella stessa mattina i fascisti di San Marino avevano assunto un atteggiamento di sfida ed avevano promesso, siccome il loro vecchio sistema, bastonate e piombo ai loro oppositori", si legge in un numero unico del Comitato stesso, edito il 3 settembre, con il titolo "28 luglio". "La notte non si dormì", prosegue il foglio: "Giovani vibranti d'entusiasmo e di fede s'irradiarono per ogni frazione della Repubblica, chiamando a raccolta il popolo alla riscossa...". All'alba del 28, "una folla, forse non mai adunata nel nostro paese", invase "le anguste vie del Borgo, raggiante di sole e di gioia". 19. Campane a festa. Il comizio di Borgo fu presieduto da Francesco Balsimelli che poi guidò il corteo assieme all'avv. Teodoro Lonfernini e ad Alvaro Casali. "Si svolsero lunghe trattative dei dimostranti con i Capitani Reggenti che infine decretarono lo scioglimento del governo. A mezzogiorno fu costituito un governo provvisorio di venti membri, che nel pomeriggio fu poi allargato a trenta. Tra i quali mi ritrovai anch'io, ventitrenne", spiega Federico Bigi, noto esponente democristiano. Suonarono a festa tutte le campane. Alla testa del corteo c'erano le bande musicali, racconta una cronaca del tempo, dove si legge anche che i fascisti sammarinesi si erano illusi di tenere il potere pure dopo il crollo di Mussolini. Chi erano gli uomini del fascio sul Titano? "Praticamente... un unico personaggio con i suoi famigliari riassumeva tutti i poteri effettivi. Si tratta di Giuliano Gozi, al quale non si perdona d'esser stato accentratore assolutista, despota, segretario al Ministero degli Interni; egli assunse anche quello degli Esteri, vale a dire l'intero Gabinetto sammarinese che si compone appunto di due soli Ministri", prosegue quella cronaca. Come un dittatore, "S.E. Gozi nominò vice cancelliere un suo cugino, Enrichetto Gozi, e Segretario del partito fascista sammarinese il fratello Manlio". Il primo agosto, il "Comitato per la libertà" creato dall'assemblea del 28 luglio, esulta: "... E' caduta la tirannia che per oltre un ventennio ha deviato la Repubblica dal suo millenario cammino". I cittadini sono invitati "a mantenere quell'attitudine di calma che è lo spettacolo più grande che possa dare un popolo offeso nelle proprie prerogative ma sicuro del proprio diritto". Il 10 agosto, lo stesso Comitato cancella tutti i provvedimenti presi dal governo sammarinese tra il primo aprile 1923 ed il 27 luglio 1943; ne destituisce i vecchi componenti; nomina un Sindacato straordinario "che indaghi sulle responsabilità politiche e amministrative di tutti gli esponenti del governo e del partito fascista ed applichi le eventuali sanzioni a norma di legge"; ed invita la repubblica a girare pagina: non più arbitrii, abusi, privilegi, immunità, connivenze "create da un regime dispotico e incontrollato". Il 5 settembre, vengono convocati i Comizi elettorali a lista unica per i sessanta componenti del Consiglio Grande e Generale che, nella prima seduta del 16 settembre ascoltano il discorso dell'anziano leader socialista Gino Giacomini che il fascismo aveva mandato esule a Roma: "Noi non abbiamo né vendette da compiere né collere da sfogare. Esse sarebbero una meschinità e una degradazione indegna di noi e della nostra Terra". Ci si affidava ad una "giustizia alta e serena" che accertasse "le responsabilità del malgoverno, che ha trascinato il Paese a tante funeste contingenze". Sembrava che il peggio fosse passato per sempre. Invece doveva ancora venire. Il 5 ottobre 1943, un reparto di SS con tre autoblinde entra in territorio sammarinese, guidato dai fascisti del luogo, per arrestare gli esponenti più rappresentativi del "Comitato per la libertà" e per "abbattere il Governo Democratico sorto dalla caduta del fascismo", come narrerà Alvaro Casali in una sua "Memoria storica". Le SS erano state chiamate dai repubblichini riminesi. SCHEDE/1. Dal 1923 al 1943 Il fascismo a San Marino. "Dal 1923 al 1943 rimane al potere un governo che sarebbe forse errato definire governo fascista in senso stretto ma che meglio può essere denominato governo di fascisti, in quanto, a differenza di ciò che si verificò in Italia, a San Marino il fascismo non si inserì nella costituzione e nella legislazione, che non subirono modificazioni sostanziali". Così Federico Bigi nel suo "Pagine sammarinesi", Garattoni, Rimini, 1963, pag. 20. "Il fenomeno fascista sammarinese, in talune sue manifestazioni", precisa Bigi alla nota n. 3 della stessa pagina, "appare come lo strumento di rivincita del ceto aristocratico che uscì sconfitto dall'Arengo del 1906". SCHEDE/2. La banda Stacciarini Aprile '44. A Montegrimano si forma il primo gruppo di partigiani. Fra i più attivi ci sono Elio Fabbri e Duilio Paolini. Il nucleo si limita a rimediare qualche arma. Il comando viene affidato ad Antonio Stacciarini, originario di Montemaggio, ex sergente della Milizia e figlio di un manganellatore fascista. Di lui, però, non ci si fida pienamente, per i precedenti personali e paterni: Paolini dà credito alla sua buona fede, ma lo fa seguire attentamente da Francesco (Popo) Penserini. A Paolini è dato l'incarico di Commissario politico. Il gruppo compie qualche sparatoria a scopo intimidatorio, senza mai arrivare ad azioni di qualche rilievo. A giugno, il nucleo partigiano di Montegrimano deve congiungersi con il distaccamento "Montefeltro" della quinta brigata Garibaldi "Pesaro". Nella trasferta verso l'interno, incontra i fascisti, e si sbanda: ognuno vaga fra monti e fossi fino alla Liberazione. Nei primi mesi del '44, era giunto nella zona un gruppo di dodici perseguitati mantovani, fuggiti di casa. In luglio, i tedeschi li arrestano: di quelle persone, si perderà ogni traccia: "Chi li ha traditi?... Mistero; non è il primo, né sarà l'ultimo". Il 10 luglio, a Montegrimano e a Meleto, su segnalazione dei fascisti, i tedeschi rastrellano una dozzina di persone, deportandole in Germania: "non direttamente partigiani, sono antifascisti". Il 12 luglio c'è l'episodio di Duilio Paolini: i fascisti lo torturano, lui forse muore subito. Il suo corpo non sarà mai ritrovato. Anche lui è vittima di una spiata dei repubblichini. In quei momenti, "qualche fascista-di Montegrimano e di San Marino" prendeva nota di quanto accadeva. (Da "Per non dimenticare", di Sandro Severi). Le SS ammisero che nei rapporti dei propri informatori, c'erano anche delle "deformazioni". Quelle deformazioni volute dalle spie italiane, costarono la vita a qualche persona. Come nel caso del sarto di Montelicciano, Duilio Paolini, il cui ruolo era del tutto marginale. Nota bibliografica. Sono tratte dal più volte citato volume di B. Ghigi su "San Marino 1943-1944", le testimonianze di Guerrino e Giuseppe Maiani (p. 159) e F. Bigi (84). La "Memoria storica" di A. Casali è nello stesso Ghigi (p. 220). Cfr. poi A. Casali, "Lungo cammino di un popolo sulla strada della libertà", Bramante ed., Urbino, 1970 (p. 131). Il giornale "28 luglio" è in Ghigi. Così pure la cronaca giornalistica, ivi riprodotta senza altre indicazioni. Il discorso di Giacomini è nel cit. Montemaggi, "San Marino nella bufera", p. 84. Di S. Bertoldi, cfr. "Salò", Bur, 1978, p. 14. Dobbiamo all'Anpi di Pesaro le notizie biografiche su Mario Galli (nato a S. Angelo in Vado il 30.3.1914) e Renato Parlanti (Carpegna, 21.2.22), e la precisazione sugli arrestati del 29 agosto. Su quest'ultimo episodio, nella terza puntata abbiamo scritto che gli arrestati erano dieci secondo Balsimelli, dodici secondo Bigi e quindici secondo Guerrino Maiani. Ma nell'elenco di Maiani (nel cit. Ghigi), c'è un errore di stampa, per cui con l'aggiunta di una virgola, si sale a 16 persone. Guerrino Maiani, in una dichiarazione inviata all'Anpi di Pesaro il 20.6.1982, parla di 18 persone (tra cui sei italiani). Tra loro, una donna, Maria Giorgi che ricorda però pure una seconda ragazza italiana arrestata con lei, per cui si arriverebbe ad un totale di 19 persone (di cui sette italiani). Il nome di questa seconda ragazza non è nell'elenco ricordato. Dove invece sono inseriti Mario Galli e Renato Parlanti che non furono arrestati a Montegrimano il 29 agosto, ma mentre erano di pattuglia con gli inglesi nelle campagne di S. Angelo in Vado, per un'imboscata tedesca "che aveva tutto il sapore di una soffiata abbastanza precisa", scrive Sandro Severi in "Per non dimenticare", opuscolo edito dal Comune di Montegrimano nel settembre 1982. L'intervista al card. Jean-Marie Lustiger è nella "Stampa" del 5.9.1989. |
5. 8 luglio 1943. Chi minaccia San Marino Nazisti e brigatisti neri cercano di esportare sul Titano la guerra civile di Salò. "Dalla vicina Rimini, quasi ogni giorno gruppi di Brigatisti facevano le loro incursioni sul territorio della Repubblica, abbandonandosi a sistematiche sopraffazioni, perquisizioni domiciliari, requisizioni di generi alimentari, rapimenti di elementi rifugiati, spari di armi e continue minacce di rastrellamenti" (Alvaro Casali). | 6. L'attentato a Casali e l'arresto di Babbi Resta ferita anche la signora Pia Michetti che ricorda: "Gatti con la bocca cercava di strappare la linguetta di una bomba a mano, come se volesse gettarla in mezzo alla piazza gremita di gente che usciva dalla messa". |
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