L'attentato a Casali e l'arresto di Babbi
Resta ferita anche la signora Pia Michetti che ricorda: "Gatti con la bocca cercava di strappare la linguetta di una bomba a mano, come se volesse gettarla in mezzo alla piazza gremita di gente che usciva dalla messa".

I giorni dell’ira, 6. "il Ponte", 01.04.1990
25. L'agguato a Casali.
Domenica 6 febbraio '44, il socialista dott. Alvaro Casali è aggredito e ferito a colpi di pistola. Un proiettile gli si conficca a due centimetri dal cuore. Si salva, ma conserverà quel 'ricordo' in corpo per tutta la vita.
Casali è assalito da Marino Gatti. Fra loro, per separarli, si mette Gildo Gasperoni. Così Casali può fuggire, ma viene ferito. Chi ha sparato? Gatti o Marino Berti che era sopraggiunto nel frattempo? Gasperoni non sa rispondere. La vedova di Casali accusa invece Berti: "Anch'esso armato, si mise all'inseguimento e sparò su mio marito che, raggiunta la porta di casa, mentre stava per entrare, fu colpito da una pallottola del Berti sotto l'ascella".
Ma Berti ha dalla sua le sentenze che parlano di un calibro 7.65, quello dell'arma usata da Gatti. La rivoltella di Berti era infatti una calibro 9.
Quella mattina, resta ferita anche la signora Pia Michetti, moglie dell'avv. Lonfernini, la quale ricorda: "Gatti con la bocca cercava di strappare la linguetta di una bomba a mano, come se volesse gettarla in mezzo alla piazza gremita di gente che usciva dalla messa delle 11. Ad un certo momento... cominciò a sparare contro di me... poi non contento di avermi sparato si mise ad inseguirmi mentre io cercavo di andare a rifugiarmi nella Farmacia del dott. Fausto Amadori... Mi sono ritrovata di fronte al Gatti, con la sua rivoltella spianata verso di me".
L'intervento del prof. Manlio Monticelli salva la signora Michetti.
Racconta la vedova del dott. Casali che, alla vigilia della sparatoria, "il 5 febbraio, quando a San Marino è la festa di Sant'Agata patrona della Repubblica, era giunta da Faenza una squadra di camicie nere guidata dal dott. Marino Fattori" di San Marino. Fattori era solito condurre spedizioni punitive dei repubblichini di San Marino: dopo la liberazione fu fucilato nei pressi di Sondrio. Stessa sorte ebbe suo figlio Federico, tenente dei repubblichini.
La signora Casali, "preoccupata che potesse succedere qualcosa", era corsa in chiesa ad accendere una candela a Sant'Agata. Che fu senz'altro ringraziata il giorno dopo, quando il dott. Casali riuscì a salvarsi per un soffio dalla rivoltellata dei fascisti.


26. Un triste onomastico.
Il 18 marzo, a Serravalle, Giuseppe Babbi viene arrestato, dopo aver subìto una serie di minacce da parte di fascisti riminesi e sammarinesi.
Babbi (l'antifascista più in vista a Rimini, secondo Oreste Cavallari), militava nelle file cattoliche ed era uno dei maggiori esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale cittadino.
In casa non parlava di politica, "per non coinvolgere la famiglia", dice il figlio Andrea: "Dopo il bombardamento del 28 dicembre '43, siamo sfollati a Dogana di San Marino, in località Saponara, in casa di mio zio Alfredo Babbi".
La vigilia di San Giuseppe, Babbi è avvicinato dal maresciallo dei Carabinieri di Serravalle, che gli comunica la necessità di parlargli in caserma. "Qualunque cosa lei abbia da dirmi, può dirmela qui", replica Babbi.
Il maresciallo "prese mio padre per un braccio e per il collo e lo trascinò fino alla stazione ferroviaria di Serravalle, dove c'era il trenino fermo con accanto poliziotti italiani ed un militare delle SS tedesche. Mio padre fu caricato a forza sul treno che partì verso Rimini", racconta ancora Andrea Babbi.
"Alla stazione di Dogana il treno si fermò; il maresciallo scese con i Carabinieri, lasciando mio padre in mano alla polizia italiana, anche se il treno era ancora nel territorio neutrale di San Marino".
L'arresto di Giuseppe Babbi, prosegue il figlio, mise "in crisi il gruppo degli antifascisti che lui frequentava".
L'altro figlio di Babbi, Angelo, la mattina del 19 al Commissariato di Rimini apprende la notizia che l'indomani suo padre sarebbe stato trasferito a Bologna. Verso le 10,30 del giorno 20, riesce a vederlo alla stazione ferroviaria di Rimini. Giuseppe Babbi viene avviato verso il treno, quando si accorge della presenza del figlio, a cui fa segno di allontanarsi.
Soltanto a fine aprile, Angelo Babbi può avere il permesso per un colloquio col padre nel carcere di Bologna, alla presenza degli agenti: "... però noi parlavamo in dialetto. Mio padre mi disse che l'avevano interrogato più volte e che con lui c'erano... un ragazzo di Rimini, Walter Ghelfi e il prof. Rino Molari di Santarcangelo".
Una delle ultime volte che Angelo Babbi si reca a Bologna dal padre, la famiglia Molari gli affida un pacco da consegnare al professore. "Ma fui costretto a portarlo indietro, perchè sia Molari che Ghelfi erano già stati portati nel campo di concentramento di Fossoli, dove entrambi furono fucilati", nella notte fra il 12 ed il 13 luglio. Babbi invece viene liberato il 17 luglio.


27. Tre storie.
Per un breve periodo, tre diverse storie s'incrociano nel carcere di Bologna. Babbi ha 50 anni, Molari 33 e Ghelfi 22.
Babbi, scrisse Oreste Cavallari, "con poca istruzione e molta miseria, si era fatto da sé con forte carattere e forte personalità. Tutti, anche gli avversari politici, ne riconoscevano la forza d'animo e la purezza d'ideali".
Nato a Roncofreddo nel 1893, si era trasferito nel 1904 con la famiglia a Rimini, dove lavora prima come commesso di farmacia e poi, dal 1913, come ferroviere. Si dedica all'attività politica e a quella sindacale. "Nel 1921 contrastò duramente le tendenze filofasciste" di don Domenico Garattoni e dell'avv. Mario Bonini, "costringendoli... a presentare le dimissioni dal Partito Popolare", scrive P. Grassi.
Sturziano, davanti al problema agrario, Babbi sostiene idee per allora "molto audaci", differenziando nettamente il P.P. "dal comportamento degli agrari e delle forze economiche, appoggiate da 'il Resto del Carlino', che si preparavano a chiedere l'intervento delle squadre fasciste di Leandro Arpinati".
Nel 1923, per la sua posizione di antifascista, viene espulso dalle Ferrovie e si trasforma in rappresentante di commercio nel settore dei mobili. Nel '43, riprende la sua attività politica, in modo clandestino, "chiamando a raccolta gli antichi popolari e qualche giovane dell'Azione Cattolica in vista della fondazione di un nuovo partito", scrive ancora Grassi.
Su Walter Ghelfi abbiamo poche notizie: ferroviere, il 13 marzo 1944 raggiunge l'Ottava brigata Garibaldi sull'Appennino tosco-emiliano. "Per il suo coraggio, per la sua fede, per il suo altruismo che lo faceva eccellere sugli altri, fu nominato Commissario Politico di Compagnia", si legge ne "Il Garibaldino" del 16 agosto 1945. In aprile, fu catturato nei pressi di Santa Sofia. Carcerato, torturato, si riduce in misere condizioni fisiche, ma non 'parla': "non tradì i suoi compagni in arme".
Rino Molari è un insegnante di Santarcangelo che nell'anno scolastico 1943/44 insegna a Riccione, dove fa amicizia con don Giovanni Montali, suo compaesano. Poi entra in contatto con l'antifascismo del Cesenate e della Valmarecchia. Trasporta materiale clandestino. Al Provveditorato agli studi di Forlì, per le sue idee, lo giudicano un "elemento poco raccomandabile". Una spia della Repubblica di Salò, Giuseppe Ascoli, lo fa arrestare il 28 aprile '44.
(A don Montali, come scriverà don Domenico Calandrini sul "Ponte", "la guerra civile... barbaramente spense il fratello e la sorella, trucidati in casa vecchi e stanchi, e gettati nell'attiguo pozzo, per rabbia contro il vecchio prete che non s'era fatto sorprendere ed arrestare in canonica").


28. Il proclama di marzo.
Con il patto del 28 ottobre, viene richiamato in patria il dott. Ezio Balducci, a cui sono affidati i difficili compiti di Ministro plenipotenziario ed Inviato straordinario presso gli Stati belligeranti. Si trovava in esilio. Nel 1934, i fratelli Gozi, per liberarsi di lui, lo avevano accusato di "complotto contro lo Stato", e fatto condannare a venti anni di lavori pubblici.
Sul processo contro Balducci, presentiamo parte di un documento, "La Repubblica in gramaglie", dell'avv. Ferruccio Martelli che fu assieme allo stesso Balducci tra i condannati.
Il 26 marzo '34, giorno in cui fu emessa la sentenza sul famigerato "complotto", resterà "come uno dei più vergognosi degli ultimi dieci anni di storia nel nostro Paese", come un disonore per la Repubblica, scrive Martelli. "A San Marino la giustizia è morta": "solo in tristissime epoche può capitare di vedere, in un processo, svilupparsi tanto artificio, tanta impudenza, tanta malafede".
Non prove ma falsificazioni hanno guidato la giustizia, soltanto per "mettere gli avversari fuori causa". "La sentenza di questo processo rimarrà nella storia di San Marino bollata a lettere di fuoco, quale documento di perfidia ed infamia", concludeva l'avv. Martelli, da Roma, il 10 aprile '34.


28. Il proclama di marzo.
Ritorniamo a San Marino. Eravamo rimasti al 18 marzo. Il 23 dello stesso mese, il segretario repubblichino, Giuliano Gozi, pubblica un proclama in cui si parla del "conforto che mi viene anche dalla piena fiducia personale del Duce".
"I fascisti sono tenuti strettamente all'ordine e alla disciplina, astenendosi in modo assoluto da qualsiasi atto di violenza", sentenzia Gozi.
Parole. Che nascondevano le violenze fino ad allora perpetrate, e che saranno smentite dai fatti successivi.
Il primo aprile inizia la reggenza di Francesco Balsimelli e Sanzio Valentini, proprio nel semestre più drammatico per la Repubblica.
Nello stesso mese di aprile, racconta Montemaggi, "si acuiscono le tensioni col Governo fascista italiano, il quale rimproverava a San Marino di esser diventata asilo di migliaia di disertori, di renitenti alla leva, di antifascisti".
Lo stesso Ezio Balducci, gran diplomatico di San Marino, è "perseguito da mandato di cattura e denunciato al Tribunale speciale fascista". Ai repubblichini dà fastidio che Balducci abbia raggiunto un "tacito accordo" (come lo definisce Balsimelli) con i nazisti, per salvaguardare sul Titano ebrei ben conosciuti dai tedeschi.
Abbiamo così conferma del fatto che i repubblichini italiani erano più pericolosi dell'apparato germanico. Ciononostante, nel dopoguerra, Balducci cercherà di difendere Tacchi, dicendo che il federale riminese aveva avallato le dichiarazioni sammarinesi, secondo cui non esistevano ebrei nella Repubblica.
Ma che bisogno aveva San Marino di una conferma dai fascisti riminesi?


SCHEDA 1. Don Montali.
Anche l'uccisione del fratello e della sorella di don Giovanni Montali sono una dolorosa pagina dei "giorni dell'ira".
Scrisse Maurizio Casadei nel "Ponte" del 22 marzo 1981 che il parroco di San Lorenzo "una volta, ritornando da un viaggio trovò il soffitto della camera sfondato dalle pallottole sparate dalla strada. Poi, dopo che i fascisti nel marzo 1944 arrestarono per attività 'sovversiva' il professor Rino Molari... la situazione si aggravò. Sospettato di essere un cospiratore e di aiutare partigiani e prigionieri alleati, don Giovanni dovette fuggire, vestito in borghese, a San Marino, prima a Valdragone e poi a Montegiardino".
Casadei riporta poi la testimonianza di un'altra sorella del parroco, Nazzarena: "Don Giovanni mi raccontò di essere stato avvertito da due suoi amici, penso comunisti. Andarono da lui a mezzanotte e lo avvertirono: 'I fascisti cercano di prenderla e di farla finita'. Questi due amici gli salvarono certamente la vita perchè lui scappò subito. Quando vennero con una motocicletta (non si sa bene se fossero solo fascisti locali o se c'erano anche dei tedeschi), perquisirono la canonica e la chiesa, aprirono il tabernacolo, cercavano anche una radio che dicevano che aveva per parlare con gli inglesi. Quando si resero conto che lui non c'era, se la presero con un nostro fratello ed una sorella rimasti lì. Io credo che cercassero lui, perchè forse si era esposto troppo". Era il settembre '44.
"Don Giovanni non volle mai far cercare i responsabili di questo delitto, neanche dopo la liberazione", proseguiva la sorella Nazzarena, "perchè diceva che doveva fare come nostro Signore, doveva perdonare, e perdonò".
La mattina del 15 settembre '44, i greci liberano San Lorenzo: nel pozzo attiguo alla chiesa si scoprono i corpi di Giulia e Luigi Montali. Avevano 59 e 66 anni.
Nel "Giornale di Rimini" del 2.9.'45 si leggeva che a Giuseppe Ascoli "e ad altri due o tre individui in costume da ufficiali e sottufficiali dei bersaglieri... si imputa il bieco assassinio" dei due fratelli di don Montali. Ascoli è il collaborazionista che fece arrestare il prof. Molari. I 'bersaglieri' avvinazzati una sera si recarono "alla chiesa di S. Lorenzo per 'far la festa' al buon prete", scrisse il giornale: "E quando i delinquenti appresero che la vittima designata si era sottratta per tempo al loro odio bestiale, sfogarono gli infami istinti sanguinari" sui fratelli di don Montali, "uccidendoli barbaramente e gettandone i cadaveri nel pozzo".
Gli assassini, poco dopo, si sarebbero vantati della loro impresa "nel ristorante dell'albergo riccionese dove risiedevano i comandanti del battaglione".
Secondo A. Montemaggi ("Ponte", 9.10.1988), in quei giorni "si incolparono falsamente i tedeschi o i bersaglieri".
Abbiamo ascoltato due nipoti di don Montali. Don Michele Bertozzi dice: "Don Montali forse sapeva qualcosa di grosso, ma non mi volle mai dire niente". La signora Maria Teresa Avellini Semprini racconta: "Luigi Montali forse era stato colpito al cuore, difficile stabilirlo perchè il corpo era in stato di decomposizione. Giulia aveva invece ricevuto una fucilata alla testa".
La signora Avellini fu allieva di Rino Molari nel '43-'44, e rammenta che cosa si diceva allora dell'arresto del suo insegnante: "Alla pensione Alba, dove Molari era ospite, si presentarono dei fascisti che si sedettero al ristorante, parlando a voce alta fra loro: 'Come ci pesa questa divisa...'. Molari avrebbe detto: 'Trovate la maniera di buttarla via, venite con me...'. Così, con l'inganno, Molari venne arrestato. Dopo la fucilazione a Fossoli, un fratello di Molari, Attilio, raccontò a don Giovanni Montali come aveva riconosciuto il professore nella fossa comune di Fossoli, e come era poi riuscito a riportarlo a casa".


Bibliografia essenziale
Cfr. in Ghigi, "San Marino 1943-1944", cit., le testimonianze della vedova Casali (pp. 62-66), di G. Gasperoni (134), M. Gatti (224 C) e della signora Lonfernini (180).
Cfr. poi "San Marino nella bufera" di A. Montemaggi, pp. 27-28.
Su Babbi, vedi Ghigi, cit., pp. 67-68, il nostro "Rimini ieri" (p. 46) e "Il Ponte" del 6.1.1985.

Al capitolo precedente.

Antonio Montanari



Giorni dell'ira. Indice
Rimini ieri. Cronache dalla città. Indice
Riministoria - il Rimino
Antonio Montanari. 47921 Rimini.Via Emilia 23 (Celle). Tel. 0541.740173
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