Direttore scientifico: Prof. Nicola Peluffo | Direttore editoriale: Dott. Quirino Zangrilli 
 
 
Moderatore: Quirino Zangrilli  
Si consiglia di aggiornare la pagina per visualizzare gli ultimi messaggi pervenuti
 
   

Potete porre delle domande agli Autori, inviare dei commenti o servirvi di questa pagina per dibattere di un argomento di vostro interesse.

Il Forum di "Scienza e Psicoanalisi" è dedicato al dibattito scientifico; pertanto messaggi contenenti riferimenti personali o richieste, più o meno esplicite, di psicodiagnosi, saranno rimossi dalla pagina: quando possibile, nel rispetto della neutralità analitica, verrà inviata una risposta privata.

   Si consiglia di specificare il nome dell'Autore a cui sono dirette le vostre note
inserendolo nel corpo dell'Oggetto

Il Forum ha un moderatore.

Da iconoclastia a Giardino dei Ciliegi


[ Commenti ] [ Invia un Commento ] [ Home ]

Inviato da: Iakov Levi il June 16, 2002 at 18:04:22:

In risposta a: Re: Medusa o la Vergine Maria
Inviato da Pier Luigi Bolmida il June 15, 2002 at 23:50:53:

“Ma se tutto il Monoteismo non fosse altro che
uno spostamento (oculare)
che tenta di risolvere il dilemma angoscioso
legato alla perdita del
pene nella donna?”

L’implicazione del quesito posto dal Dott.
Bolmida è che lo spostamento della libido
voyeuristica dal genitale materno a quello
paterno, inerente alla soluzione monoteistica, sia
la conseguenza del trauma causato dalla scoperta
infantile dell'assenza del pene femminile.
Nello stesso pacchetto dobbiamo mettere anche il
rinforzamento della libido omosessuale a scapito
di quella eterosessuale, sia all’interno
dell’orda fraterna che verso il Padre, e la
consequente misogenia.
Infatti, in ogni confraternita, compresa quelle
delle cosche mafiose, vi è una forte componente
di omosessualità latente e di misogenia. Gli “Uomini d’Onore” vengono
presi dal terrore ogni qualvolta le loro donne
mostrino un’anca, per non parlare di una coscia,
e più la gonna sale verso il genitale, più
cresce la loro risoluzione a riscattare l’Onore
perduto.

Tuttavia, il trauma che esperimenta il bambino
nell’osservare il genitale femminile è
universale, e non è particolare di quei popoli
che diventarono monoteisti o mafiosi.
I greci ci hanno mostrato molto bene come questo
trauma possa essere risolto in maniera
costruttiva e non patologica.
Medusa diventò Atena, continuò a portare
l’immagine del mostro fallico sul petto (la quale
all’inizio era stata lei stessa donna bellissima
e concupita da Posidone) come strumento
apotropaico contro le pulsioni eterosessuali,
e in mano tenne una lancia, simbolo
del proprio pene femminile verginale inviolato, e strumento
apotropaico contro la pulsione genitale maschile.
Contro la pulsione voyeuristica le dee vergini
erano sempre coperte, e vedere il genitale di
Artemide al bagno costò la vista a Tiresia e la
vita ad Atteone.
Questo rimase un polo, quello delle dee vergini,
Atena, Artemide ed Estia, sempre vestite, che
potremmo definire: il polo iconoclasta superato.
Accanto gli costituirono un’altro polo, quello di
Afrodite e delle dee deflorate, che i greci non
avevano difficoltà, a differenza delle prime, a
raffigurare seminude.
Come scrive Erodoto nel V secolo:

“Per i Lidi, infatti, come pure, in generale, per
gli altri barbari, essere visto nudo, anche per
un uomo, è cosa che procura grande vergogna”
(Hist., I,10).
Ovvero, per i greci non era già più una vergogna
mentre per i Lidi, che non erano altro che greci
ancora permeati di influenza culturale persiana,
lo era ancora.

Kerenyi scrive:

“Nella città di Cnido, sulla costa dell’Asia
Minore, dove greci puri e non orientali osarono
per la prima volta esporre alla vista una
Afrodite nuda - la celebre statua dello scultore
Prassitele - la conchiglia era considerata come
animale sacro alla grande dea dell’amore.» (Gli
Dei della Grecia, Il Saggiatore, p.65). E allo
stesso proposito: “....le etere veneravano la dea
come una di loro, sotto nomi di Afrodite Hetaira
o Porne. In questa atmosfera ridotta sorgevano
opere d’arte che mostravano la bellezza della dea
come Kalliglutos o Kallipygos, colei che ha belle
natiche, con la veste sollevata, dopo che i
nostri artisti poco a poco avevano ottenuto che
la nudità della dea al bagno non incutesse più un
sacro orrore agli spettatori (p.73)”.

Ovvero, in Occidente, lo stress infantile della
vista del genitale femminile fu felicemente
superato, e ne rimasero le tracce solo nei miti
dei mostri femminili fallici e nella triade
verginale Atena, Artemide, Estia.
Lo stress arcaico fu reattivato solo dal trauma
della caduta del mondo antico e risolto dal
cristianesimo attraverso una regressione al
puritanesimo pre-greco. Ovvero, fu il secondo
trauma a fare una reattivazione del primo, che senza
di quello non sarebbe stato tale, in
quanto sarebbe stato felicemente superato, lasciando dietro
di sè solo sedimenti collaterali.
Tuttavia, la spinta iconodula era così forte che
la cultura occidentale non diventò mai monoteista
e iconoclasta, forse anche perché il processo di
regressione dal mondo antico al medioevo fu
graduale e non un evento traumatico come era
avvenuto in Giudea. Più che di evento traumatico
si può parlare di lento processo di perdita di
identità e reattivazione dell’arcaico senso di
colpa come conseguenza di una perdita di contatto
con le proprie radici. L’ iconodulismo e il
politeismo erano diventati già un sapere
filogenetico, che fu fortunatamente più forte
dell’esperienza ontogenetica di regressione a quando, come citato da Erodoto,
“Per i Lidi, infatti, come pure, in
generale, per gli altri barbari, essere visto
nudo, anche per un uomo, è cosa che procura
grande vergogna”.
Che questo sia ormai diventato il sapere
filogenetico dell’Occidente è dimostrato dal
Rinascimento e dai genitali scoperti di Adamo ed
Eva nella Capella Brancacci e in quella Sistina.
E da come oggi ìmperi nuovamente il nudo,
malgrado secoli di puritanesimo precedenti
(preferisco quello del Masaccio e di Michelangelo
a quello odierno).
A giudicare dall’andare alla deriva “borderline”
degli ultimi anni, sospetto che ci troviamo
davanti a un nuovo periodo di regressione, questa
volta più simile a quello medioevale che a quello
innescato dalla Controriforma, ma siccome da
quando fu distrutto il Tempio la profezia
è stata data agli sciocchi, preferisco stare ad
osservare piuttosto che fare la parte della
Cassandra. In ogni caso, questi sono processi
lunghi, pieni di onde e contro-onde, di doing e
undoing, e in lunghi processi psicostorici è
quasi impossibile discernere l'apice,
particolarmente se lo si sta vivendo.
Per il momento possiamo dire che l’Occidente,
messo alle strette dalla crisi, elaborò la
regressione “alla propria maniera”, un
compromesso temporaneo tra pulsione voyeuristica
e senso di colpa, e rimase fondamentalmente
iconodulo e politeista. La pulsione di osservare
il genitale femminile rimane sempre il tentativo
dominante.

Per il giudaismo le cose andarono diversamente.
Qui non si trattò di andare alla deriva, ma di un
trauma violento e ripetuto.
L’olocausto del regno d’Israele del 721 a.C. dovette
essere ancora più traumatico di quello del nostro
secolo. Se in questo andò perso un terzo del
popolo ebraico, in quello assiro ne andarono
persi due terzi. Solo in quel preciso momento
Ezkia, re di Giuda, “eliminò le alture e frantumò
le stele, abbatté il palo sacro e fece a pezzi il
serpente di bronzo eretto da Mosè”. Il palo sacro
è Asherà, la dea prostituta sacra cananea.
Per capire la portata e le conseguenze del
trauma della perdita di dieci tribù su dodici,
basta dire che Israele divenne l’organo fantasma
di Giuda. I giudei fecero finta che due terzi del
proprio corpo non fossero andati persi, al punto
che continuano a chiamarsi figli d’Israele,
israeliti, israeliani, ma Israele non c’è più.
Quando fu fondato il presente stato ebraico, lo
chiamarono stato d’Israele, ma sarebbe stato
molto più coerente chiamarlo stato di Giuda.
Questo fu il primo trauma che innescò la
regressione monoteistica.
Poi venne l’esilio di Giuda, e lì fu formulato il
compromesso con il Padre: noi non guarderemo più
il genitale materno e tu ci garantirai la
sopravvivenza.
Questa è l’essenza primaria del patto tra Jahvè e
il suo popolo.
Fortunatamente, come abbiamo “visto”, i giudei
trovarono una maniera molto sofisticata per
aggirare il patto e continuare a soddisfare il
loro voyeurismo eterosessuale: I rotoli della
Torà vengono letteralmente spogliati dai suoi
abiti tre volte alla settimana, aperti, come si
aprono le gambe della femmina, e il popolo
ne “penetra” i significati.
A differenza dell’Occidente, il vissuto
monoteista e iconoclastico da ontogenetico e
provvisorio divenne filogenetico, ma nella sua
forma particolare, “alla propria maniera”.
Sovrapponendosi al vissuto filogenetico
precedente, quello politeista e iconodulo, ne
assorbì a sé i contenuti affettivi, e così riuscì
ad evitare un’impoverimento della libido
eterosessuale. Asherà, la prostituta sacra,
diventò i rotoli della Torà. Chi abbia visitato
una sinogaga sa che i rotoli della Torà sono
esposti al pubblico innalzati in aria come se
fossero un palo, come Asherà, il palo sacro
adorato a Gerusalemme prima dell’esilio.
C’è un quadro di Chagal che ci racconta tutta la
storia.
Non mi ricordo il titolo ma l’ho ben presente
davanti agli occhi.
Si vede un ebreo ortodosso con barba e peot,
completamente avvolto dallo scialle rituale che,
come scrive Reik in “Pagan Rites in Judaism”,
rappresenta la pelle dell’ariete – Padre ucciso,
con i filatteri sulla testa, che rappresentano le
corna della bestia, completamente abbracciato ai
rotoli della Torà, come un bambino abbracciato
alla sua mamma. L’abbraccio è totale. La Torà
rappresenta tutto quello che ha.
I nemici degli ebrei percepirono molto bene
questo punto, e durante i secoli, per ferirli,
usavano profanare i rotoli della Torà con carne
di maiale o bruciarli.
A questo punto l’iconoclastia, quella di fare di
Jahvè “un dio che non si vede”, condensa anche un
accorgimento particolarmente astuto e la vendetta
per la proibizione imposta di non guardare il
genitale femminile.
Un dio che non si vede è anche un dio che non c’è.
Yosef Hayim Yerushalmi nel suo libro “Freud’s
Moses”, che consiglio, riporta il seguente
anneddoto: “Un ebreo ateo e assimilato di
Manhattan manda il figlio a una scuola cattolica,
poiché è considerata la migliore dei dintorni. Il
figlio un giorno torna a casa e corre dal
padre: ‘Papà, papà ma lo sapevi che dio è
composto da tre persone !?’ Il padre si fa serio,
prende il figlio in disparte e gli predica
solennemente ‘figlio mio, sappi che Dio non ha
figli, nè madri, nè padri ed è indivisibile, uno
e unico, e noi non ci crediamo’”.


L’Islam rispecchia un vissuto particolarmente
disgraziato.
Il Ritorno del Padre, che prese forma nel
monoteismo islamico, fu imposto su un vissuto
politeista molto povero e rudimentale.
La libido delle tribù beduine della penisola
arabica aveva intrapreso solo pochi passi sulla
strada della migrazione dall’olfatto alla vista.
La civiltà cananea, adottata dagli Israeliti, era
per i beduini straniera ed estraneata. Il baratro
tra loro, e giudei e israeliti, era altrettanto
profondo che quello con i cananei, per non
parlare dei greci. Come testimonia San Nilo
ancora nel V secolo della nostra era, praticavano
riti totemici, come nelle tribù selvagge
australiane e africane, misti a culti di fonti
sacre e spiriti femminili, Jins. La regressione
al monoteismo non impose una situazione che era
stata precedentemente completamente superata.
Come emerge dagli studi del valente antropologo,
il Padre Wilhelm Schmith, a cui si riallaccia
anche Reik in “Mistery on the Mountain”, un
monoteismo rudimentale è anche la religione delle
tribù più selvagge. Per riallaciarsi a questo
monoteismo non dovettero rimuovere un ricco
sviluppo filogenetico, come era successo invece
in Giudea.
Gli arabi non erano mai stati agricoltori, ovvero
non avevano mai potenziato la loro libido
eterosessuale collettiva attraverso
l’erotizzazione del lavoro della Madre Terra. Non
avevano mai praticato la prostituzione sacra. Non
avevano mai avuto vere e proprie dee, ma solo
spiriti delle fonti e stelle del mattino come
simboli femminili.
Maometto articolò un monoteismo e un’iconoclastia
che erano ancora a fior di pelle.
Se i pastori seminomadi ebrei (ebreo- Habiru e
pastore semi-nomade nelle epoche del bronzo erano
sinonimo) vagavano ai margini del seminato nel
tentativo continuo di invaderlo e di sostituirsi
ai Cananei, e alla fine ci riuscirono e ne
ereditarono anche la cultura politeista e
iconodula peculiare dei popoli agricoltori, i
beduini erano estranei all’idea di seminato e lo
invadevano solo per ritirarsi subito al dilà
delle dune del deserto. La parola
italiana ‘razzia’ viene da quella araba ‘razu’
che significa “stile di vita del beduino”, ovvero
invasione del seminato per rapinare e ritirarsi
subito nel deserto. Il beduino si vanta di non
possedere case e campi, e la proibizione islamica
di bere vino ha radice nell’odio del beduino per
il seminato e per le vigne. Per gli agricoltori
cananei ed ebrei, come anche si rispecchia nel
Cantico dei Cantici, la vigna è il simbolo
dell’erotismo.
Le tribù ebraiche venivano dalla valle dei due
fiumi, dove Noè, uno dei loro eroi culturali era
stato: “Noè, coltivatore della terra, cominciò a
piantare una vigna” (Gn.9,20).
A differenza del monoteismo giudaico, che fu una
regressione feroce indotta da un trauma
altrettanto feroce, quello islamico fu una
regressione da uno sviluppo dall’olfatto alla
vista che era rimasto atrofizzato.
Qui non si può parlare di trauma ma di
codificazione dell’attale situazione di orda
preistorica, dalla quale non si erano mai evoluti
in maniera articolata.
Questo non vuol dire che non abbiano avuto dei
buoni momenti, ma il loro sapere filogenetico
rimase sempre e solo quello dell’orda vagante dei
fratelli in esilio, tenuti lontano dal corpo
delle femmine (il seminato) e inibiti dal capo
tribù a guardare il genitale femminile. Anche
quando, come dopo la conquista di tutto il Medio
Oriente, ebbero occasione di un sapere
ontogenetico diverso, ormai era troppo tardi, e
questo non divenne mai filogenetico. Rimasero
prigionieri della coazione a ripetere del vissuto
del nomade diseredato. Continuarono ad essere i
fratelli dell’orda ai quali è proibito guardare e
possedere il genitale femminile. E’ risaputa la
storia dei beduini che, anche quando conquistano
una villaggio e delle case, piantano le loro
tende in cortile e continuano ad abitare lì.

Per raccogliere un primo raccolto da quello che
abbiamo seminato, visto che di “seminato” stiamo
parlando, propongo le seguenti conclusioni:

1) Non è il dilemma angoscioso legato alla
perdita del
pene nella donna la causale del monoteismo, bensì
è la regressione al monoteismo che reattiva
nuovamente questo dilemma, dopo che era stato
superato. Per i giudei, il trauma dell’olocausto
del regno d’Israele e l’esilio di Giuda furono la
causale della regressione al monoteismo e alla
proibizione di guardare il genitale femminile,
che fu spostato anche alla proibizione di
guardare quello paterno, per il rinforzamento
della libido omosessuale inerente a questa
regressione. Fortunatamente, il sapere
filogenetico eterosessuale continuò a premere per
un riconoscimento e ad aggirare così il tabù.
Cosa che non accadde agli arabi, proprio perchè
questo mancava.

2) La proposizione di Freud in Mosè e il
monoteismo
, secondo la quale sarebbe stato
quest’ultimo, e l’inibizione pulsionale inerente
a esso, la causale dell’intellettualizzazione del
popolo ebraico, è da considerarsi errata.
E’ vero il contrario. Fu il bisogno di aggirare
la proibizione di guardare il genitale femminile
a stimolare l’intelletto. Infatti il bisogno di
sapere e di capire risucchia le sue energie dalla
libido genitale eterosessuale. Chi si sottomette
abruttisce, e non l’incontrario. Al massimo si
può dire che quando si proibisce una pulsione,
questa si rinforza e non si indebolisce, ma solo
a condizione che abbia già dietro di sè un vissuto,
un’esperienza esistenziale. Se viene troncata nel
suo formarsi, si atrofizza. Quindi, solo in
questo senso si può dire che il monoteismo
ebraico abbia potuto rinforzare l’intelletto.
Certamente non l’accettanza del volere del Padre
e del suo simbolo rappresentato dalla
circoncisione.
Nella Torà i figli d’Israele sono chiamati
numerose volte “un popolo dalla dura cervice”.
Ora possiamo forse capire il significato di
questa frase: “un popolo che perdura nelle sue
fantasie incestuose e parricide”, malgrado i
traumi, malgrado l’esilio e malgrado il patto con
Jahvè di non guardare più il genitale materno.
La regressione al dominio del Padre preistorico,
se non fosse stata accompagnata anche da una
reazione di ribellione di uguale potenza, avrebbe
fatto del giudaismo il pari dell’Islam, dove non
riescono neanche a capire, per non parlare di
implementare, concetti come democrazia,
uguaglianza di diritti, parità delle donne,
ricerca scientifica, investimenti in agricoltura.
In più di mille anni, in cui hanno potuto
spadroneggiare per il paese, lo hanno ridotto al
dominio del cammello e della capra nera. L'Islam
ha invalidato quattromila anni di civilizzazione nel Medio Oriente.
Dove c’erano città fiorenti, oggi gli archeologi devono
avanzare con la sabbia che arriva fino al ginocchio.
E’ proprio il bisogno di guardare il genitale
femminile, lo sfogo pulsionale e la ribellione
alla Legge del Padre, la fonte di ogni libertà,
civiltà e conoscenza.
Vedi: Sapere e Conoscenza. Dai riti iniziatici alla filosofia platonica.
L’orgoglio giudaico, dell’essersi sottomessi al
volere del Padre, è solo un depistamento, per
nascondere l’enorme carica di aggressività
edipica inerente al giudaismo. Freud, al dunque,
diede mano alla versione ufficiale, e così
facendo non ha servito la verità ma il suo
complesso paterno, che lui stesso associava a inibizione
pulsionale e civiltà.
Il valore di Mosè e il monoteismo consiste
nell’esposizione del ritorno del rimosso nella
psiche collettiva. Ma, secondo me, il nesso tra
civiltà e inibizione pulsionale deve essere
invertito. E’ vero che, come sostiene Freud, la
strada verso la civiltà può essere intrapresa
solo dopo un compromesso con l’imago paterna e
l’autoidentificazione, ma queste non significano
iconoclastia e monoteismo. Significa auto- inibizione a
ripetere il parricidio e autoidentificazione,
non sottomissione cieca al volere paterno. Al dunque,
monoteismo e iconoclastia rappresentano una regressione
psicosessuale.

Vorrei dire ancora una parola sull’Islam, perchè
quello che sta succedendo in Europa mi
ricorda “Il giardino dei ciliegi” di Cechov.
Invece di occuparsi di dieci milioni di ebrei
(questo è, all'incirca, il numero dei rimasti
in tutto il mondo - la metà in Israele)
che non sono una minaccia per nessuno, tranne
che per l’imago rimossa del Padre detronizzato
che alberga nelle cantine tenebrose della psiche
occidentale, gli europei dovrebbero cominciare a
preoccuparsi della minaccia reale che incombe da
parte di un miliardo di mussulmani. Se la strada
per Washington passa per Gerusalemme, come diceva
il vecchio Houmeini, passa anche per Roma e per
Parigi.
L’orda fraterna mussulmana è una minaccia per la
civiltà di Apollo ancora maggiore di quello che
lo era stata l’orda nazista. Questa era composta
da fratelli sadico-anali e “malignant
narcissists” che anelavano ad avere sotto
controllo l’Occidente, come ogni sadico anale
vuole controllare e dominare, ma non anelavano a
distruggerlo.
L’orda mussulmana è invece un’orda sadico orale e
borderline, con manifeste allucinazioni
intrauterine, la cui unica strategia è la
distruzione e l’annullamento. L’Islam di oggi non
è più quello dei califfi Omiadi e di Harun El
Rashid. Allora erano al loro meglio, mentre
adesso sono al loro peggio, e la regressione
borderline è degenerata in paranoia. Questa è la
loro condizione filogenetica e ontogenetica
permanente.
I mussulmani hanno preso la proibizione di
guardare il genitale materno molto seriamente, e
sono pronti a scoppiare su chiunque stia ancora
guardando, per soddisfare le pretese di un Padre
preistorico, non fantasticato come nella psiche
occidentale e in quella ebraica, ma bensì
allucinato.
Sarebbe un vero peccato vedere le statue di
Michelangelo fare la stessa fine che ha fatto il
Budda distrutto dai Talibani in Afganistan.

Saluti a tutti
Iakov Levi

Links:

Olfatto e vista. Freud e Mosè vis a vis Abraham e Ekhnaton

Trauma della nascita, esilio e monoteismo

Paranoia e borderline disorder

Islam e clitoridectomia

La figura di Dio nell'ebraismo: Padre o Madre? (La lettera di una lettrice)




Hosted by www.Geocities.ws

1