Da iconoclastia a Giardino dei Ciliegi
[ Commenti
] [ Invia un
Commento ] [ Home ]
Inviato da:
Iakov Levi il
June 16, 2002 at 18:04:22:
In risposta a: Re: Medusa o la
Vergine Maria Inviato da Pier Luigi Bolmida il June 15, 2002 at
23:50:53:
“Ma se tutto il Monoteismo non fosse altro che uno spostamento
(oculare) che tenta di risolvere il dilemma angoscioso legato alla
perdita del pene nella donna?”
L’implicazione del quesito posto dal Dott. Bolmida è che lo
spostamento della libido voyeuristica dal genitale materno a quello
paterno, inerente alla soluzione monoteistica, sia la conseguenza
del trauma causato dalla scoperta infantile dell'assenza del pene
femminile. Nello stesso pacchetto dobbiamo mettere anche il
rinforzamento della libido omosessuale a scapito di quella
eterosessuale, sia all’interno dell’orda fraterna che verso il Padre, e
la consequente misogenia. Infatti, in ogni confraternita, compresa
quelle delle cosche mafiose, vi è una forte componente di
omosessualità latente e di misogenia. Gli “Uomini
d’Onore” vengono presi dal terrore ogni qualvolta le loro donne
mostrino un’anca, per non parlare di una coscia, e più la gonna
sale verso il genitale, più cresce la loro risoluzione a riscattare
l’Onore perduto.
Tuttavia, il trauma che esperimenta il bambino nell’osservare il
genitale femminile è universale, e non è particolare di quei popoli
che diventarono monoteisti o mafiosi. I greci ci hanno mostrato
molto bene come questo trauma possa essere risolto in maniera
costruttiva e non patologica. Medusa diventò Atena, continuò a
portare l’immagine del mostro fallico sul petto (la quale
all’inizio era stata lei stessa donna bellissima e concupita da
Posidone) come strumento apotropaico contro le pulsioni eterosessuali,
e in mano tenne una lancia, simbolo del proprio pene
femminile verginale inviolato, e strumento apotropaico contro la pulsione
genitale maschile. Contro la pulsione voyeuristica le dee vergini
erano sempre coperte, e vedere il genitale di Artemide al bagno
costò la vista a Tiresia e la vita ad Atteone. Questo rimase un
polo, quello delle dee vergini, Atena, Artemide ed Estia, sempre
vestite, che potremmo definire: il polo iconoclasta
superato. Accanto gli costituirono un’altro polo, quello di
Afrodite e delle dee deflorate, che i greci non avevano
difficoltà, a differenza delle prime, a raffigurare seminude. Come
scrive Erodoto nel V secolo:
“Per i Lidi, infatti, come pure, in generale, per gli altri
barbari, essere visto nudo, anche per un uomo, è cosa che procura
grande vergogna” (Hist., I,10). Ovvero, per i greci non era già più
una vergogna mentre per i Lidi, che non erano altro che greci
ancora permeati di influenza culturale persiana, lo era ancora.
Kerenyi scrive:
“Nella città di Cnido, sulla costa dell’Asia Minore, dove greci
puri e non orientali osarono per la prima volta esporre alla vista una
Afrodite nuda - la celebre statua dello scultore Prassitele - la
conchiglia era considerata come animale sacro alla grande dea
dell’amore.» (Gli Dei della Grecia, Il Saggiatore, p.65). E allo
stesso proposito: “....le etere veneravano la dea come una di
loro, sotto nomi di Afrodite Hetaira o Porne. In questa atmosfera
ridotta sorgevano opere d’arte che mostravano la bellezza della dea
come Kalliglutos o Kallipygos, colei che ha belle natiche, con la
veste sollevata, dopo che i nostri artisti poco a poco avevano
ottenuto che la nudità della dea al bagno non incutesse più un
sacro orrore agli spettatori (p.73)”.
Ovvero, in Occidente, lo stress infantile della vista del genitale
femminile fu felicemente superato, e ne rimasero le tracce solo nei
miti dei mostri femminili fallici e nella triade verginale Atena,
Artemide, Estia. Lo stress arcaico fu reattivato solo dal trauma
della caduta del mondo antico e risolto dal cristianesimo
attraverso una regressione al puritanesimo pre-greco. Ovvero, fu il
secondo trauma a fare una reattivazione del primo, che senza di quello non sarebbe stato tale, in quanto sarebbe stato felicemente superato, lasciando dietro di sè solo sedimenti collaterali. Tuttavia, la
spinta iconodula era così forte che la cultura occidentale non diventò
mai monoteista e iconoclasta, forse anche perché il processo di
regressione dal mondo antico al medioevo fu graduale e non un
evento traumatico come era avvenuto in Giudea. Più che di evento
traumatico si può parlare di lento processo di perdita di identità
e reattivazione dell’arcaico senso di colpa come conseguenza di una
perdita di contatto con le proprie radici. L’ iconodulismo e il
politeismo erano diventati già un sapere filogenetico, che fu
fortunatamente più forte dell’esperienza ontogenetica di regressione a quando, come citato da Erodoto,
“Per i Lidi, infatti, come pure, in generale, per gli altri
barbari, essere visto nudo, anche per un uomo, è cosa che procura
grande vergogna”. Che questo sia ormai diventato il sapere
filogenetico dell’Occidente è dimostrato dal Rinascimento e dai
genitali scoperti di Adamo ed Eva nella Capella Brancacci e in quella
Sistina. E da come oggi ìmperi nuovamente il nudo, malgrado secoli
di puritanesimo precedenti (preferisco quello del Masaccio e di
Michelangelo a quello odierno). A giudicare dall’andare alla deriva
“borderline” degli ultimi anni, sospetto che ci troviamo davanti a
un nuovo periodo di regressione, questa volta più simile a quello
medioevale che a quello innescato dalla Controriforma, ma siccome da
quando fu distrutto il Tempio la profezia è stata data agli
sciocchi, preferisco stare ad osservare piuttosto che fare la parte
della Cassandra. In ogni caso, questi sono processi lunghi, pieni di
onde e contro-onde, di doing e undoing, e in lunghi processi
psicostorici è quasi impossibile discernere l'apice,
particolarmente se lo si sta vivendo. Per il momento possiamo dire
che l’Occidente, messo alle strette dalla crisi, elaborò la
regressione “alla propria maniera”, un compromesso temporaneo tra
pulsione voyeuristica e senso di colpa, e rimase fondamentalmente
iconodulo e politeista. La pulsione di osservare il genitale
femminile rimane sempre il tentativo dominante.
Per il giudaismo le cose andarono diversamente. Qui non si trattò di
andare alla deriva, ma di un trauma violento e
ripetuto. L’olocausto del regno d’Israele del 721 a.C. dovette essere
ancora più traumatico di quello del nostro secolo. Se in questo andò
perso un terzo del popolo ebraico, in quello assiro ne andarono
persi due terzi. Solo in quel preciso momento Ezkia, re di Giuda,
“eliminò le alture e frantumò le stele, abbatté il palo sacro e fece a
pezzi il serpente di bronzo eretto da Mosè”. Il palo sacro è
Asherà, la dea prostituta sacra cananea. Per capire la portata e le
conseguenze del trauma della perdita di dieci tribù su dodici,
basta dire che Israele divenne l’organo fantasma di Giuda. I
giudei fecero finta che due terzi del proprio corpo non fossero andati
persi, al punto che continuano a chiamarsi figli d’Israele,
israeliti, israeliani, ma Israele non c’è più. Quando fu fondato
il presente stato ebraico, lo chiamarono stato d’Israele, ma sarebbe
stato molto più coerente chiamarlo stato di Giuda. Questo fu il
primo trauma che innescò la regressione monoteistica. Poi venne
l’esilio di Giuda, e lì fu formulato il compromesso con il Padre: noi
non guarderemo più il genitale materno e tu ci garantirai la
sopravvivenza. Questa è l’essenza primaria del patto tra Jahvè e
il suo popolo. Fortunatamente, come abbiamo “visto”, i giudei
trovarono una maniera molto sofisticata per aggirare il patto e
continuare a soddisfare il loro voyeurismo eterosessuale: I rotoli
della Torà vengono letteralmente spogliati dai suoi abiti tre
volte alla settimana, aperti, come si aprono le gambe della femmina, e
il popolo ne “penetra” i significati. A differenza dell’Occidente,
il vissuto monoteista e iconoclastico da ontogenetico e
provvisorio divenne filogenetico, ma nella sua forma particolare,
“alla propria maniera”. Sovrapponendosi al vissuto filogenetico
precedente, quello politeista e iconodulo, ne assorbì a sé i
contenuti affettivi, e così riuscì ad evitare un’impoverimento della
libido eterosessuale. Asherà, la prostituta sacra, diventò i
rotoli della Torà. Chi abbia visitato una sinogaga sa che i rotoli
della Torà sono esposti al pubblico innalzati in aria come se
fossero un palo, come Asherà, il palo sacro adorato a Gerusalemme
prima dell’esilio. C’è un quadro di Chagal che ci racconta tutta la
storia. Non mi ricordo il titolo ma l’ho ben presente davanti
agli occhi. Si vede un ebreo ortodosso con barba e peot,
completamente avvolto dallo scialle rituale che, come scrive Reik
in “Pagan Rites in Judaism”, rappresenta la pelle dell’ariete – Padre
ucciso, con i filatteri sulla testa, che rappresentano le corna
della bestia, completamente abbracciato ai rotoli della Torà, come un
bambino abbracciato alla sua mamma. L’abbraccio è totale. La Torà
rappresenta tutto quello che ha. I nemici degli ebrei percepirono
molto bene questo punto, e durante i secoli, per ferirli, usavano
profanare i rotoli della Torà con carne di maiale o bruciarli. A
questo punto l’iconoclastia, quella di fare di Jahvè “un dio che non
si vede”, condensa anche un accorgimento particolarmente astuto e la
vendetta per la proibizione imposta di non guardare il genitale
femminile. Un dio che non si vede è anche un dio che non c’è. Yosef
Hayim Yerushalmi nel suo libro “Freud’s Moses”, che consiglio, riporta
il seguente anneddoto: “Un ebreo ateo e assimilato di Manhattan
manda il figlio a una scuola cattolica, poiché è considerata la
migliore dei dintorni. Il figlio un giorno torna a casa e corre dal
padre: ‘Papà, papà ma lo sapevi che dio è composto da tre persone
!?’ Il padre si fa serio, prende il figlio in disparte e gli predica
solennemente ‘figlio mio, sappi che Dio non ha figli, nè madri, nè
padri ed è indivisibile, uno e unico, e noi non ci crediamo’”.
L’Islam rispecchia un vissuto particolarmente
disgraziato. Il Ritorno del Padre, che prese forma nel
monoteismo islamico, fu imposto su un vissuto politeista molto
povero e rudimentale. La libido delle tribù beduine della penisola
arabica aveva intrapreso solo pochi passi sulla strada della
migrazione dall’olfatto alla vista. La civiltà cananea, adottata dagli
Israeliti, era per i beduini straniera ed estraneata. Il baratro
tra loro, e giudei e israeliti, era altrettanto profondo che quello
con i cananei, per non parlare dei greci. Come testimonia San Nilo
ancora nel V secolo della nostra era, praticavano riti
totemici, come nelle tribù selvagge australiane e africane, misti a
culti di fonti sacre e spiriti femminili, Jins. La regressione al
monoteismo non impose una situazione che era stata precedentemente
completamente superata. Come emerge dagli studi del valente
antropologo, il Padre Wilhelm Schmith, a cui si riallaccia anche
Reik in “Mistery on the Mountain”, un monoteismo rudimentale è anche
la religione delle tribù più selvagge. Per riallaciarsi a questo
monoteismo non dovettero rimuovere un ricco sviluppo filogenetico,
come era successo invece in Giudea. Gli arabi non erano mai stati
agricoltori, ovvero non avevano mai potenziato la loro libido
eterosessuale collettiva attraverso l’erotizzazione del lavoro
della Madre Terra. Non avevano mai praticato la prostituzione sacra.
Non avevano mai avuto vere e proprie dee, ma solo spiriti delle
fonti e stelle del mattino come simboli femminili. Maometto
articolò un monoteismo e un’iconoclastia che erano ancora a fior di
pelle. Se i pastori seminomadi ebrei (ebreo- Habiru e pastore
semi-nomade nelle epoche del bronzo erano sinonimo) vagavano ai
margini del seminato nel tentativo continuo di invaderlo e di
sostituirsi ai Cananei, e alla fine ci riuscirono e ne ereditarono
anche la cultura politeista e iconodula peculiare dei popoli
agricoltori, i beduini erano estranei all’idea di seminato e lo
invadevano solo per ritirarsi subito al dilà delle dune del
deserto. La parola italiana ‘razzia’ viene da quella araba ‘razu’
che significa “stile di vita del beduino”, ovvero invasione del
seminato per rapinare e ritirarsi subito nel deserto. Il beduino si
vanta di non possedere case e campi, e la proibizione islamica di
bere vino ha radice nell’odio del beduino per il seminato e per le
vigne. Per gli agricoltori cananei ed ebrei, come anche si rispecchia
nel Cantico dei Cantici, la vigna è il simbolo
dell’erotismo. Le tribù ebraiche venivano dalla valle dei due
fiumi, dove Noè, uno dei loro eroi culturali era stato: “Noè,
coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna”
(Gn.9,20). A differenza del monoteismo giudaico, che fu una
regressione feroce indotta da un trauma altrettanto feroce, quello
islamico fu una regressione da uno sviluppo dall’olfatto alla
vista che era rimasto atrofizzato. Qui non si può
parlare di trauma ma di codificazione dell’attale situazione di orda
preistorica, dalla quale non si erano mai evoluti in maniera
articolata. Questo non vuol dire che non abbiano avuto dei buoni
momenti, ma il loro sapere filogenetico rimase sempre e solo quello
dell’orda vagante dei fratelli in esilio, tenuti lontano dal corpo
delle femmine (il seminato) e inibiti dal capo tribù a guardare il
genitale femminile. Anche quando, come dopo la conquista di tutto il
Medio Oriente, ebbero occasione di un sapere ontogenetico diverso,
ormai era troppo tardi, e questo non divenne mai filogenetico.
Rimasero prigionieri della coazione a ripetere del vissuto del
nomade diseredato. Continuarono ad essere i fratelli dell’orda ai
quali è proibito guardare e possedere il genitale femminile. E’
risaputa la storia dei beduini che, anche quando conquistano una
villaggio e delle case, piantano le loro tende in cortile e continuano
ad abitare lì.
Per raccogliere un primo raccolto da quello che abbiamo seminato,
visto che di “seminato” stiamo parlando, propongo le seguenti
conclusioni:
1) Non è il dilemma angoscioso legato alla perdita del pene
nella donna la causale del monoteismo, bensì è la regressione al
monoteismo che reattiva nuovamente questo dilemma, dopo che era stato
superato. Per i giudei, il trauma dell’olocausto del regno
d’Israele e l’esilio di Giuda furono la causale della regressione al
monoteismo e alla proibizione di guardare il genitale femminile,
che fu spostato anche alla proibizione di guardare quello paterno,
per il rinforzamento della libido omosessuale inerente a questa
regressione. Fortunatamente, il sapere filogenetico eterosessuale
continuò a premere per un riconoscimento e ad aggirare così il tabù.
Cosa che non accadde agli arabi, proprio perchè questo mancava.
2) La proposizione di Freud in Mosè e il monoteismo, secondo la
quale sarebbe stato quest’ultimo, e l’inibizione pulsionale inerente
a esso, la causale dell’intellettualizzazione del popolo ebraico,
è da considerarsi errata. E’ vero il contrario. Fu il bisogno di
aggirare la proibizione di guardare il genitale femminile a
stimolare l’intelletto. Infatti il bisogno di sapere e di capire
risucchia le sue energie dalla libido genitale eterosessuale. Chi si
sottomette abruttisce, e non l’incontrario. Al massimo si può
dire che quando si proibisce una pulsione, questa si rinforza e non si
indebolisce, ma solo a condizione che abbia già dietro di sè un vissuto,
un’esperienza esistenziale. Se viene troncata nel suo formarsi, si
atrofizza. Quindi, solo in questo senso si può dire che il monoteismo
ebraico abbia potuto rinforzare l’intelletto. Certamente non
l’accettanza del volere del Padre e del suo simbolo rappresentato
dalla circoncisione. Nella Torà i figli d’Israele sono chiamati
numerose volte “un popolo dalla dura cervice”. Ora possiamo forse
capire il significato di questa frase: “un popolo che perdura nelle
sue fantasie incestuose e parricide”, malgrado i traumi, malgrado
l’esilio e malgrado il patto con Jahvè di non guardare più il genitale
materno. La regressione al dominio del Padre preistorico, se non
fosse stata accompagnata anche da una reazione di ribellione di uguale
potenza, avrebbe fatto del giudaismo il pari dell’Islam, dove non
riescono neanche a capire, per non parlare di implementare,
concetti come democrazia, uguaglianza di diritti, parità delle donne,
ricerca scientifica, investimenti in agricoltura. In più di mille
anni, in cui hanno potuto spadroneggiare per il paese, lo hanno ridotto
al dominio del cammello e della capra nera. L'Islam ha invalidato quattromila anni di civilizzazione nel Medio Oriente. Dove c’erano città
fiorenti, oggi gli archeologi devono avanzare con la sabbia che arriva fino al
ginocchio. E’ proprio il bisogno di guardare il genitale femminile,
lo sfogo pulsionale e la ribellione alla Legge del Padre, la fonte di
ogni libertà, civiltà e conoscenza.
Vedi: Sapere e Conoscenza. Dai riti iniziatici alla filosofia platonica.
L’orgoglio giudaico,
dell’essersi sottomessi al volere del Padre, è solo un depistamento,
per nascondere l’enorme carica di aggressività edipica inerente al
giudaismo. Freud, al dunque, diede mano alla versione ufficiale, e
così facendo non ha servito la verità ma il suo complesso paterno,
che lui stesso associava a inibizione pulsionale e civiltà. Il valore di
Mosè e il monoteismo consiste nell’esposizione del ritorno del rimosso
nella psiche collettiva. Ma, secondo me, il nesso tra civiltà e
inibizione pulsionale deve essere invertito. E’ vero che, come
sostiene Freud, la strada verso la civiltà può essere intrapresa
solo dopo un compromesso con l’imago paterna e
l’autoidentificazione, ma queste non significano iconoclastia e
monoteismo. Significa auto- inibizione a ripetere il parricidio e
autoidentificazione, non sottomissione cieca al volere paterno. Al dunque,
monoteismo e iconoclastia rappresentano una regressione psicosessuale.
Vorrei dire ancora una parola sull’Islam, perchè quello che sta
succedendo in Europa mi ricorda “Il giardino dei ciliegi” di
Cechov. Invece di occuparsi di dieci milioni di ebrei (questo è, all'incirca, il numero dei rimasti in tutto il mondo - la metà in Israele) che non sono
una minaccia per nessuno, tranne che per l’imago rimossa del Padre
detronizzato che alberga nelle cantine tenebrose della psiche
occidentale, gli europei dovrebbero cominciare a preoccuparsi
della minaccia reale che incombe da parte di un miliardo di
mussulmani. Se la strada per Washington passa per Gerusalemme, come
diceva il vecchio Houmeini, passa anche per Roma e per Parigi.
L’orda fraterna mussulmana è una minaccia per la civiltà di Apollo
ancora maggiore di quello che lo era stata l’orda nazista. Questa era
composta da fratelli sadico-anali e “malignant narcissists” che
anelavano ad avere sotto controllo l’Occidente, come ogni sadico anale
vuole controllare e dominare, ma non anelavano a
distruggerlo. L’orda mussulmana è invece un’orda sadico orale e
borderline, con manifeste allucinazioni intrauterine, la cui unica
strategia è la distruzione e l’annullamento. L’Islam di oggi non è
più quello dei califfi Omiadi e di Harun El Rashid. Allora erano al
loro meglio, mentre adesso sono al loro peggio, e la regressione
borderline è degenerata in paranoia. Questa è la loro condizione
filogenetica e ontogenetica permanente. I mussulmani hanno preso la
proibizione di guardare il genitale materno molto seriamente, e
sono pronti a scoppiare su chiunque stia ancora guardando, per
soddisfare le pretese di un Padre preistorico, non fantasticato come
nella psiche occidentale e in quella ebraica, ma bensì
allucinato. Sarebbe un vero peccato vedere le statue di
Michelangelo fare la stessa fine che ha fatto il Budda distrutto
dai Talibani in Afganistan.
Saluti a tutti Iakov Levi
Links:
Olfatto e vista. Freud e Mosè vis a vis Abraham e Ekhnaton
Trauma della nascita, esilio e monoteismo
Paranoia e borderline disorder
Islam e clitoridectomia
La figura di Dio nell'ebraismo: Padre o Madre? (La lettera di una lettrice)
|