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La legge di Giobbe (dott. Bolmida)
Iakov Levi - 20 maggio 2002

Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per assorbire l’estensione del significato del lavoro del dott. Bolmida.
Per me è particolarmente gravida di conseguenze la terza parte, in cui spiega come il passaggio a una posizione eretta abbia permesso una canalizzazzione della libido dall’olfatto alla vista. Invece di annusare i genitali, come gli altri animali, l’uomo si eccita guardandoli. Non vi è dubbio che leggere questa parte abbia stimulato le mie associazioni a proposito della Medusa e della moglie di Lot, al cui centro si trova la pulsione voyeuristica.
Ma c’è una parte più importante. In “Occidente e Oriente nello specchio di Dioniso e di Apollo” ho sostenuto come tutta la civiltà occidentale si sia sviluppata sotto il segno dell’occhio di Apollo, il dio della rappresentazione figurata e dell’arte.
Le energie sono state dirette da Dioniso, il dio Padre e capro, quindi ancora quadrupede, verso il dio figlio Apollo il quale rappresenta la visione, il sogno in quanto mediazione dell’Io delle pusioni provenienti dall’Es attraverso la rappresentazione.
Adesso, per merito del lavoro del dott. Bolmida, il tutto acquista una dimensione nuova e molto più profonda. Il cammino verso la civilizzazione DOVEVA essere iconodulo. Anche le civilizzazioni del Medio Oriente, nelle valli dei due fiumi, erano iconodule. Questo spiega un altro livello del tentativo iconoclasta di Akhnaton e l’opposizione incontrata dai sacerdoti iconoduli di Ammon. Akhnaton avrebbe distrutto e vanificato la civilizzazione egizia, come i giudei rischiavano di vanificare la civiltà di Apollo, e gli arabi, dopo un breve tentativo nella direzione opposta, vanificarono millenni di civilizzazione nel Medio Oriente.
Akhnaton e il suo monoteismo iconoclasta, i giudei, e ancora di più gli arabi, proposero di abbandonare la vista in favore di una regressione all’olfatto.
Sotto la predominanza dell’olfatto la civilizzazione non avrebbe potuto svilupparsi nè essere sostenuta.
La minaccia all’Occidente e la sua civilizzazione viene oggi proprio da quelli che sono rimasti iconoclasti par excellence: l’Islam. Come una volta era venuta dal giudaismo.
Iakov Levi

 

La legge di Giobbe (dott. Bolmida)
Iakov Levi - 22 maggio 2002

Se vediamo nell’iconoclastia una recessione dalla pulsione voyeurista a quella dell’olfatto , credo che possiamo finalmente decodificare uno dei più strani misteri degli studi freudiani.
Per Freud, il “Mosè e la religione monoteistica” fu un’opera d’importanza capitale, senz’altro la sua creatura più sofferta. Al centro staglia la figura di Ekhnaton, il faraone eretico, monoteista e iconoclasta, che è come un alter di Mosè stesso.
Infatti Mosè rappresenta la figura leggendaria, mentre Ekhnaton è il suo alter storico. (Ahmed Osman, nel suo importante lavoro “Out of Egypt”, prova che in realtà sono la stessa persona. Ahmen Osman, l’Egiziano, non può essere nominato nelle accademie, ma queste sono sempre l’ultimo posto dove la verità riesce a penetrare).
Eppure Freud non ha mai nominato, menzionato o citato l’opera di Abraham del 1912 “Amenofi IV (Ekhnaton): contributi psicoanalitici alla comprensione della sua personalità e del culto monoteistico di Aton”.
I rapporti tra Freud e Abraham erano sempre stati affettuosi, cordiali e di reciproca stima. Si consultavano spesso e pare che Abraham sia stato forse l’unico dei suoi collaboratori con il quale Freud non abbia mai avuto screzi di sorta. Probabilmente molto più per merito del carattere maturo e tollerante di Abraham che per quello impetuoso di Freud.
Se non altro per correttezza professionale, Freud avrebbe dovuto menzionare l’opera di Abraham, che aveva preceduto la sua di 26 anni.
Eppure, il silenzio più completo.
A mio parere, il motivo è il seguente.
Per Freud, il monoteismo iconoclastico di Ekhnaton, che dopo una latenza di sette secoli passò all’ebraismo, rappresentava una conquista culturale. Una rinuncia pulsionale che sarebbe la causale della sublimazione spirituale dell’ebraismo.
Ekhnaton – Mosè era dunque il suo eroe culturale e Freud si identificava con lui.
Secondo me, il motivo per cui Freud scompose la figura di Mosè l’egizio in due: Ekhnaton e Mosè, è che dai bassorilievi e dalle statue egizie scoperte a El Amarna, Ekhnaton mal si addice alla figura di un condottiero carismatico. Dagli inni da lui composti emerge il poeta, l’artista, un uomo mite e amante della famiglia.
Abraham nella sua monografia lo descrive per quello che probabilmente era: un idiota che stava perdendo tutte le sue provincie asiatiche e che stava mandando in rovina l’Egitto. Adopero qui la parola idiota nel senso Dostoevskiano, ovvero, l’antitesi di un uomo pratico e certamente del condottiero. Era completamente mancante di qualsiasi lungimiranza politica, dote essenziale per un faraone. Abraham fa derivare anche la sua nuova religione da un complesso edipico non risolto, ovvero interpreta il suo monoteismo iconoclasta come regressione. Non un sovrano illuminato al di sopra del suo tempo, come quello descritto da Freud, ma un sovrano debole e complessato che non meritava di ricoprire tale ministero.
Per questo Freud preferì ignorare totalmente l’importante lavoro di Abraham.
Per Freud il monoteismo iconoclasta era una sublimazione dell’Edipo, mentre per Abraham era una regressione da questo.
In questa chiave, quella che Freud ci descrive come conquista di civiltà diventa una regressione dalle conquiste di questa. Una regressione dall’occhio all’olfatto.
E’ vero che quando un senso viene inibito nella meta, le energie vanno a potenziarne un altro. I ciechi annusano meglio. Quindi è vero che, inibendo lo sfogo pulsionale della vista, l’intelletto può venirne potenziato, ma probabilmente ci vogliono altre condizioni concomitanti. Se pensiamo ai Talibani che hanno distrutto delle statue del Budda millenarie, in Afganistan, difficilmente ci facciamo l’idea di una conquista culturale, malgrado l’inibizione pulsionale di cui è permeata la loro cultura.
Gli Arabi diedero il loro meglio proprio nel primo secolo dalle loro conquiste, quando riuscirono a rilassarsi e a rinunciare momentaneamente all’iconoclastia.
L’impero bizantino rischiò di andare in rovina per le crisi iconoclaste che lo sconvolsero. E’ difficile sostenere che iconoclastia e civiltà possano andare insieme.
Il motivo per il quale ci fidiamo di più del monoteismo che delle altre religioni è perchè questo si avvicina di più alla verità storica dell’unico padre preistorico tirannico, ma proprio questo riconoscimento allontana dalla civilizzazione e la minaccia, e non l’incontrario, come sostenuto da Freud.
Ovvero, verità e civiltà sono incompatibili.
Anche l’olfatto è molto più veritiero della vista, che può mentire.
La vista tende a sottomettersi alla sintesi dell’Io, mentre l’olfatto è completamente indipendente.
Anche questo è stato implicato da Freud quando egli stesso stabilisce un’antitesi tra richieste pulsionali e pretese della civiltà. Ma, messo alle strette tra verità -richiesta pulsionale e civiltà, Freud scelse la civiltà e cominciò a mentire.
Civiltà, per Freud, è inibizione pulsionale – padre primigenio, e quindi fece di Mosè - Ekhnaton un’istanza inibitrice. La catena associativa dell’analisi dei testi mi ha portato da tutta altra parte: Mosè figlio ribelle vicario dei figli, che sale sulla montagna per evirare il Padre e carpirgli la Legge.
Reik nel suo “Il Mosè di Michelangelo e gli eventi del Sinai” del 1919 era già arrivato a una conclusione simile a quella a cui sono arrivato io prendendo un’altra strada.
Reik, nel suo lavoro del 1919, già allude a una critica non tanto velata dell’atteggiamento di Freud verso Mosè in il “Mosè di Michelangelo”(1914), in cui Freud fa del condottiero un vicario del Padre adirato con il suo popolo. La stessa menzogna di chi fece del Cristo un Vicario del Padre.
Freud rimosse non solo il lavoro di Abraham, ma anche quello di Reik.
Il motivo, per me, è che aveva un eroe culturale da salvaguardare.
Abraham non visse abbastanza per vedere il “Mosè e il monoteismo” di Freud ma posso immaginare che se lo avesse visto avrebbe detto la sua.
Reik, dopo vent’anni dalla morte di Freud, si prese la sua vendetta in “Mystery on the Mountain” (1959), tentando di invalidare con argomentazioni, questa volta ridicole, il fatto che ci fosse stato un Mosè Egizio affatto.
Un Mosè egizio ci fu per forza, in quanto la tradizione ebraica è permeata di legislazione egizia Ekhnatoniana. Ma questo Mosè – Ekhnaton non fu mai sulla montagna sacra, nè fu il condottiero – eroe descritto da Freud. Probabilmente fu associato all’Esodo solo alle soglie dell’esilio babilonese, quando il ricordo d’Egitto cominciò a riemergere dalla rimozione. Per me è dubbio che si sia mai interessato di ebrei – ‘Apiru.
Nè fu questo l’eroe che fu assassinato. Anche se un assassinio indubbiamente ci fu: “Allora tutta la comunità intese lapidarli” (Numeri 14,10).
Prima dell’esilio, il Mosè era un dio salvifico, vicario dei figli, equivalente all’Esculapio occidentale.
Abbiamo un esempio di come la rimozione si servi dell’espediente dell’isolamento,
poichè è scritto nero su bianco: “Egli [Ezechia re di Giuda] eliminò le alture e frantumò le stele, abbattè il palo sacro e fece a pezzi il serpente di bronzo, eretto da Mosè; difatti fino a quel tempo gli Israeliti gli bruciavano incenso e lo chiamavano Necustan” (2 RE 18,4).
Quello che emerse dalla rimozione, dopo l’olocausto del Regno d’Israele e con
i Babilonesi che stavano per distruggere la Giudea, furono i riti puberali che venivano consumati sulla montagna sacra (in cui la generazione dei padri impone ai figli la legge del clan) e questi si fusero con la legislazione egizia e i Dieci Comandamenti, che non c’entravano per niente con questi riti.
Il “Mosè assassinato” è la traccia mnestica del rito puberale in cui vengono reattivati
il rito totemico e il parricidio primordiale. Un Mosè, eroe d’Egitto e fanatico seguace di Ekhnaton che si sarebbe messo a capo delle tribù ebraice per farle uscire dall’Egitto e imporre loro il monoteismo, è il romanzo familiare di Freud che, come Pinocchio, si mise a dire bugie per nascondere le sue erezioni.
Infatti Freud, come Pietro, ci mentì tre volte
1) Quando disse nel 1930 di non conoscere l’ebraico (la lingua sacra)
2) Quando disse di non aver letto Nietzsche
3) In “Il Mosè e la religione monoteistica”
L’erezione che voleva nascondere era naturalmente legata al terrore del padre. Nel primo caso voleva nascondere il sacrilegio compiuto quando aveva ritardato al funerale e non aveva letto il Kaddish.
Nietzsche era per lui perturbante Das Unheimliche (“Il Perturbante”, in Opere, IX, pp. 81 –7. Per Freud, “ il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare” (p.82). ). Nel terzo caso ha voluto mascherare quella che è una verità = olfatto = erezione come se fosse un’ inibizione pulsionale e un acquisto di civiltà. E soprattutto voleva mascherare la vera natura di un Mosè, con il qual si identificava, che era salito sulla montagna a carpire la Legge – verità -- pene paterno e madre.
Iakov Levi

 

La legge di Giobbe (dott. Bolmida)
Manuela Tartari - 23 maggio 2002


Ho letto con estremo interesse i contributi del Professor Levi sul problema dell'iconoclastia come recessione dalla pulsione voyeuristica a quella dell'olfatto. Essi mi suscitano diverse domande che vorrei discutere. La prima é generale: cosa intendiamo per iconoclastia? Mi sembra che nelle tre religioni di cui ci si occupa, essa abbia indicato la distruzione del culto delle immagini, in quanto ognuna di esse avrebbe in qualche modo rischiato di essere un riferimento a dio, dunque blasfemo. Qui mi sembra ci sia un riferimento alla visione mesopotamica del mondo come "scrittura degli dei", interpretabile tramite oracoli, proprio perché ogni oggetto sensibile del mondo é parte della divinità. Dunque,quando si diventa iconoclasti, anche la raffigurazione di un albero, diventa blasfema. Ma la rappresentazione aveva già inesorabilmente preso anche un' altra strada, quella della scrittura. Bibbia, Corano, ecc. sono rappresentazioni, immagini che l'iconoclastia non riesce a distruggere. Non solo: l'arte che il suo furore suscita, quella astratta, diciamo degli arabeschi, contiene un'infinità di allusioni, simbologie, evocazioni che oggi sfuggono perchè se ne sta perdendo il codice. Come se lo spirito umano avesse trovato il modo di condensare le proprie immagini in un linguaggio meno espressivo e più formale. Non so se queste riflessioni hanno un senso. Esse mi sono state suscitate dal fatto che quando parliamo di intere civiltà, ritengo complicato trovare dei criteri per definire il rapporto tra queste e l'insieme degli psichismi individuali che le compongono. Non che non si possa fare ma é difficile, almeno per me.

Un saluto. Manuela Tartari

 

La legge di Giobbe (dott. Bolmida)
Iakov Levi - 23 maggio 2002


Le stimolanti riflessioni della gent. Sig. Tartari contengono più di un livello e non sono sicuro di poter dare una risposta soddisfacente, soprattutto per quello che riguarda la causalità primaria del fenomeno, né per le interpretazioni che fanno da sovrapposizioni posteriori e, come tali, da razionalizzazioni.
Per iconoclastia intendiamo avversità alla rappresentazione antropomorfica della divinità, che nelle due religioni iconoclaste, giudaismo e islam, è stata codificata in proibizione di qualsiasi rappresentazione antropomorfica in generale.
Una delle spiegazioni dell’invenzione dell’alfabeto, che risale proprio al famigerato XIV sec. che ha esperimentato il trauma della rivoluzione iconoclastica di Ekhnaton, proprio nel Sinai e da parte di tribù semitiche ebraiche o midianite (alfabeto proto-sinaitico), è che fosse un mezzo per evitare le rappresentazioni antropomorfiche inerenti ai geroglifici egizi.
Per quanto questa tesi sia affascinante e piuttosto in voga, non mi sento assolutamente di sottoscriverla. Scrittura che non si servisse di rappresentazioni figurate esisteva già come segni cuneiformi. La scrittura alfabetica è più semplice: una ventina di segni per descrivere il tutto, invece di numerose composizioni ideografiche o sillabiche estremamente complicate.
Le civilizzazioni che fiorirono in Mesopotamia erano iconodule, eppure si servivano di scrittura cuneiforme che era priva di rappresentazioni figurate.
Anche la supposizione che l’iconoclastia del Tardo Impero egizio sia stata così assoluta, da impedire segni con rappresentazioni figurate, mi sembra troppo ardita. Ekhnaton stesso si faceva ritrarre con la sua famiglia, e così le sue immagini sono arrivate a noi in statue e bassorilievi.
Il problema con queste cose è che più sappiamo, meno capiamo.
Cercherò di focalizzarci su quello che crediamo di sapere:
Non sono uno studioso di preistoria, perciò posso fare solo un’esposizione generale e schematica.
Pare che il bisogno di farsi una rappresentazione esterna di un contenuto interno, sotto forma di oggetto o pittografia, sia sempre esistito. I primi oggetti ai quali non si può attribuire uno scopo funzionale, bensì solo estetico, sono ciottoli su cui è stata impressa una sfregiatura, probabilmente con un’altra pietra, in modo che il risultato è la rappresentazione del genitale femminile. Questo corrisponde a quello che ci ha detto Freud che la prima divinità sia stata femminile.
Ho davanti un volume di arte egea e tessalica e tutte le statuine dei periodi preistorici, fino al 2000 A.C., sono femminili e con gli organi sessuali evidenziati.
Anche nel Medio Oriente queste statuine di dee della fertilità o prostitute sacre pare abbiano preceduto rappresentazioni di divinità maschili. In Palestina emergono negli scavi fino agli strati del primo millennio A.C., compreso dagli strati israeliti. La prima volta nella storia in cui sia stata codificata la proibizione di rappresentazioni antropomorfiche, e questa sia diventata parte integrale di una religione, è nella Giudea del VI sec. A.C. Fino a che punto possa essere considerato un riallacciarsi all’iconoclastia ekhnatoniana è aperto alla discussione. Ekhnaton non aveva proibito le rappresentazioni antropomorfiche in generale, ma solo quelle della divinità, e soprattutto di ALTRE divinità.
Quando Maometto organizzò i culti della penisola arabica in religione articolata, gli sembrò naturale anche codificare l’iconoclastia. Come scrive Robertson Smith, che riporta la descrizione di un pasto totemico “live” da parte di San Nilo nel V secolo D.C., la religione degli arabi prima dell’Islam era un insieme di sporadici riti totemici e culti di luoghi sacri, soprattutto fonti e oasi, che sono appunto simboli materni. La divinità principale era Athar, identificata con Venus, la stella del mattino. Ovvero una dea della fertilità.
Dal momento che prima della codificazione dell’iconoclastia, sia in Giudea che nella penisola arabica, i culti principali erano culti della fertilità e prostituzione sacra (Giudea) e culti di divinità femminili (penisola arabica), secondo me lo scopo della classe sacerdotale giudaica e di Maometto era quello di inibire la libido voyeuristica eterosessuale. Era il culto della madre che volevano proibire. A mio parere, quello di collegare l’iconoclastia alla proibizione di guardare il dio è una razionalizzazione posteriore il cui scopo è di “prenderci per il naso”.
E qui ci ricolleghiamo all’olfatto come regressione dalla pulsione voyeuristica, e anche a Pinocchio. Nei prossimi giorni cercherò di rispondere come posso alle altre parti.
Iakov Levi

 

La legge di Giobbe (dott. Bolmida)
Iakov Levi - 25 maggio 2002


Nel messaggio precedente ho sostenuto che la causale primaria dell’iconoclastia sia l’inibizione a guardare il corpo materno, particolarmente il genitale, e che la proibizione di guardare il dio, ovvero il padre, sia una sovrapposizione secondaria.
Questo non significa che le bambine non abbiano la stessa pulsione voyeuristica primaria verso il genitale paterno che hanno i maschietti verso quello materno, ma siccome quando parliamo di religioni e di società stiamo trattando di organizzazioni che si sono formate sotto lo stimolo di pulsioni e inibizioni maschili, quello che ci interessa sono queste ultime.
Il motivo non è che le singole femmine non abbiano le stesse capacità dei maschi, bensì che gli eventi che dall’orda fraterna portarono alla società furono vissuti, e da allora ripetuti, dai soli maschi. Le femmine erano oggetto passivo di concupiscenza, e questo vissuto preistorico continua a condizionare le loro capacità, non in quanto singole, ma in quanto gruppo.
Da quando Debora giudicava Israele seduta sotto una palma (Giudici 4,5), e probabilmente anche prima, gli antichi sapevano che le donne possono essere altrettanto valenti degli uomini, ma non le avrebbero seguite in guerra (4,9), poichè la genesi della coesione di gruppo che permetta l’acting out è nell’orda fraterna.
Da allora, quando parliamo di pulsioni in un contesto religioso o sociale intendiamo necessariamente quelle maschili.
Se ritorniamo al versetto: “Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale” (Gn., 19,26), questo versetto, come tutto il resto, fu scritto da un uomo, e la pulsione voyeuristica di cui sta trattando è quella maschile di osservare il genitale materno.
Per capire chi guardò che cosa basta analizzare il significato di “una statua di sale”.
Le statue sono di pietra e non di sale, come i capelli di una bambina non possono essere turchini, e se la fiaba ci dice che erano turchini vuol dire che non erano capelli ma qual’cos’altro, e come i capelli della Medusa, se erano serpenti, vuol dire che non erano proprio capelli.
Quando sognamo del sale stiamo sognando sperma. Infatti gli Arabi, ancora oggi, per dire «fratelli di sangue» usano l’espressione «fratelli di sale», come riporta Robertson Smith (The Religion of the Semites, New York 1972, pp.269 - 270). Nell’antichità, in molte culture il sale era usato come mezzo di pagamento, come denaro, e questo ci riporta al sogno della paziente di Abraham che aveva sognato che il padre avesse perso il patrimonio.
Una statua di sale è dunque una statua di sperma. Statua, come gli eroi greci che diventavano di pietra guardando i capelli- serpenti- pelo pubico della Medusa. Ovvero statua sta per erezione – irrigidimento, e sale sta per sperma.
Adesso possiamo leggere il versetto capovolgendo l’inversione messa in atto dalla censura onirica: “Lot guardò (indietro) la moglie e divenne una statua di sale”,. Ovvero, Lot guardò la donna, ebbe un erezione e una polluzione, e fu punito.
Ho cercato di provare che ogni iconoclastia, nei miti e nelle religioni, tratta di un’inibizione a guardare il genitale materno. In senso più lato, l’intenzione è di sopprimere il culto della madre per canalizzare le energie nella religione del padre. Questa è anche la ragione per cui iconoclastia e monoteismo siano correlati. Quello di rimuovere la madre, negare la nascita da questa, e avvicinare i figli ai padri e farli rinascere da loro era proprio lo scopo dei riti iniziatici puberali, e per questo ho sostenuto che le religioni monoteistiche abbiano la loro genesi in questi riti.
Perchè la proibizione di guardare fu spostata dalla madre al padre?
La libido eterosessuale, repressa e inibita, diventa libido omosessuale. Trattandosi di una regressione, si aggiunge anche una componente aggressiva che mette in pericolo il nuovo-vecchio oggetto (il padre).
Infatti, dopo aver precluso l’oggetto eterosessuale ci dicono:
“Se tu mi farai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché alzando la tua lama su di essa tu la renderesti profana. Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità” (Es., 20, 25-6).
Quindi, la pulsione aggressiva verso il dio non è più, a questo punto, aggressività edipica, ma aggressività omosessuale.
Quando durante i riti puberali gli adulti si nascondevano dietro maschere terrificanti, lo scopo era duplice:
1) Spaventare i giovani e difendere i padri dall’aggressività edipica di quelli
3) Spaventare i giovani e difendere i padri dall’aggressività libidica omosessuale dei figli, che si era rinforzata come conseguenza di una regressione dall’oggetto eterosessuale.
La conclusione è che le proibizioni sono come le ciliege, una tira l’altra. Si proibisce la verità – erezione verso il genitale materno e si finisce con 613 precetti. 613 bugie contro un’unica erezione - verità.
Questa, a mio parere, è la ragione per cui le due religioni iconoclaste – monoteiste, giudaismo e islam, siano anche le più repressive.
Secondo Freud, questa repressione pulsionale sarebbe la causale della spiritualizzazione e dell’intellettualizzazione del giudaismo. Non mi pare che sia così.
L’islam mise in atto la stessa tattica repressiva, e il risultato è che dopo poco più di un secolo dall’euforia iniziale, conseguenza di una nuova coesione, il mondo arabo è caduto in una condizione da borderline disorder che non solo è andata peggiorando con il tempo, ma in questi ultimi anni è esplosa in psicosi e paranoia.
Lo stesso per quello che riguarda l’affermazione di Freud che la circoncisione, rappresentando l’inibizione pulsionale che gli ebrei presero su di sé in nome della disciplina di dio –Padre, abbia contribuito alla loro elevazione intellettuale. Dagli studi di Lloyd deMause ( a cui sottoscrivo anche se con qualche riserva) sulle mutilazioni genitali praticate in moltissime parti del mondo, risulta che le conseguenze sono deleterie per lo sviluppo intellettuale di quelle culture che le praticano.
Anche se la circoncisione praticata dagli ebrei è una mutilazione più simbolica che reale, per sé non può essere un fattore positivo. E’ pur sempre un atto abusivo perpetrato su un bambino, che non ha nessun motivo reale di essere. Non sono d’accordo con il fanatismo isterico che sta dilagando in America contro la circoncisione come la fonte di tutti i mali (da cui emana un forte odore di antisemitismo mascherato da progressismo), ma non mi sembra neanche il caso di farne la fonte di tutti i beni.
Mi pare che il motivo per l’alto grado di sofisticazione raggiunto dall’ebraismo durante i secoli, sia da ricercare proprio nel fatto che, malgrado iconoclastia, monoteismo e obbedienza cieca, i giudei siano riusciti “a farla in barba” al proprio Padre tirannico. Il concentrarsi nello studio e nella speculazione intellettuale deve essere capito come un atto di sfida contro il Padre e non come un atto di sottomissione. I rotoli della Torà sono sempre stati un oggetto affettivo ben più potente di un “dio che non si vede”. La libido eterosessuale invece di risultarne impoverita ne è risultata potenziata. Abbiamo visto come verità – sapienza – erezione e libido genitale siano equivalenze. Lo stesso per quello che riguarda l’altro simbolo della libido genitale eterosessuale: la Terra Promessa. Per due millenni gli ebrei pii si facevano sotterrare insieme a un sacchetto di terra sacra.
Sembra che il motivo della capacità di sublimazione ebraica sia proprio l’incontrario di quello addotto da Freud in “Mosè e il monoteismo”, non la sottomissione ma, dato che stiamo parlando di pulsione voyeuristica, proprio il desiderio indomito di continuare a sbirciare da sotto le coperte della repressione monoteistica e iconoclasta.
Gli arabi, invece, interiorizzarono la repressione imposta da un Padre allucinato, ovvero “la presero sul serio” e rinunciarono all’oggetto eterosessuale.
Qui entrò in gioco la loro esperienza filogenetica di orfani, poichè questa è l’idea che hanno di sé stessi, cacciati dal padre nel deserto e tenuti lontano dal seminato (la madre). Anche quando dopo millenni riuscirono a invadere il seminato, non
riuscirono mai a tradurre questa conquista fisica in psichica e continuarono a sentirsi nomadi (=orfani) e diseredati. Nessuno si chiede come mai non esista nessun paese arabo che sia riuscito a diventare democratico.
Mi ha molto colpito qualche mese fa l’intervista di uno dei leaders dei Talibani che, cercando di giustificare gli attacchi terroristici suicidi, ha detto per televisione: “Anche il Profeta era orfano”. Non si stava affatto parlando di orfani, perciò ho trovato molto interessante quel “Anche”.
Un’esposizione come questa può solo essere limitata e schematica, e concluderò così: l’Occidente riuscì a sviluppare la sua grande civiltà, la democrazia e la sua arte sublime proprio perché seguì il proprio sapere filogenetico iconodulo e politeista, la vista a scapito dell’olfatto, che è anche lo sviluppo lineare e naturale che dall’orda primitiva conduce alla civilizzazione, e chi può saperlo meglio di un italiano.
Iakov Levi

 

Ebraicità
Pier Luigi Bolmida - 2 giugno 2002

Sto rileggendo con molto interesse la serie di interventi del Dott. Levi: gli stimoli e le informazioni da elaborare sono tantissimi e si stanno progressivamente organizzando in un prossimo scritto, che probabilmente avrà come titolo "Angst" , dove cercherò di mettere in evidenza la relazione tra pulsione di morte e masochismo primario, in funzione della coazione a ripetere. Per il momento, desidero rispondere a questa serie di "input" in modo diretto, tramite alcune considerazioni. La prima riguarda lo statuto originario della Società Internazionale di Micropsicoanalisi che prevede, nel quadro della formazione del micropsicoanalista, "vaste e approfondite conoscenze della Storia delle Religioni". Personalmentte devo ammettere di non aver tenuto abbastanza in conto questa raccomandazione e di averla tranquillamente trascurata, concentrando tutto il mio interesse verso la clinica e la psicopatologia. Ë chiaro che dopo aver sperimentato concretamente tramite la lettura degli interventi del Dott. Levi la fondamentale importanza di queste conoscenze, non posso che auto-denunciarmi come un "Pinocchio" , aprire la mia mente all'universo infinito di tali informazioni e consigliare i colleghi di fare altrettanto.
La seconda riflessione riguarda direttamente questo sito web e riposa su un'affermazione freudiana che cito grosso modo a memoria, con qualche inesattezza formale ma precisa nel contenuto: "Quel che fu dei nostri antenati deve essere riconquistato dalle generazioni successive per essere definitivamente acquisito". Penso che il dibattito apertosi su queste pagine vada esattamente in tale direzione e i frequentatori di "Scienza&Psicoanalisi" abbiano effettivamente la possibilità di ripercorrere le tappe evolutive del pensiero freudiano e dei suoi più stretti collaboratori.
L'ultima considerazione verte su una profonda convinzione che fu dapprima esplicitata da Cesare Musatti "presunto padre" della Psicoanalisi in Italia, in: 'Mia sorella gemella la psicoanalisi" e in seguito ripresa da altri autori, tra cui, se non vado errato, anche dal Prof. Peluffo. La convinzione riguarda una necessaria "ebraicità' di base, agente in coloro i quali si occupino seriamente di Psicoanalisi. Pur essendo un "gentile", grande estimatore di carni suine e indefesso lavoratore del sabato e domenica, condivido totalmente tale affermazione, anche se in realtà non saprei definirla nella sua ultima essenza: a mio avviso non basta riconoscersi in Mosé e nell'esigenza di un monoteismo epistemologico. Sicuramente esistono altri fattori, che per il momento mi restano ignoti e misteriosi. Un cordiale saluto al Dott. Levi e a tutti i Lettori.

 

Re: Occidente e arte
Iakov Levi - 4 giugno 2002

Credo che per capire l’intima relazione tra ebraismo e psicoanalisi bisogni capire prima quella tra Occidente e arte. Per Occidente intendo il cattolicesimo, poiché i barbari d’oltr’alpe non sono mai riusciti ad assorbire i contenuti di luce del mondo apollineo, e cercano volta dopo volta di invadere l’Italia per appropiarsi di quello che non possono in ogni caso possedere. Chi nasce e cresce a Firenze, o in un’altra città italiana, e per tutta la sua infanzia incontra Giotto e i giotteschi, Nicola e Giovanni Pisano, il Ghiberti, Donatello, il Brunelleschi, il Masaccio, il Masolino, Michelangelo e Leonardo (solo per menzionare i primi che mi saltano alla mente), praticamente ogni volta che va a fare la spesa, volente o nolente diventa un apprezzatore d’arte, anche se quello che vede lo penetra senza passare per la coscienza.
Ovvero, si adopera ad allenare l’occhio, come qualcuno che si alleni in palestra per ore al giorno si abitua ad adoperare i muscoli. Il baricentro della sua interazione con il mondo esteriore si sposta dagli altri sensi all’occhio. Lo spostamento della libido dall’olfatto alla vista ricalca e rinforza attraverso l’ontogenesi quello che era il vissuto filogenetico dell’uomo preistorico, come ha evidenziato il Dott. Bolmida in “La legge di Giobbe”. L’occhio probabilmente è diventato il simbolo del genitale solo dopo che l’uomo ha imparato a sollevarsi da terra e ha imparato ad eccitarsi alla vista dei genitali, invece che attraverso il fiuto. Il naso è dunque il genitale primario, e l’occhio è quello secondario. I parametri quantitativi si sono capovolti nel processo di civilizzazione, con il graduale migrare della libido dal primo al secondo.
Durante gli anni “70 e “80 ho avuto occasione di servire per lunghi periodi nel deserto del Sinai con i cercatori di tracce beduini.
Vivendo con loro, ho avuto modo di osservare come si comportano sul terreno, come interagiscono con i loro dintorni e come si muovono. Prima di tutto, si sentono a loro agio molto di più di notte che di giorno. Di notte, quando non vedono, CAPISCONO meglio. Invece di guardare il terreno lo percepiscono attraverso il fiuto. E quando si avvicinavano al nemico, lo annusavano molto prima di vederlo.
Se perdevano una traccia era sempre di giorno e mai di notte.
Ovvero, in Occidente, l’erezione- verità che veniva stimolata dall’olfatto si è spostata alla stimolazione della vista.
Secondo me questa è anche la ragione per cui non esiste quasi sull’internet un solo sito che non sia accompagnato da immagini, illustrazioni, o fotografie. Come se per leggere un testo uno abbia bisogno di stimolare anche la vista. Probabilmente, i ciechi che leggono usando il Brail capisono meglio. Non è un caso che Apollo, il dio che condensa l’iniziatore e il novizio, sia anche il dio della visione, del sogno in quanto sintesi dell’Io, e dell’arte.
Febo, il dio che purifica, è il dio della divinazione, del sole e della luce.
Quando l’Occidente ha tentato di arruolare l’occhio (il bello) al pensiero, invece che all’espressione artistica che è la verità di questo organo, ne è venuto fuori il disastro della filosofia: una catena di razionalizzazioni il cui scopo è quello di nascondere la verità. E Platone ne sapeva qualcosa quando nella sua Repubblica voleva proibire l’arte. Aveva paura della libido genitale –verità, che in Occidente trova la sua espressione e sublimazione attraverso questo strumento. Platone si stava preparando a legittimare la censura e la repressione, e quindi aveva tanta paura dell’arte. Come lui, qualsiasi regime totalitario è terrorizzato dagli artisti e l’unica maniera che ha per esorcizzarli è quello di arruolarli alla “causa”. Se ci riescono non c’è più arte. Se non ci riescono non ci sono più artisti.
L’arte è l’Es che permea l’Io, e si risolve in rappresentazione esterna, che è appunto lo strumento di quest’ultimo: la pulsione genitale sublimata in rappresentazione dell’Io.
Ma la vista, se come pulsione genitale rappresenta la verità, come sintesi dell’Io che media il mondo esterno, rappresenta la censura onirica, ovvero la menzogna.
Omero è l’artista apollineo par excellence poichè malgrado fosse cieco, non cercò l’ispirazione nell’olfatto, e le pulsioni dell’Es gli si traducevano in visioni: “Cantami o diva...”. La Musa gli mandava le visioni. Omero era cieco e perciò vedeva di più, vedeva MEGLIO. Essendo cieco poteva aggirare le menzogne che la vista gli avrebbe trasmesso come medium di mediazione del mondo esterno, e poteva concentrarsi sulla visione – verità - erezione che gli trasmetteva il suo mondo interno.
Cos’è la sindrome di Stendhal? E’ quando la pulsione genitale dell’occhio riesce ad aggirare la censura imposta dall’occhio stesso come strumento di mediazione dell’Io, e comincia ad emergere come orgasmo. L’Io che ha fallito nella sua funzione di censore, ed è stato sopraffatto dalle forze dell’Es, si difende sentendosi male o svenendo.
Non è un caso che solitamente sono poprio gli stranieri a sentirsi male a Firenze. La ragione è che i fiorentini o altri italiani abituati ad essere circondati da una tale quantità di arte- verità genitale, sono anche abituati a difendersi meglio mettendo in atto un’operazione d’isolamento.
E qui ci ricolleghiamo alle considerazioni del Dott. Bolmida.
Non è necessario ricollegarsi a Mosè o essere iconoclasta per riuscire come psicoanalista. E’ però necessario lasciarsi penetrare dall’Es e imparare ad aggirare la censura dell’Io.
Gli ebrei hanno un’esperienza millenaria nell’aggirare la censura dell’Io inibendo la vista e “mettendo il naso” nei testi. La verità genitale è regredita alla sua fase più arcaica e si serve dell’olfatto come strumento. Un italiano non ha bisogno di essere stato in yeshivà. Bisogna però che sia collegato ai propri strumenti di verità filogenetici, come mezzo di liberazione dalla tirannia dell’Io – menzogna, e questi non gli mancano di sicuro.
Il problema non è quindi ebreo o gentile, ma collegato o disconnected.
Il problema dei non- ebrei (sto facendo un’ovvia generalizzazione per focalizzare il punto) è che, dal crollo del mondo antico, si sono abituati al dogma, alla censura e alla credulonità.
Differisco da Nietzsche, che sostiene che il cristianesimo sia stata la causa del crollo del mondo antico e di ogni male sulla terra. Secondo me il cristianesimo ha tentato di salvare il salvabile in aspettativa di tempi migliori, ma il prezzo che è stato pagato nel frattempo è enorme. E stato quello che, a proposito dei sogni, chiamiamo “isolamento” dai contenuti affettivi della rappresentazione.
Nietzsche ha chiamato l’autentico, “senso tragico”, e non credo che siano in molti ad aver capito cosa intendesse.
E’ da ieri, da quando ho letto l’intervento del Dott. Bolmida, che mi viene in mente continuamente la Cappella Brancacci, uno de posti dove è venuta anche a me la sindrome di Stendhal, particolarmente quando l’ho vista ripulita da quelle foglie di fico ridicole che i censori della Controriforma avevano messo sui genitali di Adamo ed Eva. Nella parte centrale si vede l’episodio di Pietro che prende la moneta dalla bocca del pesce per consegnarla al gabelliere. Sulla parte sinistra della stessa sezione si vede Pietro tra gli infermi, con un’espressione di tragica colpa.
Secondo me, il Masaccio è la reincarnazione di Eschilo e della tragedia attica.
Tutta la verità emerge dalla rappresentazione, e come tale ovviamente strumento genitale iconodulo.
Pietro tra gli infermi è la parte più facile: storpi, ciechi e zoppi come la volpe e il gatto di Pinocchio. Il novizio – Pinocchio – Figliol Prodigo- è tra le prostitute dell’orda, Tentato, tira avanti, ma la sua espressione ci dice tutto della tentazione e della colpa.
La scena della moneta che Pietro prende dalla bocca del pesce per consegnarla al gabelliere ci ricorda gli zecchini – impropriamento indebito di Pinocchio dello sperma paterno. E Pietro paga la sua colpa (strana espressione: “pagare le colpe”) consegnando la moneta al gabelliere, Hermes e messaggero della Legge, il genitale paterno. Infatti: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (lo stesso concetto ripetuto due volte).
Il pesce è un simbolo del genitale, e come tale dovrebbe essere paterno. Ma come Apollo che era il dio inizatore, e quindi rappresentazione paterna diventa il novizio, e quindi dio-figlio, così il pesce, che nella Grecia classica era diventato il simbolo di Apollo (il Delfino), nel cristianesimo diventa il simbolo del Figlio.
Quindi si crea nella scena una bellissima condensazione: Pietro prende lo zecchino dalla bocca del pesce (Apollo l’iniziatore e novizio) e lo consegna al gabelliere – Legge del Padre. Paga la sua colpa al padre, per poter diventare il patrono e il rappresentante di tutti i novizi. Coloro che potranno entrare nell’aldilà.
Non doveva forse chi voleva arrivare all’Ade pagare una moneta a Caronte, affinché gli sia permesso varcare la soglia della morte - resurrezione?
Passare il fiume non è forse simbolo di rinascita?
Iakov Levi

 

 


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