OCCIDENTE
E ORIENTE SEMITICO NELLO SPECCHIO DI
DIONISO E DI APOLLO
Gennaio 2002
Il riassunto dei capitoli I, III e VIII
è stato pubblicato , con il nome di Es e Io nello specchio di Apollo e di Dioniso,
in: TEORIE E MODELLI. Rivista di storia e metodologia della psicologia, a cura di Giuseppe
Mucciarelli, V.3.2000, Pitagora Editrice, Bologna 2001.
Lintuizione di Nietzsche
Nietzsche ci ha mostrato come la società greca, la sua arte e la sua cultura siano state il risultato della tensione tra due poli opposti: il dionisiaco e lapollineo:
Alle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra conoscenza del fatto che nel mondo greco sussiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra larte dello scultore, lapollinea, e larte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono uno accanto allaltro, per lo più in aperto dissidio tra di loro e con uneccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quellantitesi, che il comune termine arte solo apparentemente supera[...]per accostarci di più a quei due impulsi, immaginiamoli innanzitutto come i mondi artistici separati del sogno e dellebbrezza; fra questi fenomeni fisiologici si può notare un contrasto corrispondente a quello fra lapollineo e il dionisiaco[...]la bella parvenza dei mondi del sogno, nella cui produzione ogni uomo è artista pieno, è il presupposto di ogni arte figurativa, anzi, come vedremo, altresì di una metà essenziale della poesia. Nella comprensione immediata della figura noi godiamo, tutte le forme ci parlano, non cè niente di indifferente e di non necessario. Tuttavia, nonostante la vita suprema di questa realtà sognata, traluce ancora in noi il sentimento della sua illusione (La Nascita della Tragedia, par.1).In questa prima istantanea dellepifania dei due dei Nietzsche considera
lapollineo e il suo opposto, il dionisiaco, come forze artistiche che erompono dalla natura stessa, senza mediazione dellartista umano, e in cui gli impulsi artistici della natura trovano anzitutto e in via diretta soddisfazione: da una parte come immagini del sogno, la cui perfezione è senzalcuna connessione con laltezza intellettuale o la cultura artistica del singolo; daltra parte come realtà piena di ebbrezza, che a sua volta non tiene conto dellindividuo, e cerca anzi di annientare lindividuo e di liberarlo con un sentimento mistico di unità (ibidem).Sogno e illusione apparterebbero al dio delfico, lebbrezza al dio caprino e in entrambi i casi come forze che erompono dalla natura stessa senza la mediazione dellartista umano. Nelle pagine seguenti noi cercheremo di focalizzare meglio queste distinzioni, prodotte dallintuito folgorante di Nietzsche, poiché ci sembra che alcuni aspetti siano rimasti confusi, e in alcuni punti persino depistanti
Perché vi sia arte, perché vi sia un qualche contemplare o agire estetico, a tal fine è indispensabile un presupposto fisiologico: lebbrezza. Lebbrezza deve anzitutto aver potenziato leccitabilità dellintera macchina: prima di ciò non si giunge a nessuna arte (Il Crepuscolo degli Idoli, par. 8.).E ancora:
Che cosa significa lantitesi da me introdotta nellestetica, tra i concetti di apollineo e dionisiaco, entrambi intesi come specie di ebbrezza?- Lebbrezza apollinea riesce soprattutto a eccitare locchio, così che esso acquista la forza della visione. Il pittore, lo scultore, il poeta epico sono visionari par excellence. Nello stato dionisiaco per contro lintero sistema degli affetti è eccitato e potenziato, in modo che questo scarica in una volta tutti suoi mezzi espressivi (ibidem, par.10).Lebbrezza, dunque, questa volta attribuita anche ad Apollo, è il presupposto fisiologico affinché possa prodursi larte, sia questa dionisiaca o apollina: lo strumento è lebbrezza e larte è il risultato. Anticipiamo già che noi invertiremo questi rapporti: lebbrezza sarà il risultato della visione e dellarte, e non il medium attraverso il quale queste si esprimono. Ovvero, nella soluzione apollinea i contenuti interni si scaricano nella visione, il sogno o lopera darte che è il suo equivalente, attraverso il medium della rappresentazione, la quale si forma a sua volta elaborando le immagini che le erano state trasmesse dallesterno, e il risultato sarà lebbrezza. Quando invece Nietzsche parla di ebbrezza associandola al dionisiaco, la confonde con leccitamento che stordisce, il cui culmine è la perdita di conoscenza dellorgasmo. In entrambi i casi non si può parlare di forze artistiche che erompono dalla natura stessa, senza mediazione dellartista umano, poiché lunica natura che può creare unarte è proprio quella umana, a meno che con natura non sintenda appunto quello strato primario della psiche prima che venga mediato dalle influenze esterne.
La musica, come la intendiamo oggi, è egualmente uneccitazione e una liberazione totale degli affetti, ma è tuttavia soltanto lavanzo di un mondo espressivo degli affetti molto più completo, un mero residuum dellistrionismo dionisiaco. Per rendere possibile la musica come arte particolare, si è messa a tacere una quantità di sensi, soprattutto la sensibilità muscolare (almeno relativamente, giacchè in un certo grado ogni ritmo parla ancora ai nostri muscoli): così che luomo più non imita né descrive subito corporalmente tutto ciò che sente. Ciononostante è questo il normale stato propriamente dionisiaco, in ogni caso lo stato originario; la musica è la sua differenziazione lentamente raggiunta, a spese delle facoltà, strettamente affini (ibidem).Nietzsche stesso implica che affinché la musica possa essere considerata arte particolare deve rinunciare alla piena espressione che avrebbe raggiunto se, accompagnata dalla sensibilità muscolare, le fosse stato permesso di arrivare alla scarica orgiastica. Quindi aveva anche intuito che la vera musica, quella originale, non è arte, e diventa tale solo in una soluzione di compromesso con lapollineo, dopo aver parzialmente inibito alcuni strumenti della scarica come, per esempio, quella muscolare della danza.
Dioniso e Es
Freud nellanalizzare la psiche umana isolerà unistanza che ci ricorda in tutto le caratteristiche del dio: non la chiamerà Dioniso bensì Es. Questo è quello che ci dice di questa provincia psichica:
AllEs ci avvicinimo con paragoni: la chiamiamo un caos. Un crogiolo di eccitamenti ribollenti. Ce lo rappresentiamo come aperto alle estremità verso il somatico, da cui accoglie i bisogni pulsionali, i quali trovano dunque nellEs la loro espressione psichica, non sappiamo però in quale substrato. Attingendo alle pulsioni, lEs si riempe di energia, ma non possiede unorganizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per i bisogni pulsionali nellosservanza del principio di piacere. Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dellEs, soprattutto non vale il principio di contraddizione. Impulsi contrari sussistono uno accanto allaltro, senza annullarsi o diminuirsi a vicenda; tuttal più, sotto la dominante costrizione economica di scaricare energia, convergono in formazioni di compromesso, non conosce né giudizi di valore, né il bene e il male, né la moralità. Il fattore economico o, se volete, quantitativo, strettamente connesso al principio di piacere, domina ivi tutti i processi. Investimenti pulsionali che esigono la scarica: a parer nostro nellEs non cè altro (Introduzione alla Psicoanalisi, in Opere, B.Boringhieri, Torino, Vol. 11, pp. 185-6).Questa descrizione è esattamente quello che corrisponde alla follia platonica e nitzschiana. Se ritorniamo alle parole di Nietzsche: Nello stato dionisiaco per contro lintero sistema degli affetti è eccitato e potenziato, in modo che questo scarica in una volta tutti i suoi mezzi espressivi, pare proprio che entrambi stiano parlando della stessa cosa. Il non esprime una volontà unitaria di Freud era stato per contro: un sentimento mistico di unità per il primo, ma la volontà unitaria di Freud, dal resto del contesto, va intesa come unitaria nel senso della psiche nel suo complesso, ovvero lEs non tende alla coerenza con le altre istanze psichiche descritte, lIo e il Super- Io . Per quello che riguarda la meta delle pulsioni provenienti da questa provincia psichica, quella della scarica, lEs freudiano ci pare molto coerente nel suo scopo. Se riesce a prescindere dalla funzione inibitoria delle altre istanze psichiche con cui deve condividere il dominio della personalità, una volta ottenuta la scarica il senso mistico di unità nietzschiano è esattamente quello che viene raggiunto: questo infatti è il momento dellorgasmo, apice del fine dellEs.
Eros e pulsione di morte lottano in esso Potremmo rappresentarci la situazione come se lEs stesse sotto il dominio delle mute ma possenti pulsioni di morte, le quali cercano la pace e si sforzano di ridurre al silenzio, secondo lindicazione del principio di piacere, lEros turbolento ("LIo e LEs, in op. cit. Vol. 9, p. 520).Questa è la prima volta in cui Freud allude alla morte non solo come risultato della pulsione omonima, bensì anche come risultato di una richiesta dellEros stesso, due anni dopo che la pulsione era stata isolata come istanza antitetica a quella dellEros . Sette anni dopo, nel 1929, tornerà sulla natura di questo strano impasto pulsionale:
Il nome libido può ancora essere usato per le manifestazioni della forza dellEros, allo scopo di distinguerle dallenergia della pulsione di morte. Dobbiamo confessare che ci è molto più difficile cogliere questultima, in un certo senso la indoviniamo soltanto nello sfondo, dietro allEros, e addirittura ci sfugge se non si svela frammichiandosi ad esso (Il disagio della civiltà, in op. cit., vol. 10, p.608.)Subito dopo spiega come nel sadismo la pulsione di morte, altrimenti denominata anche pulsione di distruzione , cavalchi lEros, sinonimo di libido, per ottenere i suoi scopi. Con termini simili estenderà lo stesso concetto in Analisi terminabile e interminabile e in Compendio di Psicanalisi , dove intercala anche una frase interessante che forse ci servirà in seguito: Trattenere laggressività e comunque malsano, porta alla malattia. Nelle stesse pagine leggiamo: Il diritto che ci arroghiamo di riferire alla libido le tendenze aggressive è fondato sullidea che il sadismo sia un impasto pulsionale di tendenze meramente libidiche con altre tendenze meramente distruttive, impasto che da quel momento in avanti non cesserà mai più di esistere . E ancora:
Il nocciolo del nostro essere è dunque formato dallEs oscuro, il quale non tratta direttamente con il mondo esterno e anche alla nostra conoscenza diventa accessibile grazie alla mediazione di unaltra istanza (lIo). In questo Es sono allopera le pulsioni organiche, le quali sono composte a loro volta da miscele variamente proporzionate di due forze originarie (Eros e distruzione) le autopercezioni (i sentimenti in genere e le sensazioni di piacere e dispiacere) governano con dispotica violenza i decorsi dellEs (Ibidem, pp. 624-5).Dunque lEs contiene dentro di se lEros turbolento, con le sue tendenze aggressive, una pulsione di morte che si impasta con esso, e lEs è governato dalla loro dispotica violenza. Teniamo a mente tutti questi concetti: senso mistico di unità sistema degli affetti eccitato e potenziato scarica di Nietzsche e quelli freudiani: caos...crogiolo di eccitamenti ribollenti costrizione economica di scaricare energia possenti pulsione di morte Eros turbolento. Vediamo adesso cosa Freud stesso aveva detto molti anni prima del pasto totemico:
Immaginiamoci ora la scena di un pasto totemico Ecco il clan, che in una circostanza solenne uccide con efferatezza e divora crudo il suo animale totemico, carne, sangue e ossa; ci sono tutti i membri del clan che, travestiti a somiglianza del totem, ne imitano la voce e i movimenti come se volessero accentuare la loro identità con lui Dopo il fatto, lanimale ucciso viene pianto e compianto(Totem e Tabu, IV,5).Ovvero latto orgiastico di cannibalismo viene accompagnato da alte grida e pianti e movimenti di pantomima che saranno anche i primi passi di danza.
Le sofferenze di Dioniso
I miti orfici, che rappresentano la versione più arcaica dei miti greci, così descrivono il pasto totemico di Dioniso:
I Titani arrivarono come morti dagli Inferi, dove Zeus li aveva relegati, colsero di sorpresa il bambino che giocava, lo lacerarono, lo tagliarono in sette pezzi e li gettarono in una caldaia che stava in un tripode. Quando la carne fu cotta, essi incominciarono ad arrostirla su sette piedi. Secondo una delle versioni le membra cotte del dio furono sepolte e da esse nacque la vite. Anche i seguaci di Orfeo dicevano che lultimo dono di Dioniso sarebbe stato il vino e chiamavano lui stesso Eno, vino (Karoly Kerenyi, Gli Dei della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1962, p. 210).Più tardi risorse, con laiuto di Demetra che ne raccolse i pezzi. Questo mito ricorda in tutto i riti del pasto totemico tribale , in cui viene ripetuta la cerimonia di uccisione del totem e la sua incorporazione, attraverso il pasto cannibalistico.
Apollo e Io
Abbiamo visto come alla figura di Dioniso e ai suoi contenuti nellambito
della psicologia sociale corrispondesse unistanza psichica ben definita.
Vediamo ora quali sono i contenuti che ci riflette lo specchio dellimmagine
di Apollo.
Caratterizzando lIo, Freud dice:
Questo sistema è rivolto verso il mondo esterno, fa da intermediario alle percezioni che ne provengono, e in esso sorge, nel corso del funzionamento, il fenomeno della coscienza. È lorgano sensorio dellintero apparato, ricettivo del resto non solo agli eccitamenti provenienti dallesterno, ma anche a quelli che provengono dallinterno della vita psichica. La concezione secondo cui lIo è quella parte dellEs che è stata modificata dalla vicinanza e dallinflusso del mondo esterno, non ha quasi bisogno di essere giustificata: è questa la parte predisposta per la ricezione degli stimoli e per la protezione dagli stessi, paragonabile allo strato corticale di cui si circonda il grumo di materia vivente. Il rapporto con il mondo esterno è diventato decisivo per lIo, il quale si è assunto il compito di rappresentarlo presso lEs (Introduzione alla Psicanalisi, in op.cit.,Vol.11, pp.186-7).Se confrontiamo la descrizione data da Nietzsche (p.2) riconosciamo facilmente i contenuti della figura del dio delfico con quelli dellistanza psichica descritta da Freud. Il dio che è un organo sensorio, locchio che tutto vede, quello che succede allesterno e lo comunica allinterno, e che proietta i contenuti psichici interni sullo schermo delle percezioni esterne. NellIo la pulsione si trasforma in rappresentazione , la media e sublimandola può trasformarla in arte. Ed ecco lebbrezza, che Nietzsche aveva concesso anche ad Apollo e non più solo a Dioniso. Le stesse energie pulsionali che procuravano le visioni e allucinazioni che si comunicavano a intere comunità, a intere adunanze cultuali menzionate parlando del dio caprino, e invero lallucinazione appartiene alla sfera dellEs, mediate e censurate dallIo si tramutano in sogni e il sogno, a differenza dellallucinazione, appartiene ad Apollo. Anche nel contesto delle istanze psichiche vediamo dunque che i due dei erano stati allinizio uno solo:
Chiamiamo Es la più antica di queste province o istanze psichiche: suo contenuto è tutto cò che ereditato, presente fin dalla nascita, stabilito per costituzione, innanzi tutto dunque le pulsioni che traggono origine dallorganizzazione corporea e che trovano qui in forme che non conosciamo una prima espressione psichica. Sotto linflusso del mondo esterno reale che ci circonda una parte dellEs ha subito unevoluzione particolare. Da quello che era in origine lo strato corticale munito degli organi per la ricezione degli stimoli, nonchè dei dispositivi che fungono da scudo protettivo contro gli stimoli, si è sviluppata una particolare organizzazione che media da allora in poi fra Es e mondo esterno. Questa regione della nostra vita psichica labbiamo chiamata Io (Compendio di Psicanalisi, in op. cit., Vol. 11, pp. 572-3). .
e ancora:
Uno sguardo retrospettivo alla storia evolutiva della persona e del
suo apparato psichico ci permette di stabilire nellEs unimportante distinzione.
Originariamente tutto era Es, lIo si è sviluppato dallEs per influsso
persistente del mondo esterno . Erodoto ci aveva detto che Oro (Apollo)
era figlio di Osiride (Dioniso) (Hist., II/144), ovvero veniva dopo di
lui, e ora Freud ci conferma lo stesso con le sue parole: lIo nasce dallEs,
sotto linfluenza del mondo esterno (leducazione).
Il mondo esterno, che nelle pagine precedenti abbiamo chiamato leducazione
di Apollo, media e filtra le pulsioni e le trasforma in sublimazione,
in arte. Le energie filtrate e sublimate conservano, arrivando alla meta
della rappresentazione, una carica sufficente per produrre lebbrezza di
Apollo, quella di cui Nietzsche parla e concede anche al dio delfico. Questa
non è la stessa ebbrezza della scarica nella sua epifania dionisiaca,
quella bestiale che si traduce nel grido orgiastico dellorgasmo, bensì
quella della contemplazione, uno stato di godimento celestiale, paradisiaco,
che può essere molto intenso ma da un punto di vista topico si trova
allaltro polo.
Questa è la sindrome di Stendhal, quello strano fenomeno da
cui sono colpiti alcuni spettatori quando si trovano difronte a opere darte
dalleffetto travolgente. In questi casi lintensità dellebbrezza
si traduce nello star male e nel sentirsi mancare.
Il concetto di una sublimazione che canalizza le energie dionisiache
distillandole e depurandole fino al raggiungimento della loro meta, questa
volta verso lesterno invece che compressa verso linterno, era stato sintetizzato
da Nietzsche nella formula ebbrezza di Apollo. Freud, allintuizione folgorante,
contrapponeva un lungo lavoro empirico ma le sue conclusioni sono le stesse:
Come da tempo abbiamo appreso, larte offre soddisfacimenti sostitutivi per le più antiche rinunce imposte alla civiltà e contribuisce perciò come nullaltro a riconciliare luomo con i sacrifici da lui sostenuti in nome della civiltà stessa. Le creazioni dellarte promuovono daltronde i sentimenti didentificazione, di cui ogni ambito civile ha tanto bisogno, consentendo sensazioni universalmente condivise e apprezzate: esse giovano però anche al soddisfacimento narcisistico allorchè raffigurano le realizzazioni di una certa civiltà alludendo in modo efficace ai suoi ideali (LAvvenire di unIllusione, in op. cit., Vol. 10, pp.443-4).Rinuncia sacrificio - soddisfacimento sostitutivo riconciliazione - identificazione, sono esattamente gli stadi che dal rito di pubertà tribale e fino agli apici della civilizzazione e della religione portano il singolo a far parte della collettività, sia questa un clan selvaggio o lecumene cattolica che vuole abbracciare tutta lumanità.
Padri e figli
Se, come sostiene Freud, linizio di ogni religione, organizzazione
sociale e moralità è nel pasto totemico , di cui ci parla
anche il mito orfico dello sbranamento di Dioniso, questi era invero il
primo e unico dio delle arcaiche tribù greche e quindi comprendeva
nella propria figura tutto il bene e il male, il bello e il brutto esistente,
la sacralità, il sacer, che era sia sacro che maledetto. Lanimale
totemico della tribù greca principale era sicuramente il capro,
poiché come tale è rappresentato il dio, fino ancora nella
tragedia eschilea dove il coro era rappresentato da capri. Ma probabilmente
altri clan, che si fusero in quelli che saranno i greci, avevano altri
animali totemici. Infatti, come abbiamo visto sopra, le baccanti chiamavano
il dio Taurokeros e Tauroprosopos. Quindi un altro clan, forse anchesso
uno dei più forti, aveva il toro come animale totemico . Il mito
greco di Teseo che uccide il Minotauro è certamente la traccia mnestica
del totem del toro, che rappresenta il padre ucciso dalleroe. Questa traccia
continuò a persistere fino al culto di Mitra, nel primo
secolo della nostra era, dove il sacerdote uccideva infatti un toro. Inoltre
Dioniso era rappresentato spesso nella forma di altri animali selvatici.
La Corrida, in cui il vicario della congregazione uccide il toro, simbolo
del Padre, non è altro che la continuazione della tragedia greca
che era stata a sua volta la transfigurazione del rito totemico primordiale.
Il pubblico balza in piedi estasiato ogni volta che il torero, trasfigurazione
delleroe arcaico, commette qualche prodezza o atto di sfida verso la tirannia
paterna, e grida Oleh, ovvero Oh Allah. Lestasi nel vedere il Padre
sfidato e ucciso, è parallela a quella descritta da Freud in Totem
e tabù. La Corrida va fatta risalire infatti allinfluenza araba,
ma se non ci fosse stato uno strato psichico parallelo nella psiche occidentale,
il rito sarebbe caduto in disuso con la Reconquesta, invece di acquistare
sempre nuova vitalità.
La figura di Apollo fu dunque unepifania che si aggiunse alla figura
del dio in ununica sintesi solo in un secondo stadio, probabilmente quando
le tribù ancora amorfe agli albori della storia cominciarono ad
acquistare quelle peculiarità che ci permettono di definirle come
tribù greche e inizieranno, in seguito, ad accennare i primi esitanti
passi sulla lunga strada della civilizzazione.
Forse Apollo fu invero il primo dio greco, nel vero senso della parola,
ovvero da quando i greci avevano già preso quella forma culturale
che ci permette di definirli chiaramente come tali., ma non fu certamente
il primo dio dei progenitori di quelle che sarebbero state le tribù
achee e doriche: questo fu il totem, il capro Dioniso, di cui i miti orfici
conservavano ancora le tracce mnestiche. Nella psiche occidentale limmagine
di Apollo è sempre stata associata alla grecità stessa, e
questa a civilizzazione, ovvero al superamento di strutture sociali e mentali
arcaiche. E adesso ci pare di poter seguire con passo più sicuro
levoluzione che subì la psiche greca.
Il capro era il totem dei primogenitori delle antiche tribù
greche, in realtà il primo dio dellOccidente. Quando queste cominciarono
a uscire dagli stadi più primitivi della loro evoluzione furono
creati anche i primi miti. Le tracce mnestiche dellantico pasto totemico
e dei riti diniziazione puberali, in cui il novizio viene ucciso e rinasce
in ununica consustazione con il padre dellorda, rimasero nei miti orfici
che ci raccontano di un dio-bambino nato e risorto, che prese il nome di
Dioniso. Il mito, come ha chiarito per primo il grande studioso di mitologia
semitica del secolo scorso Robertson Smith, è solamente una storia
che viene a spiegare un rito che lo precedeva e di cui è stato rimosso
il significato. La mitologia, che in tutte le forme di culto dellantichità
prende il posto di quello che alla fine del processo sarà il dogma,
a differenza di questo non aveva una garanzia sacra, né la capacità
di impegnare i fedeli. I miti facevano semplicemente parte dellapparato
dei vari culti. Allindividuo veniva offerta la possibilità di scegliere
tra le differenti versioni dello stesso avvenimento ed a nessuno importava
quello che egli scegliesse. Non era obbligatorio credere a un determinato
mito. Ciò che si richiedeva era lesatta esecuzione degli atti sacri,
i riti. In breve il mito deriva dal rito e non lincontrario: le cerimonie
erano stabilite e i miti differenti . Frazer che ha studiato attentamente
i riti delle tribù selvagge odierne è arrivato alla stessa
conclusione: il rituale può essere allorigine mito, il padre di
esso, ma non può essere una sua creatura
mentre ci sono molti casi
in cui un mito è stato costituito per spiegare un rito, sarebbe
difficile trovarne uno in cui il mito abbia dato origine a un rito (The
Golden Bough, London 1919).
Anche in questo caso, quindi, il mito orfico di Dioniso sbranato dai
Titani e ricomposto da Demetra è la storia di un rito, il cui vero
significato era stato rimosso: quello del capro ucciso e divorato nel rito
del pasto totemico. Nei riti della pubertà delle tribù selvagge
tutti i contenuti del pasto totemico vengono ri-rappresentati nella saga
iniziatica di morte e resurrezione dei novizi. Ma nei riti della pubertà
i giovani non vengono solo uccisi simbolicamente e rinascono, come il giovane
Dioniso, bensì vengono anche minacciati ed educati dagli adulti
della tribù che, attraverso i riti terrificanti, li inducono a rimuovere
le loro pulsioni anti-sociali e ad identificarsi con la generazione dei
padri .
Quando la religione delle primitive tribù greche si evolse da
totemismo in politeismo, le tracce mnestiche degli adulti che terrorizzavano
i giovani nel bosco durante il rito, minacciandoli di morte mentre contemporaneamente
li istruivano sui segreti della tribù, si trasfusero nella figura
di un dio, questa volta Apollo. I segreti tribali, i tabù, insegnati
dagli adulti in questi riti, dopo secoli in cui erano stati nel frattempo
dimenticati, si trasfigurano negli enigmi proposti dal dio delfico. Nel
bosco i giovani venivano ammoniti a non rivelarli alle donne e ai bambini,
poiché non essendo stati iniziati non ne erano degni e venendone
a conoscenza sarebbero morti; nel tempio di Apollo il dio si rivela da
dietro la maschera dellenigma e la sua iniziazione si trasfigura in sapienza.
Il rito della pubertà che nella foresta cominciava quando gli adulti
minacciavano i giovani nascondendosi dietro a delle maschere terrificanti
si concludevano quando queste cadevano e i padri della tribù si
rivelavano agli iniziati accettandoli nella loro società. Questa
è anche la prima verità, il volto dei padri del clan, lidentificazione
con la generazione degli adulti e lapprendimento dei loro segreti. Questo
è anche il nucleo delle religioni ri-velate poiché rivelare
significa togliere il velo, la maschera. Vedendo il vero volto dei padri,
personificazione della morale (verità) della tribù, e identificandosi
con loro, venivano fatti partecipi e diventavano loro stessi padri-detentori
della verità, tramandatasi da padre in figlio.
Questa è liniziazione di Apollo e la sua verità: una
conoscenza insegnata di generazione in generazione. La sua antitesi è
la conoscenza dionisiaca, che riconosce solo gli insegnamenti, i messaggi,
della propria immanenza esistenziale pulsionale, quelli dellEs. Non cè
posto per gli adulti e i loro veli nelliniziazione dionisiaca: questa
rifiuta le tradizioni dei padri ed è fine a sè stessa. Le
tracce della natura originale di Apollo si trovano ancora nellIliade,
dove il dio, con il suo arco terribile fa strage nel campo degli Achei,
accampati intorno alle mura di Troia. Questo è ancora lunico Apollo
conosciuto dalla civiltà greca dei tempi di Omero, quello che colpisce
da lontano( Il., I/1) con il suo arco e le sue frecce. Colui che fa sentire
gli uomini consapevoli della propria colpa e li purifica; colui che presiede
alle leggi religiose e alla costituzione di città . Il suo secondo
nome, Febo, significa lucente, puro . Come la purificazione è
lo scopo del rito iniziatico puberale. La rinascita che purifica, come
questa avviene nel miqwe, il bagno rituale ebraico, e nel battesimo cristiano.
Sua quindi è la Legge dei tempi antichi, quella imposta da padre
in figlio, prima che nascano le prime istituzioni politiche.
Solo dal V secolo in poi i greci cominceranno ad identificare il dio
delfico con il sole .
Apollo non è solo il dio che minaccia ma anche il protettore
dei ragazzi, leducatore e, dallottavo secolo in poi, si evolve
a dio della sapienza : il suo oracolo porrà i quesiti e gli enigmi,
come i maestri di scuola interrogano gli allievi e come nelle tribù
selvagge gli adulti e lo stregone prima minacciano i giovani di morte e
poi li istruiscono sui segreti del clan. Laveva detto anche il più
saggio di tutti gli uomini, il re Salomone: Chi risparmia il bastone odia
suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo (Prov.13,24). Come
nei riti della pubertà i giovani si identificano con gli adulti
e ne imparano la sapienza così questi si identificano con i giovani
e diventano ununica entità . Un unico corpo in grazia del sangue
comune versato . Ed ecco che Apollo stesso è un dio giovane, protettore
dei fanciulli ma fanciullo lui stesso.
Salomone, il più saggio degli uomini, lo aveva detto anche lui:
Ascoltate, o figli, listruzione di un padre e fate attenzione per conoscere
la verità poiché io vi do una buona dottrina; non abbandonate
il mio insegnamento. Anchio sono stato un figlio per mio padre
(Prov.,
4,1-3). Un dio-figlio, parallelo di Apollo, che aveva ricevuto la Saggezza
dal Signore (I, Re, 10,23-4)
Non ci deve meravigliare, dunque, se Dioniso ed Apollo allinizio appaiono
in ununica consustanzialità: insieme riassumono e condensano tutti
gli stadi della realtà esistenziale umana: immersione nello sfogo
pulsionale il primo, come questo trova la sua espressione nel pasto totemico,
e inibizione e sublimazione il secondo, come viene insegnato ai giovani
durante i riti della pubertà iniziatica. Con le parole di Reik:
Difficilmente si può sopravvalutare, nella vita religiosa e nellordine sociale dei popoli primitivi, il significato dei riti diniziazione e della pubertà, con il loro cerimoniale elaborato e suggestivo Sono per la massima parte più imponenti e durano più a lungo che le celebrazioni del matrimonio. La loro importanza è comprensibile se teniamo presente che i riti della pubertà non soltanto segnano unepoca della vita bensì indicano che è giunta letà in cui e legalmente permesso il rapporto sessuale e la procreazione dei figli; che essi iniziano il giovane alle cerimonie religiose; e gli conferiscono tutti i diritti e gli impongono tutti i doveri che valgono per i membri adulti della tribù (Reik, ibidem, p.103).Ci pare di avere scoperto il motivo per il quale fu Apollo che divenne il dio civilizzatore e non Dioniso. Il dio caprino infatti rimase limmagine del dio-Padre dio-Figlio in ununica condensazione, ma rimase privo di qualsiasi connotazione educativa. In una delle immagini della sintesi del mito muore bambino, non raggiunge mai lo stadio della pubertà e delleducazione, ovvero della sublimazione delle pulsioni aggressive e incestuose. Senza la canalizzazione di queste in mete socialmente accettabili non può accedere alla società degli adulti: il suo rito rimane chiuso, circoscritto a uno sfogo pulsionale fine a sè stesso, come lo sono le pulsioni della primissima infanzia prima della formazione di un Io inibitore.
In altre storie egli [Dioniso] figurava come figlio di Persefone e veniva indicato con lepiteto Chthonio [come Zeus]...Il padre del bambino viene chiamato anche Ades.... Il nome stesso Ades, esprimeva soltanto qualcosa di negativo, adatto allincolore quadro degli inferi e indicava uno solo degli aspetti di un grande dio. Ma si sa che allo sposo di Persefone spettava anche il nome di Zeus Katachthonios, Zeus sotterraneo. Quale Katachtonios, Zeus era il padre del Dioniso sotterraneo. Nella stessa qualità egli si chiamava anche Zagreo, il grande cacciatore e così si chiamava anche suo figlio. Tale identità è già stata menzionata a proposito di Zeus... Si riconoscono i due volti che anche Zeus mostrava: il volto del padre e dello sposo da un lato, quello del figlio e del bambino divino dallaltro. Non soltanto Zeus e Dioniso avevano questo doppio volto nella nostra mitologia, ma nessun altro dio sembrava quanto Dioniso un secondo Zeus (K.Kerenyi, Gli Dei della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1962, p.207). .Dioniso era, dunque, un secondo Zeus, e questi era il padre di Apollo.
Brutto e bello
Non esiste un bello di natura.
Ma esiste certo il brutto perturbante...(F.Nietzsche, Frammenti postumi 1869-1874, 7[116] )
Quella che, con il crollo del mondo antico, sfocerà in Occidente
in scissione assoluta tra bene e male era cominciata molti secoli prima,
come divergenza del concetto di sacro in due parametri opposti: brutto
e bello.
Il Dioniso dei miti orfici, il capro, antico totem delle tribù
greche, non era né bello né brutto, ne buono né cattivo:
era sacro, ovvero era sia una cosa che il suo opposto. In latino sacer,
in ebraico qaddosh, in arabo haram, e persino in una lingua moderna come
il francese sacrè definiscono tutte il concetto di sacro e sacrilego,
santo e maledetto, con ununica parola.
Quando le tribù greche superarono la crudezza del rito totemico
e cominciarono a relegare sempre di più limmagine del capro alle
province più lontane della psiche, limmagine del dio cominciò
anche ad assumere una connotazione normativa: sempre sacro ma, per la prima
volta, brutto. Così nacque in Occidente un concetto e, automaticamente,
anche il suo opposto. Quando la società greca scelse la strada della
civilizzazione, alle insegne dellimmagine di Apollo, e innescò
un processo di rimozione del pasto totemico e del rito tribale, quello
che lo rappresentava, il capro Dioniso, divenne indesiderato e quindi brutto,
superato e quindi ridicolo. Con lesasperazione di questi parametri, anche
cattivo e, alla fine, con il crollo del mondo antico, addirittura diabolico.
Il suo opposto, ovvero tutto quello che divergeva dallimmanenza dei riti
tribali, la saggezza, leducazione in quanto civilizzazione, la contenutezza
entro la canalizzazione dellequilibrio plastico, divenne normativamente
positivo e desiderabile, e quindi bello. Questo per i greci si tradusse
in buono e in un nuovo concetto di divino , e come tale passò anche
al cristianesimo .
Prima nacque dunque lidea del brutto, in quanto rimozione di quello
che non era socialmente desiderabile, e solo dopo e in antitesi ad esso,
lidea del bello.
Ed ecco che in Occidente, dal VI-V sec a.C. in poi, brutto sarà
tutto quello che ricorda il capro, il Dioniso divorato dai Titani, cioè
il peloso, lo sgraziato, lanimalesco e bello sarà il suo contrario:
lideale del corpo umano in antitesi alla bestia, il liscio in antitesi
al peloso, il tronco dritto in antiteso al gobbo, che ricorda lanimalesco
che cammina a quattro zampe, ecc.
Anche Freud cadde in questo equivoco. Come un nuovo Platone postula
prima un ideale di bello, a priori, e a secondo di questo classifica il
resto in bello o brutto. Infatti nel 1910, a proposito della vita amorosa,
scrive una frase molto interessante ed enigmatica: I genitali stessi non
hanno seguito levoluzione delle forme corporee verso la bellezza, sono
rimasti animaleschi, e così anche lamore è rimasto nella
sua essenza animale come è sempre stato ("Psicologia della vita
amorosa, cit.,vol.6, p.431). Sul modello di quale parametro Freud stabilisce
che i genitali non sono belli, se non appunto di quello apollineo di
un ideale di forme platonico del corpo umano, che è lantitesi dellanimalesco?
Dalle parole di Freud i genitali non sono belli, ovvero sono brutti,
poiché sono animaleschi, sono rimasti dionisiaci, e non hanno passato
la metamorfosi nella loro antitesi apollinea. Il capro, lanimale totem
degli antichi progenitori delle tribù greche, sarà dunque
il metro di misura intorno al quale ruoteranno, in Occidente, tutti i parametri
di brutto e di bello. Non ci risulta che in qualsiasi altra cultura umana
sia mai avvenuto lo stesso.
Il motivo è che nelle altre culture non avvenne un rinnegamento
così deciso del proprio animale totem e una divergenza così
completa dal proprio passato tribale.
Gli ebrei, che il caso volle abbiano avuto, nella loro lontana preistoria,
lo stesso animale totem dei greci, il capro o lariete, forse poiché
entrambe erano tribù di pastori che pascolavano la pecora bianca,
non crearono mai unidea del bello che fosse antitetica a quella dellariete.
Al contrario, lidea di sacro rimase affine a quella dellanimale -- totem
con cui si identificavano, e non crearono mai concetti di bello che divergessero
dallidea dellarcaico animale sacro, al punto che consideravano sacrilego
radersi la barba o i peli del corpo. Il Talmud ci racconta qualcosa di
velato in proposito, riportando unantica leggenda:
Tutti in confronto a Sara sono come una scimmia in confronto alluomo, Sara in confronto a Eva è come una scimmia in confronto a luomo, Eva in confronto ad Adamo è come una scimmia in confronto a luomo e Adamo in confronto al Signore è come una scimmia in confronto alluomo (Tal.Bab., Baba Batra 58a).Prima di accusare i saggi di misogenia e scarso senso cavalleresco cerchiamo di capire che cosa intendessero. I rabbini spiegano: poiché Dio creò luomo a sua immagine e somiglianza e la donna solo dalluomo. Ovvero Adamo assomigliava a Dio, e questi è lunico parametro valido per qualsiasi forma di bellezza, ovvero più bello di lui non avrebbe potuto essere, mentre Eva era stata creata dalluomo, ed era dunque solo un misero riflesso della bellezza maschile. E tutti quelli che sono stati creati dopo di lei, che è la madre di tutti i viventi(Gn.3,20), possono solo essere più brutti. Dunque lunico parametro di bellezza e bruttezza corrisponde nella somiglianza a Dio. Questo è lunico bello che esista. Se il primo dio fu unanimale, transustazione del padre dellorda ucciso, e quindi un dio maschio, bello è quello che gli assomiglia. Non le donne, Eva e Sara e tutte le altre, sono belle, bensì solo gli uomini fatti a immagine e somiglianza di Dio. I rabbini non potevano adoperare la parola sacro, poiché Adamo era stato degradato a mortale dal redattore post-esilico, ma questa sarebbe stata la parola giusta. Sia per gli antichi greci che per gli antichi ebrei, bello era dunque il parallelo di sacro, e questo per entrambi era associato al dio caprino. La parola divino è una parola posteriore: allinizio esisteva sola la parola sacro e ancora oggi in ebraico esiste una parola sola qaddosh. Questa parola indica sia la sacralità di Dio che dei suoi sacerdoti, che del popolo dopo che è stato iniziato alle sue leggi, sia il massimo dellempio, la qaddeshà e il qaddesh, i prostituti sacri.
Rappresentazioni di Ganimede e di Titone, personaggi mitici la cui bellezza eccitava persino gli dei, ci permettono di definire i criteri della bellezza maschile, e ci permettono di vedere che gli stessi criteri sono soddisfatti in ritratti di dei eternamente giovani (in particolare Apollo) e di ragazzi o giovani raffigurati nellatto di essere inseguiti, corteggiati o abbracciati da comuni amanti mortali. Da questo possiamo trarre validi motivi per catalogare come modelli di pin-up il grande numero di giovani ritratti in varie pose su vasi di ogni tipo; in particolare, il tipico giovane solo (di solito nudo, a volte in atto di vestirsi o di svestirsi) La documentazione positiva di queste raffigurazioni è rafforzata da quella negativa delle scene in cui il pittore ha voluto raffigurare il brutto, il discustoso e il ridicolo: satiri (cfr. Senofonte, Simposio 4,19: Se non fossi più bello di te, sarei più brutto di tutti i sileni delle rappresentazioni satiriche!) (K.Dover, op.cit, p. 9).Con il parametro corpo umano bello in quanto antitesi del corpo del capro brutto viene superata dai greci linibizione a mostrarsi nudi.
Nella città di Cnido, sulla costa dellAsia Minore, dove greci puri e non orientali osarono per la prima volta esporre alla vista una Afrodite nuda - la celebre statua dello scultore Prassitele - la conchiglia era considerata come animale sacro alla grande dea dellamore.» E allo stesso proposito ....le etere veneravano la dea come una di loro, sotto nomi di Afrodite Hetaira o Porne. In questa atmosfera ridotta sorgevano opere darte che mostravano la bellezza della dea come Kalliglutos o Kallipygos, colei che ha belle natiche, con la veste sollevata, dopo che i nostri artisti poco a poco avevano ottenuto che la nudità della dea al bagno non incutesse più un sacro orrore agli spettatori» ( K.Kerenyi, op.cit., p.65 e p.73) .Quindi vediamo che, prima di evolversi in società apollinea, anche i greci avevano avuto orrore del nudo, esattamente come le antiche tribù semitiche e gli ebrei.
Cera nellesercito un certo Epistene di Olinto, che aveva un debole per i fanciulli. Quandegli vide condurre al supplizio un bel giovinetto, appena giunto alla pubertà, ma già armato di peltra, corre da Senofonte e lo supplica di intervenire a favore del ragazzo. Senofonte si reca da Seute e lo prega di risparmiarlo; gli parla della passione di Epistene, raccondandogli che una volta, nella formazione del suo lochos (compagnia), aveva badato solo che i componenti fossero belli; si dovette ammettere però che sia lui che i suoi soldati avevano combattuto con valore. Seute domanda a Epistene: Saresti pronto a dare la vita per lui?. Epistene porge subito il collo e dice: Se questo fanciullo accetta e me ne sarà riconoscente, colpisci pure. (Anabasi VII, 4, 7).Senofonte ci tiene a specificare ma già armato di peltra, ovvero: malgrado fosse già armato di peltra, poiché secondo i parametri apollinei avrebbe dovuto essere una ragione di repulsione e non damore. Limplicazione è che il fanciullo era così attraente che persino quella prima peltra, ragione dorrore, non riusciva a mitigare lattrazione.
Achille, figlio di Tetide fu onorato (dagli dei) e mandato al posto che gli spettava nelle isole di Blesto, poiché pur avendo saputo da sua madre che sarebbe morto appena ucciso Ettore, ma se lo avesse risparmiato sarebbe ritornato a casa e finito i suoi giorni in vecchiaia, egli coraggiosamente scelse di andare e salvare il suo amante Patroclo, lo vendicò, e cercò la morte non solo per sè stesso ma per venire così riunito con colui che la morte aveva preso. Per questo gli dei lo ammirarono così altamente da dargli onori speciali, poiché aveva attribuito un così alto valore al suo amante (179e-180a).Ma qui Platone ci rivela ancora qualcosa:
Eschilo dice sciocchezze quando riferisce che fosse Achille ad essere innamorato di Patroclo, poiché egli (Achille) superava in bellezza non soltanto Patroclo ma anche tutti gli altri eroi, essendo ancora imberbe, e inoltre molto più giovane, secondo il racconto stesso di Omero. Poiché, in verità, non esiste valore più ammirato dagli dei di quello che deriva dallamore; tuttavia essi ammirano ancora di più e sono ancora più deliziati e benevolenti quando lamato è attaccato da affetto al suo amante di quanto lamante sia innamorato del suo favorito; poiché colui che ama, pieno comè dellessenza del dio, supera il suo favorito in divinità (180a-b).Linterpretazione platonica della saga omerica è particolarmente interessante poiché svolge davanti ai nostri occhi levoluzione che nel IV secolo vide trasfigurarsi la libido di un uomo (Patroclo) per un bel giovane (Achille), in amore spirituale e, quindi, divino del giovane verso luomo che era innamorato di lui. Per Eschilo la furia di Achille era ancora il prodotto della passione delleroe per Patroclo, mentre invece Platone invalida questa tesi e dice che il vero eroismo era quello di Achille proprio perché non era infatuato di Patroclo come questi lo era di lui, (e linfatuazione libidinosa era sempre quella delladulto per il giovane imberbe), bensì nutriva per il proprio erastes (lamante adulto nella coppia), un amore profondo e disinteressato indipendente dalla libidine. Questo secondo Platone è il vero amore. Abbiamo dei seri dubbi che Omero, nellVIII secolo, interpretasse in maniera così soffusa e sofisticata la saga achea, ed è rivelante vedere come Platone conduca la libidine dalla sua natura concreta e passionale a livelli di astrazione nuovi.
Ogni amore che dipende da una cosa, smette di esistere la cosa, finisce lamore. Un amore che non dipende da qualcosa non finisce mai. Qualè lamore che dipende da una cosa? Quello di Amnon per Tamar (cfr.2,Sam 13), qualè lamore che non dipende da nessuna cosa (e quindi è eterno)? Quello di Davide per Gionata (Masechet Avot, 5.16).La connotazione di amore eterno e disinteressato è non nella passione eterosessuale di Amnon per la sorella, bensì in quello platonico di Davide per lamico.
non ti vergogni tu a darti pensiero delle ricchezze per ammassarne quante più puoi, e della fama e degli onori; e invece della intelligenza e della verità e della tua anima, perché ella diventi quanto è più possibile ottima, non ti dai affatto né pensiero, né cura? (Apol.,29e)Intelligenza, verità e anima, come bontà e bellezza, appaiono in ununica associazione.
È particolarmente importante il fatto che egli veda la filosofia non come unattività da perseguirsi nellisolamento della meditazione e comunicata dal maestro ai suoi discepoli attraverso lezioni ex cathedra, ma come un processo dialettico che può senzaltro cominciare dalla rispondenza da parte di un uomo adulto allo stimolo procurato da un giovane in cui la bellezza fisica si combina con quella dellanima (ibidem, p.14).La bellezza fisica, in questo stadio, si combina a quella dellanima, ma siamo ad un passo a che la bellezza diventi una qualità dellanima stessa abbandonando il corpo che ne era stato il veicolo. Se uniamo quello che ci racconta Platone di Socrate a quello che ci ha raccontato Senofonte di Epistene qualche decennio prima, abbiamo già davanti agli occhi la sintesi di quella che è stata la lunga strada di Apollo, da quando minacciava i novizi sotto le mura di Troia a un passo dallapparizione del Salvatore.
Linizio della discesa
Nietzsche aveva capito, ma non aveva capito di aver capito. Vediamo dove lo aveva portato la sua intuizione:
Una questione fondamentale è il rapporto del greco col dolore, il suo grado di sensibilità.-questo rapporto rimase uguale a se stesso? Oppure si capovolse? -- la questione se in realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppato dalla mancanza, dalla privazione, dalla melanconia e dal dolore. Posto cioè che proprio questo fosse vero -- e Pericle (o Tucidide) ce lo lascia intendere nel grande discorso funebre -- da che cosa discenderebbe allora il desiderio opposto, che si manifestò cronoligicamente prima, il desiderio del brutto, la buona e dura volontà, di pessimismo nel greco antico, di mito tragico, dellimmagine di tutto il terribile, il malvagio lenigmatico, il distruttivo e il fatale che si cela in fondo allesistenza Che cosa indica la sintesi di dio e capro nel satiro? Per quale esperienza interiore, obbedendo a quale impulso il greco dovè immaginare come satiro linvasato uomo primordiale dionisiaco? E per quanto concerne lorigine del coro tragico: ci furono forse in quei secoli, in cui il corpo greco fioriva e lanima greca spumeggiave di vita, rapimenti endemici? Visioni e allucinazioni che si comunicavano a intere comunità, a intere adunanze cultuali (Tentativo di Autocritica, in La Nascita della Tragedia, op.cit., p.8).Nietzsche non conosceva ancora gli studi fatti dagli antropologi a cavallo del secolo sul totemismo e i riti diniziazione tribale, ma aveva intuito perfettamente la nostalgia dei greci per i propri riti arcaici superati, il desiderio del brutto, che si manifestò cronologicamente prima, e il contenuto vitale e immanente del pasto totemico, la prima rappresentazione tragica dellumanità . Nietzsche aveva intuito che il dio caprino e la sua bruttezza venivano prima, che questa era listanza autentica e non mediata e da lì era cominciato il lungo cammino verso la civiltà. Ci conferma quello che ci aveva raccontato Erodoto e dirà dopo di lui Freud: Apollo era venuto dopo Dioniso, come lIo era venuto dopo lEs, come il bello era venuto dopo il brutto.
Lantica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per luomo. Rigido e immobile, il demone tace; finchè costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irragiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è-morire presto (La Nascita della Tragedia, op.cit., p.31).La risata del Sileno non è ancora satirica, è orribile, è tragica. Questa era lanima greca originale, che fu nascosta dalla sovrapposizione dellarte apollinea. Apollo venne, dunque, per far dimenticare Dioniso e la sua tragicità autentica. Tra i satiri dal pene in erezione delle dionisiache rurali e cittadine e il Sileno interrogato dal re Mida si apre un baratro molto più profondo che tra quello tra Sileno e il dio delfico al massimo del suo splendore.
Tragico e autentico
E allora? Se i greci ebbero proprio nella ricchezza della loro
gioventù la volontà del tragico e furono pessimisti; se fu
proprio la follia, per usare unespressione di Platone, a portare sulla
Grecia le sue benedizioni maggiori .
La follia di Nietzsche (e di Platone) sarebbero dunque le energie originali,
non mediate che trovano il loro sfogo nel pasto totemico e nellorgia dionisiaca.
Questa è lanima autentica del greco. A queste energie che scaturiscono
dal profondo attribuisce il merito della creatività greca. E invero
le energie che provengono dalla libido dellEs, essendo questa la provincia
psichica primaria, sono quelle che danno la spinta ascensionale, che Freud
ha definito Eros, che è allorigine della vita e la mantiene. Dal
momento che lIo è unorganizzzazione che si sviluppa posteriormente,
come risultato dellevoluzione (p.13) e cerca di porsi in contrasto alla
libido dellEs, meno lindividuo è sviluppato e più
queste energie originarie sono fresche e vitali.
Ma abbiamo imparato anche che nellEs appare un impasto della libido
con la pulsione di morte: sadismo-distruzione-autodistruzione. Ne deriva
che ogni vitalità sfrenata contiene anche una carica non indifferente
del bisogno di uccidere e di morire.
Se lEros è fresco e vitale, in concomitanza lo sarà
anche questo impasto con la pulsione di morte. Ed ecco che si spiega la
tragicità nitzschiana. Infatti questa è esattamente lincontrario
del pessimismo decadente, romantico, ai tempi di Nietzsche. È
il pessimismo di chi, a contatto con le forze spumeggianti della vita,
entra anche automaticamente in contatto con la realtà esistenziale
della pulsione di morte. È la vita vera: la presa di contatto con
la morte attraverso il veicolo dellEros e non come conseguenza dellindebolimento
di questo. In vecchiaia la morte soppraggiungerà quando la pulsione
di morte avrà il sopravvento su di un Eros ormai esaurito, ma quando
la vita spumeggia il contatto avviene come parte della miscela vitale.
È laltro polo del pessimismo nichilista che è il prodotto
della stanchezza e della vecchiaia. Solo così ci diventano chiare
le parole del saggio Sileno, il capo dei satiri, al re Mida: per lui la
morte non è quella che viene con la stanchezza e la vecchiaia ma
quella che si trova in un unico impasto con lEros. Ecco il desiderare
la morte come il massimo dei beni, e a cosa se non alla parola desiderio
si associa di più la parola Eros?
Quale baratro tra questo desiderio di morte, come estrema e paradossale
espressione dellEros, e quella desiderata da Socrate per poter liberarsi
dellEros stesso!
Quando Nietzsche dice che prima di Platone, obbedendo a quale impulso
il greco dovè immaginare come satiro linvasato uomo dionisiaco?
La risposta è quella che abbiamo dato. Il satiro invasato, trasfigurazione
dellorgia primordiale in cui tutte le forze dellEs erano scoppiate in
un Super-orgasmo, è la personificazione dellavvenimento originale,
che più autentico di questo non potrebbe esserci.
Freud aveva chiamato il pasto totemico, che ricalca lorgia parricida
primordiale, la prima rappresentazione tragica dellumanità, ma
non vide che lelemento tragico non è presente solo nella rappresentazione
dellevento primordiale in cui si fuse lo sfogo ininibito di tutte le pulsioni
in quello che costituiranno appunto tutte le componenti della tragedia,
ovvero la pulsione che non può se non uscire di controllo e perpetrare
il fato, bensì anche nellinevitabilità che con lespressione
ininibita delle pulsioni dellEs emerga insieme allEros anche la pulsione
di morte. Limpasto pulsionale stesso, che fa parte della realtà
esistenziale, costituisce per se una tragedia, se così si può
chiamare linevitabilità dellessenza umana.
Nietzsche nulla sapeva della pulsione di morte di Freud, e quindi la
sua intuizione folgorante rimase nebulosa. Insisteva sullassociazione
vitalità-senso tragico, perché sapeva che è così,
sapeva anche che quando i greci persero parti della loro vitalità
spumeggiante persero anche il senso tragico. Oggi noi abbiamo capito:
evolvendosi avevano anche emarginato al rimosso parti vitali di quella
provincia psichica che Freud ha chiamato Es. Cancellarono unintera regione
dalla mappa topografica. Relegarono alle cantine sotterranee dellinconscio
non solo lorgia primordiale e dopo il pasto totemico, ma anche la capacità
di lasciare emergere alla coscienza quellimpasto pulsionale Eros-pulsione
di morte che riempiva la loro anima di senso tragico.
Quando Nietzsche si chiede: ci furono forse in quei secoli, in cui
il corpo greco fioriva e lanima greca spumeggiava di vita, rapimenti
endemici? Visioni e allucinazioni che si comunicavano a intere comunità,
a intere adunanze cultuali?, la risposta è si. Dopo relegarono
tutto ai sotterranei blindati, e con Socrate e Platone buttarono definitivamente
in mare anche la chiave.
Ai giorni nostri il distacco è diventato così assoluto
che ogni immersione nellEs e liberazione dalle briglie dellIo viene catalogata
come allucinazione psicotica. Con la nascita della civilizzazione nacque,
così, anche la malattia mentale.
Nietzsche non conosceva Freud, ma Freud avrebbe dovuto conoscere Nietzsche.
Freud aveva riscoperto lorda primordiale, il pasto totemico e limpasto
Eros-pulsione di morte. Se non si fosse astenuto da Nietzsche sarebbe riuscito
ad articolare le sue scoperte in un tutto più organico, come ci
pare di essere riusciti a fare noi. Nietzsche aveva intuito anche un altro
punto: che sublimando le proprie pulsioni e canalizzandole attraverso gli
insegnamenti di Apollo era andata persa lintensità originale delle
emozioni, la loro autenticità:
e se, daltra parte e inversamente, proprio ai tempi della loro dissoluzione e debolezza, i Greci si fecero sempre più ottimisti, superficiali istrionici, e anche più smaniosi per la logica e la logizzizazione del mondo, cioè a un tempo più più sereni e più scientifici, non potrebbe essere forse la vittoria dellottimismo, il predomininio della razionalità, lutilitarismo pratico e retorico, come la democrazia stessa, di cui esso è contemporaneo- un sintomo di forza declinante, di vecchiaia approsimantesi? (ibidem).Il desiderio di autenticità porterà Nietzsche a ispirarsi al dio nella sua ricerca di una formula che restituisca lumanità alle radici della propria essenza, là dove solo si può ritrovare se stessi e conoscere la verità della sintesi gioia-tragicità. La conoscenza dionisiaca, in chiave nietzscheana, è anche lunica forma di conoscenza auspicabile, poiché, estraneatosi dalla propria realtà esistenziale, luomo occidentale sarà destinato alla decadenza. Infatti guardandosi indietro aveva visto che nel processo di civilizzazione non tutte le energie di Dioniso erano state sublimate in arte e avevano prodotto lebbrezza di Apollo. Una parte non indifferente era andata persa per strada, invece che sublimata era stata rimossa, e queste energie erano andate consumandosi nel mantenere la rimozione attraverso la razionalizzazione.
La civiltà umana poggia su due pilastri, di cui uno è il controllo delle forze della natura, laltro è la limitazione delle nostre pulsioni. Il trono della regina è retto da schiavi in catene Le esigenze pulsionali insoddisfatte fanno sì che egli avverta con un senso di oppressione costante le pretese della civiltà ( Resistenze alla Psicoanalisi, in op.cit., vol.X, p.55).E ora ci è più chiara anche la frase che abbiamo riportato sopra (p.6): Trattenere laggressività e comunque malsano, porta alla malattia, e così dicendo non ci aveva altro che confermato la saggezza biblica: Unattesa troppo prolungata fa male al cuore, un desiderio soddisfatto è albero di vita (Prov.13,12).
CAPITOLO TERZO
DOPO IL CAPRO
Homo politicus
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, nella prima metà del primo millennio a.C. i due dei si erano contesi il primato e la società fu fecondata, e poté arrivare agli apici della sua creatività per merito della tensione onnipresente fra queste due divinità. Con linizio del quinto secolo A.C. cominciò a delinearsi una preferenza per la soluzione apollinea e si innescò un processo di repressione e rimozione delle pulsioni dionisiache, che portarono al primato di Apollo, come unico detentore della verità greca. Come culmine della grande vittoria di Apollo ci vengono presentate in arte le grandi opere di scultura e di architettura della Grecità classica. In questo stadio non si può ancora parlare di rimozione completa del dionisiaco, bensì solo di canalizzazione poiché le grandi opere darte della Grecia classica erano state la sublime fusione di energie dionisiache nel medium espressivo apollineo. Apollo aveva imbrigliato Dioniso e lo aveva sottomesso al suo servizio. Nella vita sociale lespressione della vittoria di Apollo fu la costituzione della Polis con le sue istituzioni urbane e democratiche. E invero Nietzsche aveva intuito il nesso tra la divergenza dal dionisiaco e le nuove istituzioni politiche greche:
non potrebbe essere forse la vittoria dellottimismo, il predominio della razionalità, lutilitarismo pratico e teorico, come la democrazia stessa, di cui esso è contemporaneo -- un sintomo di forza declinante, di vecchiaia approsimantesi, di affaticamento fisiologico, a dispetto di tutte le idee moderne e di tutti i pregiudizi del gusto democratico? (Tentativo di autocritica, in La Nascita della Tragedia, op.cit., par. 4).Il fenomeno della cultura greca, che dora in poi chiameremo apollinea, infatti, non è limitato alle espressioni di arte plastica. Il mondo, o meglio il modus, apollineo è una struttura mentale, la cui espressione sociale è antitetica a quella tribale, e intorno alla quale viene organizzata, non solo lespressività artistica, ma anche tutta la vita sociale e politica dei greci. Se le pulsioni dionisiache rappresentano un mondo barbaro e titanico, dove queste pulsioni possono venire dominate solo dalla repressione e la rimozione, la soluzione apollinea è la canalizzazione di queste pulsioni e il loro incivilimento attraverso la sublimazione dellarte plastica. La tragedia eschilea, che era stata il prodotto sublime della fusione tra il dionisiaco e lapollineo, è anche lapice dellespressione dionisiaca. Larte, sotto locchio vigile di Apollo, non uscirà mai più di controllo. Le esuberanti energie dionisiache o furono rimosse e represse, con le uniche trasgressioni lecite delle orge e i baccanali, che facevano da valvola di sfogo, i quali avvenivano però solo in determinate occasioni, o furono canalizzate al servizio dellespressione figurativa plastica e, in questa loro subordinazione allapollineo, trovarono la propria sublimazione .
Vergogna e colpa
Il Dodds ha percepito questa metamorfosi mentale che avvenne gradualmente
nella psiche greca e ha definito lo stadio arcaico, che noi abbiamo chiamato
pre-apollineo, come civiltà di vergogna da come questa emerge
nelle saghe degli Eroi descritti da Omero . Infatti, come riferisce lautore,
la maggior preoccupazione degli eroi achei era la propria immagine difronte
alla comunità, e il sentimento che provavano, quando fallivano in
qualche impresa o quando venivano scoperti mentre compivano qualche atto
infame, non era il senso di colpa ma la vergogna di essere considerati
indegni dai propri compagni.
La società omerica, che più che civiltà definiremmo
cultura, proprio perché i legami che la vincolavano erano ancora
quelli della coesione del gruppo, rispecchia un modus mentale sociale dove
i legami di sangue e di clan sono ancora fortissimi e non erano stati ancora
sostituiti da un nuovo tipo di lealtà verso lo Stato.
Gli eroi greci si chiamano ancora con il nome del padre: Achille è
il pelide, Agamennone e Menelao gli atridi, ecc. Persino Apollo stesso
nel primo libro dellIliade è designato con il suo patronimico:
il figlio di Zeus e di Leto. Nel quinto secolo non vi è quasi più
traccia di questi patronimici e i compagni di Socrate vengono denominati
ognuno con il suo nome personale.
La società omerica è quella del gruppo. Agamennone, il
duce, è solo il primo tra i pari e risucchia la sua autorità
dal patto di sangue tra le tribù achee, un patto tra i fratelli.
Quando questi offende Achille, leroe non si sente più vincolato
da nessun tipo di fedeltà trascendentale e lo insulta liberamente
senza che questo venga considerato atto di lesa maestà. In tutto
il poema omerico non viene menzionata la patria; questo concetto non esisteva
ancora. Come abbiamo visto, nel V secolo le cose cambieranno, e la fedeltà
del singolo verrà trasferita definitivamente dai legami di sangue
a quello verso le istituzioni cittadine. Solo dopo il passaggio a questo
stadio noi definiremo la cultura greca: civiltà. Il punto di rottura
e il passaggio a quella che lautore definisce una civiltà di colpa,
e che noi dora in poi chiameremo invece una società apollinea,
poiché questa definizione sintetizza meglio gli aspetti peculiari
a questo tipo di organizzazione, pare essere avvenuto nel VI secolo, e
la sua manifestazione esterna la legislazione di Solone. Con le parole
del Dodds:
La famiglia era la chiave di volta della struttura sociale arcaica, la prima unità organizzata, il primo feudo del diritto. La sua organizzazione, come presso tutte le società indoeuropee, era patriarcale (solo indouropee?). Il capo della famiglia era il suo re[ ]Verso il padre un figlio aveva doveri, ma nessun diritto; vivo il padre, era un eterno minorenne-condizione che durò in Atene sino al VI secolo, quando Solone stabilì qualche salvaguardia[ ]si ritiene che il sistema abbia funzionato, finchè lantico senso di solidarietà familiare rimase intatto[ ]ma con il rilassamento dei vincoli familiari, quando lindividuo cominciò a rivendicare in misura sempre maggiore i suoi diritti e le sue responsabilità personali, dovevano sorgere quelle tensioni interne che da tanto tempo caratterizzano la vita familiare nelle società occidentali. Dallintervento legislativo di Solone possiamo dedurre che queste tendenze si fossero manifestate apertamente nel VI secolo ( Ibidem, pp.65-6.)
Il rilassamento dei vincoli familiari avrebbe provocato il
senso di colpa, che sarà, dora in poi, la caratterizzazione della
struttura sociale occidentale. Allentati i vincoli familiari, ma sarebbe
meglio dire i legami del clan, ovvero della famiglia in senso largo e traslato,
la vergogna diventa secondaria poiché il singolo dipende di meno,
per la propria autostima e per la sua stessa autosopravvivenza , dallopinione
che hanno di lui gli altri membri del gruppo.
Secondo noi il senso di colpa, peculiare del complesso di Edipo della
famiglia monogoma occidentale non è causato dal rilassamento dei
vincoli familiari per sè, come sostiene il Dodds, bensì dalle
sue conseguenze. Rilassati i legami di sangue che legano i membri del clan
tra di loro ed abbandonati i riti tribali che rappresentano la coesione
sociale nelle società arcaiche, il senso di colpa rimane senza una
soluzione ed emerge in tutta la sua inquietà perturbante .
I riti tribali, che cementano la coesione del gruppo e attraverso i quali
i singoli membri diventano un unico corpo , un insieme di auto-identità
e approvazione reciproca, risolvono il senso di colpa ed evitano la nevrosi,
che scoppia sempre solo quando vi sia una divergenza tra le esigenze del
singolo e quelle della collettività. La nevrosi diventa così
un fenomeno legato alla civiltà e alle pesanti esigenze che impone
al singolo, senza più dargli, privatolo del rito tribale, i mezzi
per risolvere i conflitti prodotti dallambivalenza pulsionale.
Il processo di rilassamento dei vincoli che legavano il singolo al
clan e il passaggio della fedeltà alla polis era ormai già
completato nel 399 a.C. data del famoso processo di Socrate, poiché
così apostrofa il maestro uno dei suoi discepoli:
Con tutta la tua sapienza non ti rendi conto che la patria è più preziosa sia della madre che del padre e di tutti i tuoi antenati, e più sacra , più venerabile, più degna di considerazione da parte degli dei e degli uomini assennati; e che le si deve obbedire e servirla anche nelle sue ire, più che un padre? E che lalternativa è fra persuaderla o eseguire i suoi ordini, soffrendo in silenzio se ci impone di soffrire, si tratti di essere battuti o imprigionati, o anche di essere feriti o uccisi se ci manda in guerra[...]se è empietà usar violenza contro il padre e la madre, tanto più lo sarà contro la patria (Critone 51/ b-c).Come abbiamo già visto sopra trattando dei parametri estetici, anche in questo contesto, ai tempi di Socrate la società greca aveva completato la sua metamorfosi: la Patria aveva preso il posto della tribù e la fedeltà allo Stato il posto dei legami di sangue e persino le veci del padre e della madre: da società tribale si era trasfigurata a polis, società apollinea. Come appare chiaro dalle parole di Socrate, quelli che erano forti legami di patto di sangue tra i membri del clan, si trasfigurano in doveri di fedeltà alla Patria. In questo processo il legame affettivo perde di intensità, poiché da concreto si proietta in astrazione, e lintensa vergogna che provava il greco difronte alla tribù dei fratelli se commetteva un atto indegno dellonore del gruppo, si trasfonde in un soffuso senso di colpa se trasgredisce quelli che sono i parametri morali di unentità astratta ed estraneata.
Dalle mura di Troia al regno dei cieli
Come abbiamo visto sopra Febo avesse terrorizzato gli Achei sotto le
mura di Troia, come lo stregone e la generazione degli adulti fanno con
i novizi durante i riti diniziazione puberale. Degna di menzione è
anche la causa, addotta da Omero, che avrebbe scatenato lira del dio:
un insulto al proprio sacerdote Criso che era venuto a supplicare la liberazione
della figlia, ovvero linsulto al vecchio sacerdote, simbolo della figura
paterna, e il rapimento della donna, simbolo dellincesto.
Questi sono esattamente i due rimproveri che vengono mossi ai giovani
novizi durante i riti puberali e la causa addotta per i maltrattamenti
che devono subire .
Subito dopo la conciliazione con il sacerdote verrà data via
libera alla conquista di Troia. La riconciliazione tra la generazione dei
giovani e quella degli adulti è infatti lo scopo finale di tutto
il rito iniziatico puberale.
Appena la cerimonia viene portata a compimento è permesso al
giovane, e in alcune tribù è persino obbligatorio, avere
un rapporto eterosessuale. E infatti la presa di Troia e della donna entro
le sue mura, attraverso il simbolo fallico del cavallo e del coito degli
eroi che irrompono da esso è la rappresentazione simbolica di questo
rapporto consumato. Da questo dio minaccioso si trasfigurerà limmagine
del dio delfico che insegna e propone gli enigmi, la figura degli adulti
che minacciavano di morte i giovani si evolve a simbolo di ogni insegnamento
e saggezza, e questa corrisponde allidea di verità.
Ma cè anche un altro aspetto di Apollo: quello che emerge dal
canto di Ovidio. Qui un giovane dio sconfigge con il suo arco e le sue
frecce il Pitone, emerso dalla madre terra dopo il Diluvio (Metam.,
I, 435-445). Qui il dio non è più liniziatore, bensì
il giovane novizio che perpetra latto eroico. Questa istantanea è
già la rappresentazione dellidentificazione dei giovani con la
generazione degli adulti: iniziatore e iniziato si condensano in ununica
immagine.
Come abbiamo visto sopra, a complemento dei riti deve avvenire latto
eterosessuale. E infatti Ovidio ci descrive, in ununica catena associativa,
latto eroico, la gloria dei giochi pitici, lalloro e linfatuazione per
Dafne, figlia di Peneo. Ma qui viene introdotta una nota dissonante: mentre
nei riti della pubertà latto eterosessuale viene sempre consumato
a coronamento della cerimonia diniziazione, nella rappresentazione di
Ovidio Dafne, lamata, viene inseguita ma non raggiunta, e si trasforma
in albero sotto lo sguardo supplicante del giovane dio. Il mito apollineo,
a differenza del mito omerico che ci presentava unistantanea distillata
e camuffata del crudo rito tribale, introduce la prima nota di quello che
diventerà, con il crollo del mondo antico, un ritornello conosciuto:
lastinenza come modello.
Apollo è fratello di Artemide, la dea vergine dallarco e le
frecce, e per questa rappresentano lo strumento apotropaico che difende
la sua verginità. Questa parentela non può essere completamente
priva di significato. La dea è, dunque, il parallelo femminile del
fratello. Come Apollo è sempre circondato da giovinetti da iniziare
e sarà il loro protettore, così Artemide è la dea
delle giovani vergini che la seguono dovunque. Se Apollo insegna ai giovani
maschi larte di diventare uomini e conquistarsi le fanciulle, la sorella
insegna allo stuolo delle sue seguaci come fuggire e come difendersi dalle
bramosie maschili. A uniniziazione maschile che si traduce in virilità,
corrisponde, così, uniniziazione femminile che si traduce in verginità.
Ma come abbiamo visto il dio, dopo molti secoli da quando era apparso
per la prima volta sotto le mura di Troia, viene frustrato nel tentativo
di avvicinarsi alla donna. La saggezza di Apollo, alle soglie della crisi
che colpirà il mondo occidentale si traduce, attraverso lallusione
di questo aspetto del mito, in astinenza. A differenza della saggezza
delle antiche tribù greche, quella di una società che da
tempo aveva passato la metamorfosi da società arcaica, di vergogna,
per adoperare unespressione del Dodds, a quella di colpa della
Polis greca, il canto di Ovidio allude alla frustrazione di Apollo come
a un modello da seguire; bellezza e verità si associano così
ad astinenza-verginità.
Raccogliendo tutti gli elementi che sono emersi dai capitoli precedenti
possiamo ora ricostruire la formula, che in unevoluzione di più
di un millennio rappresenta la sintesi dello sviluppo di tutta la cultura
occidentale: sacralità del totem-capro-Dioniso, consustanzialità
con Apollo -- il dio educatore -- scissione tra le due divinità
in concetti antitetici, ascesa di Apollo a divinità dalla connotazione
normativa positiva e parallelamente degradazione di Dioniso a un concetto
normativo negativo, Apollo = divino = bellezza = amore = sapienza = anima,
Apollo = astinenza.
Siamo appena ad un solo passo dalla sintesi che opererà il cristianesimo:
Apollo = bellezza = Sapienza = anima = astinenza = fede = Cristo = Paradiso:
lamore cristiano guarderà dalle sue proiettate altezze nel
regno dei cieli con disgusto lamore sensuale, sessuale e sfrenato di Dioniso
e lo condannerà allinferno.
Il sentimento mistico di unità (p.2) dellorgia pulsionale
di Dioniso, lapologia dellEs, era stata una comunione concreta con il
capro ucciso. Questa comunione-identificazione poteva essere raggiunta
solo ritirando qualsiasi investimento dallIo, che è la provincia
psichica dove avviene la differenzazione tra mondo esterno ed interno (p.12),
per potenziare al massimo tutte le energie in uno scoppio che sfoghi ed
annulli qualsiasi tensione: questo è anche lapice, dopo di esso
il nulla. Eros e pulsione di morte si fondono in un unico impasto che sintetizza
il tutto (intenzionalmente abbiamo evitato il termine che rappresenta
poiché la rappresentazione fa solo parte della sfera dellIo e di
Apollo). Qui ci diventano chiare le parole di Nietzsche: ..della realtà
piena di ebbrezza , che a sua volta non tiene conto dellindividuo, e cerca
anzi di anniettare lindividuo e di liberarlo in un senso mistico di unità
(p.2), poiché allapice dellorgia dionisiaca lindividuo ottiene
tutto e viene liberato da qualsiasi inibizione e costrizione imposti dal
mondo esterno = Io e contemporaneamente svuotato ed anniettato. Ritirata
qualsiasi energia dallIo, lunica epifania dei contenuti interni proiettati
allesterno può essere lallucinazione .
Nellepifania apollinea questo senso di unità mistica, attraverso
linibizione e la sublimazione era stato sostituito da un nuovo tipo di
sfogo pulsionale, questa volta con il veicolo degli strumenti di Apollo:
locchio, la visione (trasfiguratasi in arte e estasi religiosa), la fede.
Questo sfogo pulsionale è ben diverso da quello dionisiaco, che
è uno scoppio. Ad esso si addice il termine ebbrezza, poiché
è una condizione di estasi prolungata che sfocia in unità
mistica che è proprio il contrario dellanniettamento, come la lenta
ebollizione, nella similitudine da noi adoperata, è la soluzione
energetica alternativa allo scoppio del contenitore chiuso ermeticamente.
La definizione sentimento mistico di unità coincide anche con questa
situazione psichica. I suoi strumenti sono la rappresentazione figurata,
il sogno, larte e lestasi religiosa. La sua istanza topica, o provincia,
è il polo opposto. Eppur si toccano!
I due estremi, come nel globo terrestre, coincidono e lultimo fuso
orario tocca il primo. Così anche la co-munione apollinea, pur usando
strumenti antitetici a quella dionisiaca, luce la prima come black-out
la seconda, allesterno e verso lalto come allinterno e verso il basso,
allestremo della sua espressione produce lo stesso annullamento dellorgasmo
dionisiaco. Per capire cosa intendiamo basta pensare allestasi di Santa
Teresa di Avila, alla sua figura rapita dal tremore erotico, come è
stata scolpita dal Bernini, oggi in Santa Maria della Vittoria a Roma,
e alle sue parole nel descrivere la sua passione:
Vedevo un angelo accanto a me lo vedevo tenere in mano una lunga freccia doro, che sulla cuspide aveva mi pareva avesse un pò di fuoco. Mi pareva che me la conficcasse più volte nel cuore, spingendola fin dentro le viscere: e quando lestraeva, avevo limpressione che se le tirasse dietro, lasciandomi tutta ardente di un immenso amor di Dio (Libro de su vida, 1562).Nessuno può distinguere tra lorgasma spirituale da lei ottenuto attraverso la contemplazione e la fede, e quello carnale raggiunto nellorgia dionisiaca. Come gli ossessi dionisiaci, il suo corpo è rapito, ovvero annullato, preso da qualcunaltro. Lestasi dellarte e quella religiosa sono infatti paragonate a un rapimento.
Alle soglie del cristianesimo
Siamo andati a vedere dove ci portava questo sentiero apparso improvvisamente
ai lati della via maestra ma adesso torniamo sulla strada principale.
Con il prevalere dellapollineo la conoscenza dellimmanenza pulsionale
dionisiaca viene rimossa, relegata ai misteri, feudo esclusivo di unelit
di iniziati guardati con sospetto, forse come lo sono i massoni dei giorni
nostri, e tale deve rimanere: un mistero. La musica orgiastica dionisiaca,
la danza sfrenata e persino la tragedia eschilea vengono relegate allopposto
e diventeranno lantitesi di quello che è socialmente desiderabile,
al punto che Platone filosofeggia se non sia il caso di proibirle nel suo
stato ideale, come propone di proibire Omero e di censurare i miti greci
che raccontano di cose sconvenienti.
I riti legati a Dioniso continuarono a venire festeggiati, come nelle
dionisiache rurali e cittadine, e persino vi era una città sacra
denominata Dionysia dove ogni sorta di svaghi e orge venivano celebrate
allinsegna del dio. In epoca ellenista un teatro fu edificato in suo onore
sullAcropoli di Atene, ma quella che ai tempi di Eschilo era ancora una
tragedia divenne commedia e in questo teatro si festeggiava sempre meno
la sacralità e sempre di più la scurrilità del dio.
La gente non andava più a teatro per esperimentare sulle proprie
membra la passione del pasto totemico nel tremore dellidentificazione
e della catarsi bensì per svagarsi: le commedie dei satiri, un cabaret
parallelo ad ogni società in decadenza, e le rappresentazioni teatrali
allinsegna di Dioniso prolificavano come i nigth-clubs di Parigi o della
Berlino tra le due guerre.
Divenne un dio della fertilità, come quelli semiti celebrati
in tutto loriente ellenizzato: Attis, Adonis, Tammuz. Diventò improvvisamente
un dio orientale, come quelli che morivano alla fine della primavera
per risuscitare in autunno, quando nel Medio Oriente le prime piogge riportano
alla vita la natura, che era rimasta arida sotto il solleone estivo. Dalla
metà del V secolo in poi divenne un dio con il quale lanima
greca avrà sempre più difficoltà a identificarsi.
Sempre meno dio e sempre più satiro, nel senso volgare della parola.
La morte sociale di Dioniso trascinerà con se anche lagonia di
Apollo. Il dio defico senza unequivalenza antitetica perderà anche
lui di intensità vitale. La sua massima espressione, la saggezza
comunicata per enigmi, transustazione dellarcaica conoscenza comunicata
ai giovani attraverso il rito iniziatico puberale, diventa attraverso la
razionalizzazione della filosofia, verità ideale. Priva dellapporto
energetico delle energie provenienti dallEs, in concomitanza con il processo
di rimozione, gradualmente anche il volto di Apollo era impallidito.
Larte occidentale, dopo essere arrivata ai suoi apici nella fusione
delle energie dionisiache con il medium visivo del dio delfico, dal IV
secolo in poi comincia a decadere. Il regno di Fidia e di Prassitele viene
sostituito da quello di Platone e di Aristotele. La filosofia viene al
posto dellarte, come strumento di rimozione e di razionalizzazione. Apollo
aveva vinto, ma era molto, molto stanco. Il processo era stato lento ma
letale. Se il modus mentale apollineo aveva portato alla democrazia della
polis greca come sviluppo naturale del bisogno di libertà ispirato
da Apollo come conseguenza del superamento del rito tribale e della Legge
del Padre, ecco che Platone vuole codificare delle regole precise, vuole
farne una repubblica ideale, e introdurre così dalla porta posteriore
una censura e una regolamentazione che sono proprio lantitesi dello spirito
di libertà della polis greca. Come già, per Platone, il bello
era stato il parametro per costrure i suoi schemi filosofici, questi fanno
presto a diventare una fede.
Quando nella Grecia arcaica il dio delfico dallinterno del suo tempio
si pronunciava per enigmi, le sue sentenze oscure alludevano che solo i
degni, gli iniziati alla vera essenza del dio avrebbero potuto decodificarne
i significati: eravamo ancora ben lungi dalla filosofia socratica e le
sue catene di sillogismi. Con Platone lo schema è pronto: il filosofo,
ispiratosi al bello, che come abbiamo visto è lantitetico del brutto,
il capro, filosoferà su quello che è buono o malvagio, giusto
o ingiusto. Il filosofo diventa così il nuovo sacerdote di Apollo.
La sua aspirazione è tradurre i suoi postulati filosofici in articoli
di fede: siamo già alle soglie del dogma. Se Platone sà di
poter distiguere tra il bene e il male, teme però che non tutti
riceveranno i suoi postulati, e non si accontenta di diffondere la sua
scienza, vuole imporla come unico schema politico. I filosofi della sua
Repubblica non sono più dunque come loracolo di Apollo, che viene
consultato volontariamente da chi vuole essere illuminato attraverso il
medium della sacralità del dio, bensì una classe politica
detentrice della verità assoluta.
Platone dunque, e non Pietro, è la pietra su cui verrà
edificata la Chiesa.
Link: Il Cristo dionisiaco e la musica
CAPITOLO QUARTO
DALLA LEGGE DEL PADRE ALLA FILOSOFIA
La necessità
Nei capitoli precedenti abbiamo accennato a come il distacco dal rito
del clan e lallentamento dei legami di fedeltà di sangue
abbiano gettato le basi per la nascita della filosofia. Questo è
un fenomeno specifico dellOccidente, poiché solo qui lo sviluppo
portò non solo a cercare una razionalizzazione del rito stesso,
come daltronde succede anche in tutte le altre culture, ma a creare una
metafisica che spieghi il cosmo staccandosi dal rito, superandolo e al
dunque confutandolo.
Mentre nei grandi centri delle civiltà antiche, Egitto e Babilonia,
la filosofia si limitò a proiettare il mito specifico a tutto il
cosmo e a creare dei miti astrali, che non erano altro che una proiezione
alle altezze celesti del rito terreno dopo che era stato razionalizzato
in mito, in Grecia le energie furono impiegate nel creare dei sistemi ex
novo come legittimazione a nuove forme di cultura religiosa, politica e
di costume. In filosofia assistiamo allassolutizzazione di un singolo
elemento della realtà, astraendolo dal suo contesto originario (esattamente
come i primi filosofi greci cercavano il principio da cui facevano poi
dipendere tutto il resto).
Originariamente, la filosofia non si distingueva dalla scienza: esisteva
solo la nuova sapienza apollinea, che aveva progressivamente sostituito
la conoscenza dionisiaca, lunico patrimonio della società arcaica.
Di questa nuova sapienza apollinea, la scienza costituiva listanza più
avanzata. La filosofia, invece, ebbe il ruolo di sostituire e di superare
la legge primordiale, e di dare nuovi strumenti per difendere ideologicamente
le mura della Polis mediante lo strumento della razionalizzazione.
In ogni sistema filosofico, ciò che viene assolutizzato non
è mai preso a caso. In primo luogo ad essere astratto è esattamente
lanello debole dello scheletro sul quale viene intessuto lequilibrio
raggiunto, e viene proiettato in una dimensione diversa da quella della
realtà per mascherarne la debolezza. A questa funzione si condensa
quella di esaudire un desiderio. Abraham ha paragonato il mito al sogno
prodotto da una collettività nel suo complesso . Possiamo allora
considerare la filosofia, che viene a sostituire il mito razionalizzandolo,
come il sogno di una civiltà in un successivo livello del suo sviluppo.
Utopie politiche, promesse di salvezza religiosa, di purificazione razziale
o spirituale, sono tante facce della stessa medaglia, che originano dalla
stessa radice: il Paradiso perduto, il rimosso. Ma se questi sono i frutti,
le radici di questo albero sono piantate inesorabilmente nel terreno reale:
lalbero succhia la sua linfa dalla situazione reale, contingente, con
cui ci si trova a dover fare i conti. Il pensiero metafisico assolutizza
infatti, un aspetto di questa realtà. I filosofi, nella loro ansia
di dovere necessariamente fare i conti con la propria coscienza filosofica
precedente, si dimenticano di venire a termine con il fatto che
la società ha il suo modo di cambiare, e la storia occidentale ha
mostrato che un sistema di pensiero è sempre il prodotto delle condizioni
della civiltà materiale che lo esprime: da qui nasce la caducità
di ogni filosofia e di ogni metafisica, cosa che sarebbe stata inconcepibile
in Egitto, dove la metafisica stessa era lo strumento apotropaico
contro la caducità.
1. Metafisica e magia.
La metafisica, dal punto di vista del modo di pensare che sottintende,
esprime una parentela con il pensiero magico. Tylor, lantropologo britannico
che affrontò tra i primi lo studio scientifico della magia, ha sostenuto
che questa è una pseudo-scienza in cui i primitivi postulano un
rapporto di causa-effetto tra latto di magia e leffetto desiderato, ovvero,
che il principio del pensiero magico consista nella sostituzione
di un nesso reale con uno ideale .
Mentre gli antropologi non psicoanalisti non erano riusciti ad andare
oltre una generica descrizione di questo fenomeno, caratterizzandolo come
un difetto del modo di procedere razionale, Freud ha fatto risalire la
magia alle sue radici pulsionali. Egli adottò lespressione onnipotenza
dei pensieri, per definire una serie di supserstizioni di un suo paziente,
che soffriva di rappresentazioni ossessive caratterizzate dalla convinzione
di potere vedere realizzate certe sue fantasie avendole semplicemente immaginate.
Capì che la magia, ben lungi dallessere un semplice errore del
modo di pensare razionale come questo fu elaborato durante la rivoluzione
scientifica, è una struttura del pensiero che si riferisce a un
ben determinato stadio di sviluppo del pensiero umano; e che nei soggetti
nevrotici si ripresenta come conseguenza della regressione evolutiva innescata
dalla patologia.
I motivi che spingono a esercitare la magia sono facilmente riconoscibili: sono i desideri delluomo... luomo primitivo ha una straordinaria fiducia nel potere dei propri desideri... A questo punto (quando cioè si è formato il modo di pensare magico) esiste perciò una sopravvalutazione generale dei processi psichici... Le cose retrocedono in secondo piano rispetto alle loro rappresentazioni; ciò che si intraprende con queste ultime deve verificarsi anche con le prime... Riassumendo potremmo ora dire: il principio che regge la magia, la tecnica del modo di pensare animistico, è quello della onnipotenza dei pensieri (S. Freud, Totem e tabù in op.cit., vol.VII, pp.89 91).Anche la filosofia pretende, infatti, di costituire un sistema universale del mondo, non attraverso la sperimentazione, ma dichiarando a priori la possibilità di poterlo fare nellambito del puro pensiero. Una volta approntato il sistema, la realtà vi si dovrà adattare. La filosofia non ha bisogno di sperimentazione, per usare unespressione cara a Leonardo da Vinci essa inizia e termina nel pensiero. La sicurezza che spesso i filosofi mostrano di avere nel puro pensiero, come strumento per levoluzione della civiltà, trova il suo corrispondente in questaltra considerazione di Freud:
In tutte le nevrosi è determinante, ai fini della formazione dei sintomi, non la realtà dellesperienza, bensì quella del pensiero. I nevrotici vivono in un mondo particolare, nel quale, come mi sono espresso altrove, ha corso soltanto la moneta nevroticà; ... il nevrotico rivela quanto egli sia vicino al selvaggio che presume di mutare il mondo esterno con i puri pensieri ( Ibidem, pp.92 93).Comprendendo nel narcisismo il fondamento pulsionale del modo di pensare magico, e noi aggiungiamo, metafisico, Freud disegna uno schema in cui a ogni stadio di questa evoluzione corrisponde un livello della personalità:
Allora la fase animistica corrisponde sia cronologicamente che per il suo contenuto al narcisismo, la fase religiosa corrisponde a quello stadio di rinvenimento delloggetto che si caratterizza per lattaccamento del bambino ai suoi genitori, e la fase scientifica trova il suo esatto corrispettivo in quello stato di maturità dellindividuo che ha rinunciato al principio di piacerè, e, adeguandosi alla realtà, cerca il suo oggetto nel mondo esterno (Ibidem, p.95).Identificando il modo di pensare scientifico con la fase della maturità dello sviluppo psichico occidentale, egli stesso ci informa che tra il modo di pensare metafisico legato al pensiero magico e al principio di piacere e il modo di pensare scientifico legato al pensiero sperimentale / razionale e al principio di realtà, vi è una differenza di livello. Essi si riferiscono a stadi di sviluppo diversi.
2. Greci e Persiani
Non è casuale che la filosofia ebbe una particolare fioritura nelle colonie greche impegnate nella guerra contro la Persia e che i filosofi presocratici fossero anche uomini politici antipersiani. Questa fece infatti da strumento apotropaico contro il pericolo di riattivazioni dionisiache stimolato dalla vicinanza dei Persiani. La filosofia degli esordi, dei primi pensatori ionici, Talete, Anassimandro e altri, tradisce questa associazione, ma il movimento di distacco dal modus mentale arcaico a quello della polis è rintracciabile in tutti i filosofi greci presocratici, almeno fino a Eraclito. Questi filosofi, se da un lato hanno inaugurato una nuova forma di sapienza, dallaltro hanno attinto a piene mani a quella conoscenza dionisiaca che in loro era ancora attiva e vitale. Sarà con Platone e con i sofisti che la soluzione apollinea soppianterà definitivamente quella dionisiaca e la filosofia prenderà, per i successivi duemila e quattrocento anni, la strada della metafisica.
Talete, Anassimandro e Anassimene
Talete viene ricordato come il filosofo che aveva posto lacqua come
principio dellessere, osservando, dai suoi studi scientifici, che il nutrimento
di tutta la materia vivente trae origine da essa. Lacqua è un simbolo
femminile. Come ha osservato Freud, la nascita è sempre associata
mediante un riferimento allacqua. Questo simbolo rappresenta il corpo
della madre in quanto luomo, nella prima fase della sua storia evolutiva,
ha vissuto come embrione immerso nel liquido amniotico . Lacqua rappresenta
dunque il corpo della madre, di cui il bambino si è nutrito nei
nove mesi della gravidanza. La teoria di Talete esprime così una
fantasia incestuosa, intrauterina rimossa.
Ma mentre nella tribù primitive le pulsioni incestuose dei giovani
novizi vengono rimosse mediante unazione collettiva e violenta,
ma certamente efficace allo scopo, e che si conclude con la definitiva
maturità sessuale degli iniziati e il loro ingresso a pieno titolo
nel consesso degli adulti, nella Polis, dove il singolo è lasciato
a se stesso a misurarsi con le sue spinte incestuose, Talete non può
fare altro che nascondere queste spinte dietro un tentativo di razionalizzazione,
che traduce il rito in mito e questo in metafisica, facendogli perdere
il valore concreto che questo possiede nel suo contesto originario. Quello
che rimane è un non ben determinato sapere la cui natura voyeristica
si traduce in curiosità scientifica.
Omero lo aveva già detto che linizio di tutto era stata lacqua:
lOceano era «lorigine degli dei» e «lorigine di tutto».
Da Oceano venne Teti, che veniva chiamata Madre (Il., 14/201 e 246),
e non aveva fatto finta di averlo scoperto come risultato di una speculazione
filosofico-scientifica. Per Omero era un mito, e il mito, come ci ha insegnato
Freud, non rappresenta una realtà materiale bensì una verità
storica . Non pretende di descrivere la realtà bensì ci racconta
in forma simbolica quello che tutti sanno, ovvero che luomo viene dallacqua
dellamnio materno. Il simbolo di quella che è verità universalmente
accettata non ha bisogno di essere riscoperto dalla speculazione scientifica,
a meno che questa verità comune non sia stata rimossa rinnegando
il mito. Il greco dei tempi di Omero non provava interesse nelle origini
scientifiche del mondo poiché era per lui ovvio che luomo nasce
dallacqua materna, questo concetto lo esprimeva attraverso il mito, e
questa era anche lunica verità che lo riguardasse. La cosa interessante
è che la razionalizzazione raggiunge qui, per la prima volta, un
livello altamente elaborato. Notiamo una sistematizzazione della razionalizzazione.
Ogni mito è una razionalizzazione di un rito ma adesso il mito viene
organizzato in modo singolarmente nuovo: fa un salto di qualità,
diventa filosofia, e se da un lato dimostra la forza della nuova sapienza
apollinea, dallaltro comincia quel distacco dalla propria essenza profonda,
quella rimozione del mito stesso, che caratterizza la filosofia occidentale.
Non a caso Platone esprimerà la sua avversione per gli antichi miti,
in quanto voleva sostituire alla verità esistenziale greca una verità
che ribadisse le sue costruzioni filosofiche. Nello stesso tempo, è
presente la regressione del pensiero scientifico al livello del pensiero
magico, un compromesso tra soddisfazione pulsionale e rimozione innalzata
a postulato scientifico. Non sarà certo con la teoria dellacqua
di Talete che i cittadini della Polis potranno conoscere gli strati più
profondi della psiche e la propria essenza pulsionale, anzi, la filosofia
di Talete sembra fatta apposta per poterli sviare da quella che era stata
la realtà esistenziale, ovvero per aiutarli a stendere il velo dellamnesia
sulla verità arcaica.
Anassimandro e Anassimene proseguono sulla scia del loro predecessore.
Secondo Anassimandro, il principio (che conia il termine di à
peiron, lindefinito, lindeterminato) è invisibile allocchio
fisico e, pertanto, non definito, non descritto, non delimitato, (àpeiros).
Se tutto ha un suo disegno, un suo contorno, una sua configurazione,
e determinazione (peras), la sua negazione è un quid indefinito,
indeterminato, senza contorni e perciò senza limiti, là
peiron, . Anassimene critica Talete, e nello stesso tempo ripete il
concetto di Anassimandro: secondo lui, laria è più primordiale
dellacqua (in quanto questa si produce per condensazione di quella), ed
è quindi questa il vero principio. La sua aria è però
un concetto tanto astratto e confuso come quello dell àpeiron
di Anassimandro. Infatti, egli non parla di aria come di qualcosa di
materiale, ma, come dice Adorno, di un non meglio precisato
soffio vitale (?), per cui appunto, la vitalità il soffio
è
energia, vita e dunque essere, che è in quanto si estrinseca, in
quanto soffio indefinito (apeiros), si determina concretandosi: condensandosi
diviene vento, nube, acqua, terra .
Il mito orfico sulle origini del mondo aveva già raccontato
che Nix (la Notte), sotto forma di uccello era stata fecondata dal vento,
la quale depose il suo uovo dargento nellimmenso grembo delloscurità
e da questuovo balzò fuori Eros , Protogonos, ovvero linizio della
vita, così infatti anche Freud definisce lEros, come linsieme
delle pulsioni vitali. Gli ebrei prima di Anassimene avevano già
postulato che la vita è aria, vento, ruah, quella che Dio aveva
infuso nelle narici di Adamo, senza farne una teoria scientifica. Così
credevano, e non sinteressavano della validità scientifica di questa
verità storica.
Invece di essere lacqua omerica a essere linizio di tutto adesso
è il vento. E infatti il bambino, in uno stadio del suo sviluppo,
sostituisce lidea della nascita dalla madre con quella dal padre, come
nel mito biblico è il Signore, il dio-Padre a compiere la creazione.
Lui è il ruah, Lui è la vita. Il greco, prima della nascita
della filosofia, lasciava convivere attraverso i diversi miti queste diverse
concezioni, senza pensare che si contraddicano a vicenda. Alla stessa maniera
il mito biblico è pieno di versioni diverse. Per gli antichi ebrei
queste non rappresentavano una contraddizione, ma la condensazione di verità
storiche diverse.
Eraclito
Le citazioni di Eraclito qui contenute, sono tratte dallŽedizione
dei frammenti di Eraclito di G. Colli, in La sapienza greca, vol. III:
Heraclitus. Adelphi, Milano, 1996, p. 21 e passim.
Eraclito è il pensatore nel quale le tracce del modus arcaicodionisiaco
sono maggiormente presenti. La tradizione dei filosofi ha identificato
in lui il pensatore oscuro, oracolare, enigmatico e sconcertante, altezzosamente
aristocratico, estraniatosi per motivi etico politici dai suoi contemporanei.
Eraclito viene considerato, da tale tradizione, come il filosofo del divenire,
e colui che per primo ha scoperto e introdotto in filosofia la dialettica
dei concetti, nella forma della coincidentia oppositorum.
Il nostro punto di vista, invece, è che in Eraclito troviamo
un modo di pensare che si esprime per enigmi, e questo ci riporta già
alla sfera della sapienza apollinea più arcaica, in cui il dio iniziatico
impone ai novizi la prova mortale della sua sapienza: essi diventeranno
adulti, e cioè uomini iniziati, solo se riusciranno a superare la
prova della sapienza. Laccento quasi ossessivo che Eraclito pone sulla
esigenza della sapienza è da comprendere in questo senso. Quando
egli dice che Il signore, cui appartiene quelloracolo che sta a Delfi,
non dice né nasconde, ma accenna Quando egli dice che
"Il signore, cui appartiene quellŽoracolo che sta a Delfi, non dice n?
nasconde, ma accenna" (framm. 14[A1], Colli), vuole indicare che la sapienza
non può essere, propriamente, insegnata, ma che per ciascun uomo
della Polis, essa è una sfida, una conquista personale, di vitale
importanza: loracolo non può dire, perché altrimenti non
ci sarebbe ricerca, ma non può neppure nascondere, perché
il suo compito non è quello di sviare gli iniziati. Quindi, esso
può soltanto accennare: spetterà agli uomini trovare la
strada.
La sentenza di Eraclito sulloracolo di Apollo (quel signore...)
a Delfi sembra quasi una descrizione del rapporto che lanalista instaura
con il paziente: anche lanalista non dice e non nasconde, ma significa;
egli non impone traguardi allanalizzato, né limitazioni al suo
orizzonte umano. Lanalista, come un moderno oracolo apollineo, accompagna
lanalizzato nel suo percorso, e significa, cioè gli mostra quale
sia il significato (inconscio) del suo comportamento. E opera di colonizzazione
dellEs da parte dellIo, lopera di civilizzazione di Apollo. Con le parole
di Freud: Dovera lEs deve subentrare lIo. È unopera di civiltà,
come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee (S.Freud, " Introduzione alla psicoanalisi", in op.cit., vol.XI, p.190) Ma questo può
essere ottenuto solo attraverso la presa di contatto con limmanenza dionisiaca.
Essa deve essere rivissuta sul lettino dellanalista. Non deve alzarsi
dal lettino insieme allanalizzato ed uscire dalla porta. Rivissuta ma
colonizzata, canalizzata entro la sfera dei parametri della civiltà.
Eraclito allude allo stesso concetto, e nei suoi aforismi continuamente
ce lo dice: Uno sperimentare limmediatezza è la massima eccellenza,
e la sapienza è dire e fare cose vere, apprendendo secondo il nascimento (framm.
14[A15]): lo sperimentare limmediatezza è la stessa fonte della conoscenza
dionisiaca, non-mediata, non-sublimata. Essa è anche lessenza del
dionisiaco. Eraclito la considera come la massima eccellenza, e cioè
il massimo livello della sapienza, che le viene associata, in immediata
susseguenza, nella seconda parte del discorso. Apprendendo secondo il
proprio nascimento, perché lo scopo primo della sapienza è
trovare le radici profonde dellIo, che, come ci ha mostrato Freud, prima
di essere tale era lui stesso Es, attraverso la propria esperienza esistenziale:
troviamo qui, espresso in altre parole, un concetto fondamentale di un
altro grande filosofo dionisiaco, Nietzsche: ognuno può conoscere
solo quello che sa già.
Lessenza dionisiaca della conoscenza emerge anche in questaltro frammento:
Polemos di tutte le cose è padre, di tutto poi è re; e gli
uni manifesta come dei, gli altri invece come uomini; gli uni fa esistere
come schiavi, gli altri invece come liberi. Polemos, e non Logos,
è il signore e padre di tutte le cose. Esso è un attributo
dionisiaco, in quanto si riferisce a ciò che Freud chiama il destino
di ciascun uomo, come ritorno del rimosso che determina la struttura psichica
degli individui, e le differenze tra un uomo e laltro. Esso non appartiene
alla sfera dellIo cosciente, bensì a quella dellEs, che abbiamo
già identificato come il sostrato delle pulsioni dionisiache. In
un altro frammento: La vita è un fanciullo che gioca a dadi, che
sposta i pezzi sulla scacchiera: di un bimbo è il regno. Qui è
chiara lallusione a Dioniso, dio bambino (da cui poi si svilupperà,
nella regressione innescata dal cristianesimo, il culto sterilizzato di
Gesù bambino) che gioca con i dadi, suo attributo divino: cera,
infatti, una storia orfica su Dioniso bambino, che enumerava anche i giocattoli
del nuovo sovrano universale, giocattoli che sono diventati i simboli degli
stessi riti di iniziazione attraverso i quali passò il fanciullo
divino, il primo Dioniso: dadi, palla, trottola .
Ma il punto più rilevante del pensiero di Eraclito si manifesta
anche sotto un altro aspetto, nella coincidenza degli opposti.
Dalla psicoanalisi sappiamo che questo concetto risale ai tempi in cui
gli uomini chiamavano con la stessa parola una cosa e il suo opposto .
Quando Eraclito afferma che Dellarco, invero, il nome è vita,
ma lopera è morte, egli condensa in maniera ermetica lequazione
vita = morte; inoltre, ci dice anche in che modo ciò si realizza:
larco, larma di Apollo, è il simbolo fallico apotropaico con il
quale il dio terrorizza i giovani iniziati. Gli iniziati dovranno morire
simbolicamente come giovani, per potere rinascere come adulti. Dunque,
lopera dellarco è morte, ma il suo nome, cioè la sua essenza
(dare un nome = chiamare, possedere il fallo paterno) è vita, cioè
la rinascita degli iniziati nella loro identificazione con la generazione
degli adulti.
Solo chi ha superato il rito entra a fare parte de clan, e avrà
la conoscenza. Lo stesso concetto è espresso da Nietzsche che, in
Ecce Homo, parlando delle virtù dei Persiani e citando Erodoto (Hist.,
I/136 e 138) , osserva quanto segue: Dire la verità e tirare bene
con larco, ecco la virtù persiana
cè qualcuno che mi capisce?
Nietzsche, che non poteva conoscere il significato dei riti tribali come
è stato messo in rilievo dagli studi etnografici e psicoanalitici,
allude che la verità si esprime nel tirare con larco, cioè
il simbolo fallico maschile, che nel rito iniziatico puberale diventa lo
strumento di Apollo. Ovvero, come adoperare il simbolo fallico del dio,
in simbiosi alla morale della società degli adulti. Dire la verità
e tirare bene con larco, e verità e donna erano già, da
lui stesso, state associate:
Posto che la verità sia una donna, e perché no? Non è forse fondato il sospetto che tutti i filosofi, in quanto furono dogmatici, s'intendevano poco di donne? Che la terribile serietà, la sgraziata invadenza con cui essi, fino a oggi, erano soliti accostarsi alla verità, costituivano dei mezzi maldestri e inopportuni per guadagnarsi appunto i favori di una donna? - Certo è che essa non si è lasciata sedurre - e oggi ogni specie di dogmatica se ne sta lì in attitudine mesta e scoraggiata (Al di Là del Bene e del Male, Adelphi, Milano 1968 e 1977, p.3).
Nietzsche e Eraclito stavano parlando delle stesse cose.
Eraclito: Non comprendono come, disgiungendosi, con se stesso si accordi:
una trama di rovesciamenti, come quella, appunto, dellarco e della lira.
(attributo di Apollo). Anche in questo enigma Eraclito esprime, con lennesima
immagine, la lotta e la conciliazione tra conoscenza dionisiaca e sapienza
apollinea. Come in un sogno, dove lo stesso pensiero inconscio viene espresso
in più immagini distinte, apparentemente sconnesse, così
Eraclito ci presenta in diversi enigmi la medesima esperienza esistenziale:
quella del passaggio dalla conoscenza non-mediata dionisiaca a quella della
sapienza mediata apollinea, dal mondo del rito tribale al dominio della
Polis.
Le stesse tracce mnestiche dei riti di iniziazione tribali sono contenute
in questaltro frammento: E di fronte a lui, che sta laggiù, si
drizzano, e diventano custodi che vegliano sui vivi e i morti. Questo
frammento ricorda in tutto lessenza dei riti di iniziazione tribali, in
modo anche più esplicito di quanto abbiamo descritto precedentemente:
gli iniziati subiscono una morte simbolica, rappresentata nella discesa
agli inferi, dove verranno accolti da Hades, colui che sta laggiù.
Vita = morte: alla morte simbolica segue immediatamente la rinascita come
adulti, e questa è accompagnata dalla maturità sessuale.
Questo momento del rito è condensato nellaforisma in cui Eraclito
ci parla del rizzarsi degli iniziati. Questi, che adesso sono iniziati
ai misteri e ai segreti del clan, sono diventati dei sapienti, ed entrano
a fare parte del consesso degli adulti della tribù. Essi veglieranno,
dora in poi, sui segreti di questa, e a ciò si riferisce la frase
che li descrive come coloro che veglieranno sui vivi e sui morti. I morti
fanno parte della tribù, come i vivi. I nuovi iniziati sono quelli
che, fra poche generazioni, prenderanno con sé i propri figli e
li inizieranno a loro volta, come lo furono loro. Questo passaggio delle
consegne, questo scambio simbolico vita-morte, che va avanti da sempre
e si perpetua allinfinito, ricorda da vicinissimo lEterno ritorno nietzscheano,
che Eraclito sembra presagire, quando dice che Ciò che si concatena,
invero, è principio e fine nel cerchio, per cui il sentire
è ciò in cui si concatenano tutte le cose.
Allo stesso modo, Eraclito conserva lequazione sacro = sacrilego,
dicendo: Se non fosse compiuta per Dioniso la processione, e se non fosse
rivolto a lui il canto dellinno, in realtà senza nessuna venerazione
maneggerebbero oggetti venerabili. Ma lo stesso è Hades e Dioniso,
per cui infuriano e baccheggiano. La caratterizzazione del dionisiaco
è qui esplicitamente posta in relazione al suo carattere ambivalente,
dove accanto alla passione per lebbrezza e per la sfrenatezza, compare
anche la passione per lespiazione, rappresentata da Hades. Ma, come osserva
giustamente Eraclito, Hades e Dioniso sono lo stesso, come infatti ci
raccontano i miti orfici in cui vi è unidentificazione completa
tra il Zeus degli inferi, il Zeus Kathachtonio, e quello dei cieli, il
Zeus Hipsystos e questi con Dioniso .
Non potrebbe esserci nessuna definizione del dionisiaco più
basilare di questa: vita = morte, sacro = sacrilego: lequivalenza degli
opposti della struttura mentale arcaica. In un altro aforisma, Eraclito
dice: Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà
fame, e si altera nel modo in cui il fuoco ogni volta che divampi mescolato
a spezie riceve nomi secondo il piacere di ciascuno.
Mentre Talete aveva estratto dal suo inconscio il simbolo dellacqua
come principio femminile, generatore della realtà, qui Eraclito
sceglie un simbolo opposto a quello dellacqua. Il significato del fuoco
è stato chiarito da Freud, che ha analizzato la leggenda di Prometeo:
il fuoco doveva apparire ai primitivi come qualcosa di analogo alla passione amorosa noi diremmo: come un simbolo della libido. Il calore irradiato dal fuoco evoca la stessa sensazione che accompagna lo stato di eccitamento sessuale, e la fiamma rammenta, per forma e movimenti, il fallo in attività....Allorché noi stessi parliamo del fuoco divorante della passione e del lambire delle fiamme, rassomigliando la fiamma a una lingua, non ci allontaniamo poi tanto dal pensiero dei nostri primitivi antenati (Lacquisizione del fuoco, in op.cit., vol.XI, pp.103 108). .Freud dimostra che il fuoco è quindi un simbolo fallico, ma, analizzando la leggenda di Prometeo, che per avere donato il fuoco agli uomini è condannato a subire il martirio delleterno ciclo del divoramento del fegato e il suo rigenrerarsi per essere divorato nuovamente, giunge a una nuova conclusione: Un altro piccolo passo conduce alla fenice, che rinasce ogni volta più giovane dalla sua morte e che, verosimilmente, più e prima del sole declinante tramonto e perennemente risorgente, voleva significare il pene che si ravviva dopo essersi afflosciato . Questo è il risultato della ricerca sulla leggenda di Prometeo, dunque: Entrambi descrivono la restaurazione delle voglie libidiche dopo la loro estinzione dovuta a sazietà, descrivono cioè lindistruttibilità di queste voglie . A nostro parere, Eraclito afferma lo stesso concetto espresso, secondo Freud, dalla leggenda di Prometeo. Infatti, è facile riconoscere che le parole Il dio... si altera nel modo in cui il fuoco ogni volta che divampi mescolato a spezie riceve nomi secondo il piacere di ciascuno significano proprio leccitamento sessuale. Eraclito riconosce la divinità del fuoco, cioè il suo signoreggiare sugli uomini. Immanenza delle pulsioni, quindi. Ma adesso possiamo capire come mai a questa considerazione Eraclito fa precedere quella sulla polarità degli opposti (giorno...estate...pace....sazietà.../notte...guerra...fame....): è precisamente lo stesso concetto espresso dalla leggenda di Prometeo, come è stato chiarificato da Freud: leterno alternarsi della accumularsi della tensione con la sua scarica nellorgasmo e quindi della sua soddisfazione. Ancora una volta, Eraclito afferma la divinità di questo eterno ritorno.
CAPITOLO QUINTO
LINCONTRO
Il Medio Oriente semitico
Vediamo ora cosa era successo nel frattempo in quel Medio Oriente semitico,
che con linvasione di Alessandro diventerà parte della cultura
greca.
Il Medio Oriente antico, in conseguenza della natura semi-arida del
suo panorama, costituito da deserto, fasce collinose, e valli fertili bagnate
da piogge esclusivamente invernali era abitato, dalla fine del IV millennio,
da tre tipi di popolazioni: il beduino, il pastore semi-nomade, e lagricoltore.
Da un punto di vista etnico non cera differenza alcuna tra questi tre
tipi di abitanti. Dallinizio del secondo millennio, dalla Mesopotamia
alle soglie dellEgitto, tutti parlavano dialetti diversi di una stessa
lingua comune, il semitico nord-occidentale di cui facevano parte il babilonese,
laramaico, lassiro, il cananeo (che comprendeva ebraico- fenicio-
moabita-ammonita) e larabo.
La differenza consisteva in stile di vita.
1) I beduini erano gli arabi, e questi venivano in contatto con gli
altri abitanti solo in due maniere: attraverso la razzia, la scorribanda
improvvisa sul seminato per ritirarsi dinuovo al di là delle dune
del deserto, o il commercio che avveniva per mezzo delle carovane di cammelli
che portavano loro e le spezie dellAfrica orientale, e dal primo millennio
a.C dallIndia, fino alla Siria e allEgitto lungo la costa occidentale
della penisola arabica e dallEgitto attraverso le due grandi strade internazionali
che solcavano il Medio Oriente fino a Damasco.
La loro religione, fino allIslam, non diventò mai articolata
ed era uninsieme di religione animistica e di superstizioni arcaiche.
Pare che il rito principale consistesse ancora dal pasto totemico vero
e proprio, in cui legavano un cammello ad un altare di pietra e poi lo
sbranavano vivo pelle carne e ossa, come questo viene descritto da S.
Nilo ancora nel tardo V sec. della nostra era .
2) I pastori semi-nomadi fino al XIII sec. a.C erano gli ebrei, e il
loro stile di vita è stato descritto fedelmente nel libro della
Genesi dai racconti delle saghe dei Padri, Abramo, Isacco e Giacobbe e
dalle fonti epigrafiche dellarchivio di Tell El-Amarna .
La religione ebraica, prima dellinsediamento in Palestina nel XII-XI
sec.a.C, era già più evoluta di quella dei beduini descritta
da S.Nilo, e aveva già rinunciato al crudo pasto totemico, ma era
ancora una religione fatta di riti tribali, in cui il rito iniziatico puberale
era il rito principale, e infatti erano gli unici semiti, oltre gli arabi,
che mantenevano luso della circoncisione . Le tracce di questi riti emergono
in tutte le storie della Genesi .
Nei secoli che precedettero luscita dallEgitto e la conquista della
Palestina la struttura tribale e patriarcale delle tribù dIsraele
dettò anche la loro religione. Infatti lidea del padre fu tradotta
nel dio Jahveh che per molto tempo rimase il dio particolare delle tribù
ebraiche, prima di evolversi in dio universale, solo dopo il ritorno dallesilio
babilonese verso la fine del VI sec a.C.
Il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe era ancora ben lungi dallessere
un dio cosmico, e solo la mistificazione posteriore dei testi, perpetrata
dalla classe sacerdotale dopo lesilio babilonese, attribuì a questo
dio peculiarità che allalba della storia della nazione non gli
appartenevano certamente .
Era il dio particolare della tribù e quella degli ebrei era
una monolatria esattamente come quella di altri popoli seminomadi, loro
stretti parenti, pastori che verso la metà del secondo millenio
erano nel processo di passaggio a residenti fissi sul lato orientale del
Giordano: gli Ammoniti con il loro dio Milcom e i Moaviti con il loro Chemosh.
3) Gli agricoltori erano i residenti fissi della Mesopotamia, la Siria
e la Palestina e a differenza delle tribù di pastori semi-nomadi
avevano lasciato la monolatria, la religione dellunico padre del clan,
per abbracciare un politeismo che meglio si adattasse alle loro condizioni
di popoli dipendenti dal ciclo delle stagioni e dalla fertilità
della terra.
Il pastore semi-nomade, e come lui il beduino, rimane asseragliato
nella struttura patriarcale della tribù, e quindi tende alla monolatria,
proiettando la figura potente del Padre in quello dellunico dio del clan.
Ha così anche la tendenza a rimuovere la figura della madre e far
dipendere tutto da un dio maschile.
Lagricoltore, invece, ha la tendenza naturale a identificare la terra
che lavora e che gli da i suoi frutti con la madre biologica che era stata
la sua prima fonte di nutrimento, e che diventa così Madre Terra.
Attraverso il contatto giornaliero con essa avviene una reattivazione delle
pulsioni incestuose e unerotizzazione delle attività agricole connesse:
laratura, la semina e il raccolto. Il Pantheon dei popoli che si insediano
in un posto fisso e diventano agricoltori si popola di dee femminili, dee
madri, e dei figli che muoiono e rinascono come personificazione dei cicli
della natura.
Mentre non abbiamo notizia di dee femminili o di culti della fertilità
presso gli ebrei, i moaviti o gli ammoniti fino alla loro metamorfosi in
residenti fissi, nellultimo quarto del secondo millennio, la religione
della maggior parte degli abitanti dellOriente semitico, gli agricoltori,
era quella della dea madre, del dio delle piogge, di dei figli che nascono
e risorgono e il culto della fertilità e delle orge allinterno
dei templi, dove la sacerdotessa era la prostituta sacra. In Palestina,
la terra del Cananeo come definita dalla Bibbia, veniva adorata Asherah,
come madre di tutti gli dei ed era rappresentata come una prostituta nuda
e denominata «Santità» . Le altre due dee principali
erano Anath e Astarte, chiamate «le due Grandi Dee che concepiscono
ma che non partoriscono» .
Tutte le dee cananee erano prostitute sacre, in antitesi a quelle greche,
il cui modello era la verginità. Erodoto ci dice:
Gli Egiziani sono anche i primi che ritennero come pratica religiosa di non aver contatto con donne nei templi e di non entrarvi, dopo il contatto, senzessersi lavati. Quasi tutti, invece, gli altri uomini, eccetto Egiziani e greci, si uniscono alle donne nellinterno dei templi (Hist., II/64)Il padre della storia ci conferma che nel V secolo a.C. il culto principale nelloriente semitico era quello della prostituzione sacra, e lEgitto era leccezione.
Il Signore tuona sulle acque,
il Dio della gloria scatena il tuono,
Il Signore sullimmensità delle acque,
Il Signore tuona con forza,
Tuona il Signore con potenza.
Il tuono del Signore schianta i cedri,
Il Signore schianta i cedri del Libano.
Fa balzare come un vitello il Libano
E il Sirion come un giovane bufalo. (Salmo 29, 4-6)
Davide era associato alla musica e alla danza sfrenata. Limmagine di
Iahvè è ancora la stessa che aveva iniziato i figli dIsraele
sulle falde del monte Sinai, tra tuoni, lampi e suoni terrificanti. È
ancora il dio terribile che provoca con la sua ira cataclismi geologici
come la distruzione di Sodoma e Gomorra, le piaghe dEgitto e apre le acque
del Mar Rosso, Il Signore schianta i cedri del Libano, i più grandi
alberi conosciuti allora, Il Signore fa balzare come un vitello il Libano
E il Sirion come un giovane bufalo. Davanti a questo Dio danzano i vitelli
e i bufali, come aveva danzato Davide davanti al Signore, come le baccanali
davanti a Dioniso e con Dioniso, che danzando sfrenatamente entravano in
orgasmo gridando euoi (p.10). Il Dio stesso è un capro, un vitello,
un giovane bufalo. Le Baccanti gridavano il suo nome come Bromios (il tuonante),
esattamente come tuona il Signore con potenza, e il tuono del Signore schianta
i cedri del Libano, Taurokeros (dalle corna di toro) e Tauroprosopos (dalla
faccia di toro) (p.10), come Iahvè il vitello che salta sul Libano
e lAntilibano, le due catene di montagne più alte della regione.
Nel linguaggio biblico, perennemente sottoposto a censura è il Signore
che fa balzare il vitello, ma lassociazione dio = vitello, dio = giovane
bufalo è lampante. La figura di Davide contiene ancora molti elementi
del capo tribù, più che capo di stato. Solo con fatica riuscì
ad assicurarsi la fedeltà di tutte le tribù dIsraele, che
era sempre molto tentennante, come dimostra la ribellione capeggiata da
Assalonne. Riuscì a guadagnarsi la fiducia degli israeliti solo
dopo aver dimostrato volta dopo volta la sua dedizione a tutto il popolo
dIsraele. E questa era legata alla sua persona, non alle istituzioni della
polis.
Anche il Dio di Davide è ancora un Dio tribale. La sua è
una giustizia molto strana. Manda una carestia di tre anni per un torto
fatto ai Gabaoniti da Saul, che nel frattempo era morto da tempo, e dice:
Su Saul e sulla sua casa pesa un fatto di sangue, perché egli ha
fatto morire i Gabaoniti (2,Sam. 21,1-2), ma quando Davide chiede loro
cosa possa fare per raddrizzare il torto, questi gli rispondono:
Di quelluomo che ci ha distrutti e aveva fatto il piano di sterminarci, perché più non sopravvivessimo in nessuna parte dIsraele, ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo davanti al Signore in Gabaon, sul monte del Signore. Il re disse: Ve li consegnerò. Il re risparmiò Merib-Baal figlio di Gionata, figlio di Saul, per il giuramento che Davide e Gionata, figlio di Saul, si erano fatti davanti al Signore; ma il re prese i due figli che Rizpa figlia di Aia aveva partoriti a Saul, Armoni e Merib-Baal e i cinque figli che Merab figlia di Saul aveva partoriti ad Adriel il Mecolatita, figlio di Barzilai. Li consegnò ai Gabaoniti, che li impiccarono sul monte, davanti al Signore. Tutti e sette perirono insieme. Furono messi a morte nei primi giorni della mietitura, quando si cominciava a mietere lorzo Le ossa di Saul e di Gionata suo figlio, come anche le ossa degli impiccati furono sepolte nel paese di Beniamino a Zela, nel sepolcro di Kis, padre di Saul; fu fatto quanto il re aveva ordinato. Dopo Dio si mostrò placato verso il paesè (2,Sam.21,4-14).Quindi vediamo che la giustizia di Davide è quella della faida di sangue, lunica conosciuta dalle tribù primitive. La morale della tribù è quella del sangue e del giuramento, non esiste altro parametro. Per raddrizzare le cose il re consegna i nipoti di Saul, affinché vengano impiccati. E questa è la giustizia del Signore, solo dopo Egli si placa. Anche oggi tra i beduini, sangue esige sangue, ed è assolutamente irrilevante lintenzione o la colpa di colui il cui sangue deve venire versato, come è irrilevante il tempo passato dal misfatto. I nipoti di Saul vengono messi a morte per un delitto compiuto dal nonno, poiché sono carne della sua carne e sangue del suo sangue, e quindi sono lui stesso e nessuno trova niente da ridire. Non solo, ma il Signore si dichiara soddisfatto solo dopo questa riparazione.
dice il Signore: forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dallEgitto fino a oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. Finchè ho camminato, ora quà, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho forse detto ad alcuni dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: perché non mi edificate una casa di cedro? Ora dunque riferirai al mio servo Davide: così dice il Signore degli eserciti: Io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo dIsraele Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno (2,Sam.7,5-13).Davide e i Giudici prima di lui sono ancora associati al vagare sotto una tenda, al camminare quà e là in mezzo a tutti gli Israeliti, ai pascoli e al gregge.
LEllenismo
Quello che mancava allOriente semitico, per produrre ununica cultura
universale, era la metafisica della religione di Apollo. La religione greca
era infatti lunica ad essere articolata. I vari culti non erano solo espressioni
isolate, ma costituivano un insieme culturale: esisteva una visione del
mondo, una Weltanschauung.
La filosofia greca, già dai presocratici, non era più
solo un insieme di miti, come invece era stato il caso nellOriente semitico,
ma era stato il veicolo per un tentativo di sintesi dinamica che prendeva
forma in maniera progressiva. Da rito a mito a idea a metafisica. Il veicolo
era stato la graduale metamorfosi di Apollo: dai riti della pubertà,
agli insegnamenti e poi gli enigmi del dio delfico, larte, la bellezza
e da questa alla filosofia. Il tutto prendeva una forma coerente e si espandeva
fino ad abbracciare tutta la fenomenologia della realtà esistenziale.
I diversi dei e i rapporti dinamici tra loro erano le componenti di
un mosaico dal quale traspariva un continuo tentativo di sintesi
in unimmagine chiara. I rapporti di forze tra le singole componenti non
erano rigidi, come per esempio in Egitto, e abbiamo già visto come
Dioniso, da una condizione di supremazia agli albori della civiltà
greca, era sceso ed aveva ceduto il suo posto ad Apollo, il quale a sua
volta aveva dovuto condividere il suo trono con unaltra epifania di Dioniso
nella sintesi che ne era emersa con Zeus, dio padre della civiltà
greca, come Dioniso lo era stato nella sua preistoria tribale.
Quando Erodoto nel V secolo identifica il dio sole egizio Ammon con
Zeus (Hist., II/42) è perché in quel momento, prima dellespansione
greca, Zeus era il dio principale dellOlimpo, come il sole era il dio
principale dellEgitto. Possiamo supporre che se Erodoto fosse vissuto
in epoca ellenista, probabilmente avrebbe identificato Ammon con Apollo
e non con Zeus, poiché in epoca ellenista il sole che illuminava
il mondo ecumenico pan-ellenico era Apollo. Questo diventerà il
simbolo del dio universale, mentre Zeus rimase il dio principale della
Grecia, e nei tre secoli che precedettero il cristanesimo dovette cedere
gran parte della sua supremazia al sole cosmico di Apollo che lo detroneggiò
almeno parzialmente, come il Cristo detroneggerà parzialmente il
Padre. Lascesa del carro solare di Apollo nel regno dei cieli è
infatti parallelo allascesa del Cristo in cielo dove si siederà
a fianco del Padre, diventando però, di fatto, la divinità
principale.
Abbiamo visto come, nei secoli che si susseguirono allapice della
cultura classica, Dioniso era stato allontanato sempre di più dalla
coscienza della grecità. Apollo si stava trasfigurando dallimmagine
del dio delfico a quello di un ideale sempre più soffuso. Con lellenismo
era diventato un dio ecumenico: da un lato guadagnò in popolarità,
dallaltro perse in intensità. NellOriente ellenizzato non significava
ormai più il dio iniziatore che aveva terrorizato gli achei sotto
le mura di Troia, ma nmmeno il dio mistico che illuminava la mente greca
con i suoi enigmi ambivalenti. Era diventato unimmagine epidermica, il
simbolo della cultura ecumenica pan-ellenica, limmagine di una cultura,
il suo trade-mark.
Dioniso, nella sua nuova veste di dio della fertilità, era diventato
parallelo a quelli dei culti della fertilità orientali: un
fallo portato in processione da Atene a Eleuthera e ritorno, un dio che
muore e rinasce come Osiris, Tammuz, Adonis e Attis.
Apollo era diventato un dio sole che illumina tutta lecumene pan-ellenica,
ma che nulla ha da proporre tranne il suo simbolo epidermico: quello del
cosmopolitismo.
Alessandro aveva aperto loriente allinfluenza greca, ma i semiti
del Medio Oriente, tranne gli ebrei che erano asseragliati nel loro isolamento
particolare, puritano e iconoclasta, avevano restituito loro pan per focaccia.
I culti della fertilità, festeggiati nei templi delle antiche dee
cananee attraverso le orge e la prostituzione sacra, cominciarono a penetrare
la Grecia, ai cui templi era stata invece relegata la sacralità
delle dee vergini. In Occidente la sacralità delle dee era così
antitetica al modus mentale della prostituzione sacra che questi culti
non riuscirono a spodestare le belle vergini dalle loro cellae, ma diventarono
parte della vita occidentale, sulle alture, nei campi, nella psiche.
Questo è il nuovo Dioniso, non quello dellorgia sacra del pasto
totemico e della tragedia eschilea, bensì il gigolò dal pene
eternamente eretto, la caricatura patetica del proprio sè.