Uno dei compiti del Vescovo in Visita pastorale è quello di controllare la corretta amministrazione dei benefici legati alle cappelle o ai singoli altari.
Molti fedeli, nei loro testamenti, stabilivano che le rendite o i canoni d'affitto, la pars dominica o altre entrate derivanti da case e terreni di loro proprietà costituissero una sorta di dote per una cappella o un altare dedicati ad un Santo da loro venerato, di modo che, annualmente, potesse essere versata una determinata somma al sacerdote beneficiario, detto rettore, che si sobbarcava l'onere di celebrare Messe o funzioni a suffragio dell'anima del testatore e dei suoi familiari defunti, nel numero e nei giorni stabiliti dal testatore stesso.
In generale, nel diritto feudale il termine "beneficium" - equivalente latino di "feudo" - indica un bene concesso in usufrutto in cambio di un servizio di qualunque natura (in questo caso religiosa).
Spesso il beneficio veniva destinato ad un membro della famiglia del testatore
avviato alla carriera ecclesiastica, in modo da garantirgli un introito fisso
su una parte dei beni ereditari. Un altro membro della famiglia, di condizione
laicale, detto patrono, doveva curare l'amministrazione dei beni legati
al beneficio, in modo che l'entrata non venisse a mancare.
Il rettore
del beneficio, spesso insieme al patrono, doveva prendersi cura anche della
manutenzione dell'altare e dei paramenti sacri per le Messe previste dal beneficio
stesso.
Qualora gli obblighi non fossero stati rispettati (come nel caso di Messe non celebrate, o di incuria dei sacri arredi) era diritto e dovere del Vescovo procedere per viam iuris al sequestro degli introiti dei benefici, che venivano riscossi dalla Curia sinché il beneficiario non avesse dimostrato di aver assolto i propri obblighi.
Non
sempre nelle relazioni delle visite pastorali si trova la specificazione dei
beni connessi ai benefici: nella relazione del 1819 non se ne fa parola, mentre
in quella della visita a Campiglia del Vescovo Pecci (1790) sono forniti elementi
interessanti.
In essa si indica, ad esempio, che all'altare di San Giacomo nella Chiesa
di San Biagio era annesso come beneficio il diritto di riscossione della pars
dominica dal "mezzaiolo" Girolamo Tonnini, e di fitti, canoni e
pigioni da Pietro Cardeti, Lorenzo Salviucci, Antonio Marri, Sebastiano Tramontani,
dal Dottor Filippo Coli, dal cerusico Agostino Muzzi, affittuari, coloni o
conduttori della famiglia Marzocchi, in base alle volontà testamentarie
di Ottaviano Marzocchi (testamento del 2 gennaio 1589).
Analogamente,
alla Chiesa di San Filippo Benizi ai Bagni
risulta essere traslato il beneficio intitolato a Maria
Santissima del Petreto, di cui nel 1790 risulta rettore Don Antonio Minetti
di Pienza, con l'obbligo di celebrare una Messa mensile. Il nome del fondatore
del beneficio non viene specificato.
Il rettore non risulta però aver rispettato i suoi obblighi (tra l'altro,
era già stato trovato inadempiente in una precedente Visita pastorale
del 1786): di conseguenza il Vescovo Pecci ordina il sequestro dei canoni
d'affitto che in base al beneficio dovrebbero essere versati al Minetti da
Pietro Guasconi, "abitante al podere detto La Casa Nuova Guasconi".
Il parroco di Campiglia, Giovanni Domenico Canestrelli, viene incaricato di
soddisfare l'obbligo celebrando o facendo celebrare da altro sacerdote le
Messe arretrate, e di provvedervi per il futuro "qualora il rettore
Minetti perseveri nella sua contumacia, con piena facoltà di ritirare
al detto sequestratario la somma che occorrerà per soddisfare detto
obbligo e di accrescere al Sacerdote che dovrà far venire da fuori
l'elemosina delle lire due stabilite nella precedente visita".