Antonio Montanari

Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano"

La memoria cancellata.

Le pochissime notizie su Galeotto Tarlati di Pietramala (1356-
1398), Cardinale "malatestiano" per via materna, giunte sino a noi attraverso lo storico Luigi Tonini, non raccontano nulla del personaggio ma lasciano intravedere molto sulla sua rimozione dalla memoria storica.
Soltanto Gino Franceschini (1890-1974) nel 1964 pubblicava notizie fondamentali sul ruolo svolto dal nostro personaggio nella Chiesa del tempo.
Altri studi, anteriori e successivi, offrono notizie fondamentali per comprendere gli ultimi momenti della sua vita.
Nel 1397 Galeotto fugge da Avignone, soggiorna per alcuni mesi a Valence e poi si reca a Vienne, città «ad Rhodanum fluvium sita», nel Delfinato, dove scompare l'8 febbraio 1398.
Poco prima, Galeotto era stato privato dei redditi della località di Noves, riconosciutigli dal Papa Clemente VII, per colpa di Gilles Bellemère (1342-1407), esponente di spicco della corte di Avignone, di cui diventa vescovo nel 1392.
La questione si trascina dal marzo 1394 all'agosto 1397. Galeotto protesta perché privato di quei redditi di Noves. Ma fa altrettanto, e "bien fort", Bellemère scrivendo pure un trattato per dimostrare in punta di Diritto romano "la justesse de ses prétentions". Siamo proprio alla vigilia della partenza di Galeotto di Pietramala da Avignone per Valence.
Bellemère era in contatto con gli intellettuali umanisti di Avignone, quindi pure con lo stesso Galeotto che di quel gruppo era il protettore (Coville, p. 406). E Galeotto deve aver considerato il gesto di Bellemère un tradimento pieno di pericoli per il suo futuro.

Di fuga di Galeotto da Avignone parla già Girolamo Garimberti (1506-1575), in "Vite, Overo Fatti Memorabili D'Alcvni Papi, Et Di Tvtti I Cardinali Passati" (1567), al cap. XXV, "Della Ingratitudine" (pp. 446-447): «essendo fatto Cardinale da Urbano, et compreso tra i suoi più confidenti e cari, si trouò a machinar contra della dignità sua, insieme con alcuni altri Cardinali, che per questo furono priuati dal Papa; per il che Galeotto insieme con Pileo de Prati Cardinale se ne fuggì in Auignone; doue da Clemente di nuouo fu restituito al Cardinalato; si come di nuouo poco dipoi facendo un'altra ribellione con fuggirsene da Clemente, fu reintegrato da Urbano, et premiato da lui di quella tanta ingratitudine; della quale meritaua di esser castigato; et con quella solità seuerità che forse haurebbe, se Galeotto non l'hauesse preuenuto con la morte nel Monte dell'Auernia, doue stà sepolto nella Chiesa de Frati Minori».

La notizia della fuga non è accettata da Etienne Baluze (1630-1718) che nelle sue "Vitae Paparum Avenionensium" (Muguet, Parigi 1693) osserva: «Illum Hieronymus Garimbertus, scribit mortuum esse in monte Alvernae in summis Apennini jugis ibique sepultum in ecclesia fratrum Minorum. Errat sane dum scribit illum rediisse in gratiam cum Urbano sexto. Nam id falsum esse manifeste patet ex epistola ejus ad Romanos supra commemorata, etex eo quod mortuus est Viennae» (col. 1364).
La falsità della notizia sulla fuga è dedotta in Baluze dalla epistola di Galeotto «Ad Romanos», di cui lui stesso parla alla col. 1363: [Galeotto] «scripsit gravem epistolam ad cives Romanos; in qua eos primo redarguit quod ipsi fuerint auctores schismatis, deinde hortatur ut eidem Benedicto, quem multis laudibus ornat, obedientiam prestent».
Se la fuga è del 1397, questa epistola «Ad Romanos» risale invece al 2 dicembre 1394 (cfr. E. Ornato, "Jean Muret et ses amis: Nicolas de Clamanges et Jean de Montreuil", Genève-Paris, 1969, p. 28).
Il titolo della lettera «Ad Romanos» è: «Deflet horrendum schisma, hortaturque eos, ut adhaerendo Benedicto XIII, ipsi finem imponant».


Inoltre, nell'epistola XII di Nicolaus de Clemangiis, "Mallem tibi laetiora" (su cui ritorniamo infra), si precisa che Galeotto era stato Cardinale "nuper", ovvero "nei tempi andati" ("Sacrosanctae nuper Romanae Ecclesiae Diacon Cardinalis"). Ma di questo passo non c'è traccia in Baluzio.

L'attacco a Galeotto nell'ambiente avignonese va di pari passo all'ascesa politica dei Malatesti nel mondo pontificio romano, quando Pandolfo III (fratello di sua madre Rengarda) è nominato comandante supremo delle armi della Chiesa, e mentre un cugino di Pandolfo III, Leale, è vescovo di Rimini (1374-1400).
Tutto ciò sembra creare un contesto di ostilità 'religiosa' verso Galeotto, che prelude alla sua fuga da Avignone sul finire del 1397.

Jean de Launoy (1603-1678) definisce Galeotto "celebre pour sa pieté et pour son erudition", anche se per le sue amicizie culturali, egli osserva, non fu un buon Cattolico.
Jean de Launoy, circa queste amicizie, fa il nome di Nicolas de Clamanges, autore di un "Trattato" sulla rovina della Chiesa ("De ruina et reparacione ecclesie"), apparso in traduzione francese nel 1564. "Un traité conçu pour la défense de l'Église catholique, par un esprit tout pénétré des idées de saint Augustin, ait pu servir, dès le XVIe siècle, à étayer la propagande de la Réforme", come osserva nel 1938 Robert Boussat, recensendo il volume apparso due anni prima a cura di Alfredo Coville, e dedicato appunto a quella traduzione del 1564.
Coville (p. 32) ci illumina con questa osservazione: Nicolas de Clamanges non legò con nessun Cardinale, "sauf Galeotto di Pietramala qui était peut-être dans une situation un peu fausse à la Cour pontificale".

Clamanges è famoso per aver rinunciato alla carica di segretario pontificio dell'Antipapa Benedetto XIII, disgustato dalla corruzione allora comune ad ogni corte pontificia, come ricorda Jacques Lenfant nella sua storia del Concilio di Costanza (p. XXXVIII).
Lo stesso Nicolas de Clamanges, nella ricordata, celebre epistola XII "Mallem tibi laetiora" (diretta "Ad Gontherum Colli, Galliae Regis secretarium", ovvero Gontier Col, segretario di Carlo VI e di Giovanni, duca di Berry, e nella primavera del 1395 ambasciatore ad Avignone), offre la notizia della scomparsa "clarissimi viri et optimi Galeoti de Petra Mala", e precisa che Galeotto era stato Cardinale "nuper", ovvero "nei tempi andati" ("Sacrosanctae nuper Romanae Ecclesiae Diacon Cardinalis").
Il che significa che si era dimesso da ciò che Nicolas stesso definisce come "il vertice pesante di una eminente carica" ("in praecipui honoris arduo culmine positus").
Questo passo dell'epistola XII documenta il contrasto fra Galeotto ed il Papato di Avignone, autorizzandoci a parlare di una fuga del nostro Cardinale da quella Corte pontificia.

Nicolas de Clamanges come Rettore dell'Università di Parigi fu in rapporto diretto con Regno e Papato: scrive infatti una lettera al Re Carlo VI, due a Papa Clemente VII, due ai Cardinali d’Avignone ed una a papa Benedetto XIII, come leggiamo in un testo di tesi di laurea del 1849, presentata da Alexis Descazals.
Il quale annota: «ses avis et ses conseils furent appréciés à Paris comme à Avignone. Benoît XIII fut même tellemet charmé de Clémangis, qu'il se décida à l'appeller après bien des hésitations, accepta ce poste important dans l'espoir d'être utile à l'Église; mais ses espérances furent déçues. Eloigné des conseils secrets de la papauté par ceux auxquels trop de franchise aurait pu nuire, il se vit forcé de résigner ses fonctions en 1397».

Il viaggio di Galeotto a Valence e Vienne (una città in grave crisi politico-religiosa), avviene in un particolare momento della storia del regno di Francia, quando Carlo VI (in carica dal 1380) cerca di chiudere il Grande Scisma.
A Parigi nel 1324 Marsilio da Padova (Rettore dell'Università parigina tra 1312 e 1314), ha composto il "Defensor Pacis", opera in cui si nega ogni potere giurisdizionale o politico alla gerarchia ecclesiastica. Per Marsilio, il vero "Defensor Pacis" era il potere politico dell'imperatore, non quello religioso del Papa.
Il 23 ottobre 1327 Giovanni XXII condanna l'opera di Marsilio, per cinque tesi in essa sostenute, ed ordina (invano) il suo arresto.

Questo sfondo politico è molto anteriore, ma sembra condizionare anche la scelta di Galeotto di andarsene da Avignone alla fine del secolo, se stringe rapporti con l'ambiente umanistico di Parigi di cui fa parte Nicolas de Clamanges. Il quale redige le nove epistole ufficiali dell'Università di Parigi, che aveva affrontato la questione della fine dello Scisma.
Di quelle epistole c'è un significativo apprezzamento sullo stile, da parte di Galeotto di Pietramala, "Cardinale letterato" come lo si definisce ancor oggi (Jean-Claude Polet, "Patrimoine littéraire européen,VI, Prémices de l'humanisme, 1400 - 1515", Bruxelles 1995, p. 155).

Divenuto Cardinale "romano" nel 1378 grazie al nonno Galeotto I, Galeotto Tarlati di Pietramala sembra perdere prestigio e ruolo proprio per colpa dei parenti, mentre altre questioni pratiche, legate alla mancanza dei redditi della località di Noves, possono aver giocato un ruolo non secondario.
Al suo debutto avignonese (1387), Galeotto ha ricevuto aiuti finanziari consistenti da parte della corte savoiarda che cercava buoni rapporti con l'Antipapa Clemente VII [B. Galland, 1998].
Due anni dopo (1389), «un compte de la Chambre apostolique se réfère explicitement au séjour effectué par Galeotto en Savoie: le pape lui avait adressé la somme de 3000 florins "pro statu suo tenendo, dum adhuc erat in Sabaudia". [...] Certaines compensations financières accordées à Galeotto furent supportées par les églises de Savoie: le cardinal reçut ainsi une assignation de 400 florins d'or sur les revenus de la mense episcopale de Maurienne» [B. Galland, 1998].
[Alle note bibliografiche.]

Galeotto, nominato a ventidue anni nel 1378, passa attraverso momenti drammatici della vita della Chiesa, quando Papa Urbano VI fa uccidere il Vescovo dell'Aquila Stefano Sidonio (1385) e cinque Cardinali (1386): Marino del Giudice, Giovanni d'Amelia, Bartolommeo di Cogorno, Ludovico Donati e Gentile di Sangro, «personaggi tutti de' più dotti e cospicui del sacro Collegio», scrive Ludovico Antonio Muratori. Urbano VI, gettando il Vangelo alle ortiche, prepara quel clima di intolleranza che sfocia nei roghi "conciliari" di Costanza per uccidere, in nome della Croce, Giovanni Huss (1415) e Girolamo da Praga (1416).
E per far bruciare nel 1428, nella diocesi inglese di Lincoln, i resti di John Wycliff, morto nel 1384, di cui Huss era stato il continuatore: le sue ceneri furono gettate nelle acque del fiume Clyde in Scozia, in esecuzione di un decreto emanato quattordici anni prima, dopo che i suoi libri erano stati banditi nel 1403 e dati alle fiamme nel 1415 quando lo si dichiarò eretico appunto a Costanza.
Una recente biografia di Papa Urbano VI, composta dal giornalista Mario Prignano, riprende l'infondata versione di un Galeotto che, assieme al collega Pileo da Prata, studia un piano per far uccidere il Pontefice, come aveva confessato sotto tortura un canonico che era stato al servizio di un altro Cardinale, Bartolomeo Mezzavacca, Vescovo di Rieti, ben conosciuto dal collega "malatestiano" e reputato l'organizzatore della trama contro Urbano VI (Urbano VI. Il Papa che non doveva essere eletto, Genova-Milano 2010, p. 250; cfr. la voce Mezzavacca, Bartolomeo, DBI, 74, 2010, a cura di S. Fodale).
Il padre di Galeotto, Masio [Tommaso] Tarlati, è Magistrato municipale di Rimini dal 1346 al 1347. Illustre cugino del padre di Masio, è il Vescovo Guido Tarlati, Signore di Arezzo (dal 14 aprile 1321 alla morte, avvenuta il 21 ottobre 1327), deposto e scomunicato il 17 aprile 1326, come si legge nella Cronica di Giovanni Villani.



Nel 1327 Guido Tarlati, «ad onta del Pontefice», corona re d'Italia Ludovico IV il Bavaro.
[Alla pagina Guido Vescovo ed il suo tempo.]
A Rimini Masio trova occupazione e moglie: Rengarda Malatesti, figlia di Galeotto I, il cui fratello Malatesta Antico Guastafamiglia ha un figlio «spurio», Leale, che diventa Vescovo di Pesaro (1370-1374) e poi di Rimini sino al 1400.



I Tarlati di Arezzo assumono il ruolo di antagonisti della Chiesa sin dal 1306, agendo proprio in Romagna. Il Vescovo Guido, per il ruolo politico svolto, ben più ampio di quello attribuitogli dal governo aretino, va incontro alla censura ecclesiatica. Dopo che Ludovico IV nel 1324 ha dichiarato deposto Papa Giovanni XXII («appello di Sachsenhausen», dal nome della città in cui fu pubblicato il 22 maggio 1324), il Pontefice avignonese (che lo ha scomunicato il 23 marzo 1324 e dichiarato decaduto l'11 luglio 1324 quando era re di Germania dal 1322), non può che punire Guido Tarlati, ritenendo l'esercizio della Signoria come la negazione dell'episcopato.
A proposito della «cattività» (1305-1377) dei Papi in Avignone, ricordiamo che Malatesta Antico vi si reca nel 1357, fermandosi presso la corte di Innocenzo VI per tre mesi e mezzo; e che nel 1366, dopo una visita di due anni prima, vi troviamo presente Malatesta Ungaro, come promotore di una lega contro le compagnie di ventura.

Il ricordo del nostro Galeotto è scomodo non tanto per azioni sue o responsabilità della famiglia della madre, quanto per il fatto che la memoria di lui avrebbe costretto a raccontare onestamente risvolti angoscianti (che si è preferito censurare) sullo scontro tra Papi ed Antipapi nel Grande Scisma (1378-1417).
Quando i Malatesti con Carlo (zio del Cardinal Galeotto e di Sigismondo) diventano protagonisti ai Concili di Pisa (1409) e Costanza (1415), come le cronache puntualmente registrano, sulla loro esperienza non poteva non proiettarsi l'immagine dello stesso Galeotto da Pietramala, dotto umanista e coraggioso uomo di Chiesa, capace di proporre nel 1395, con una celebre lettera, la via di risoluzione dei contrasti tra Roma ed Avignone, facendo dimettere il Pontefice di quest'ultima città, Benedetto XIII, dove lui stesso si era rifugiato. A Benedetto XIII, Pedro Martínez de Luna, eletto il 28 settembre 1394, Galeotto era molto legato da comuni interessi intellettuali.
Galeotto diventa in tutt'Europa una figura rispettata per la sua capacità di studiare e dibattere temi culturali e questioni teologiche, come documentato in numerosi volumi anche recenti.
Da Costanza, Carlo Malatesti non poteva non riportare a Rimini la consapevolezza che questo Cardinale meritava d'essere onorato. Nulla di più consono allo spirito di Galeotto da Pietramala (morto a Vienne nel Delfinato, e poi sepolto alla Verna), è il progetto umanistico del Tempio di Sigismondo Pandolfo, dove il "non detto" è più loquace di tante analisi che non collocano storicamente e culturalmente la lettura delle immagini e delle idee che le hanno generate, nel gran momento dell'Umanesimo.
Il Tempio di Sigismondo realizza i progetti albertiani di un "umanesimo civile", che si leggono nella Cappella delle Arti liberali: la Natura, attraverso l'Educazione, dà forma al Pensiero (Filosofia) tramite Letteratura, Storia, Oratoria, Metafisica, Fisica e Musica. La Natura, ci viene poi spiegato, si conosce attraverso Geografia, Astronomia, Logica, Matematica, Mitologia e la Scienza della stessa Natura che, sorridendo luminosamente, ci apre al discorso sulle finalità che ha la Cultura: educare alla "polis", creando Concordia tra i cittadini, ai quali tocca di costruire la "Città giusta" che, con le sue leggi, mira alla formazione di persone moralmente integre.
Non è soltanto l'antica lezione platonica, ma pure quella che a Bologna, in quell'Università attorno al 1430, delinea Lapo di Castiglionchio, come nel 1956 scriveva Ezio Raimondi. A dimostrazione che sono le idee a muovere il mondo, e non è il mondo che fa circolare le idee. Anche l'Umanesimo malatestiano di Rimini lo sapeva. Noi continuiamo a non accorgercene.



NOTA BIBLIOGRAFICA
Il testo di G. Franceschini è Alcune lettere del Cardinale Galeotto da Pietramala, in «Italia medievale e umanistica», VII, Padova 1964, pp. 375-404. Non per nulla Dario Cecchetti (Paris 1982), nella nota 5 di pagina 27 del suo fondamentale testo Petrarca, Pietramala e Clamanges, scriveva che su Galeotto Tarlati di Pietramala «la raccolta di dati bio-bibliografici più ampia esistente» era appunto nel saggio di Franceschini.
Su Guido Tarlati, cfr. il saggio di Flavia Negro, Vescovi signori e monarchia papale nel Trecento, in «Signorie italiane e modelli monarchici (secoli XIII-XIV)», a cura di P. Grillo, Roma, 2013, pp. 181-204. A Flavia Negro si deve un importante discorso sui rapporti fra i Tarlati e la Chiesa.
Per il testo di Ezio Raimondi, cfr. I sentieri del lettore, I, Da Dante a Tasso, a cura di A. Battistini, Bologna 1994, p. 208.
Per l'epistola XII "Mallem tibi laetiora" di Nicolas de Clamanges, cfr. "Epistolae", p. 49, in N. De Clemangiis, "Opera omnia", apud Iohannem Balduinum, Lugduni 1613. Cfr. pure "Vita Nicolai de Clemangiis", 1696, nel primo tomo di "Rerum Concilii Oecumenici Constantiensis", Genschi, Francoforte e Lipsia 1697, p. 75. Qui si trova la precisazione che l'epistola XII fu composta in Avignone, ed era diretta "Ad Gontherum Colli, Galliae Regis secretarium", ovvero a Gontier Col che fu anche attento ed appassionato umanista. Gontier Col conosce Galeotto nella sua missione come ambasciatore regio nella primavera del 1395.
Su Gontier Col, cfr: Alma de L. Le Duc, "Gontier Col and the French Pre-Renaissance", Lancaster 1918, p. 11; A. Coville, "Gontier et Pierre Col et l'humanisme en France au temps de Charles VI", Parigi 1934 (qui su Galeotto, cfr. pp. 167-186: a p. 171 si legge che Clamanges arriva ad Avignone alla fine del 1397 come segretario di Benedetto XIII e "Galeotto fu son patron"): a Col è dedicato il cap. IX, pp. 187-190; ed infine C. Bozzolo, "L'humaniste Gontier Col et Boccace", in "Tableaux Vivant", Lovanio 2002, pp. 15-22.
Per la fuga a Valence, cfr. H. Gilles, "La vie et les œuvres de Gilles Bellemère", Bibliotheque de L'Ecole des Chartes, CXXIV, pp. 30-136, 116-117.
Le altre indicazioni bibliografiche si troveranno nelle singole pagine che saranno pubblicate.
Lo stemma del Vescovo Guido Tarlati, è ripreso dal sito: www.arezzocitta.com.
Per altre notizie sullo stemma, si veda in questa nostra altra pagina.

AVVISO.
Nella precedente edizione di questa pagina, aggiornata il 5.9.2015, al posto della frase "Illustre cugino del padre di Masio, è il Vescovo Guido Tarlati, Signore di Arezzo", si leggeva "Illustre fratello di Masio...".

L'immagine dell'epistola XII di Nicolaus de Clemangiis, "Mallem tibi laetiora", rimanda al volume dell'Opera omnia di Nicolaus de Clemangiis, Lugduni Batavorum 1613, p. 49.

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