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[ Grassano,
paese del "Cristo" ]
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Racconto Segnalato come
"meritevole di pubblicazione"
Cosa c'è di più stupido e orrendo di una
guerra ?
Attraversando quella specie di canale, Emir non si rendeva bene conto di quello che stava facendo. Non sapeva neanche dove stava andando di preciso. E poi quello non era un canale. Era una tomba. Una tomba all'aria aperta. Non riusciva nemmeno a capire quali fossero le sensazioni che stava sentendo dentro di sé. Non era dolore. Non era disperazione. Né paura. Né ribrezzo. Né panico. Non era spavento. Nemmeno terrore, tristezza, angoscia o sofferenza. Forse, in tutto l'universo, non era ancora stata creata
una parola che potesse riflettere, in modo adeguato, quello che realmente provava. Quello
che vedeva era impressionante. La Morte era davvero impressionante. I corpi giacevano lì, sulla nuda terra, in perfetta successione quasi geometrica. Nessuna distinzione, nessuna discriminazione, nessuna differenza. La Morte non fa differenze. Donne, uomini, vecchi, bambini, neonati, giovani ragazzi e candide ragazze. Tutti perfettamente allineati in quella larga e lunghissima fossa scavata in quella radura, a pochi chilometri dal piccolo paese. A vederla da lontano la fossa non pareva così estesa ( Emir pensò ), non sembrava potesse contenere tutta questa Morte. Lentamente le sensazioni stavano assumendo la loro reale forma. Insensibili e potenti. Disgusto. Fu questa la prima reazione che Emir provò. Un profondo e pressante senso di disgusto. Quasi vomitò. Appena si era calato all'interno della fossa, la puzza, che già aveva sentito ancora debole qualche centinaia di metri più in là, adesso era invece tanto forte e penetrante da far quasi lacrimare gli occhi. Lo stomaco cominciò a vivere di vita propria ( per quanto fosse possibile che qualcosa avesse ancora vita in quel luogo ). Emir non ricordava di aver mai provato prima un senso di nausea più violento di quello. Avrebbe voluto trovarsi in qualsiasi altro posto. Ma non lì. I corpi non erano ancora in avanzato stato di decomposizione, anche se questo Emir non era in grado di saperlo. L'unica persona morta che aveva visto in tutta la sua vita, prima di quel maledetto giorno, era stata sua nonna e, più che morta, sembrava essersi addormentata. Ricordò di averla anche baciata. Fu l'ultimo saluto che le diede prima che volasse in cielo. All'improvviso ritornò alla realtà. A quella realtà. Un violento uragano si fece strada prepotentemente all'interno del suo corpo. Salì veloce dallo stomaco, per esplodere e fuoriuscire, con tutta la sua forza, dalla bocca. Dopo alcuni minuti ad Emir sembrò di aver vomitato anche l'anima. E forse era stato proprio così. Chissà se il demonio era stato veloce e l'aveva presa. Qualcuno gli diede una mascherina. Il malessere fisico passò. Adesso non sentiva più nessun odore ed il cervello ricominciò a funzionare e a capire. Tutt'intorno alla fossa c'era un continuo movimento di flash, telecamere e macchine fotografiche. Probabilmente tutto il mondo già sapeva di quel massacro. Emir avrebbe tanto voluto trovarsi dall'altra parte dello schermo della televisione, seduto su una comoda poltrona, a guardare senza troppo interesse e con falsa commiserazione quei corpi distesi in terra senza vita, sapendo che dopo poche ore li avrebbe già dimenticati. Cose che succedono in un mondo come il nostro ( si sarebbe detto ). Invece si trovava all'interno della fossa, ad osservare da vicino quell'ammasso di carne umana senza più speranze, sogni, sorrisi, gioie e dolori. Si rese conto quanto, dal vivo, le cose fossero molto differenti. Altre volte aveva visti immagini simili alla TV o in qualche film, ma adesso poteva realmente vedere e vivere in prima persona quello che aveva sempre osservato filtrato da una telecamera o da una fotografia. Era davvero orrendo. C'erano bambini sgozzati. Il taglio del coltello era così profondo che Emir poteva chiaramente vedere un ampio sorriso di sangue che si apriva sul collo di quelle piccole creature. Le mosche passeggiavano tranquillamente all'interno di questa bocca che partiva da un orecchio e arrivava fino all'altro. Non avrebbe mai più dimenticato quell'immagine. Mille e mille volte, nei suoi più paurosi incubi, avrebbe rivisto il terrore dipinto sul volto di quei bimbi dilaniati da mani crudeli. Quella mattina, quando era stato avvisato per telefono, Emir non aveva ben capito quale sarebbe stato il suo compito. Erano stati piuttosto vaghi e gli avevano solo detto di recarsi al più presto al suo paese natale, dove risiedeva da sempre la sua famiglia. Suo padre aveva appena quaranta anni. Aveva perso un braccio ed entrambe le gambe a causa di una mina. Era successo due anni prima di quel tremendo giorno. Sua madre era costretta a restare in casa, per accudire suo marito ed i suoi figli. Emir era il più grande, con i suoi sedici anni e mezzo. Le sue due sorelle avevano, rispettivamente, due anni e mezzo e cinque anni. Suo fratellino aveva quasi nove anni. Emir li adorava. Non aveva problemi a lavorare in città per la sua
famiglia, anzi lo faceva con piacere, nella convinzione che un giorno sarebbe riuscito a
portarli lontano da quel posto e dalla pazzia omicida della guerra. Si sarebbe sposato con Irma. Avrebbero avuto tanti figli e sarebbero vissuti insieme a tutta la sua famiglia. Egli viveva nella convinzione che, prima o poi, ci sarebbe riuscito. Questo era il suo unico desiderio. Non voleva denaro, potere o altro. Sognava solo di
vivere in pace. Tutto il paese era stato massacrato. Tutti gli abitanti erano stati uccisi. Solo alcuni erano riusciti a scappare. Il suo compito era quello di provare ad identificare i
cadaveri, in modo da poter dare un nome a quei corpi senza vita. Aveva pensato di domandare come avevano fatto a
rintracciarlo, poi aveva deciso che non aveva nessuna importanza. Infine, dentro lui, una
speranza, all'inizio debole e lontana, si era trasformata di colpo in una preghiera. Quel Dio che, da quel momento, non sarebbe più
esistito per lui. Riconobbe il sindaco del paese. Aveva un lungo taglio ( forse di coltello) che andava da un occhio fino al mento. Li conosceva tutti. Il sacerdote teneva stretto fra le mani un crocifisso,
che non lo aveva però salvato da quella terribile fine. Il suo stomaco era completamente
aperto, forse un colpo di fucile. Lo coprirono con un telo.
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