logo_banca.gif (9025 byte)

 

 

tataruglogo.gif (9243 byte)
© Salvatore Zimone

 

 

[ Home Page ]


[ Il Regolamento del Concorso ]


[ Come partecipare ]


[ Le opere premiate nel 2003 ] new.gif (2214 byte)


[ La passata Edizione ]

 

[ Grassano, paese del "Cristo" ]


[ Come arrivare ]


[ Una Terra da Scoprire ]


[ Suggestioni sull'altopiano ]


[ Storie d'argilla ]


[ Sculture di terra ]


[ Albino Pierro ]


[ email ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Webmaster
Associazione Amici della Poesia


livre.gif (13920 byte)votlogo2.gif (9924 byte)logo.gif (6876 byte)votlogo1.gif (11500 byte)

 

 

Racconto Segnalato come "meritevole di pubblicazione"

Sentieri di guerra

di Alessandro Mereu di Sant'Antioco (Cagliari)

 

 

Cosa c'è di più stupido e orrendo di una guerra ?
Forse solo un'altra guerra.

 

 

Attraversando quella specie di canale, Emir non si rendeva bene conto di quello che stava facendo. Non sapeva neanche dove stava andando di preciso. E poi quello non era un canale. Era una tomba. Una tomba all'aria aperta.

Non riusciva nemmeno a capire quali fossero le sensazioni che stava sentendo dentro di sé.

Non era dolore. Non era disperazione. Né paura. Né ribrezzo. Né panico. Non era spavento. Nemmeno terrore, tristezza, angoscia o sofferenza.

Forse, in tutto l'universo, non era ancora stata creata una parola che potesse riflettere, in modo adeguato, quello che realmente provava. Quello che vedeva era impressionante. La Morte era davvero impressionante.
Emir continuava a camminare, disorientato, mentre la Morte faceva bella mostra di Sé, cercando di sembrare il più normale possibile, quasi banale. Come buoni amici, Emir e la Morte, si trovavano l'uno accanto all'Altra. Mano nella mano. Emir e la vecchia Signora Morte.

I corpi giacevano lì, sulla nuda terra, in perfetta successione quasi geometrica. Nessuna distinzione, nessuna discriminazione, nessuna differenza. La Morte non fa differenze. Donne, uomini, vecchi, bambini, neonati, giovani ragazzi e candide ragazze. Tutti perfettamente allineati in quella larga e lunghissima fossa scavata in quella radura, a pochi chilometri dal piccolo paese.

A vederla da lontano la fossa non pareva così estesa ( Emir pensò ), non sembrava potesse contenere tutta questa Morte. Lentamente le sensazioni stavano assumendo la loro reale forma. Insensibili e potenti.

Disgusto. Fu questa la prima reazione che Emir provò. Un profondo e pressante senso di disgusto. Quasi vomitò.

Appena si era calato all'interno della fossa, la puzza, che già aveva sentito ancora debole qualche centinaia di metri più in là, adesso era invece tanto forte e penetrante da far quasi lacrimare gli occhi.

Lo stomaco cominciò a vivere di vita propria ( per quanto fosse possibile che qualcosa avesse ancora vita in quel luogo ). Emir non ricordava di aver mai provato prima un senso di nausea più violento di quello. Avrebbe voluto trovarsi in qualsiasi altro posto. Ma non lì.

I corpi non erano ancora in avanzato stato di decomposizione, anche se questo Emir non era in grado di saperlo. L'unica persona morta che aveva visto in tutta la sua vita, prima di quel maledetto giorno, era stata sua nonna e, più che morta, sembrava essersi addormentata. Ricordò di averla anche baciata. Fu l'ultimo saluto che le diede prima che volasse in cielo.

All'improvviso ritornò alla realtà. A quella realtà. Un violento uragano si fece strada prepotentemente all'interno del suo corpo. Salì veloce dallo stomaco, per esplodere e fuoriuscire, con tutta la sua forza, dalla bocca.

Dopo alcuni minuti ad Emir sembrò di aver vomitato anche l'anima. E forse era stato proprio così. Chissà se il demonio era stato veloce e l'aveva presa.

Qualcuno gli diede una mascherina. Il malessere fisico passò. Adesso non sentiva più nessun odore ed il cervello ricominciò a funzionare e a capire.

Tutt'intorno alla fossa c'era un continuo movimento di flash, telecamere e macchine fotografiche. Probabilmente tutto il mondo già sapeva di quel massacro.

Emir avrebbe tanto voluto trovarsi dall'altra parte dello schermo della televisione, seduto su una comoda poltrona, a guardare senza troppo interesse e con falsa commiserazione quei corpi distesi in terra senza vita, sapendo che dopo poche ore li avrebbe già dimenticati. Cose che succedono in un mondo come il nostro ( si sarebbe detto ).

Invece si trovava all'interno della fossa, ad osservare da vicino quell'ammasso di carne umana senza più speranze, sogni, sorrisi, gioie e dolori.

Si rese conto quanto, dal vivo, le cose fossero molto differenti. Altre volte aveva visti immagini simili alla TV o in qualche film, ma adesso poteva realmente vedere e vivere in prima persona quello che aveva sempre osservato filtrato da una telecamera o da una fotografia.

Era davvero orrendo. C'erano bambini sgozzati. Il taglio del coltello era così profondo che Emir poteva chiaramente vedere un ampio sorriso di sangue che si apriva sul collo di quelle piccole creature. Le mosche passeggiavano tranquillamente all'interno di questa bocca che partiva da un orecchio e arrivava fino all'altro.

Non avrebbe mai più dimenticato quell'immagine. Mille e mille volte, nei suoi più paurosi incubi, avrebbe rivisto il terrore dipinto sul volto di quei bimbi dilaniati da mani crudeli.

Quella mattina, quando era stato avvisato per telefono, Emir non aveva ben capito quale sarebbe stato il suo compito. Erano stati piuttosto vaghi e gli avevano solo detto di recarsi al più presto al suo paese natale, dove risiedeva da sempre la sua famiglia.

Suo padre aveva appena quaranta anni. Aveva perso un braccio ed entrambe le gambe a causa di una mina. Era successo due anni prima di quel tremendo giorno. Sua madre era costretta a restare in casa, per accudire suo marito ed i suoi figli.

Emir era il più grande, con i suoi sedici anni e mezzo. Le sue due sorelle avevano, rispettivamente, due anni e mezzo e cinque anni. Suo fratellino aveva quasi nove anni. Emir li adorava.

Non aveva problemi a lavorare in città per la sua famiglia, anzi lo faceva con piacere, nella convinzione che un giorno sarebbe riuscito a portarli lontano da quel posto e dalla pazzia omicida della guerra.
E poi, al paese, c'era Irma. Il suo unico grande amore.
Avrebbe portato via anche lei. Lontano.
Nelle sue notti Emir sognava l' America, a volte l' Italia, la Francia o qualche bellissima città, piena di persone tranquille, ospitali e, soprattutto, in pace.

Si sarebbe sposato con Irma. Avrebbero avuto tanti figli e sarebbero vissuti insieme a tutta la sua famiglia. Egli viveva nella convinzione che, prima o poi, ci sarebbe riuscito. Questo era il suo unico desiderio.

Non voleva denaro, potere o altro. Sognava solo di vivere in pace.

Quel giorno, quando arrivò al suo paese, alcune persone che chissà da dove erano arrivate, gli indicarono la strada per la fossa. Al suo arrivo aveva trovato i soldati dell' ONU, i giornalisti provenienti da ogni parte del globo, le televisioni rapaci, la puzza dei cadaveri. E la Morte.
Qualcuno, di cui ora non ricordava nemmeno il viso, gli si era avvicinato.
Avevano parlato ed Emir aveva cominciato a capirci qualcosa.

Tutto il paese era stato massacrato. Tutti gli abitanti erano stati uccisi. Solo alcuni erano riusciti a scappare.

Il suo compito era quello di provare ad identificare i cadaveri, in modo da poter dare un nome a quei corpi senza vita.
A quel punto la mente di Emir aveva cominciato a perdere lucidità.
Forse era tutto un sogno.un incubo.

Aveva pensato di domandare come avevano fatto a rintracciarlo, poi aveva deciso che non aveva nessuna importanza. Infine, dentro lui, una speranza, all'inizio debole e lontana, si era trasformata di colpo in una preghiera.
Una preghiera a quel Dio che, fino a quel dannato giorno, era sempre stato presente nel suo cuore.

Quel Dio che, da quel momento, non sarebbe più esistito per lui.
Pregò con tutta la forza e la fede che possedeva ( o pensava di possedere ), affinché tutte le persone che conosceva e amava fossero ancora vive.
Ma si rendeva conto che quella preghiera sarebbe rimasta inascoltata. Perché conosceva tutti in paese. Almeno la mia famiglia Signore, almeno la mia Irma ( pregava così). Mentre avanzava fra i corpi dilaniati e mutilati, cominciò a riconoscere le persone che, per tanti anni, erano state la sua gente. Vide tutta la famiglia che aveva sempre abitato di fronte a casa sua. Poteva leggere il terrore nei loro occhi ormai spenti.

Riconobbe il sindaco del paese. Aveva un lungo taglio ( forse di coltello) che andava da un occhio fino al mento.

Li conosceva tutti.

Il sacerdote teneva stretto fra le mani un crocifisso, che non lo aveva però salvato da quella terribile fine. Il suo stomaco era completamente aperto, forse un colpo di fucile. Lo coprirono con un telo.
Emir camminava accanto a quei corpi e, lentamente, pronunciava i nomi di tutte le persone. Un soldato annotava su un foglio. Ogni nome, per Emir, era un ricordo e, insieme, una dolorosa fitta al cuore.
Poi vide Irma. E vicino a lei le sue sorelle, suo fratello, suo padre e sua madre.
Irma era nuda. I suoi splendidi occhi verdi erano impazziti dal terrore.
"E' stata violentata - disse con un filo di voce il soldato che gli stava accanto - come tante altre ragazze giovani".
Una larga e profonda ferita attraversava tutto il suo corpo, dal dolce viso fino all'utero. I capezzoli le erano stati tagliati.
Sembrava una statua. Una Venere scolpita nel dolore.
"E' la mia famiglia!" - sussurrò Emir.
"Come ? " - fece il soldato - "Cos'ha detto ?".
Forse non aveva pronunciato nessuna parola. O forse nessun tipo di suono era uscito dalla sua bocca.
Allora urlò: " E' la mia famiglia!".
Cadde in ginocchio e cominciò a piangere disperatamente.
Suo padre era stato ucciso con un proiettile in testa. Sua madre era stata
sgozzata, dopo essere stata violentata. Le sue sorelle e suo fratello erano stati soffocati con delle buste di plastica che avevano ancora in testa.
Emir si gettò sui corpi. E pianse. Pianse. Pianse.
Fino a quando le lacrime finirono. Per sempre.
Non avrebbe mai più pianto da quel momento in poi, per tutta la sua vita.
Anche i corpi dei suoi cari furono coperti.
Guardò Irma per l'ultima volta. Immensamente bella nel suo dolore infinito.
Poi se ne andò e non rimise mai più piede nel paese in cui era nato.

Due anni dopo, prima di essere fucilato, in un vecchio cimitero abbandonato, Emir ripensò a quel giorno.
Stava per essere giustiziato insieme ad altri suoi compagni di guerra.
Persone che, come lui, avevano deciso di andare a combattere per chissà quale oscuro motivo. Non provava nessuna paura.
Da tempo ormai non provava più niente. Aveva solo intrapreso uno dei tanti sentieri di guerra che ci sono nel mondo.
In quel preciso istante rivide i corpi della sua gente. Non erano ricordi, li stava vedendo realmente, distesi lì, a pochi passi da lui. I corpi cominciarono a muoversi e ad alzarsi. Lo guardavano e gli sorridevano.
Vide la sua famiglia.
Vide l'unica donna che aveva amato. Irma.
La vide più bella che mai.
Il cimitero intorno a lui si trasformò nel suo paese.
Emir sorrise: "Finalmente sono tornato da voi!".
Poi i colpi di fucile risuonarono nell'aria gelida.

 

Hosted by www.Geocities.ws

1