Quasi
esattamente cinquant'anni fa, Robert Schuman presentò
la sua visione di una "Federazione europea"
mirante alla salvaguardia della pace. Iniziò così un'era
completamente nuova della storia europea. L'integrazione
europea è stata la risposta a secoli di precari
equilibri di potere su questo continente che
ripetutamente si trasformarono in disastrose guerre
egemoniche culminanti nei due conflitti mondiali tra il
1914 e il 1945. Il nucleo di questa idea dell'Europa dopo
il 1945 era e rimane il rifiuto del principio dell'equilibrio
delle forze e delle aspirazioni
egemoniche di singoli Stati, sorto dopo la Pace
di Vestfalia del 1648; un rifiuto che prese la forma di uno
stretto intreccio di interessi vitali e del trasferimento
di diritti di sovranità dagli Stati nazionali a
istituzioni europee sovranazionali.
Cinquant' anni dopo, l'Europa,
il processo di unificazione europea, rappresenta per
tutti gli Stati e i popoli partecipanti senz'altro la sfida
politica più importante, visto che il suo
successo o fallimento oppure anche solo la stagnazione di
questo processo di unificazione sarà di importanza
eccezionale per il futuro di noi tutti, in particolare,
per quello delle giovani generazioni. Ed è questo
processo di unificazione europea che ha perso attualmente
credito presso molti cittadini; esso viene considerato un
evento burocratico di una eurocrazia
senza anima e volto con sede a Bruxelles; nel migliore
dei casi lo si ritiene noioso, nel
peggiore pericoloso.
Pertanto, vorrei
ringraziarvi per l'opportunità che mi è stata oggi
offerta di esporre pubblicamente alcune riflessioni
teoriche e di principio sul futuro dell'Europa.
Mi sia quindi concesso anche, per la durata di questo mio
intervento, di spogliarmi del ruolo di Ministro degli
Esteri tedesco e membro del Governo Federale, un ruolo a
volte stretto per una riflessione pubblica, anche se io
ben so che questo non è completamente possibile. La mia
intenzione non è, infatti, quella di parlarvi delle
sfide operative nella politica europea nei prossimi mesi,
quindi non della Conferenza
Intergovernativa in corso, dell'allargamento
ad Est della UE e delle altre importanti questioni che
dobbiamo risolvere oggi e domani, bensì desidero esporvi
le possibili prospettive strategiche dell'integrazione
europea andando ben oltre questo decennio e la Conferenza
Intergovernativa.
Non si tratta, quindi, mi
preme sottolinearlo, della posizione del Governo federale,
bensì di un contributo a una discussione già da tempo
in corso sulla "finalità", sul "completamento"
dell'integrazione europea, e desidero farlo nella mia
veste di europeo convinto e parlamentare
tedesco. Tanto più mi rallegro del fatto che, in
occasione dell'ultimo incontro informale dei Ministri
degli Esteri della UE nelle Azzorre, grazie all'iniziativa
della Presidenza portoghese, proprio su questo tema della
finalità dell'integrazione europea, si è svolta una
lunga, approfondita e senz'altro proficua discussione che
sicuramente non mancherà di avere importanti conseguenze.
Attualmente, si può quasi
toccare con mano che dieci anni dopo la fine della guerra
fredda e nel pieno inizio dell'era della globalizzazione,
le sfide e i problemi europei si sono aggrovigliati,
formando un nodo che sarà difficile sciogliere nel
contesto attuale: l'introduzione della moneta
comune, l'avvio dell'allargamento ad est della
UE, la crisi dell'ultima Commissione UE, la bassa
popolarità del Parlamento Europeo e delle elezioni
europee, le guerre nei Balcani e lo sviluppo di una
politica estera e di sicurezza comune non definiscono
soltanto quanto è stato raggiunto, bensì stabiliscono
anche le sfide da affrontare.
Quo vadis Europa? (Dove
vai Europa? N.d.R.) Questa è la domanda che torna a
riproporci la storia del nostro Continente. E per molti
motivi la risposta degli europei, se si preoccupano per
il loro benessere e per quello dei loro figli, può
essere solo la seguente: avanti fino al completamento
dell'integrazione europea. Un passo
indietro o anche solo uno stallo ed un mantenimento
ostinato di quanto raggiunto fino ad oggi esigerebbe un
prezzo elevato a tutti gli Stati membri dell'UE ed anche
a tutti coloro che vogliono aderirvi, esigerebbe un
prezzo elevato a tutti i nostri cittadini. E questo è
particolarmente vero per la Germania e per i tedeschi.
Il compito che ci aspetta
è tutt'altro che facile e richiederà tutte le nostre
forze; nel prossimo decennio dovremo allargare la UE ad
Est ed a Sud-Est, e questo alla fine significherà un raddoppiamento
nel numero dei membri. Allo stesso tempo, per poter
superare questa sfida storica ed integrare i nuovi Stati
membri senza mettere sostanzialmente in pericolo la
capacità di azione dell'Unione europea, dobbiamo mettere
l'ultimo mattone nella costruzione dell'integrazione
europea, vale a dire l'integrazione politica.
La necessità di
organizzare parallelamente questi due processi
rappresenta senz'altro la maggiore sfida che l'Unione
abbia mai dovuto affrontare dalla sua fondazione. Ma
nessuna generazione può scegliere le sue sfide storiche,
e le cose stanno così anche questa volta. E' la fine
della guerra fredda e della separazione
forzata dell'Europa a porre l'Unione europea, e quindi
anche noi, dinanzi a questo compito. Pertanto, oggi
dobbiamo dare prova di una forza utopica e di un
pragmatismo altrettanto deciso di quello di Jean Monnet e
Robert Schuman alla fine della Seconda Guerra Mondiale. E
come allora, al termine di questo ultimo grande conflitto
europeo, che - come è avvenuto quasi sempre - è stato
anche un conflitto franco-tedesco, nell'ultima fase nella
costruzione dell'Unione europea, vale a dire quella del
suo allargamento ad Est e del completamento dell'integrazione
politica, sarà decisivo il ruolo della Francia e della
Germania.
Signore e Signori,
due decisioni storiche hanno portato ad una svolta
positiva nel destino dell'Europa verso la metà del
secolo scorso: in primo luogo, la decisione degli USA di
rimanere in Europa; in secondo luogo, la dedizione di
Francia e Germania al principio dell'integrazione, a
partire dall'interdipendenza economica.
Con l'idea dell'integrazione europea e con la sua
applicazione non è nato solo un ordinamento
completamente nuovo in Europa, per essere più esatti
nell'Europa occidentale; è lintero corso della
storia europea che ha effettuato una svolta fondamentale.
Se si paragona la storia europea della prima metà del XX
secolo con quella della seconda metà, si può capire
immediatamente che cosa intendo dire. Soprattutto la
prospettiva tedesca è particolarmente istruttiva, perché
essa evidenzia quanto il nostro Paese debba
effettivamente all'idea dell'integrazione europea e alla
sua applicazione!
Questo nuovo principio di definizione del sistema degli
Stati europei, che quasi si potrebbe chiamare
rivoluzionario, si deve alla Francia e ai suoi grandi
statisti Robert Schuman e Jean Monnet. Ogni
tappa della sua realizzazione graduale,
dalla fondazione della Comunità europea del Carbone e
dell'Acciaio fino alla creazione del mercato unico e
della moneta comune, è dipesa
essenzialmente dall'alleanza di interessi franco-tedesca.
Un'alleanza che tuttavia non è mai stata esclusiva, ma
sempre aperta ad altri Stati europei; e così dovrà
continuare ad essere, fino al raggiungimento dell'obiettivo
finale.
L'integrazione europea si è rivelata un successo
straordinario. L'intero processo ha avuto un solo
importante difetto, dovuto alla Storia. Non si trattava
dell'intera Europa, bensì esclusivamente della sua parte
libera ad Ovest. La separazione dell'Europa ha
attraversato per cinque decenni la Germania e Berlino.
Nel frattempo, ad est del Muro e del filo spinato, una
parte irrinunciabile dell'Europa, senza la quale l'idea
dell'integrazione europea non si sarebbe potuta
realizzare compiutamente, aspettava la sua opportunità
di partecipare al processo di unificazione europea. Quell'opportunità
giunse con la fine della divisione europea e tedesca nel
1989/90.
Robert Schuman se ne rese conto con estrema chiarezza già
nel 1963: "Dobbiamo costruire l'Europa unita non
solo nell'interesse dei popoli liberi, ma anche per poter
accogliere in questa comunità i popoli dell'Europa
Orientale se, una volta liberati dalle costrizioni di cui
soffrono, chiederanno l'adesione e il nostro sostegno
morale. E' nostro obbligo essere per loro l'esempio dell'Europa
unita, fraterna. Ogni passo che noi compiamo su questa
strada rappresenterà per essi una nuova opportunità.
Necessitano del nostro aiuto per le trasformazioni che
devono realizzare. E' nostro dovere essere pronti."
Dopo il crollo dell'impero sovietico, la UE ha dovuto
aprirsi verso l'Est, altrimenti l'idea dell'integrazione
europea si sarebbe svuotata da sola e, alla fine,
autodistrutta. Perché? E' sufficiente considerare che
cosa succede nella ex-Jugoslavia, per vederne le
conseguenze, anche se non accade sempre ed ovunque che si
arrivi a questi estremi. Una UE limitata all'Europa
occidentale, nel tempo, avrebbe determinato in Europa un
sistema di Stati spaccato: nell'Europa
occidentale l'integrazione, nell'Europa orientale il
vecchio sistema di equilibrio con il suo orientamento
nazionale, con obblighi di coalizione, con la classica
politica di interessi e il pericolo permanente di
ideologie nazionalistiche e di conflitti.
Un sistema europeo di Stati diviso e privo di un
ordinamento complessivo trasformerebbe nel tempo l'Europa
in un continente dell'insicurezza e, a medio termine,
queste linee tradizionali di conflitto si
ripropagherebbero dall'Europa dell'Est anche all'Unione
europea. Soprattutto la Germania ne emergerebbe come la
grande sconfitta. Anche le realtà geopolitiche, dopo il
1989, non hanno lasciato nessuna alternativa valida all'allargamento
ad Est delle istituzioni europee, e questo vale ancora di
più adesso nell'era della globalizzazione.
La UE, come risposta a questa svolta veramente storica,
ha avviato coerentemente un profondo processo di
ristrutturazione:
- Partendo dalle tre
essenziali sovranità dello Stato
moderno nazionale, ovvero la moneta, la sicurezza interna
e quella esterna, a Maastricht si è
iniziato il trasferimento di una parte di esse alla
esclusiva responsabilità di una istituzione europea. L'introduzione
dell'euro non ha significato soltanto il culmine dell'integrazione
economica: essa è stata anche un atto profondamente
politico, perché la moneta non è soltanto una elemento
di natura economica, ma rappresenta anche il potere del
sovrano che la garantisce. Una tensione è nata fra la
comunitarizzazione dell'economia e della moneta da una
parte , e l'assenza di strutture democratiche e politiche
dall'altra, una tensione che nell'Unione Europea può
comportare crisi interne se non si colmano in modo
adeguato i deficit nell'ambito dell'integrazione politica
completando così il processo di integrazione.
- Il Consiglio europeo di
Tampere ha segnato l'avvio di un nuovo ampio disegno di
integrazione: la costruzione di uno spazio comune di
diritto e di sicurezza interna. In questo modo, l'Europa
dei cittadini diventa toccabile con mano. L'importanza di
questo nuovo progetto di integrazione, però, non si
limita a ciò: un diritto comune può sviluppare un forte
potenziale integrativo.
- Gli Stati europei,
soprattutto in conseguenza della guerra nel Kosovo, hanno
intrapreso ulteriori passi per rafforzare la loro comune
capacità di azione in politica estera e, a Colonia ed
Helsinki, hanno concordato un nuovo obiettivo: lo
sviluppo di una comune politica di sicurezza e difesa. L'Unione,
in tal modo - dopo l'euro - ha compiuto un passo
ulteriore. Infatti, come si potrebbe giustificare, nel
tempo, il fatto che degli Stati uniti in maniera
inscindibile nella loro esistenza politico-economica da
un'unione monetaria, non affrontino congiuntamente le
minacce esterne e non garantiscano insieme la propria
sicurezza?
- Ad Helsinki è stato
anche concordato un piano concreto per l'allargamento
della UE. In base a queste decisioni i confini esterni
della futura Unione dovrebbero essere stati più o meno
tracciati. E' prevedibile che l'Unione europea, alla fine
del processo di allargamento, abbia 27, 30 o forse ancora
più Stati membri, quasi quanti ne aveva la CSCE (Conferenza
sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dal 1994
detta OSCE, N.d.R.) al momento della sua fondazione. (1974,
N.d.R.)
Attualmente, in Europa siamo quindi confrontati con il
difficilissimo compito di dover realizzare
contemporaneamente due grandi progetti:
1. L'allargamento al più presto possibile. Ciò comporta
difficili problemi di adeguamento per i Paesi candidati
all'adesione e anche per la UE stessa. Nello stesso tempo
suscita timori e paure nei nostri cittadini: sono in
pericolo i loro posti di lavoro? Come conseguenza dell'allargamento,
l'Europa diventerà ancora meno trasparente e meno
comprensibile per la gente? Pur dovendo affrontare
seriamente questi problemi, non dobbiamo mai perdere di
vista la dimensione storica dell'allargamento ad Est.
Questa dimensione è infatti un'opportunità unica per
unire questo continente, scosso per secoli da guerre,
nella pace, nella sicurezza, nella democrazia e nel
benessere.
L'allargamento rappresenta, soprattutto per la Germania,
un interesse nazionale primario. I rischi e le tentazioni
obiettivamente legati alle dimensioni e alla posizione
centrale della Germania potranno venir superati
definitivamente grazie all'allargamento ed al
contemporaneo approfondimento della UE. A ciò si
aggiunge un'ulteriore considerazione: l'allargamento -
come si è visto per il processo di allargamento verso
sud della UE - è un programma di crescita per l'intera
Europa. Sarà soprattutto l'economia tedesca a trarre
dall'allargamento notevoli vantaggi per le imprese e l'occupazione.
La Germania deve continuare ad essere il difensore di un
celere allargamento ad Est. Al contempo, l'allargamento
deve venir realizzato con cura e nello stretto rispetto
delle decisioni di Helsinki.
2. La capacità di azione dell'Europa. Le istituzioni
della UE sono state create per sei Stati membri. Esse
funzionano a fatica con quindici. Per quanto importante
ai fini dell'avvio dell'allargamento, il primo passo
della riforma che proponiamo di compiere nell'ambito dell'attuale
Conferenza intergovernativa, vale a dire l'estensione del
voto a maggioranza qualificata, non sarà sufficiente da
solo per realizzare l'allargamento nel suo complesso. Il
pericolo consiste nel fatto che un allargamento a 27-30
membri sia un peso eccessivo per la capacità di
assorbimento della UE con le sue vecchie istituzioni e
meccanismi e che si producano pesanti crisi. Questo
pericolo, mi preme sottolinearlo, non rappresenta
assolutamente un argomento contro un allargamento il più
rapido possibile, bensì piuttosto un argomento a favore
di una riforma radicale e adeguata delle istituzioni, in
modo che la capacità d'azione possa venir salvaguardata
anche con l'allargamento. Per questo, la conseguenza dell'inevitabile
allargamento dell'Unione può essere tanto l'erosione,
quanto l'integrazione.
Signore e Signori,
sulla realizzazione di questi due compiti si incentra l'attuale
Conferenza intergovernativa. La UE si è assunta l'obbligo
di essere pronta a nuove adesioni entro il l° gennaio
2003. Dopo la conclusione dell'Agenda 2000, bisogna ora
creare i presupposti istituzionali per l'allargamento. La
soluzione di tre questioni centrali - composizione della
Commissione, ponderazione dei voti nel Consiglio e
soprattutto l'ampliamento delle decisioni maggioritarie -
è irrinunciabile affinché il processo di allargamento
possa proseguire senza intoppi. La soluzione di questi
tre problemi assume, quindi, come prossimo passo pratico
massima priorità.
Nonostante l'importanza centrale della Conferenza
intergovernativa quale prossimo passo per il futuro dell'Unione
europea, vista la situazione in Europa, dobbiamo già
oggi iniziare a riflettere - andando oltre il processo di
allargamento - sul possibile funzionamento di una futura
Unione europea "grande", sull'aspetto che dovrà
assumere e sulle modalità di funzionamento necessarie.
Riflessioni che ora intendo fare.
Mi sia quindi concesso, Signore e Signori, di lasciarmi
definitivamente alle spalle "il Ministro degli
Esteri" per poter presentare alcune riflessioni sia
sull'essenza della cosiddetta "finalità dell'Europa"
che anche sulla strada che ci avvicinerà a questa meta
per farcela poi definitivamente raggiungere. E anche a
tutti gli euroscettici di qua e di là del Canale della
Manica desidero consigliare di non produrre nuovamente
titoli cubitali, trattandosi, in primo luogo, di una
visione del futuro mia personale, per quanto concerne la
soluzione dei problemi europei. E, in secondo luogo,
parliamo oggi di un lasso di tempo lungo, che supera la
durata dell'attuale Conferenza intergovemativa. Nessuno,
quindi, deve avere paura di queste tesi.
L'allargamento renderà indispensabile un'approfondita
riforma delle istituzioni europee. Come ci si
immagina un Consiglio europeo con 30 Capi di Stato e
Governo? 30 Presidenze? Quanto dureranno le sedute del
Consiglio? Giorni o addirittura settimane? Come si
giungerà ad una composizione degli interessi nell'ambito
dell'attuale struttura istituzionale della UE quando
saremo in 30; come verranno prese le decisioni e come si
potrà, poi, ancora agire? Come si vuole evitare
che la UE diventi definitivamente imperscrutabile, che i
compromessi diventino sempre meno comprensibili e più
strani e che l'adesione dei cittadini all'Unione europea
si abbassi a cadere al di sotto dello zero?
Un mare di domande alle quali, tuttavia, c'è una
risposta semplicissima: il passaggio dalla Confederazione
alla completa parlamentarizzazione in una Federazione
europea, come già richiesto cinquant'anni fa da Robert
Schuman. E questo significa un Parlamento europeo e un
governo europeo che esercitino effettivamente il potere
legislativo ed esecutivo all'interno della Federazione.
Questa Federazione dovrà basarsi su di un trattato
costituzionale.
Sono ben consapevole del fatto che saranno numerosi i
problemi di procedura e di sostanza da affrontare, prima
di poter raggiungere questa meta. So, tuttavia, senza
ombra di dubbio, che l'Europa potrà svolgere il ruolo
che le spetta nella competizione economica e politica
globale solo se procederemo con coraggio. Con le paure e
le ricette del XIX e XX secolo non possono venir risolti
i problemi del XXI secolo.
Ovviamente, contro questa soluzione semplice viene
sollevata subito l'obiezione della sua impraticabilità.
L' Europa non è un nuovo continente, bensì un
continente con popoli, culture, lingue e storie
differenti. Gli Stati nazionali non si possono spazzare
via con il pensiero, e quanto più la globalizzazione e l'europeizzazione
creano mega-strutture lontane dai cittadini e soggetti
anonimi, tanto più i cittadini si attaccheranno ai loro
Stati nazionali che trasmettono loro sicurezza e senso di
protezione.
Bene, io condivido tutte queste obiezioni, poiché sono
fondate. Si commetterebbe un irreparabile errore di
progettazione se si tentasse di portare avanti il
completamento dell'integrazione politica contro le
istituzioni e le tradizioni nazionali presenti e non
coinvolgendole. Viste le condizioni storico-culturali
dell'Europa, una tale impresa fallirebbe. Solo se l'integrazione
europea coinvolgerà gli Stati nazionali in una simile
Federazione, solo se le loro istituzioni non verranno
svalutate o addirittura fatte scomparire, questo progetto,
nonostante le sue enormi difficoltà, sarà fattibile. In
altre parole: l'immagine che è prevalsa sino ad
ora di uno Stato federale europeo, che sostituisce, come
nuovo depositano della sovranità, i vecchi Stati
nazionali e le loro democrazie, è una elucubrazione
artificiale, che si colloca al di fuori delle realtà
europee consolidate. La realizzazione dell'integrazione
europea e pensabile con successo solo se avviene sulla
base di una ripartizione della sovranità fra l'Europa e
lo Stato nazionale. Proprio questo è il fatto che si
cela dietro la "sussidiarietà", concetto
attualmente discusso ovunque e che quasi nessuno capisce.
Che cosa vuole dire "ripartizione della sovranità"?
Ripeto, l'Europa non sorgerà in uno spazio politico
vuoto; ne consegue che un altro aspetto della nostra
realtà europea sono le diverse culture politiche
nazionali e le loro opinioni pubbliche democratiche,
separate anche dai confini linguistici. Un Parlamento
europeo deve quindi avere una doppia funzione, quella di
rappresentare un'Europa degli Stati nazionali e un'Europa
dei cittadini. Ciò sarà fattibile solo se questo
Parlamento europeo ricongiungerà effettivamente le
diverse élites politiche nazionali e anche le diverse
opinioni pubbliche nazionali. A mio avviso, ciò è
possibile se questo Parlamento europeo disporrà di due
Camere: una Camera composta di deputati eletti, che siano,
al contempo, membri dei Parlamenti nazionali. In questo
modo, si evita un contrasto fra i Parlamenti nazionali e
il Parlamento europeo, tra lo Stato nazionale e l'Europa.
Per quanto concerne la seconda Camera, bisognerà
scegliere fra un Senato con Senatori degli Stati membri
direttamente eletti e una Camera degli Stati analoga al
nostro Rundesrat. Negli Stati Uniti, tutti gli Stati
eleggono due Senatori, nel nostro Bundesrat, invece, c'è
un diverso numero di voti.
Allo stesso modo, per l'esecutivo europeo, ovvero il
governo europeo, si prospettano due opzioni. O si decide
di trasformare il Consiglio europeo in un governo europeo
- il governo europeo viene formato dai governi nazionali
- oppure, partendo dall'attuale struttura della
Commissione, si passa all'elezione diretta di un
Presidente con ampi poteri esecutivi. A questo proposito,
sono pensabili, però, anche diverse forme intermedie.
Si potrebbe obiettare che l'Europa è già oggi troppo
complicata e poco comprensibile per i cittadini dell'Unione
e che ora c'è l'intenzione di renderla ancora più
complessa. Ciò che si vuole fare, tuttavia, è
esattamente il contrario. La ripartizione della
sovranità fra Federazione e Stati nazionali presuppone
un trattato costituzionale che stabilisca cosa dovrà
venir regolato a livello europeo e che cosa dovrà essere
disciplinato anche in futuro a livello nazionale.
La molteplicità di regolamenti a livello comunitario è
uno dei risultati della comunitarizzazione induttiva
secondo il metodo di Monnet e quindi l'espressione di
compromessi fra Stati nell'attuale Confederazione di
Stati, che costituisce l'Unione europea. La chiara
determinazione delle competenze fra Federazione e Stati
nazionali in un trattato costituzionale europeo dovrebbe
trasferire alla Federazione le sovranità essenziali, e
solo ciò che deve assolutamente essere disciplinato a
livello europeo; il resto però rimarrebbe di competenza
dello Stato nazionale. Ciò corrisponderebbe a una
Federazione europea snella ed, al contempo, in grado di
agire, pienamente sovrana e ciò nonostante poggiante su
Stati nazionali autoconsapevoli quali membri della
Federazione. Si tratterebbe, altresì, di una Federazione
che viene seguita e capita dai cittadini avendo essa
colmato il suo deficit democratico.
Tutto ciò non
significherebbe, tuttavia, l'eliminazione dello Stato
nazionale. Perché, anche per la Federazione quale
soggetto finale, lo Stato nazionale, ricco di tradizioni
culturali e democratiche, sarà insostituibile per poter
legittimare un unione di cittadini e Stati accettata
pienamente dalla gente. Lo dico soprattutto rivolgendomi
ai nostri amici in Gran Bretagna; so infatti che il
concetto di "federazione" per molti Britannici
è irritante. Tuttavia, fino ad ora, non mi è venuto in
mente nessun altro termine adeguato. Non intendo, però,
irritare nessuno.
Anche nella finalità europea continueremo ad essere
britannici e tedeschi, francesi e polacchi. Gli Stati
nazionali continueranno ad esistere e manterranno a
livello europeo un ruolo molto più forte di quello
svolto dai Lander federali in Germania. E in questa
Federazione il principio della sussidiarietà avrà in
futuro un rango costituzionale.
Queste tre riforme, cioè la soluzione del problema della
democrazia e il riordino sostanziale delle competenze sia
orizzontalmente, cioè fra le istituzioni europee, sia
verticalmente, quindi tra Europa, Stato nazionale e
regioni, potranno riuscire solo tramite una rifondazione
costituzionale dell'Europa, quindi attraverso la
realizzazione del progetto di una Costituzione europea il
cui nucleo deve essere I' ancoraggio dei diritti
fondamentali, dei diritti dell'uomo e civili, di una
suddivisione equilibrata dei poteri fra le istituzioni
europee e di una delimitazione precisa fra il livello
europeo e quello nazionale. L'asse principale di questa
Costituzione europea sarà data dal rapporto fra
Federazione e Stato nazionale.
Non voglio che mi si fraintenda: ciò non ha nulla a che
vedere con la rinazionalizzazione, anzi.
Signore e Signori,
la questione che si pone in maniera sempre più urgente
è la seguente: questa visione di una Federazione secondo
l'attuale metodo d'integrazione sarà realizzabile, o
questo metodo stesso, elemento centrale dell'attuale
processo di unificazione, deve essere messo in
discussione? In passato, il "metodo Monnet"
dominava il processo europeo di unificazione, con il suo
approccio volto alla comunitarizzazione delle istituzioni
e politiche europee.
Questa integrazione graduale, senza un progetto preciso
prefigurante l'assetto finale, era stata concepita negli
anni '50 per l'integrazione economica di un piccolo
gruppo di Paesi. Pur avendo avuto successo questo
approccio, per l'integrazione politica e la
democratizzazione dell'Europa è risultato adeguato solo
in parte. Laddove non è stato possibile un avanzamento
di tutti gli Stati membri della UE, sono andati avanti
quindi piccoli gruppi in diverse formazioni, come per l'
Unione economica e Monetaria o gli accordi di Schengen.
Dobbiamo quindi cercare la risposta alla doppia sfida di
allargamento ed approfondimento in questa
differenziazione, una cooperazione rinforzata in alcuni
settori parziali? Proprio in un'Unione allargata, e
obbligatoriamente anche eterogenea, un'ulteriore
differenziazione diventerà indispensabile. Facilitarla
è perciò uno degli obiettivi centrali della Conferenza
Intergovernativa.
Tuttavia, una differenziazione sempre maggiore farà
emergere anche nuovi problemi: una perdita di identità
europea, di coesione interna, nonché il pericolo di un'erosione
interna della UE, se, a fianco dell'integrazione,
dovessero collocarsi settori di collaborazione
intergovernativa sempre più estesi. Già oggi non si può
disconoscere una crisi non più risolvibile all'interno
della logica propria del "metodo Monnet".
Jacques Delors nonché Helmut Schmidt e Valéry Giscard d'Estaing
hanno tentato recentemente di trovare nuove risposte a
questo dilemma. Delors è dell'opinione che una "Federazione
di Stati nazionali", composta dai sei Paesi
fondatori della Comunità europea, debba stipulare un
trattato nel trattato, con l'obiettivo di riformare
profondamente le istituzioni europee. In una direzione
analoga vanno le riflessioni di Schmidt e Giscard, che
partono però non dai sei Paesi fondatori, bensì dagli
undici Stati dell'Euro come centro. Già nel 1994, Karl
Lamers e Wolfgang Schauble avevano proposto la creazione
di un' "Europa a nucleo", che aveva però un
sostanziale difetto congenito, ovvero partiva dall'idea
di un "nucleo" esclusivo che, inoltre, lasciava
fuori l'Italia, un Paese fondatore, e non fungeva da
calamita integrativa per tutti.
Se, vista l'inevitabile sfida dell'allargamento ad Est, l'alternativa
per l'Unione europea è effettivamente quella tra
erosione o integrazione e se il mantenimento ostinato di
un'unione di Stati comportasse uno stallo, con tutte le
conseguenze negative che ne derivano, allora, le
circostanze e le crisi da esse scatenate metterebbero I'UE,
nel giro dei prossimi dieci anni, dinanzi alla seguente l'alternativa:
o una maggioranza di Stati membri coglie al balzo la
palla dell'integrazione piena e si accorda su un trattato
costituzionale europeo per la fondazione della
Federazione europea;
oppure, se ciò non succede, un gruppo minore di Stati
membri procede per questa strada fungendo da avanguardia,
cioè creando un centro di gravità composto da alcuni
Stati che, per profonda convinzione europeista, vogliono
e possono andare avanti nell'integrazione europea.
Gli interrogativi sarebbero solo i seguenti:
quando verrà il momento giusto?
Chi parteciperà?
E questo centro di gravità si costituirà all'interno o
all'esterno dei Trattati?
Una cosa è ad ogni modo certa: senza una strettissima
collaborazione franco-tedesca, non riuscirà, neanche in
futuro, nessun progetto europeo.
Considerata questa situazione, bisognerà, pensando non
solo al prossimo decennio (quello 2001-2010, N.d.R.),
immaginare l'ulteriore sviluppo dell'Europa in due o tre
fasi.
In primo luogo, il potenziamento di una cooperazione
rafforzata tra quegli Stati che vogliono collaborare più
strettamente di altri, come già avvenuto nel caso dell'Unione
economica e Monetaria e per Schengen.
In questo modo, possiamo fare progressi in molti settori:
verso l'ulteriore sviluppo degli 11 (dal 2001 sono in 12,
N.d.R.) delleuro per arrivare ad un'Unione politico-economica,
nella protezione ambientale, nella lotta alla criminalità,
nello sviluppo di una comune politica di immigrazione e
asilo e, ovviamente, anche nella politica estera e di
sicurezza. A questo proposito, è molto importante che la
cooperazione rafforzata non venga considerata un addio
all'integrazione.
Un possibile passo intermedio sulla via del completamento
delI'Unione politica potrebbe, poi, essere la formazione
di un centro di gravità. Tale gruppo di
Stati concluderebbe un nuovo trattato istitutivo europeo,
il nucleo per una Costituzione della Federazione.
E, sulla base di questo trattato istitutivo, si darebbe
istituzioni proprie, un governo che all'interno della UE
dovrebbe parlare con una sola voce per i membri del
gruppo, possibilmente in molti settoni, un parlamento
forte, un Presidente eletto direttamente. Tale centro di
gravità dovrebbe rappresentare l'avanguardia, la
locomotiva per il completamento dell'integrazione
politica e comprendere già tutti gli elementi della
Federazione successiva.
Mi sono ben noti i problemi istituzionali che la
prospettiva di tale centro di gravità comporterebbe per
l'attuale UE. Quindi, sarebbe essenziale garantire che ciò
che è stato raggiunto nell'UE non venga messo in
pericolo, non la spacchi e che il legame che la tiene
unita non venga compromesso, né politicamente né
giuridicamente. Si dovrebbero sviluppare dei meccanismi
che consentano una collaborazione del centro di
gravitazione in una UE più grande, senza perdite per
attrito.
Ad oggi è ancora impossibile rispondere al quesito
riguardante gli Stati che parteciperebbero a tale
progetto: i membri fondatori della UE, gli 11 (oggi 12,
vedi sopra, N.d.R) dell'euro o forse un altro gruppo.
In ogni riflessione sull'opzione del centro di gravità
deve essere chiaro che quest'avanguardia non dovrà
essere mai esclusiva, bensì aperta a tutti gli Stati
membri e a quelli candidati all'adesione nella UE, quando
questi, in un determinato momento, vorranno partecipare.
Per tutti coloro che vogliono aderire, pur non avendo le
condizioni necessarie, devono esservi possibilità di
accostamento. La trasparenza e un'opzione di
collaborazione per tutti gli Stati membri e candidati
della UE sarebbero fattori essenziali per l'accettazione
e la realizzabilità del progetto. E ciò deve valere
soprattutto rispetto ai candidati all'adesione.
Sarebbe, infatti, storicamente assurdo e profondamente
stolto se l'Europa, proprio in un momento in cui è
nuovamente unita, venisse di nuovo spaccata.
Tale centro di gravità deve, quindi, avere un attivo
interesse all'allargamento ed attrarre altri membri. Se
si segue il principio di Hans Dietrich Genscher che
nessuno Stato membro può venire obbligato ad andare più
avanti di quanto possa o voglia, ma che colui che non
vuole procedere non abbia neppure la possibilità di
ostacolare gli altri, allora questo centro di gravità si
costituirà all'interno dei Trattati; altrimenti, all'esterno.
L'ultimo passo sarebbe, infine, il compimento dell'integrazione
con la Federazione europea. Per evitare malintesi: non c'è
nessun automatismo che conduca dalla cooperazione
rafforzata a questo obiettivo, sia sotto forma di centro
di gravità che subito come maggioranza dei membri dell'Unione.
La cooperazione rafforzata significherà inizialmente
solo un intergovernativo rafforzato, derivante dalla
pressione dei fatti e dalla debolezza del metodo Monnet.
Il passo dalla cooperazione rafforzata ad un trattato
costituzionale - e proprio questo sarà il presupposto
per la piena integrazione - necessita invece di un
consapevole atto politico ricostitutivo dell'Europa.
Questa, Signore e Signori, è la mia visione personale,
ovvero il passaggio da una cooperazione rafforzata ad un
trattato costituzionale europeo, nonché la realizzazione
della grande idea di Robert Schuman di una Federazione
europea.
Questa potrebbe essere la
strada giusta.
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NOTE: SCHUMAN
Robert (1886-1963), politico francese. Il 9 maggio 1950
lesse una celebre Dichiarazione che segna l'inizio del
processo d'integrazione europea. (altro...)
VESTFALIA
Regione storica della Germania, oggi inglobata del Land
"Renania settentrionale - Vestfalia". Nel 1648
nelle sue cittadine di Münster e Osnabrück fu conclusa
l'omonima pace fra Francia, Svezia, Impero e le altre
potenze coinvolte nella guerra dei Trent'anni. Di fatto,
segnò la fine del Sacro Romano Impero germanico.
La Conferenza Intergovernativa a
cui si fa riferimento è quella che portò al Trattato di
Nizza del dicembre 2000.
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