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L'Osservatore europeo

 

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Discorso solenne del Ministro Federale degli Affari Esteri Joschka Fischer

"Dalla confederazione alla federazione -
riflessioni sulla finalità dell'integrazione europea"

12 maggio 2000, Università Humboldt di Berlino

Quasi esattamente cinquant'anni fa, Robert Schuman presentò la sua visione di una "Federazione europea" mirante alla salvaguardia della pace. Iniziò così un'era completamente nuova della storia europea. L'integrazione europea è stata la risposta a secoli di precari equilibri di potere su questo continente che ripetutamente si trasformarono in disastrose guerre egemoniche culminanti nei due conflitti mondiali tra il 1914 e il 1945. Il nucleo di questa idea dell'Europa dopo il 1945 era e rimane il rifiuto del principio dell'equilibrio delle forze e delle aspirazioni egemoniche di singoli Stati, sorto dopo la Pace di Vestfalia del 1648; un rifiuto che prese la forma di uno stretto intreccio di interessi vitali e del trasferimento di diritti di sovranità dagli Stati nazionali a istituzioni europee sovranazionali.

Cinquant' anni dopo, l'Europa, il processo di unificazione europea, rappresenta per tutti gli Stati e i popoli partecipanti senz'altro la sfida politica più importante, visto che il suo successo o fallimento oppure anche solo la stagnazione di questo processo di unificazione sarà di importanza eccezionale per il futuro di noi tutti, in particolare, per quello delle giovani generazioni. Ed è questo processo di unificazione europea che ha perso attualmente credito presso molti cittadini; esso viene considerato un evento burocratico di una eurocrazia senza anima e volto con sede a Bruxelles; nel migliore dei casi lo si ritiene noioso, nel peggiore pericoloso.

Pertanto, vorrei ringraziarvi per l'opportunità che mi è stata oggi offerta di esporre pubblicamente alcune riflessioni teoriche e di principio sul futuro dell'Europa. Mi sia quindi concesso anche, per la durata di questo mio intervento, di spogliarmi del ruolo di Ministro degli Esteri tedesco e membro del Governo Federale, un ruolo a volte stretto per una riflessione pubblica, anche se io ben so che questo non è completamente possibile. La mia intenzione non è, infatti, quella di parlarvi delle sfide operative nella politica europea nei prossimi mesi, quindi non della Conferenza Intergovernativa in corso, dell'allargamento ad Est della UE e delle altre importanti questioni che dobbiamo risolvere oggi e domani, bensì desidero esporvi le possibili prospettive strategiche dell'integrazione europea andando ben oltre questo decennio e la Conferenza Intergovernativa.

Non si tratta, quindi, mi preme sottolinearlo, della posizione del Governo federale, bensì di un contributo a una discussione già da tempo in corso sulla "finalità", sul "completamento" dell'integrazione europea, e desidero farlo nella mia veste di europeo convinto e parlamentare tedesco. Tanto più mi rallegro del fatto che, in occasione dell'ultimo incontro informale dei Ministri degli Esteri della UE nelle Azzorre, grazie all'iniziativa della Presidenza portoghese, proprio su questo tema della finalità dell'integrazione europea, si è svolta una lunga, approfondita e senz'altro proficua discussione che sicuramente non mancherà di avere importanti conseguenze.

Attualmente, si può quasi toccare con mano che dieci anni dopo la fine della guerra fredda e nel pieno inizio dell'era della globalizzazione, le sfide e i problemi europei si sono aggrovigliati, formando un nodo che sarà difficile sciogliere nel contesto attuale: l'introduzione della moneta comune, l'avvio dell'allargamento ad est della UE, la crisi dell'ultima Commissione UE, la bassa popolarità del Parlamento Europeo e delle elezioni europee, le guerre nei Balcani e lo sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune non definiscono soltanto quanto è stato raggiunto, bensì stabiliscono anche le sfide da affrontare.

Quo vadis Europa? (Dove vai Europa? N.d.R.) Questa è la domanda che torna a riproporci la storia del nostro Continente. E per molti motivi la risposta degli europei, se si preoccupano per il loro benessere e per quello dei loro figli, può essere solo la seguente: avanti fino al completamento dell'integrazione europea. Un passo indietro o anche solo uno stallo ed un mantenimento ostinato di quanto raggiunto fino ad oggi esigerebbe un prezzo elevato a tutti gli Stati membri dell'UE ed anche a tutti coloro che vogliono aderirvi, esigerebbe un prezzo elevato a tutti i nostri cittadini. E questo è particolarmente vero per la Germania e per i tedeschi.

Il compito che ci aspetta è tutt'altro che facile e richiederà tutte le nostre forze; nel prossimo decennio dovremo allargare la UE ad Est ed a Sud-Est, e questo alla fine significherà un raddoppiamento nel numero dei membri. Allo stesso tempo, per poter superare questa sfida storica ed integrare i nuovi Stati membri senza mettere sostanzialmente in pericolo la capacità di azione dell'Unione europea, dobbiamo mettere l'ultimo mattone nella costruzione dell'integrazione europea, vale a dire l'integrazione politica.

La necessità di organizzare parallelamente questi due processi rappresenta senz'altro la maggiore sfida che l'Unione abbia mai dovuto affrontare dalla sua fondazione. Ma nessuna generazione può scegliere le sue sfide storiche, e le cose stanno così anche questa volta. E' la fine della guerra fredda e della separazione forzata dell'Europa a porre l'Unione europea, e quindi anche noi, dinanzi a questo compito. Pertanto, oggi dobbiamo dare prova di una forza utopica e di un pragmatismo altrettanto deciso di quello di Jean Monnet e Robert Schuman alla fine della Seconda Guerra Mondiale. E come allora, al termine di questo ultimo grande conflitto europeo, che - come è avvenuto quasi sempre - è stato anche un conflitto franco-tedesco, nell'ultima fase nella costruzione dell'Unione europea, vale a dire quella del suo allargamento ad Est e del completamento dell'integrazione politica, sarà decisivo il ruolo della Francia e della Germania.


Signore e Signori,
due decisioni storiche hanno portato ad una svolta positiva nel destino dell'Europa verso la metà del secolo scorso: in primo luogo, la decisione degli USA di rimanere in Europa; in secondo luogo, la dedizione di Francia e Germania al principio dell'integrazione, a partire dall'interdipendenza economica.
Con l'idea dell'integrazione europea e con la sua applicazione non è nato solo un ordinamento completamente nuovo in Europa, per essere più esatti nell'Europa occidentale; è l’intero corso della storia europea che ha effettuato una svolta fondamentale. Se si paragona la storia europea della prima metà del XX secolo con quella della seconda metà, si può capire immediatamente che cosa intendo dire. Soprattutto la prospettiva tedesca è particolarmente istruttiva, perché essa evidenzia quanto il nostro Paese debba effettivamente all'idea dell'integrazione europea e alla sua applicazione!

Questo nuovo principio di definizione del sistema degli Stati europei, che quasi si potrebbe chiamare rivoluzionario, si deve alla Francia e ai suoi grandi statisti Robert Schuman e Jean Monnet. Ogni tappa della sua realizzazione graduale, dalla fondazione della Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio fino alla creazione del mercato unico e della moneta comune, è dipesa essenzialmente dall'alleanza di interessi franco-tedesca. Un'alleanza che tuttavia non è mai stata esclusiva, ma sempre aperta ad altri Stati europei; e così dovrà continuare ad essere, fino al raggiungimento dell'obiettivo finale.

L'integrazione europea si è rivelata un successo straordinario. L'intero processo ha avuto un solo importante difetto, dovuto alla Storia. Non si trattava dell'intera Europa, bensì esclusivamente della sua parte libera ad Ovest. La separazione dell'Europa ha attraversato per cinque decenni la Germania e Berlino. Nel frattempo, ad est del Muro e del filo spinato, una parte irrinunciabile dell'Europa, senza la quale l'idea dell'integrazione europea non si sarebbe potuta realizzare compiutamente, aspettava la sua opportunità di partecipare al processo di unificazione europea. Quell'opportunità giunse con la fine della divisione europea e tedesca nel 1989/90.

Robert Schuman se ne rese conto con estrema chiarezza già nel 1963: "Dobbiamo costruire l'Europa unita non solo nell'interesse dei popoli liberi, ma anche per poter accogliere in questa comunità i popoli dell'Europa Orientale se, una volta liberati dalle costrizioni di cui soffrono, chiederanno l'adesione e il nostro sostegno morale. E' nostro obbligo essere per loro l'esempio dell'Europa unita, fraterna. Ogni passo che noi compiamo su questa strada rappresenterà per essi una nuova opportunità. Necessitano del nostro aiuto per le trasformazioni che devono realizzare. E' nostro dovere essere pronti."

Dopo il crollo dell'impero sovietico, la UE ha dovuto aprirsi verso l'Est, altrimenti l'idea dell'integrazione europea si sarebbe svuotata da sola e, alla fine, autodistrutta. Perché? E' sufficiente considerare che cosa succede nella ex-Jugoslavia, per vederne le conseguenze, anche se non accade sempre ed ovunque che si arrivi a questi estremi. Una UE limitata all'Europa occidentale, nel tempo, avrebbe determinato in Europa un sistema di Stati spaccato: nell'Europa occidentale l'integrazione, nell'Europa orientale il vecchio sistema di equilibrio con il suo orientamento nazionale, con obblighi di coalizione, con la classica politica di interessi e il pericolo permanente di ideologie nazionalistiche e di conflitti. Un sistema europeo di Stati diviso e privo di un ordinamento complessivo trasformerebbe nel tempo l'Europa in un continente dell'insicurezza e, a medio termine, queste linee tradizionali di conflitto si ripropagherebbero dall'Europa dell'Est anche all'Unione europea. Soprattutto la Germania ne emergerebbe come la grande sconfitta. Anche le realtà geopolitiche, dopo il 1989, non hanno lasciato nessuna alternativa valida all'allargamento ad Est delle istituzioni europee, e questo vale ancora di più adesso nell'era della globalizzazione.

La UE, come risposta a questa svolta veramente storica, ha avviato coerentemente un profondo processo di ristrutturazione:

- Partendo dalle tre essenziali sovranità dello Stato moderno nazionale, ovvero la moneta, la sicurezza interna e quella esterna, a Maastricht si è iniziato il trasferimento di una parte di esse alla esclusiva responsabilità di una istituzione europea. L'introduzione dell'euro non ha significato soltanto il culmine dell'integrazione economica: essa è stata anche un atto profondamente politico, perché la moneta non è soltanto una elemento di natura economica, ma rappresenta anche il potere del sovrano che la garantisce. Una tensione è nata fra la comunitarizzazione dell'economia e della moneta da una parte , e l'assenza di strutture democratiche e politiche dall'altra, una tensione che nell'Unione Europea può comportare crisi interne se non si colmano in modo adeguato i deficit nell'ambito dell'integrazione politica completando così il processo di integrazione.

- Il Consiglio europeo di Tampere ha segnato l'avvio di un nuovo ampio disegno di integrazione: la costruzione di uno spazio comune di diritto e di sicurezza interna. In questo modo, l'Europa dei cittadini diventa toccabile con mano. L'importanza di questo nuovo progetto di integrazione, però, non si limita a ciò: un diritto comune può sviluppare un forte potenziale integrativo.

- Gli Stati europei, soprattutto in conseguenza della guerra nel Kosovo, hanno intrapreso ulteriori passi per rafforzare la loro comune capacità di azione in politica estera e, a Colonia ed Helsinki, hanno concordato un nuovo obiettivo: lo sviluppo di una comune politica di sicurezza e difesa. L'Unione, in tal modo - dopo l'euro - ha compiuto un passo ulteriore. Infatti, come si potrebbe giustificare, nel tempo, il fatto che degli Stati uniti in maniera inscindibile nella loro esistenza politico-economica da un'unione monetaria, non affrontino congiuntamente le minacce esterne e non garantiscano insieme la propria sicurezza?

- Ad Helsinki è stato anche concordato un piano concreto per l'allargamento della UE. In base a queste decisioni i confini esterni della futura Unione dovrebbero essere stati più o meno tracciati. E' prevedibile che l'Unione europea, alla fine del processo di allargamento, abbia 27, 30 o forse ancora più Stati membri, quasi quanti ne aveva la CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dal 1994 detta OSCE, N.d.R.) al momento della sua fondazione. (1974, N.d.R.)
Attualmente, in Europa siamo quindi confrontati con il difficilissimo compito di dover realizzare contemporaneamente due grandi progetti:

1. L'allargamento al più presto possibile. Ciò comporta difficili problemi di adeguamento per i Paesi candidati all'adesione e anche per la UE stessa. Nello stesso tempo suscita timori e paure nei nostri cittadini: sono in pericolo i loro posti di lavoro? Come conseguenza dell'allargamento, l'Europa diventerà ancora meno trasparente e meno comprensibile per la gente? Pur dovendo affrontare seriamente questi problemi, non dobbiamo mai perdere di vista la dimensione storica dell'allargamento ad Est. Questa dimensione è infatti un'opportunità unica per unire questo continente, scosso per secoli da guerre, nella pace, nella sicurezza, nella democrazia e nel benessere.
L'allargamento rappresenta, soprattutto per la Germania, un interesse nazionale primario. I rischi e le tentazioni obiettivamente legati alle dimensioni e alla posizione centrale della Germania potranno venir superati definitivamente grazie all'allargamento ed al contemporaneo approfondimento della UE. A ciò si aggiunge un'ulteriore considerazione: l'allargamento - come si è visto per il processo di allargamento verso sud della UE - è un programma di crescita per l'intera Europa. Sarà soprattutto l'economia tedesca a trarre dall'allargamento notevoli vantaggi per le imprese e l'occupazione. La Germania deve continuare ad essere il difensore di un celere allargamento ad Est. Al contempo, l'allargamento deve venir realizzato con cura e nello stretto rispetto delle decisioni di Helsinki.

2. La capacità di azione dell'Europa. Le istituzioni della UE sono state create per sei Stati membri. Esse funzionano a fatica con quindici. Per quanto importante ai fini dell'avvio dell'allargamento, il primo passo della riforma che proponiamo di compiere nell'ambito dell'attuale Conferenza intergovernativa, vale a dire l'estensione del voto a maggioranza qualificata, non sarà sufficiente da solo per realizzare l'allargamento nel suo complesso. Il pericolo consiste nel fatto che un allargamento a 27-30 membri sia un peso eccessivo per la capacità di assorbimento della UE con le sue vecchie istituzioni e meccanismi e che si producano pesanti crisi. Questo pericolo, mi preme sottolinearlo, non rappresenta assolutamente un argomento contro un allargamento il più rapido possibile, bensì piuttosto un argomento a favore di una riforma radicale e adeguata delle istituzioni, in modo che la capacità d'azione possa venir salvaguardata anche con l'allargamento. Per questo, la conseguenza dell'inevitabile allargamento dell'Unione può essere tanto l'erosione, quanto l'integrazione.

Signore e Signori,
sulla realizzazione di questi due compiti si incentra l'attuale Conferenza intergovernativa. La UE si è assunta l'obbligo di essere pronta a nuove adesioni entro il l° gennaio 2003. Dopo la conclusione dell'Agenda 2000, bisogna ora creare i presupposti istituzionali per l'allargamento. La soluzione di tre questioni centrali - composizione della Commissione, ponderazione dei voti nel Consiglio e soprattutto l'ampliamento delle decisioni maggioritarie - è irrinunciabile affinché il processo di allargamento possa proseguire senza intoppi. La soluzione di questi tre problemi assume, quindi, come prossimo passo pratico massima priorità.

Nonostante l'importanza centrale della Conferenza intergovernativa quale prossimo passo per il futuro dell'Unione europea, vista la situazione in Europa, dobbiamo già oggi iniziare a riflettere - andando oltre il processo di allargamento - sul possibile funzionamento di una futura Unione europea "grande", sull'aspetto che dovrà assumere e sulle modalità di funzionamento necessarie. Riflessioni che ora intendo fare.



Mi sia quindi concesso, Signore e Signori, di lasciarmi definitivamente alle spalle "il Ministro degli Esteri" per poter presentare alcune riflessioni sia sull'essenza della cosiddetta "finalità dell'Europa" che anche sulla strada che ci avvicinerà a questa meta per farcela poi definitivamente raggiungere. E anche a tutti gli euroscettici di qua e di là del Canale della Manica desidero consigliare di non produrre nuovamente titoli cubitali, trattandosi, in primo luogo, di una visione del futuro mia personale, per quanto concerne la soluzione dei problemi europei. E, in secondo luogo, parliamo oggi di un lasso di tempo lungo, che supera la durata dell'attuale Conferenza intergovemativa. Nessuno, quindi, deve avere paura di queste tesi.

L'allargamento renderà indispensabile un'approfondita riforma delle istituzioni europee. Come ci si immagina un Consiglio europeo con 30 Capi di Stato e Governo? 30 Presidenze? Quanto dureranno le sedute del Consiglio? Giorni o addirittura settimane? Come si giungerà ad una composizione degli interessi nell'ambito dell'attuale struttura istituzionale della UE quando saremo in 30; come verranno prese le decisioni e come si potrà, poi, ancora agire? Come si vuole evitare che la UE diventi definitivamente imperscrutabile, che i compromessi diventino sempre meno comprensibili e più strani e che l'adesione dei cittadini all'Unione europea si abbassi a cadere al di sotto dello zero?

Un mare di domande alle quali, tuttavia, c'è una risposta semplicissima: il passaggio dalla Confederazione alla completa parlamentarizzazione in una Federazione europea, come già richiesto cinquant'anni fa da Robert Schuman. E questo significa un Parlamento europeo e un governo europeo che esercitino effettivamente il potere legislativo ed esecutivo all'interno della Federazione. Questa Federazione dovrà basarsi su di un trattato costituzionale.
Sono ben consapevole del fatto che saranno numerosi i problemi di procedura e di sostanza da affrontare, prima di poter raggiungere questa meta. So, tuttavia, senza ombra di dubbio, che l'Europa potrà svolgere il ruolo che le spetta nella competizione economica e politica globale solo se procederemo con coraggio. Con le paure e le ricette del XIX e XX secolo non possono venir risolti i problemi del XXI secolo.

Ovviamente, contro questa soluzione semplice viene sollevata subito l'obiezione della sua impraticabilità. L' Europa non è un nuovo continente, bensì un continente con popoli, culture, lingue e storie differenti. Gli Stati nazionali non si possono spazzare via con il pensiero, e quanto più la globalizzazione e l'europeizzazione creano mega-strutture lontane dai cittadini e soggetti anonimi, tanto più i cittadini si attaccheranno ai loro Stati nazionali che trasmettono loro sicurezza e senso di protezione.

Bene, io condivido tutte queste obiezioni, poiché sono fondate. Si commetterebbe un irreparabile errore di progettazione se si tentasse di portare avanti il completamento dell'integrazione politica contro le istituzioni e le tradizioni nazionali presenti e non coinvolgendole. Viste le condizioni storico-culturali dell'Europa, una tale impresa fallirebbe. Solo se l'integrazione europea coinvolgerà gli Stati nazionali in una simile Federazione, solo se le loro istituzioni non verranno svalutate o addirittura fatte scomparire, questo progetto, nonostante le sue enormi difficoltà, sarà fattibile. In altre parole: l'immagine che è prevalsa sino ad ora di uno Stato federale europeo, che sostituisce, come nuovo depositano della sovranità, i vecchi Stati nazionali e le loro democrazie, è una elucubrazione artificiale, che si colloca al di fuori delle realtà europee consolidate. La realizzazione dell'integrazione europea e pensabile con successo solo se avviene sulla base di una ripartizione della sovranità fra l'Europa e lo Stato nazionale. Proprio questo è il fatto che si cela dietro la "sussidiarietà", concetto attualmente discusso ovunque e che quasi nessuno capisce.

Che cosa vuole dire "ripartizione della sovranità"? Ripeto, l'Europa non sorgerà in uno spazio politico vuoto; ne consegue che un altro aspetto della nostra realtà europea sono le diverse culture politiche nazionali e le loro opinioni pubbliche democratiche, separate anche dai confini linguistici. Un Parlamento europeo deve quindi avere una doppia funzione, quella di rappresentare un'Europa degli Stati nazionali e un'Europa dei cittadini. Ciò sarà fattibile solo se questo Parlamento europeo ricongiungerà effettivamente le diverse élites politiche nazionali e anche le diverse opinioni pubbliche nazionali. A mio avviso, ciò è possibile se questo Parlamento europeo disporrà di due Camere: una Camera composta di deputati eletti, che siano, al contempo, membri dei Parlamenti nazionali. In questo modo, si evita un contrasto fra i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo, tra lo Stato nazionale e l'Europa. Per quanto concerne la seconda Camera, bisognerà scegliere fra un Senato con Senatori degli Stati membri direttamente eletti e una Camera degli Stati analoga al nostro Rundesrat. Negli Stati Uniti, tutti gli Stati eleggono due Senatori, nel nostro Bundesrat, invece, c'è un diverso numero di voti.

Allo stesso modo, per l'esecutivo europeo, ovvero il governo europeo, si prospettano due opzioni. O si decide di trasformare il Consiglio europeo in un governo europeo - il governo europeo viene formato dai governi nazionali - oppure, partendo dall'attuale struttura della Commissione, si passa all'elezione diretta di un Presidente con ampi poteri esecutivi. A questo proposito, sono pensabili, però, anche diverse forme intermedie.

Si potrebbe obiettare che l'Europa è già oggi troppo complicata e poco comprensibile per i cittadini dell'Unione e che ora c'è l'intenzione di renderla ancora più complessa. Ciò che si vuole fare, tuttavia, è esattamente il contrario. La ripartizione della sovranità fra Federazione e Stati nazionali presuppone un trattato costituzionale che stabilisca cosa dovrà venir regolato a livello europeo e che cosa dovrà essere disciplinato anche in futuro a livello nazionale. La molteplicità di regolamenti a livello comunitario è uno dei risultati della comunitarizzazione induttiva secondo il metodo di Monnet e quindi l'espressione di compromessi fra Stati nell'attuale Confederazione di Stati, che costituisce l'Unione europea. La chiara determinazione delle competenze fra Federazione e Stati nazionali in un trattato costituzionale europeo dovrebbe trasferire alla Federazione le sovranità essenziali, e solo ciò che deve assolutamente essere disciplinato a livello europeo; il resto però rimarrebbe di competenza dello Stato nazionale. Ciò corrisponderebbe a una Federazione europea snella ed, al contempo, in grado di agire, pienamente sovrana e ciò nonostante poggiante su Stati nazionali autoconsapevoli quali membri della Federazione. Si tratterebbe, altresì, di una Federazione che viene seguita e capita dai cittadini avendo essa colmato il suo deficit democratico.

Tutto ciò non significherebbe, tuttavia, l'eliminazione dello Stato nazionale. Perché, anche per la Federazione quale soggetto finale, lo Stato nazionale, ricco di tradizioni culturali e democratiche, sarà insostituibile per poter legittimare un unione di cittadini e Stati accettata pienamente dalla gente. Lo dico soprattutto rivolgendomi ai nostri amici in Gran Bretagna; so infatti che il concetto di "federazione" per molti Britannici è irritante. Tuttavia, fino ad ora, non mi è venuto in mente nessun altro termine adeguato. Non intendo, però, irritare nessuno.

Anche nella finalità europea continueremo ad essere britannici e tedeschi, francesi e polacchi. Gli Stati nazionali continueranno ad esistere e manterranno a livello europeo un ruolo molto più forte di quello svolto dai Lander federali in Germania. E in questa Federazione il principio della sussidiarietà avrà in futuro un rango costituzionale.

Queste tre riforme, cioè la soluzione del problema della democrazia e il riordino sostanziale delle competenze sia orizzontalmente, cioè fra le istituzioni europee, sia verticalmente, quindi tra Europa, Stato nazionale e regioni, potranno riuscire solo tramite una rifondazione costituzionale dell'Europa, quindi attraverso la realizzazione del progetto di una Costituzione europea il cui nucleo deve essere I' ancoraggio dei diritti fondamentali, dei diritti dell'uomo e civili, di una suddivisione equilibrata dei poteri fra le istituzioni europee e di una delimitazione precisa fra il livello europeo e quello nazionale. L'asse principale di questa Costituzione europea sarà data dal rapporto fra Federazione e Stato nazionale.

Non voglio che mi si fraintenda: ciò non ha nulla a che vedere con la rinazionalizzazione, anzi.


Signore e Signori,
la questione che si pone in maniera sempre più urgente è la seguente: questa visione di una Federazione secondo l'attuale metodo d'integrazione sarà realizzabile, o questo metodo stesso, elemento centrale dell'attuale processo di unificazione, deve essere messo in discussione? In passato, il "metodo Monnet" dominava il processo europeo di unificazione, con il suo approccio volto alla comunitarizzazione delle istituzioni e politiche europee.
Questa integrazione graduale, senza un progetto preciso prefigurante l'assetto finale, era stata concepita negli anni '50 per l'integrazione economica di un piccolo gruppo di Paesi. Pur avendo avuto successo questo approccio, per l'integrazione politica e la democratizzazione dell'Europa è risultato adeguato solo in parte. Laddove non è stato possibile un avanzamento di tutti gli Stati membri della UE, sono andati avanti quindi piccoli gruppi in diverse formazioni, come per l' Unione economica e Monetaria o gli accordi di Schengen.

Dobbiamo quindi cercare la risposta alla doppia sfida di allargamento ed approfondimento in questa differenziazione, una cooperazione rinforzata in alcuni settori parziali? Proprio in un'Unione allargata, e obbligatoriamente anche eterogenea, un'ulteriore differenziazione diventerà indispensabile. Facilitarla è perciò uno degli obiettivi centrali della Conferenza Intergovernativa.

Tuttavia, una differenziazione sempre maggiore farà emergere anche nuovi problemi: una perdita di identità europea, di coesione interna, nonché il pericolo di un'erosione interna della UE, se, a fianco dell'integrazione, dovessero collocarsi settori di collaborazione intergovernativa sempre più estesi. Già oggi non si può disconoscere una crisi non più risolvibile all'interno della logica propria del "metodo Monnet".

Jacques Delors nonché Helmut Schmidt e Valéry Giscard d'Estaing hanno tentato recentemente di trovare nuove risposte a questo dilemma. Delors è dell'opinione che una "Federazione di Stati nazionali", composta dai sei Paesi fondatori della Comunità europea, debba stipulare un trattato nel trattato, con l'obiettivo di riformare profondamente le istituzioni europee. In una direzione analoga vanno le riflessioni di Schmidt e Giscard, che partono però non dai sei Paesi fondatori, bensì dagli undici Stati dell'Euro come centro. Già nel 1994, Karl Lamers e Wolfgang Schauble avevano proposto la creazione di un' "Europa a nucleo", che aveva però un sostanziale difetto congenito, ovvero partiva dall'idea di un "nucleo" esclusivo che, inoltre, lasciava fuori l'Italia, un Paese fondatore, e non fungeva da calamita integrativa per tutti.

Se, vista l'inevitabile sfida dell'allargamento ad Est, l'alternativa per l'Unione europea è effettivamente quella tra erosione o integrazione e se il mantenimento ostinato di un'unione di Stati comportasse uno stallo, con tutte le conseguenze negative che ne derivano, allora, le circostanze e le crisi da esse scatenate metterebbero I'UE, nel giro dei prossimi dieci anni, dinanzi alla seguente l'alternativa:

o una maggioranza di Stati membri coglie al balzo la palla dell'integrazione piena e si accorda su un trattato costituzionale europeo per la fondazione della Federazione europea;

oppure, se ciò non succede, un gruppo minore di Stati membri procede per questa strada fungendo da avanguardia, cioè creando un centro di gravità composto da alcuni Stati che, per profonda convinzione europeista, vogliono e possono andare avanti nell'integrazione europea.

Gli interrogativi sarebbero solo i seguenti:
quando verrà il momento giusto?
Chi parteciperà?
E questo centro di gravità si costituirà all'interno o all'esterno dei Trattati?

Una cosa è ad ogni modo certa: senza una strettissima collaborazione franco-tedesca, non riuscirà, neanche in futuro, nessun progetto europeo.

Considerata questa situazione, bisognerà, pensando non solo al prossimo decennio (quello 2001-2010, N.d.R.), immaginare l'ulteriore sviluppo dell'Europa in due o tre fasi.

In primo luogo, il potenziamento di una cooperazione rafforzata tra quegli Stati che vogliono collaborare più strettamente di altri, come già avvenuto nel caso dell'Unione economica e Monetaria e per Schengen.
In questo modo, possiamo fare progressi in molti settori: verso l'ulteriore sviluppo degli 11 (dal 2001 sono in 12, N.d.R.) dell’euro per arrivare ad un'Unione politico-economica, nella protezione ambientale, nella lotta alla criminalità, nello sviluppo di una comune politica di immigrazione e asilo e, ovviamente, anche nella politica estera e di sicurezza. A questo proposito, è molto importante che la cooperazione rafforzata non venga considerata un addio all'integrazione.

Un possibile passo intermedio sulla via del completamento delI'Unione politica potrebbe, poi, essere la formazione di un centro di gravità. Tale gruppo di Stati concluderebbe un nuovo trattato istitutivo europeo, il nucleo per una Costituzione della Federazione.
E, sulla base di questo trattato istitutivo, si darebbe istituzioni proprie, un governo che all'interno della UE dovrebbe parlare con una sola voce per i membri del gruppo, possibilmente in molti settoni, un parlamento forte, un Presidente eletto direttamente. Tale centro di gravità dovrebbe rappresentare l'avanguardia, la locomotiva per il completamento dell'integrazione politica e comprendere già tutti gli elementi della Federazione successiva.

Mi sono ben noti i problemi istituzionali che la prospettiva di tale centro di gravità comporterebbe per l'attuale UE. Quindi, sarebbe essenziale garantire che ciò che è stato raggiunto nell'UE non venga messo in pericolo, non la spacchi e che il legame che la tiene unita non venga compromesso, né politicamente né giuridicamente. Si dovrebbero sviluppare dei meccanismi che consentano una collaborazione del centro di gravitazione in una UE più grande, senza perdite per attrito.

Ad oggi è ancora impossibile rispondere al quesito riguardante gli Stati che parteciperebbero a tale progetto: i membri fondatori della UE, gli 11 (oggi 12, vedi sopra, N.d.R) dell'euro o forse un altro gruppo.
In ogni riflessione sull'opzione del centro di gravità deve essere chiaro che quest'avanguardia non dovrà essere mai esclusiva, bensì aperta a tutti gli Stati membri e a quelli candidati all'adesione nella UE, quando questi, in un determinato momento, vorranno partecipare.

Per tutti coloro che vogliono aderire, pur non avendo le condizioni necessarie, devono esservi possibilità di accostamento. La trasparenza e un'opzione di collaborazione per tutti gli Stati membri e candidati della UE sarebbero fattori essenziali per l'accettazione e la realizzabilità del progetto. E ciò deve valere soprattutto rispetto ai candidati all'adesione.
Sarebbe, infatti, storicamente assurdo e profondamente stolto se l'Europa, proprio in un momento in cui è nuovamente unita, venisse di nuovo spaccata.

Tale centro di gravità deve, quindi, avere un attivo interesse all'allargamento ed attrarre altri membri. Se si segue il principio di Hans Dietrich Genscher che nessuno Stato membro può venire obbligato ad andare più avanti di quanto possa o voglia, ma che colui che non vuole procedere non abbia neppure la possibilità di ostacolare gli altri, allora questo centro di gravità si costituirà all'interno dei Trattati; altrimenti, all'esterno.

L'ultimo passo sarebbe, infine, il compimento dell'integrazione con la Federazione europea. Per evitare malintesi: non c'è nessun automatismo che conduca dalla cooperazione rafforzata a questo obiettivo, sia sotto forma di centro di gravità che subito come maggioranza dei membri dell'Unione. La cooperazione rafforzata significherà inizialmente solo un intergovernativo rafforzato, derivante dalla pressione dei fatti e dalla debolezza del metodo Monnet. Il passo dalla cooperazione rafforzata ad un trattato costituzionale - e proprio questo sarà il presupposto per la piena integrazione - necessita invece di un consapevole atto politico ricostitutivo dell'Europa.

Questa, Signore e Signori, è la mia visione personale, ovvero il passaggio da una cooperazione rafforzata ad un trattato costituzionale europeo, nonché la realizzazione della grande idea di Robert Schuman di una Federazione europea.

Questa potrebbe essere la strada giusta.

NOTE:

SCHUMAN Robert (1886-1963), politico francese. Il 9 maggio 1950 lesse una celebre Dichiarazione che segna l'inizio del processo d'integrazione europea. (altro...)

VESTFALIA
Regione storica della Germania, oggi inglobata del Land "Renania settentrionale - Vestfalia". Nel 1648 nelle sue cittadine di Münster e Osnabrück fu conclusa l'omonima pace fra Francia, Svezia, Impero e le altre potenze coinvolte nella guerra dei Trent'anni. Di fatto, segnò la fine del Sacro Romano Impero germanico.

La Conferenza Intergovernativa a cui si fa riferimento è quella che portò al Trattato di Nizza del dicembre 2000.

 


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