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CONVEGNO Società Filosofica Italiana, Firenze 11-13 novembre 1999

 

LA FILOSOFIA ITALIANA IN DISCUSSIONE

 

 

[Le parole precedute e seguite da un punto interrogativo sono riferite a termini che non conosco o che ho male inteso.

Le note tra parentesi acute o con una lettera "i" finale sono riferite a mie riflessioni o associazioni di idee. Non c'è nessuna garanzia di fedeltà rispetto agli interventi: è tutto una mia interpretazione o traduzione del pensiero dei relatori, come mia è la scelta di dare più spazio ad un pensiero anziché ad un altro. P. e. non ho avuto né la forza né la capacità di seguire i singoli interventi del dibattito sulla didattica, come non ho registrato le considerazioni - peraltro interessanti - della comunicazione del sindaco di Firenze.

Catullo NALIN [email protected]]. 

a dx: il filosofo Cesare Cremonini - stampa Archiginnasio Bologna)

SCIENZA E IDEE (Paolo Rossi)

 

SEGNO INTERPRETAZIONE SCRITTURA (Carlo Sini)

 

EPISTEMOLOGIA- ANALITICA (Paolo Parrini)
Analitici in Italia  (Carli)

Insussistenza delle due culture (D'Agostino)

Eredità Giulio Preti  (Peruzzi)

Linguaggio e problemi critici  (Rizzi)

 

METAFISICA (Enrico Berti)

 

ERMENEUTICA (Sergio Givone)

E. e  nichilismo  (Cantarano)  Aporie dell'E.  (Fabris)

E. e storicismo (Gentili) 

E. in Pareyson (Longo)

STORIA  IDEE - INTERPRETAZIONE ESISTENZA (Sergio Moravia)

ETICA e SUE APPLICAZIONI (Salvatore Veca)
Filosofia e racconto (Panella)
Bergson nella fil italiana (Russo) 

BIOETICA E ETICA TEORICA (Eugenio Lecaldano)
 L'universale al femminile(Morselli)

Filosofia dell'identità (Pulcini)
Etica e teoria (Riccardi)

Riforma della scuola  (intervento del ministro Berlinguer) 

INSEGNAMENTO DELLA  FILOSOFIA 
(dibattito: Franco Cambi, Fabio Cioffi, Mario De Pasquale, Giovanni Fornero, Armando Girotti, Mario Trombino)

FILOSOFIA ITALIANA : 

 

in GERMANIA (Wilhelm Buettmayer)

nel  MONDO ANGLOSASSONE  (Luciano Floridi)

in ITALIA (Alessandro Pagnini)

in  FRANCIA (Bruno Pichard)

in AUSTRIA  (Michael Stoeltzner)

 

 

 

prima giornata

 

11/11/99  Firenze - congresso SFI- Paolo Rossi (relazione su "Scienza ed idee") cita Starobinski "Action et reaction": storia dell'ermeneutica e del relativo movimento di idee.  Atomismo come ogni ismo è plurisignificante con pesanti valenze ideologiche.  Nel 1624 la discussione pubblica su 14 tesi aristoteliche (Jean Villon tra gli altri) fu repressa. L'occasione del ritorno d'attualità dell'atomismo fu anche il risultato del peso dato dalla Chiesa alla transustanziazione: ilemorfismo tomistico, conversio totalis, mai presente in natura. Nel tema transustanziale si procede per analogie: non è mutamento qualità-quantità, né di mutazione di forma sostanziale, bensì mutamento che avviene nella materia; rimane intatta la forma accidentale e invece scompare la materia prima trasformata. Non si ha successione di forme ma mutazione di forma: la conversione tocca tutta la sostanza del pane, ma non tocca il corpo di Cristo che rimane intatto e impassibile. Il pane continua ad apparire pane anche dopo che è stato consacrato. Si da' accidente senza soggetto. Le qualità persistono,  ma come accidenti senza soggetto. La forma sostanziale scompare e viene sostituita con quella del Cristo, malgrado tutte le apparenze. Come  conciliare il carattere soggettivo della qualità secondarie con il permanere degli accidenti reali dopo che la transustanziazione è avvenuta? Anche Descartes si preoccupava di questo. Egli ipotizza solo movimento di corpuscoli:  anche a Galilei si rinfaccia la riduzione di tutto a grandezze (?Redondi? in "G. eretico"). La discussione sul corpuscolarismo è stata minuta, e si riferisce al VI libro della Fisica di Aristotele: "nessun continuo è divisibile in componenti che non ammettano parti: le parti sono sempre divisibili". Da un lato i divisibilisti vedono il continuo come composto di corpuscoli, dall'altro gli indivisibilisti credono che il continuo (non) sia composto. Ma non tutti gli atomisti sono divisibilisti.  Le teorizzazioni di una scienza ipotetica che intende salvare le proposizioni non sono categoriche ma ipotetiche: i punti geometrici non sono cose, e gli indivisibili non esistono: a inizio e termine di una linea, dicono gli occamisti, non ci sono cose chiamate punti. La linea è continua e infinita per sua propria natura. Anche i gesuiti collocano gli atomi come enti cum fundamenta. Da un lato i nominalisti, dall'altro coloro che ritengono gli enti "imaginaria" o "imaginabilia": esseri etra animam. (il gesuita) Rodrigo ?de Ariaga? (Cursus … 1632) è un discontinuista, analizza Zenone che insegnava che il continuum è di  punti finiti tra loro, si rende conto della limitatezza della teoria aristotelica: i punti hanno a che fare con realtà materiale. L'atomismo dei punti matematici consentiva di rifiutare la tesi aristotelica della divisibilità all'infinito, pur rimanendo fedeli alla tesi dell'inesistenza del vuoto . Di fronte ai problemi tipo condensazione-rarefazione, si teorizzarono i puncta inflata (ironizzati da Montaigne). Galilei nel Saggiatore s'era dichiarato atomista (particelle minime mosse con tanta velocità): non solo quindi punti matematici. Galileo ha di fronte consapevolmente il problema fisico dei punti. Atomi e "quanti" (Redondi), si mescolano concettualmente in Galileo. Lo Zenonismo (atomi e vuoto) era diventato una scuola di pensiero: 1670 anonima disputazione napoletana sul continuo. Altro testo: Dizionario di Bayle voce Zenone, cita Ariaga  che definisce i Zenonisti come puntualisti, habentes rationes extremi.  Leibniz parla di monadi come veri atomi (inestesi) della natura, sostanze semplici che entrano nei composti, gli elementi delle cose, che dunque - partendo dai punti fisici (falsi) -passando per i punti matematici si realizzano. 23 dicembre 1687: tesi proibite dai gesuiti superiori napoletani: padre Giuseppe Vinci non doveva insegnare che sono  incompatibili con una (divisibilità? i) fisica. Alunno suo fu Vico che parla del maestro come zenonista, "scotista di sempre", per zenonisti si intendeva - secondo Vico- coloro che si oppongono al continuum aristotelico. ?Brucker? divide la setta eleatica in due gruppi, la parmenidea più metafisica, e la zenonea più fisica (seguita da Leucippo e poi Democrito): Zenone dà valore soltanto al limite, al discreto. Contro l'atomismo si è sempre nel medioevo opposto che non vi è rapporto tra linea e punti, perché è incommensurabile il rapporto lato diagonale. Zenone appare come il  sostenitore del continuum composto di punti, e come tale oppositore del movimento. Croce nell'analisi del Vico parla di punti metafisici che Vico attribuisce a Zenone ma che in realtà sono tipici del Vico, lungo la dimensione galileiana. Secondo il relatore si tratta di una favola. Vico vede i punti come inestesi e tuttavia capaci di estensione. Vico è un zenonista metafisico: la fisica è dell'imperfezione, e quindi divisibile all'infinito, ma in metafisica, l'optimum va posto "in individua re": punti non dimensionali, constano di cose astratte. Cioè Vico è aristotelico-anticartesiano IN FISICA, ma nel mondo della verità si accede all'indivisibilismo, regno alto, valore: il tempo si può dividere, l'eternità è indivisibile. La tranquillità non conosce gradi, i turbamenti sì. Vico si riferisce sempre a Zenone cizio, solo in una nota (poi cancellata) si riferisce all'eleata.  Nel 1750 esce a Vienna la Teoria di Filosofia naturale, del Boscovich  (m. a MI 1787): materia immutabile, di puncta semplici indivisibili, privi di estensione e separati l'uno dall'altro; B. avvicina Leibniz a Zenone, (punti) come centri di forza della materia. Si tratta di una via intermedia tra Newton e Leibniz, una teoria della materia, su base rigorosa: Faraday apprezza tale valutazione boscovicciana, idem Kelvin che identifica la teoria di Maxwell con quella di Boscovich. Lo zenonismo insomma fa ingresso trionfale nella scienza moderna, anche nella chimica.  B. era un gesuita  (doveva quindi procedere cautamente i).

 

Pomeriggio: introduce Luciano Handjaras: Quali rapporti tra filosofia e storia della filosofia? Solo il fatto di discuterne, ci fa entrare nella filosofia.

Carlo SINI su segno interpretazione e scrittura. Andamento del dibattito negli ultimi 30 anni in Italia. Si inizia dall'anno di traduzione italiana 1967del Cours del De Saussure, a cura di Tullio de Mauro. Si generano alcune linee di tendenza: -dibattito riflesso sullo strutturalismo (contatti con Lacan Althusser e Foucault):  -si sviluppa la semiologia (più ancorata al Saussure, scienza dei segni) e la semiotica (da Peirce). Eco si aggancia a quest'ultima provocando un forte impatto sulla tradizione italiana esistenzialista-fenomenologica-marxista. Si ridiscute radicalmente il concetto di SOGGETTO e di STORIA. Un terzo punto di riferimento è - sviluppo del tema dell'interpretazione (a partire dal secondo Heidegger) attraverso contaminazioni (luoghi dove le idee di un contesto fruttano in un altro contesto):  da Heidegger e Gadamer allo smantellamento delle tre correnti dominanti: gli italiani attribuiscono Heidegger al campo esistenzialista, ma questo è opera solo degli italiani. Dietro all'interpretazione sta Nietzsche, patriarca dell'interpretazione. Nietzsche aveva letto Boscovitch, nel quale  trovava spunto per l'elaborazione del suo prospettivismo, del gioco delle  forze, la realtà è essenzialmente sviluppo e interpretazione, che non può non avvenire se non  attraverso segni <<v. Steiner sull'Eterno Ritorno Uguale come flusso atomistico e influsso positivistico>>. L'ermeneutica italiana di opposizione al gramscismo-fenomenologismo ha poi perso la confluenza di più linee e si è dispersa in questioni di tipo sociologico-moralistiche, filosoficamente inconsistenti. Heidegger basa tutta la sua filosofia sul concetto di "interpretante": non si pone nessuna realtà se non in riferimento ad un interpretante, che ovviamente si avvale di segni. Ma questo aveva già detto Peirce. Se l'ermeneutica si limita all'interpretazione (trasferimento di senso della verità: la verità ha la natura della relatività inscritta dentro di se, mai ti troverai di fronte alla cosa stessa, fantasma irraggiungibile, che passa sempre per il medio dell'interpretante) si cade al pre-filosofico, descrittivismo, sociologismo empirico. Il vero problema consiste nel COMPRENDERE l'evento dell'interpretazione, come accada, non il fatto ovvio che c'è interpretazione. Come accade che le mie parole determinano l'evento di un atto di risposta e quindi l'incarnazione di un significato: ora e qui. Non ha senso limitarsi alle condizione empiriche [il solito apparato della teoria della  comunicazione].

Accade la parola nuova, l'evento del significato. Per Sini bisogna trovare contatti con la tradizione americana: la questione grande della verità in quanto è presente in segno interpretazione scrittura. Appiattirsi alla SEMIOSI equivale sottrarsi all'aspetto filosofico della verità, che si declina non solo sul piano del significato (traducibibità di senso), ma anche sul piano dell'evento. Così solo si evita il doppio integralismo (o la metafisica o il relativismo) che fa bancarotta filosofica. Bisogna tenere conto del carattere duale della verità, che è verità ed è anche significato. La verità infine si configura sempre come INSCRIZIONE: dunque apre al tema della scrittura.  La scuola degli oralisti (canadesi) sottolinea l'impatto dell'invenzione alfabetica sulla cultura occidentale, che si costruisce sulla trascrizione del linguaggio orale su manufatti, che rende possibile l'interpretazione e l'astrazione logica che porta alla scienza, al concetto, che non è che la parola trascritta nell'alfabeto. La parola che nell'oralita vive in contesto, nello scritto si tramuta in concetto astratto. La nozione derridiana di scrittura è però modesta, modellandosi sulla nozione di segno di De Sausssure, ridotta a segno linguistico, secondo cui la parola ha significato mentale, che fa corpo con un significante psichico che si esprime attraverso la voce. De Saussure diceva non puoi tagliare il recto e il verso del significato, comenon lo puooi fare  del foglio. Derrida, autore geniale del nostro secolo, relativamente al che cos'è questa linea di divisione significato-significante arriva a rispondere che è il corpo della parole, la voce: devo avere il significante per trasmettere il significato. Per questa via, la traccia che non è né significante né significato, si arriva al decostruzionismo metafisico: questo è per Sini un abbaglio, presenta una versione debole della verità, cioè si arriva ad una verità falsa. Peirce offre uno spazio più ampio: la verità non ha due punti, ma tre: segno oggetto e interpretante.  Una terza linea: - considerare la scrittura come il luogo fondamentale dove sia possibile porre questioni come quelle filosofiche: non si tratta di andare dalla scrittura alla voce (vuoto inafferrabile di un concetto inesistente), ma considerare voce-corpo-gesto come luogo dell'iscrizione del significato. La duplicità della verità, nel senso dell'evento e del significato, con un nodo che li unisce, ma una duplicità di aspetti che li divide. Luogo dove porre le istanze dell'interpretazione (e della verità) è la  scrittura. Se ci manteniamo all'interno di questo luogo, ecco che la filosofia ha moltissimi concetti nuovi da scoprire: quale mai scienza ci dice una sola parola risolutiva su "che cos'è la verità, che cos'è UN SIGNIFICATO"? Questa è la domanda che giustifica l'operare filosofico; il significato transita, attraverso l'interpretazione dei corpi scritti: il corpo della mia voce perviene al corpo del vostro udito, il significato non si incontra mai con una cosa, un in sè e per sè, ma è sempre transeunte. Il significato NON LO SI PUO FERMARE, lo posso solo trasferire, da corpi a corpi, da supposti a supporti. Perenne essere in errore (errare): sarebbe un grave errore non cogliere un suo disveniente essere attraverso i corpi. Se isoliamo la verità dal corpo, non abbiamo colto nè la verità nè il significante: il significato transita. Ogni istante, ogni soglia, ogni momento del trasferimento, quello è la verità tutta, la verità, nient'altro che la  verità. L'alternativa è credere ad una verità assoluta che non transita, cioè di cui non si può cogliere il significato. Verità che transitando accade e accadendo cade: questa é l'unica verità. Non può non avere una intonazione etica: si tratta di corrispondere, cioè di conformare le nostra pratiche di vita al transitare della verità: ci vuole quindi un'ETICA DELLA SCRITTURA, che si faccia carico dell'evento della verità , che trasmutiamo e facciamo vivere cogliendola nell'evento.

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Pomeriggio: Epistemologia. Handjuras: Calvino rifletteva sul linguaggio nelle  conferenze americane, e poneva come degni del nuovo millennio alcuni valori, un progetto. Lo stesso dovrebbe valere per noi e per la filosofia in genere. Il pensiero degli analitici è divenuto patrimonio naturale comune in Italia. : -capacità di recupero e di ascolto delle  filosofie straniere, - confronto reciproco tra epistemologi ed ermeneutici  -capacità di comprensione storica, che rende la filosofia teoretica tipica dell'Europa legata alla dimensione storica. 

Paolo Parrini: filosofia italiana  dell'ultimo trentennio nella filosofia. scienza, episteme, logica e analitica.

La logica, disciplina specialistica che si muove tra informatica matematica e filosofia, necessaria per capire le vicende italiane, termine di confronto per capire gli ultimi tre decenni filosofici.

Nel 45 Preti cerca di recuperare il dotto estero, ma è condizionato dai suoi interessi particolari... solo De Finetti continua a elaborare la concezione della probabilità, che diventa programma di ricerca sia di matematica che di epistemologia, a livello internazionale.   Le carte De Finetti sono conservate a Pittsburgh , dove ha potuto svolgere le sue attività.

Negli ultimi 30-40 anni si recupera il tempo perduto in maniera più neutra rispetto a prospettive filosofiche di tipo personale. Esaminiamo il caso della logica:  La logica simbolica raggiunge un suo assetto, istituzionalizzato, solo lentamente. Preti la fa conoscere all'interno dei suoi interessi; solo con gli anni '50 si ha un approccio neutro: la svolta è nel '59 quando in Italia si ha un manuale istituzionale di logica (Ettore Casari, Manuale di logica (sotto direzione  Geymonat). La logica italiana ha imboccato con decisione tale strada, disperdendosi nell'alvo degli studi logici di tipo internazionale.

Viceversa nelle altre discipline in questione, non c'è stata internazionalizzazione, in particolare per la filosofia analitica (nelle tre branche: della conoscenza, del linguaggio, della mente), della scienza. Per loro necessità queste discipline conservano al loro interno una capacità di opzione filosofica generale, che tocca un terreno controverso, non istituzionale. Dopo la crisi del primo empirismo logico (Cambridge), si riesce con difficoltà a mettere insieme una piattaforma di conoscenze istituzionali (non esistono manuali di filosofia della  scienza completamente condivisibili). In filosofia c'è qualcosa  di analogo al progresso, comunque, perché si riesce anche nella filosofia analitica a stabilire una base comune,  p.e. sul verificazionismo uno studioso sa immediatamente i pro e i contro di tale posizione, e sa maneggiare tale sistema. La logica italiana non ha ardito entrare nel discorso filosofico (mentre all'estero non c'era questa remora). Nel '92 appare un manuale: Introduzione alla filosofia analitica del linguaggio, che mirava alla conoscenza istituzionale dell'ambito dei giudizi analitici (progetto wittgensteiniano, Fregeiano). Mancava il paradigma verificazionista, ma c'è l'inizio di un assetto produttivo: Bonomi, Marconi, sulla competenza lessicale. Gli scienziati hanno qualcosa da dire sulla verità, fanno progetti e ipotesi al riguardo. Si è costituita la Società Filosofica Analitica Italiana, come parte dell'ambito europeo. Berti  si interessa oggi all'analitica proprio perché riconosce che sono state risolte le pregiudiziali antimetafisiche della prima analitica. La cultura italiana di tipo storicistico  a contatto con l'analitica  <si deve rifare alla filosofia come istituzione >.

 IL TEMA DI OGGI è LA SFIDA COSTITUITA DALLO SPECIALISMO, è LA FILOSOFIA CHE TENDE A SPECIALIZZARSI, e si trova a doppio disagio. Bisogna superare l'incomunicabilità tra discipline, inutile lamentarsi di mancanza di grandi filosofi, esattamente come è inutile lamentarsi della mancanza di grandi scienziati. Quello che serve è la coordinazione della ricerca, anche in campo filosofico. 

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Comunicazioni

Eddy Carli (PD): sviluppi recenti dell'analitica e rapporti con la  filosofia italiana. Si tende a vedere una continuità tra filosofia  (continentale) e filosofia. analitica. Caduta la contraddizione tra analitica (Russell e Primo Wittgenstein, Carnap, Austin) e metafisica. Già con il secondo Wittgenstein delle Ricerche e con tutta la scuola di Oxford si è abbandonata la contrapposizione e si è data 1919 con il libro di ?Dam? Base logica della metafisica, in senso minimale, cioè come descrizione della realtà come ontologia degli  oggetti e degli eventi.  Anche all'interno delle filosofia analitica si individua un percorso che prosegua la tradizione classica della filosofia, pur se con approccio processuale diverso, come nel saggio di Urmson Logica analitica per l'Enciclopedia Italiana anni 70, dove si definisce analitico in contrapposizione a sintetico.  Gran parte di Aristotele è di mentalità analitica (v. analisi della felicità nella Nicomachea). Solo Berti ha dato spazio a tale aspetto del pensiero aristotelico.

Franca D'Agostini (TO) su irrilevanza filosofica del problema delle due culture: tentativo di teoria, oggi difficile perché mascherato di solito in lavori storiografici. In Italia tutti sono analitici e continentali  cioè sia di scienza che di cultura.  Tre ragioni dell'irrilevanza delle due culture. Divisione esistenzialistica del lavoro … esiste nella misura in cui non c'è un' unica fabbrica del prodotto filosofico. Ci sono gli specialismi scientifici, ma anche le scienze sono costruzioni ideali antiche: nel '900 tutte  le scienze specializzate hanno avuto l'ambizione di porsi come scienze filosofiche fondamentali. L'ultimo tentativo di sistema è stato lo strutturalismo. Oggi si sente bisogno di enciclopedie perché si sente la mancanza di una filosofia unica, un'unità del sapere. Terzo motivo dell'irrilevanza: le cultura sono tre: le due più le scienze esatte. E' vero che pare maggiore il legame di queste ultime con le scienze della natura, ma il paradigma matematico non si applica tranquillamente alle scienze empiriche. P. e. divergenza tra fisici e matematici sul concetto di funzione; l'ontologia della matematica è più vicina alla cultura filosofica che alle scienze fisiche. Popperismo invadente popolarizzato non è che hegelismo, enciclopedismo matematico presente in Hegel e trascurato negli hegeliani italiani (solo Enriquez rimproverava Croce per aver portato avanti unicamente l'aspetto antiscientifico di Hegel, atteggiamento che veramente non c'era in quest'ultimo).

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Alberto Peruzzi (FI) su analitici e continentali: l'eredità di Giulio Preti sulla capacità italica di miscelare, di sincretizzare.. Quello che conta in filosofia è l'argomentazione, non porre le questioni del cuore, che se ci sono occupano uno spazio e che preventivamente è bene esplicitare.  Continentali (cultura, storia) accusano gli analitici per problemi irrisolti che in realtà sono comuni alle due aree: gli analitici sarebbero scientisti riduzionisti fautori di una filosofia fine a se stessa, incapace di uscire dalla dimensione di una "microfilosofia", di dispersione nel barocchismo formale, vedono gli alberi ma non la foresta. Viceversa gli analitici sparano bordate di incompetenza logica, di tuttologia, di sostituire con l'emotività l'esigenza di procedure logiche. La ragione del contendere c'è ma non tra un'area e l'altra, bensì nell'assetto generale della filosofia: dove mettiamo fenomenologia, neocriticismo? Nel '68 la Retorica e logica di Preti cerca gli elementi di contrapposizione per individuarne l'ineffettività, nel senso che sono più gli elementi di sovrapposizione che quelli di dissidio. Preti non pone il tema della fine della filosofica (posta successivamente, da Rorty). Preti si riferiva al pragmatismo di Dewey, e dà come paradigma di intersoggettività il valore della filosofia (CONCILIARE logica e società). Oggi invece il pragmatismo prevalente, quello di Putnam, fa riferimento a James. Preti nel suo libro ha molto da dirci sulla polemica attuale.

Erminio Rizzi su linguaggio e percezione-problemi critici.  Mi meraviglio che la filosofia oggi non veda l'antedecenza dei corpi rispetto ai segni (Gadamer riduce tutto il mondo al linguaggio, unico essere che può venire compreso).  Ma la parola può stare senza il suo significato? No, le varie successioni di suoni non sono portatrici di significato: ci dev'essere un già dato prima della successione di suoni. Il problema è il passaggio dalle successioni di suoni alle parole, cioè il problema del linguaggio. Posto che le percezioni sono soggettive, <rispetto>  a cose presenti in se, Kant risolve il problema riducendo i significanti a fenomeni, Heidegger risolve il tutto dicendo che l'uomo è posseduto dal pensiero. Nulla è forma ma tutto è materia data. Non si tratta di chiarire le condizioni di conoscenza universali, la quali sono le condizioni perché ognuno di noi conosca. … La forma non è innata, ma viene concepita progressivamente rispetto alla (materia). L'immaginazione ha funzione di anticipatrice della materia (p.e. nella percezione abbiamo una parte sotto i sensi, e ciò che va al di là viene immaginato dalla mente come anticipazione della cosa stessa). Due condizioni trascendentali per il rapporto scienza-filosofia, anima del soggetto e  Dio.

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Metafisica e l'ermeneutica. presiede Amedeo Marinotti (FI) L'ermeneutica ha dichiarato la fine della metafisica due volte: dapprima come fondamento della scienza, una volta acquisita la scienza storica, la seconda volta quando Heidegger con l'ermeneutica ontologica distrugge la metafisica per l'errata posizione del problema dell'essere. Ma Heidegger ritrova nell'antropologia la radice della domanda metafisica, come interrogazione "perché l'essente e non piuttosto il nulla?". Così la metafisica nel '900 si è posta in ritirata, ma è ritornata a Aristotele, a nuove acquisizioni di cui parlerà Berti.

BERTI: stato di salute della metafisica nella filosofia italiana. La valuto nell'intero secolo: c'è un'anomalia tutta italiana, almeno nel primo tentenni dei secolo: contrapposizione tra metafisica e antimetafisica tra Gentile da un lato e Croce dall'altro. Gentile si dichiarava in favore della metafisica anche se poi la intendeva in senso immanentistico, mentre Croce si schierava decisamente contro la metafisica. Dopo la fine dell'egemonia idealistica (dalla metà dei '30 alla metà dei '60) la contrapposizione si incarna nelle posizioni cattoliche da un lato, con l'anitifisicismo di quasi tutti gli altri, i "laici". Segno di provincialismo: tale contrapposizione non mi risulta in ambito europeo e angloamericano (dove oltre alla dominante analitica è sempre presente la metafisica come disciplina istituzionale). P.e. in Germania, pur prevalendo l'ermeneutica, non esistono forme di posizione "laicistica" nel senso di antireligiosità.  Le due principali correnti metafisiche italiane sono da un lato quella di ispirazione tomistica, dall'altro quella agostiniano-platonica. Anch'esse caratterizzate in senso religioso. Nell'ultimo terzo del secolo la situazione si é evoluta: crisi delle ideologie, gli effetti del concilio vaticano secondo e del processo storico di secolarizzazione, la fine delle ideologie hanno concorso a dissolvere la contrapposizione. Restaino, nell'appena uscita voce sulla Filosofia UTET, rileva la progressiva laicizzazione dei filosofi cattolici e dall'altro lato l'abbandono di un laicismo esasperato in senso antireligioso. Ora la scelta tra  metafisica o non metafisica è tutta basata su argomentazioni di carattere filosofico.  Quasi completamente sono scomparse le metafisiche di ispirazione spiritualista, forse le più legate al fattore religioso, mentre sopravvivono altre forme di metafisica, quelle che si riconnettono a ciò che era stata nel trentennio precedente l'ispirazione tomistica-neoscolatica. Le due scuole di metafisica sopravvissute sono: quella milanese della Cattolica (Masnovo, Olgiati, Vanni Rovighi) che ha raggiunto il culmine come rigore con il pensiero di Bontadini, dall'altra parte, come rileva Restaino e come si vede nella Storia della filosofia di Mario Dal Pra, la scuola padovana di metafisica che fa capo a Marino Gentile, tra i cui scolari annovero anche me stesso. Mentre la scuola milanese conserva un legame stretto con il pensiero cattolico, e quindi con componente  apologetica tramite Tommaso, nella scuola padovana [Umberto Padovani, Giacon, Faggiotto...] il processo di laicizzazione è già avanzato: si parla di metafisica con i maestri antichi (Plotone e Aristotelico) senza  passare per il neotomismo. Oggi è di moda l'aggettivo debole in filosofia per connotare le posizioni del momento presente. Per  quel che mi risulta non si è cercato di chiarire cosa significa veramente "debole". Apriamo una parentesi epistemologica. Vi è un versante logico del termine, ed uno epistemologico. L'asserto "Tutti i cigni sono bianchi" qualora fosse teoria scientifica, sarebbe una teoria forte epistemologicamente (cioè ricca di informazioni), però  da un pdv logico è debole (sarebbe facilissima da confutare). Ecco che una teoria può esser forte e debole nello stesso tempo. Viceversa "Alcuni cigni sono bianchi" è affermazione debole epistemologicamente ma fortissima logicamente. Così è in metafisica: Parmenide (tutto ciò che esiste è immobile) è forte epistemologicamente, ma è debole logicamente (basta mostrare che esiste la sensazione  del movimento: anche se illusoria, è in movimento, quindi non è vero che il tutto è immobile). All'opposto si pone la tesi di Eraclìto.  Certo, più difficile confutare (logicamente) posizioni aristoteliche e platoniche che sostengono "Ci sono cose che mutano e cose che non mutano".

La tesi di Bontadini  (il quale si inquadra nella tradizione platonicizzante con Luigi Stefanini (metafisica della persona), Sciacca (metafisica rosminiana), Prini (metafisica ontologica), V. Mathieu (metafisica neoplatonica), Carlo Arata (metafisica della prima persona) .

Il divenire è contraddittorio perché attesta l'ambivalenza tra essere e non essere: bisogna rimuovere tale contraddizione, e la soluzione è che l'essere sorga dal nulla attraverso la Creazione, onnipotenza dell'atto creativo: metafisica fortissima epistemologicamente, ma non logicamente, tanto è vero che i suoi sviluppi in E. Severino portano al divenire come elemento da rimuovere in quanto contro, per cui basta rimuovere il divenire e tutto è logico. Più conseguenti  rispetto a Severino sono Evandro Agazzi e Camelo Vigna che insistono sulla sperequazione tra intero dell'esperienza e intero del  reale.

 La metafisica padovana ha meno pretese: il  mondo dell'esperienza, della vita, della storia, della realtà, dell'esistenza, questa realtà è PROBLEMATICA, cioè non si spiega da sé, si mostra precaria, inadeguata, finita, incapacità dell'esperienza del complesso di porsi come realtà assoluta, come fondamento di ogni cosa, come cosa in cui sia pienamente  realizzata la razionalità, l'autosufficienza della presenza delle metafisica epistemologicamente debole, ma molto forte dal pdv logico: i può confutare solo, per antitesi, dall'estrema facilità con cui si può confutare la sua negazione, vale a dire che l'esperienza, la storia, l'esistenza, la storia, la realtà sociale è l'assoluto  è qc che non ha bisogno di altro.  Oggi nessuno fa questo discorso né in analitica né in ermeneutica ecc. La metafisica  è dunque tipica delle persone deboli che si lamentano degli acciacchi e della cagionevolezza di salute, ma  che vivono poi  più dei loro medici.

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L'ermeneutica, che convive tra tradizione torinese, napoletana, fiorentina (storia della scienza).

Ne parla Sergio Givone (FI): gli esiti dell'ermeneutica contemporanea. Con sottotitolo: quali si possono individuale in riferimento alla discussione che ha avuto luogo negli ultimi trent'anni in Italia. Fenomeni di importazione si sono avuti, ma non tutto è importato. Prospettive originali sono da noi sorte.  Quando Gadamer approda come pensiero in USA tramite Derrida, è stata recisa la radice heideggeriana (ontologica) all'ermeneutica. Si taglia l'onto-ermeneutica. Invece in Italia il riferimento ad Heidegger ha continuato a tenersi come necessario (Pareyson). Teoria critica (=Scuola di Francoforte) in Italia è stata fatta interagire con le due prospettive ermeneutiche precedenti, per cui in Italia si assiste al florilegio di riviste teoretiche ("Aut Aut", "Paradosso", " Iride"), come interazione, convergenza prospettive tra teoria critica, l'ermeneuticaeneutica, analitica. In Italia  più che altrove ha sviluppato posizioni speculative che non possono essere ridotte ad un orizzonte comune. ?Cananeo? e D'Agostini, in quanto storici della filosofia, hanno sottolineato che tra pensiero debole e pensiero tragico, ecc. negli ultimi trent'anni l'ermeneutica italiana ha compiuto percorso in cui inizio ed arrivo appaiono ricongiunti: dal concetto di verità subito abbandonato, al concetto stesso riproposto in ambiti recenti.

Fuori d'Italia l'ermeneutica aveva abbandonato il concetto di verità, in concomitanza con eguale atteggiamento dell'analitica. Nietzsche: nel mondo dove tutto è interpretazione, della verità non resta nulla. Così p.e. nella giustizia, se si introduce il concetto di contrattazione, viene a cadere il concetto di verità.  Questo all'estero, ma da noi  la maggiore. opera italiana, Verità e iinterpretazione di Pareyson ('71) pone la questione in altro modo: della verità non si dà che interpretazione e dell'interpretazione non si dà che verità. Questo concetto è stato poi tralasciato, ma oggi ricompare con un allievo di Pareyson (Ciancio, Paradosso della verità). Lo stesso è accaduto in ambito epistemologico, quando Parrini l'ha mesa a confronto con la metafisica.  Parrini mette una terza via tra idealismo metafisico e relativismo radicale (conoscenza intersistemica), ponendo al centro la nozione di verità oggettiva: a tale nozione si richiamano le due precedenti correnti, l'una per porne l'unicità in metafisica, l'altra  nell'asserto che solo la scienza verità oggettivare  non come assolutezza ma come tensione antirelativistica. … Qui epistemologia e l'ermeneutica sono destinate ad incontrarsi. Pensiero interpretativo e pensiero oggettivante (scienza)  possono confluire: l'uno è pensiero rivelatore della verità dell'essere, che non si lascia oggettivare come la verità dell'ente: la verità è una ma infinite sono le sue interpretazioni. La verità sopporta l'interpretazione, e si fa  pensiero tragico, che affronta la lacerazione presentata dalla realtà. Parrini e Ciancio hanno punto di massima divergenza nell'unicità del vero e molteplicità di  interpretazione, divergenza per il concetto: verità non può esser oggettivata per Ciancio, lo può essere per Parrino.

 Verità oggettiva (scienza) e verità che non può essere oggettivata (religione, arte) possono essere ricondotte ad un terreno comune? La verità può essere detta in molti modi.

L'ermeneutica interroga il mondo dei significati, delle finzioni, dei giochi, del muto dialogare nel silenzio (religione, dialogo con uno che no risponde), ma l'epistemologo non si pone su questo piano. Il tragico non è un pathos suppletivo della conoscenza, Il linguaggio è irrimediabilmente manicheo, come dice il nostro unico grande filosofo Vico. L'ermeneutica ed epistemologia parlano di verità come qc. che sta dietro la cosa, come condizione di possibilità: non è tanto al v, ma il NON della verità (l'una parla della verità dell'essere, l'altra dell'essere della verità), il riferimento comune è quello dei termini negativi: nell'ermeneutica la verità dell'esser non è mai nella cosa-esperienza, ma oltre, ed è riconosciuta se non attraverso un processo di esclusione: non questo o quello, come indicava Plotino; similmente l'epistemologia parla dell'essere  della verità, che in realtà è un parlare dell'esser che la nega. La verità non è che nel suo poter esser FALSIFICATA. Dunque alla negazione si rivolgono le due teorie: la verità viene affermata e nel contempo intesa NEGATIVAMENTE.

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1a com: Giuseppe Cantarano (Roma 2) su l'impossibile libertà: metafisica, ermeneutica, nichilismo, dal nulla dell'individuo alla comunità del nulla. L'ermeneutica è segno del passaggio dalla necessità alla contingenza del nulla. Come pensare oggi la libertà. NICHILISMO NELLA VERSIONE DELL'ONTOLOGIA DEBOLE, DEL DECLINO, è l'esito solo del corto circuito ermeneutica-metafisica, tra cupio dissolvi del primo e costruzione metafisica della seconda. L'ermeneutica pluralizza in un'infinità di differenze, ha contrapposto l'individuo forte della meta, l'individuo debole della comunità delle differenze: questa seconda versione garantirebbe una maggiore LIBERTA' che si risolve nell'idolatria della comunità). Ci si è congedati dalle mega-narrazioni ideologica, per concedersi alla trasparenza assoluta, alla levità delle apparenze, dalla pacificazione generalizzata del benessere, dalla felicità. Da una condizione organicistico-comunitaria dell'organizzazione sociale, ad un valore della comunità come regolativo dell'individuo, come modello organizzativo. Con l 'idea postmetafisica della finitudine umana: siamo alla metafisica del finito; dall'etica della polis alla unità degli individui deboli tenuti insieme dai giochi linguistici, dall'apparenza estetica. Dilegua il concetto stesso di individuo, sia pure come unità indifferenziata di giochi linguistici. L'individuo prima della polis, non è - questa è la posizione classica. Secondo il relatore il pensiero ermeneutico arriva ad una metafisica declinazione della teologia scientifica, che ci consegna ad una metafisica, da cui in realtà non ci siamo mai congedati.  L' io non è che il rovescio simmetrico dell'altro nulla, il nulla della realtà.

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Adriano Fabris PI: aporie dell'ermeneutica  contemporanea. Escher: mano che disegna la mano che la disegna: esperienza visiva del paradosso, viene meno la distinzione tra esterno-interno, soggetto-oggetto e tuttavia siamo in grado noi di cogliere questi limiti. In analogia, la situazione dell'ermeneutica italiana richiede di essere interpretata, il luogo della teoria è il luogo in cui emergono aporie e paradossi, il senso appare pienamente comprensibile solo a livello del dettaglio (al contrario del pensiero di Hegel). Come si sa, l'ermeneutica è antihegeliana. Io non considero però queste aporie come punto di critica essenziale dell'ermeneutica, giacché per avere una tale forza la nostra critica dovrebbe basarsi su un piano assoluto, che l'ermeneutica stessa nega. Givone :"per l'ermeneutica ambigua è la realtà (molti esempi). Facciamo tre esempi per  vedere se esiste un piano della teoria: tre aporie:

1) assolutizzazione del relativo e viceversa (v. citazione di Nietzsche "esistono  solo interpretazioni"): ma se tutto è interpretazione anche questo enunciato è interpretazione. Petizione di principio di logica ermeutica: l'assoluto può porsi solo in quanto incarnato in un relativo. Questo relativo assolutizzato lo poso chiamare uomo, esistenza(v. Pareyson: la libertà è l'ambiguo per eccellenza)

2) LA LIBERTA RISULTA NECESSARIA; impossibilità di fare i canti con i fatti che esso pensiero riconosce

Troppi i fatti che resistono ai  poteri dell'interpretazione: la libertà cui si è condannati, fattuale l'evento dell'essere. L'orizzonte preliminare di comprensione non può porsi che come fondamento.

3) Il senso non è in grado di dar senso a se stesso (se non si superano qs. aporie non si può continuare a  filosofare).

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Carlo Gentili BO: l'ermeneutica e la pietà dello storicismo. Per Vàttimo l'ermeneutica è nuova koinè, terreno comune della teoria, dopo la fase strutturalista (che dava spazio alle strutture altre, ma poi ricadeva sul principio della neutralità dell'osservatore che tl'ermeneuticainava in un rifiuto di identificazione). L'ermeneutica invece con Gadamer unifica il tutto nell'orizzonte di passato e presente. Gadamer parla di fusione di due orizzonti, ma un altro ermeneuta H.R. Jauss nel suo ultimo lavoro, Wege des Verstehens, ricostruisce e cerca di approfondire il concetto di Gadamer, che parla di "differenziazione di orizzonte", con un'operazione di recupero dello storicismo, come "riflessione metodica sulla storicità del comprendere": il comprendere parte da una forma di attenzione verbale. Parte dalla massima "tout comprendre c'est tuot pardonner", Verstand in francese si divide in senso attivo comprendre, e passivo entendre. Nella dialogica appello intenzione e in intelligenza passiva cambiano continuamente di posizione. Tolstoi appunto in Guerra e pace esprime questa sentenza: bisogna mettersi nella veste degli altri (la sentenza è attribuita a M.me de Stael). Il modello entra in crisi con L'idiota di Dostoievski (comprendere e perdonare tutti - per il principe Miskin - anche coloro che lo ingannano). <Tolstoi> sostiene che l'atto della comprensione mette in discussione: non comprensione bensì mitleid, compassione come giustificazione di tutto.  Ma Nietzsche vede all' interno di  tale filosofia del perdono la coda del disprezzo.

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Ultimo contributo: l'ermeneutica e libertà in Pareyson (da "Verità e interpretazione" 1925 fino all'opus maius "Ontologia della libertà") della giovane Rosaria Longo (CT), che presenta una filosofia forte, l'esistenzialismo come filosofia della libertà.  (Pascal, Kiekegaard Schelling Dostoievski Berdiaev), continuità di umanesimo e romanticismo. L'interpretazione fonda necessariamente una tradizione. Resa operante dalla LIBERTA' interpretativa degli uomini: l'ermeneutica e l'ontologia si coniugano nel concetto di interpretazione. Sul principio dell'inseparabilità di essere e libertà. Anche il rifiutare l'essere passa per la libertà, che in quanto tale è comunque condizione dell'essere. L'uomo consiste nell'esser d'accordo con l'essere: questa è la dannazione dell'essere.

 Pqr il pensiero l'ermeneutica è pensiero tragico, tragica scienza della scelta tra bene e male. Grazie a Plotino, l'essere che consente la possibilità di chiedersi l'impossibilità dell'essere, di stare sull'abisso. Pareyson privilegia la dinamicità plotiniana rispetto alla staticità parmenidea. Fichtianamente l'origine del sapere non può non esser che il non sapere, ma non si può ridurre tutto al superamento hegeliano, gli opposti rimangono opposti ineludibilmente, senza integrazione se non nella libertà. E' da  distinguere il piano della dialettica da quello dell'ermeneutica: il pensiero non riesce a prendere coscienza di se stesso come origine di se stesso, nella logica, ma nell'ermeneutica questo solo è possibile: non il nulla, ma il pieno è nell'abisso: della filosofia negativa si passa al positivo attraverso un originario contatto con il nulla  che come tale si costituisce positivamente. Il costituirsi della libertà si ha attraverso l'impegno, il  coraggio di scegliersi. UNO è l'atto con cui la libertà si esercita, anche se è angosciante fare il bene con lo steso atto con cui si può fare il male. L'ermeneutica è pensiero. tragico, angoscia, dubbio, ma è essenziale nella filosofia. della libertà e della filosofia dell'interpretazione che si svolge nei terni della  filosofia della libertà.

 

CONVEGNO SULLA FILOSOFIA ITALIANA - FIRENZE - seconda giornata

 

 

12/11/99 Sergio  Moravia (FI): storia della  filosofia e storia delle idee, su temi di antropologia filosofica e filosofia dell'esistenza, ambiti nei quali ho lavorato: macchina-uomo-ontologia. Macchina e uomo sono diversi: nessuna macchina è amletica. Nel caso della macchina il comportamento amletico si riduce all'essere guasta.

Un sogno mattutino, un demone, un incubo, mi ha portato a cambiare radicalmente il discorso che avevo preparato, per cui - dopo la doppia sessione di ieri - ho deciso di parlare a braccio, ché ho apprezzato la quasi totalità delle relazioni. Il" Moravia 2" si sta dirigendo verso cose molto teoretiche, un discorso forte sul conflitto tra approccio storiografico e approccio filosofico in Italia. Sono partito storico assolutamente, e poi spinto da inquietudine perversa ho imboccato strade filosofiche (L'enigma della mente, L'esistenza ferita … - cita i suoi ultimi 3 libri). Interessato al libro della De Agostini su analitici e continentali: si tratta di una divisione "porta pericolosissima", griglia che non aiuta nell'analisi dei casi concreti, di un certo autore. Parrini scherzava sul suo libro "Analisi della mente" domandandosi se esso è analitico o continentale. Per me il  <suo> testo  - che tende a tesi  minoritarie nell'area analitica e molto legate all'area continentale - è analitico. ?Harris? p.e. è studioso di Hegel e Humboldt, ma si colloca tra gli analitici. Bisogna in sostanza sganciarsi da questo paradigma.

Cominciamo col dire che non mi serve nazionalizzare le filosofie.  Non vi racconto la storia della filosofia dell'esistenzialismo italiana di Abbagnano, Paci e dintorni (già documentata). Diversa la storia della filosofia della mente: qui si parte da 0 (mancano p.e. cattedre, è impensabile che ce ne siano). Cito chi per un verso teoretico è ai miei antipodi, anche se per altro verso è mio amico: Vittorio Somenzi. Andava anni fa proponendo i temi in questione; qualcuno ha aderito alla sua lezione, p.e. Roberto Corteschi, ma io che negli anni '70 ero reduce dagli USA, ho dovuto cominciare da 0, anche a livello bibliografico. Il mio libro "L'enigma della mente" era forse davvero il primo libro che affrontava in modo analitico questioni mai affrontate in Italia. Questa situazione mi incoraggia a parlare di questi  problemi. Il mio libro negli USA non è stato in gran parte capito, perché ha aspetti esistenziali che sono lontani da quell'ambiente. Ma qualcuno si è interessato al caso.

Cos'è filosofia della mente? Perché non chiamarla psicologia? In Usa la psicologia designa un'area di studi sperimentali, laddove tutte le questioni fondazionali, metodologiche e contestualizzanti, su mete e soggetto umano, sono affidata alla philosophy of mind, anche se in Usa si arriva poi a negare la mente. <Tutto viene ridotto al>  mind-body problem, <e non> al soggetto intenzionale, sempre partendo da presupposti dello psichico, psicofisico, neurocerebrale. E' dunque una macrodisciplina. Prendo in esame questo famigerato mind-body problem. Io non salverei nessuno dei termini: la mente non esiste, sul piano di fattualità, il corpo esiste se riferito al cervello-neuralità, ma come può esistere riferito alla mente? "Problema" è un termine fuorviante, vagamente rassicurante, perché si presume al fondo che esista una risposta. Cari amici, il problema, finché resteremo uomini, non avrà mai una risposta. Ci sono rapporti su determinati studi su atti psichici e loro correlati lavori neurali (in laboratorio), ma si tratta di lavori che poco hanno a che fare con le problematiche del mind-body problem. Uno dei massimi rappresentati del mind-body problem versione riduzionista, Armstrong, sostiene:"per me l'uomo è sostanza una pietra un po' più complicata": Ma già questa frase è meta-empirica. Mi ha colpito la verità della definizione. schopenhaueriana del problema mente-corpo come un "nodo del mondo": la filosofia. dell'occidente nasce con questo problema  <<servetta tracia, senso comune, vs. Talete teorico>>.

 La filosofia moderna si interroga su ossessioni profonde che porta con sé finché <l'uomo> resterà uomo (non so per quanto): chi sono io veramente? Sono la mia silhouette fisica che si impone visibilmente o c'è dell'altro? E anche se fossimo soltanto corpo, carne (solo il tedesco ha due termini per corpo: Korpe e Fleisch). Cos'è questo corpo a cui si dovrebbe ridurre il mentale. Il corpo in se e per se è un'astrazione, ma per me è un vissuto (Merleau-Ponty): tutti questi temi sono assenti nel mind-body problem. La ?Green? - secondo cui il mind-body problem si riduce al mal di denti - riduce tutto a sinapsi neuronale. Ma il MALE dei denti è lo stesso di un lutto o di un abbandono. Le parole (Strindberg) ci ingannano, sono troppo poche rispetto a tutto quanto noi viviamo. Si parla molto del mal di denti, ma poco di impegno politico, credenza religiosa, cose che sono una nostra collettiva ossessione: nella nostra vita quotidiana noi non siamo interessati al rapporto atto psichico-sinapsi, ma piuttosto a capire il senso col quale un passante o il partner ti ha guardato o detto una frase singolare. La vita - questa grande riguardante non solo  <l'area della> biologia, ma del filosofare - la vita è fatta di epifenomeni più numerosi di quanto emerge dalla letteratura del mind-body problem. Anche se l'uomo fosse null'altro che corpo, potrebbe questo significare che allora tutti i problemi del corpo-uomo possono essere affrontati con i soli problemi delle neuroscienze? NO, perché quali sono i problemi degli uomini? Certo, molti sono vicini ai correlati psicofisici, ma altri relati ad altri luoghi del nostro vivere nel mondo: promessa, impegno, fedeltà. William James biasimava lo psicologismo prevalente nel linguaggio d'Occidente. Perché gli uomini tendono a descrivere le loro cose (etiche, esistenziali …) con parole psichiche o psicologiche, implicando con questo che tutto ciò che noi facciamo  è generato dalla testa, mentre - diceva James - non  è del tutto così? C'è stimolo neurofisiologico della cosa, ma la cosa si declina anche a parametri di ordine contestuale, simbolico. Un atto vissuto in un'isola mediterranea implica reazioni del tutto diverse rispetto ad uno stesso atto compiuto in altra area culturale. James intendeva dire che una parte dei problemi che noi trattiamo in modo psicologico (tanti di questi problemi) chiede di essere correlata ad un territorio dell'esperienza che a volte ci attraversa senza che ne siamo consapevoli. E' masochistico il lavoro di bibliografia sul mind-body problem: tutti lavori sul mal  di denti, mentre la nostra testa è in realtà attratta da altre cose. Singolare l'aggressività con cui 3 patiti si sono cimentati sul tema negli ultimi 30 anni: identitisti, mentalisti, personoligi.

Gli indentitisti dicono m=f, il mentale è il fisico. D'accordo se si intende che non esiste un pensiero senza cervello. Ma la tesi m=f è intesa come null'altro che, nothing but. E' un approccio riduzionistico, mentre qui ci vorrebbe la teoria della complessità. Oltre alle sinapsi, lo studioso dovrebbe  aver  presenti referenze simboliche, culturali, normative. P.e. la "credenza": è truismo dire che la credenza eccita qualcosa in noi. "Io credo che P" è risultato di una sinapsi, ma questo non  è tutto quello che è riferibile al mio stato di credente. Andiamo molto al di là degli identitisti. Perché ce l'ho la credenza? Con quali correlati che stanno FUORI di me? C'è un me che si interroga su se stesso, ma anche un me che guarda fuori.

Il secondo partito è quello dei mentalisti, nato per rispondere al primo partito. Il suo momento più alto è il funzionalismo:  la m è non una cosa ma una funzione. Se avete un parco, potete irrigarlo con una canna di gomma, con uno schiavo negro ecc., ma a fronte della pluralità dei veicoli vettori, la funzione dell'irrigazione resta la stessa. La tesi nell'ambito del mentale parte da questo: non la m, ma il mentale, è costituito da molte componenti, la cui indicazione non può essere data a priori: dimmi di cosa ti occupi, e io ti dirò a cosa correli il tuo mentale. Io no dirò mai "in principio  fu il verbo cognitivo, poi vennero le risposte". Il correlato segmento sinaptico è molto meno importante del riferimento convenzionale ad una regola dell'ambiente culturale in cui vivo. E allora sfondiamo nelle scienze  umane. Un filosofo della mente, Kurt Bayer, ha posto il problema: che senso ha parlare del dolore senza parlare di una persona che soffre? Noi - dice ?Weber?- elaboriamo il costrutto del dolore per consentirci di <studiare> certi eventi in modo affidabile. Nella domanda di Bayer emerge una questione che era stata troppo abbandonata: la persona, che sente ,soffre, vive, parla. Persona che non può essere messa tra parentesi, perché è quella cifra-figura che collega tutta quella serie di eventi endogeni che avvengono nella fabbrica psicofisica, con una memoria storica, una prospettiva sociale. E' il soggetto che coordina e disordina gli eventi della mente, si avvarrà bensì gli eventi sinaptici, ma con sotto e sovrascopi che non appartengono a psicologia e neuropsicologia. Occorre il riferimento a cose culturali che non riguardano il cervello. Le  cose che capitano agli uomini sono troppo complicate per attribuirle al cervello. Cervello è componente essenziale, ma serve poco studiare il cervello per studiare i pensieri.

A partire dagli anni ottanta, partendo dalla domanda di Bayer, si crea un terzo movimento, quello dei  personologi, che rivisita il mentale in una dimensione che va oltre la  mente cercando di riferirlo alla persona (Binswanger parla di uomo-persona). Il mind-body problem va ridotto: non mi rivolgo ai miei avversari fisicalisti. Mi riferisco invece a John Eccles, Nobel che ha vissuto tra le sinapsi neuronali, poi scriveva sul problema uomo ma non si domandava come le due cose possono coesistere. Noi siamo delle macchine, ma anche dei soggetti che scrivono la Divina Commedia. A Dante forse non serviva la strada della neuropsicologia o della sociopolitica. Occorre rifarsi ai referenti-persona.  Concludo con le tre ragioni, le tre cose, che stanno intorno alla svolta personologica: 1)il soggetto oggi ritorna, nell'era del computer, torna il termine subject, identity, proprio per la macchina oggi alcuni di noi si reinterrogano su cos' é veramente l'uomo. Noi personologi non siamo contro la macchina, ma il fatto che io mi interroghi sulle differenze, sull'amore si spiega con una formula chimica? Le passioni con un fatto fisiologio? I fenomeni del pensiero sono SIMULATI dalla macchina? Già, bravo, ma hai capito la differenza tra simulare o elaborare un pensiero? E' stato scritto un libro contro l'ideologia dei computer: ?Weissenbaum?, dopo aver costruito e rigettato il computer ELISA, dopo aver inteso la macchina come il sinonimo autorassicurante dell'esattezza, <ha abbandonato> il sogno, la grande utopia regressiva della nostra contemporaneità, che è di fare del mondo un mondo di camici bianchi, di esattezze.  Ma l'uomo dice bugie, nessuna macchina dice bugie, ma è solo rotta (Putnam), ha  poco a che  fare con l'esprit de finesse che caratterizza l'essere umano.

Chiedo che la scienza della persona abbia lo spazio che si merita, ché l'uomo cerca di studiare empiricamente quali sono le differenze tra se stesso e la macchina, poi a noi interessa - come uomini - valorizzare il pdv soggettivo. Per lo può le scienze umane sono ancora ispirate dalla frase di Levy-Strauss "il primo gesto della scienza dell'uomo è di dissolvere i l soggetto umano". Levy-Strauss perseguiva intenti di relazioni enormi microsistemiche che collegano gli eventi, ma io pongo anche l'esigenza del darsi esigenze soggettive: le mie piccole cose, io voglio che vengano studiate da qualche forma di sapere; ci vuole una forma di sapere, di impegno cognitivo, che si occupi delle nostre intermittenze del cuore, altrimenti sono costretto a studiarle in Proust. Il secondo motivo della svolta personologica è l'analisi del pdv soggettivo, dell' odi et amo: le vicende della ambivalenza affettivo-erotica non si capiscono  - da Catullo ad Apollinaire -  studiando le sinapsi, ma studiando la biografia individuale, vai vedere il contesto relazionale-simbolico in cui costui vive. I sociobiologi stanno cercando il gene della monogamia, della competitività. Datemi atto che questi miei avversari possano giustificare certe <mie> lungaggini: Edward Wilson, padre della sociobiologia, come può non capire che COMPETITIVITA' ha una semantica a Wall Street, una in Sardegna ecc.? Dicono che l'altruismo si spiega con leggi neodarwiniane. Mi butto in acqua se vedo un bambino annegare. Poi mi accorgo che non so nuotare. Nessuna macchina farebbe questo. Una delle autocensure del sapere contemporaneo è il non voler guardare in faccia i grandi paradossi dell'esistere umano. L'uomo a differenza del delfino vive paradossi ed eventi controfattuali. Chiedo che ci sia un'analisi comprendente che dia una descrizione fenonmenologico-interpretante.

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1a comunicazione: Giuseppe Panella (Normale PI) su filosofia e racconto. La vita è disintermittenza del cuore proustiana. Si comprende non come passaggio causa-effetti, ma come salti, capacità di cogliere attraverso illuminazioni  verità che non sono comprensibili in cielo e in terra. Da Kurt Bayer: non ha senso parlare del dolore, ma soltanto di una persona che soffre. Il dolore per essere descritto, riquadrato fenomenologicamente, ha bisogno di essere provato. Il dolore non può essere COMUNICATO se non in un rapporto tra PERSONE.  Esso può diventare strumento di conoscenza, come semplice appercezione della sofferenza, solo se viene raccontato. La possibilità di raccontare le proprie epifanie, consapevolezze, passando ad un livello di consapevolezza tramite il racconto, questo è il grande divario con la macchina: la prova di Turing è costruita proprio su tale discrimine, il sapersi raccontare. La grande trilogia di Ricoeur , Tempo e racconto …, è recente, ma da sempre la consapevolezza della necessità di raccontare i processi filosofici lancia la propria freccia nel cuore delle modernità: l'io affabulante, passaggio dall'idea di anonimità alla consapevolezza dell'autore, della individualità del filosofo; se non c'è racconto della propria scoperta filosofica, non c'è soggettività.  Come si potrebbe pensare ad una filosofia (p.e. delle idee chiare e distinte) fondata  senza il racconto dell'intuizione - sulla stufa decartiana - della scoperta di una nuova conoscenza? Non si può prescindere in alcun apprendistato filosofico, la fondazione di una filosofia  <dalla sua narraazione> . <Il tema della modernità che emerge nel> Discorso sul metodo non può essere distinto dal modo in cui Descartes è giunto a tale consapevolezza. Fondatezza e imprescindibilità del testo cartesiano, che arriva alla VERITA' attraverso un discours, non un trattato: egli usa la scansione narrativa per giungere alla rifondazione del sapere su base matematica.

Oppure pensiamo a Rousseau, che ricostruisce il proprio orizzonte filosofico-pedagogico-politico attraverso una narrazione che è roman filosophique individuazione di nessi a partire da descrizione di stati di sogggettività. Così per l'Emilio, così sulle Confessioni Vicario Savoiardo per la scoperta della spiritualità, del rapporto intersoggettivo, io-mondo,  l'interrogazione della voce dell'oceano nell'ultima passeggiata, nel grande mare dell'essere comprende l'annullamento dell'io. E' un confronto, quello  tra l'io raziocinante e tutto ciò che lo inquadra, è narrazione, passa attraverso la narrazione, il mito platonico (dall'Apologia alla successiva pratica dialogica come ricerca della verità). L'VIII libro della Repubblica è tutto narrazione, per  poter portare a termine il rapporto con la soggettività. Vediamo - come è stato studiato recentemente -  tutte le rappresentazioni di mito presenti in Platone, e possiamo stabilire ciò che in Platone è razionalità e ciò che è soggettività. Riprova nell'aristotelica "l'uomo si distingue dall'animale perché è in grado di parlare" e parlare vuol dire oggettivamente comunicare con gli altri, ma nei termini della soggettività, cioè comunicare sogni desideri, trasformati in racconto, che ci aiuta a definire ciò a cui aspiriamo in rapporto col mondo che ci circonda.

Maria Teresa Russo (Roma 3): temi bergsoniani nella seconda metà '900 in Italia. Presenza non molto ampia, tranne gli scritti del centenario (1996) di Materia e memoria. Due interpreti: Sciacca e Mathieu  ("Il profondo e la trasgressione"). Essi mettono in luce tre aspetti: 1) recupero di una razionalità aperta, esigenza che la filosofia debba aderire alla vita, apertura bergsoniana ai diversi piani dell'essere. La ragione deve mettere in luce tale stratificazione, la ragione deve lasciare il posto ad approcci diversificati della soggettività. Non basta la razionalità indicata da Taylor; 2)recupero dell'istanza sapienziale: proprio perché ci sono vari piani dell'essere, esiste un profondo, ed è questo piano che va fatto emergere: questo il carattere duale della filosofia. di Bergson: tempo e durata, meccanica e mistica, materia e spirito: la realtà è suscettibile di diverse spiegazioni, per cui il tema della verità assume vari aspetti. Bergson indica il superamento della tecnica, che non va condannata ma che rimanda al "supplemento d'anima,  <il tema> della tecnica non è un problema tecnico: non si tratta di spiritualità religiosa, ma di cultura. Qui si innesta il discorso dei valori:  l'epilogo del pensiero bergsoniano è assiologico (con le Due fonti chiude in chiave di valori: si affronta il tema dell'eroismo morale: dialogicità dei valori, non c'è valore adeguato, se non è proposto in chiave dialogica, da qui la valenza dell'eroe morale che Bergson intravede nel misticismo cristiano: chiave fenomenologica che evidenzia come vengono incarnati  i valori. Citazione di Mathieu: l'essere diventa un compito, questo sul piano più profondo dell'essere (Il profondo e la sua espressione). L'ultimo Begson individua l'essere nel compito del rivelare il profondo, per  dare così senso all'essere.

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Introduce Maria Moneti: ospitiamo i 2 maggiori filosofi morali italiani: Veca (etica pubblica, cittadinanza, politica, e l'ultimo "Dell'incertezza") ed Eugenio Lecaldano ("Etica", "Bioetica") e studioso di Hume, padre classico della filosofia contemporanea.

VECA (PV): Etica e sue applicazioni: affronto il tema dei modelli normativi applicati alle questioni pubbliche, negli anni '80 e '90, perché è in tale epoca che appare tale impegno. Sostengo che è possibile, per quanto attiene l'ambito della ricerca, caratterizzare in modo omogeneo l'approccio praticato negli anni 80 sostenendo che quella fioritura di prospettive alternative a proposito di questioni di giustizia è da ritenere ancora valida. E' ragionevole sostenere che il revival dell'etica normativa applicata ad istituzioni e pratiche sociali, affermatosi in un confronto tra concezioni alternative di giustizia (distributiva, ecc) <si rifà agli anni '80>. In quest'ambito vi sono stati poi negli anni '90 dei passaggi. Sembra cambiare lo sfondo e ambito in cui tali teorie debbano applicarsi: negli '80 l'interesse è centrato sullo sfondo di un tipo puro di conflitto distributivo, con riferimento a soggetti come comunità politiche includenti i clienti dell'etica. Ciò che chiede teoria è il darsi di conflitti, la natura si rifà a tesi, il conflitto dà esiti alternativi teoretici secondo il chi cosa perché (anni '80) e quando ci si chiede CHI ha diritto a che cosa quando come, all'interno di comunità i cui confini sono assunti come stabili e quindi sottratti ad ogni incertezza: questo sempre negli anni '80: pensate alla discussione tra ricerca nella prospettiva neocontrattualista (in realtà una riformulazione di una teoria del contratto sociale, su influenza di Rawls in Italia), e pensate a sviluppi di prospettive utilitaristiche legate all'idea di una teoria normativa, pensate alla teoria contrattualistica come equità, alle tesi negative sullo stato minimo: ora  tutte queste tesi (contr, libertarie,normative), in qualche modo pur divergendo nell'offerta di criteri di valutazioni (di norme politiche e pratiche) tuttavia condivideva queste due condizioni: la natura conflitti è catturata dalla teoria, i confini sono stabili e dati (tesi sui diritti cittadinanza)  e quindi comprende tutti i soggetti. Una prospettiva sulla giustizia distributiva che sostiene che ciò che può che giustificare istituzioni politiche  è io che può massimizzare una qualche beneficio? Questa prospettiva ha soggiacente l'idea che la natura del conflitto sia catturata dalla teoria del conflitto distributivo, e che esiste una condivisione del vincolo sociale. Anche la tesi alternativa, dei diritti, condivide i due assunti.  Tesi dell'equità dell'acceso ai beni rimari per i cittadini. Altri sostengono che l'unico diritto che deve essere garantito è (sicurezza)  come legge e ordine. Ma anche tale ipotesi presuppone i due assunti.

Invece negli anni '90 tutte due le condizioni sono saltate. O almeno sono variate: 1) si è messo a fuoco che c'è un altro tipo di conflitto, non distributivo (realtà più complicata delle teorie): diventa saliente il conflitto per il riconoscimento, conflitto identitario (che differisce  dal conflitto distributivo, nel qual caso le identità di coloro che avanzano richieste sono date, mentre nel conflitto identitario non esiste questa condizione e non è quindi possibile una metrica omogenea. Se si va saltare la condizione di identità sugli attori, collassa il modello di conflitto distributivo, si immettono etica normative su un vuoto pneumatico. Nell'analisi marxiana non tutto è saltato.  Ora se c'è in certezza sui MODI del riconoscimento, si  ha altra natura del conflitto, ed una teoria distributiva qui sbaglia il bersaglio, non becca il target, mi darà raccomandazioni "agenda" ma non sarà saliente. Negli inizi '90 pullulano teorie che saltano le allocazioni di quote distributive, e passano a problemi più elusivi (dalla matematica si passa alla psicologia sociale e morale): p.e. gli studi di genere assumono la questione prioritaria è quella attinente ai modi dei riconoscimenti, al nome, all'esser nominati, riconosciuti, che implica necessariamente la definizione dei riconoscitori.  Il passaggio dal conflitto distributivo all'identitario non implica però del tutto l'alterazione del secondo assunto (inclusione di cittadinanza a confini dati), cioè la stabilità delle condizioni. Se noi adesso siamo disposti a qs. esperimento mentale: hai alterato la prima clausola; prova ad alterare la seconda (riconoscimento che vada oltre o sotto i confini dati). Questa impostazione sembra introdurre una  sfida corposa dell'etica applicata alla politica. E' la  questione della giustizia globale e non locale, l'arena internazionale contrapposta al versante interno in cui permangono debolezze.. Ai filosofi non rimane che fare allora la lista spesa: indicatori ONU su vita media, WTO su tasso globalizzazione, sulla finanza, unica cosa del tutto globalizzata  (in tempo reale, dov'è non conta nulla), poi le liste di giudici che prendono vecchi tiranni in pensione, poi si pone il quesito dell'impiego di forza e guerra per stabilire la fine di violazione dei diritti umani al di là dei confini.  Quanto è possibile estendere i criteri di giustizia creati nel versante interno, nel versante esterno: da un lato la scuola venerabile del realismo politico ritiene che nega l'estensione dell'analogia domestica (non si possono estendere criteri di giustizia); io propendo per la tesi alternativa: Ci sono almeno 3 grandi questioni classiche, ricorrenti: 1) quali istituzioni e politiche per un ordine internazionale decente? Kant parte dalla battuta d'osteria della pace perpetua legata al dopo Westfalia, fino alla trasformazione. del diritto internaz. nei casi recenti 2) guerre giuste e ingiuste (con questo problema noi convivremo): solo negli anni dell'equilibro nucleare si sono spese enormi energie per teorie dell'etica della deterrenza, del primo colpo, dell'intervento; oggi, dopo la fine dell'equilibrio del terrore, la teoria si trova di fronte alle risposte da dare; 3) Noi, come esseri umani, abitiamo un pianeta fatto di due mondi: un arcipelago di isole ricche e un'enorme distesa di povertà e carestia. La questione '80 Nord-Sud oggi è stato di natura da un lato: questo è il problema della giustizia distributiva, quando estendiamo i confini? Quali criteri di valutazione delle ineguaglianze dei due mondi? Oggi un'impresa che parte da questo secondo modello, "pensare largo" (Kant), qualche. che tenga assieme il modo di guardare le vicende sul lato della... e sul lato dell'ineguaglianza severa. Un orientamento potrebbe essere l'idea di eudaimonia, l'idea di non guardare alle istituzioni a partire dalle istituzioni, ma a partire dalla teoria, tentare di pensare un mondo un pochino più decente.

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LECALDANO (Roma): riflessione sulla morale tra bioetica ed etica teorica.  Mi introduco su un contesto già individuato da Veca. E' come se ci fosse un mutamento di registro, nel caso mio. Cosa può dare di contributo la filosofia? Può solamente fare qualcosa che ha a che fare con i problemi di tutti, della vita quotidiana. In Italia si sono create queste condizioni, su aree che in passato erano di competenza dei filosofi. Non tanto un mutamento di agenda politico. Nel XX sec. si è avuta una trasformazioni intensiva,  a partire dalle questioni poste dalla bioetica . E' cambiato il senso comune morale (sul modo di nascere, ecc.). Prima degli anni '90 era carente a livello teorico, da noi in Italia (incagliata tra teoretici della sovrastruttura  e dei rapporti etica ragione) l'etica della vita individuale, privata: la nascita dei figli, la morte nostra, la cura nostra e dei nostri cari. Oggi si scopre che filosofia significa elaborazione individuale, della vita personale, privata. Si fa filosofia delle passioni, da Hume in poi, ma c'era una sorta dimenticanza di contesto di esperienze condivise che permette di elaborare criticamente qualcosa. E' stata la trasformazione sociale che ha imposto le nuove riflessi etiche. Referendum su aborto -divorzio è stato un passo, ma ancor  risolto in termini giuridici, oggi le questioni nascita-cura-morte non pretendono solo una risposta in termini di legge, sta maturando una istituzione in cui la soluzione si cerca nella nostra vita, nei nostri giudizi morali. Sarà una TRAGEDIA se il parlamento vorrà darci una risposta, necessariamente unica. Questioni prima messe da parte (teoreticamente), cioè quelle dell'ambito personale, ora assurgono ad oggetto primario della riflessione teorica. Se fanno una legge sulla fecondazione assistita, sarà un disastro, perché le norme non saranno seguite, saranno sforate: abbiamo imparato, a livello di senso comune, che è nella nostra autonoma responsabilità morale che le questioni vanno risolte. E' lì che dobbiamo fare una riflessione. Oggi c'è una fioritura della bioetica, quasi sempre non sul piano giuridico ma  sul piano delle risposte morali. E' un grande progresso della nostra filosofia, che finalmente si mette al passo con l'elaborazione internazionale. Qui la produzione sulle vite private è enorme: concezione della felicità, di stile di vita, sul rapporto con altri stili di vita, da accettare o  no. Non è certo scienza, chiesa ecc. che le risolve. E' la società che può davvero offrire le condizioni per risolvere i temi. Non più è possibile una normativa  (p.e. quella filosofica-religiosa del "seguire la natura"). Come quando dare origine ad una prole? La filosofia può dire qualcosa: competenze pluridisciplinari (anche se questi ultimi specialisti tendono a lasciare fuori la filosofia, perché si occupa di casi immaginari -tesi di?Lamb?  ed. Il Mulino- o di pura scolastica, o di fanatismo sulla bioetica, dove cerca sempre ai principi e al rigore sistematico che impedisce l'accordo pratico a livello sociale, che è fatto su atti particolari, non sull'insieme). Ma io - che mi professo analista - pongo la problematica dal punto di vita di Socrate. ricerca di chiarezza, di sistematicità, di ricerca di principi unitari nel caso per caso. Quali i contributi della filosofia:  ne posso indicare tre: 1) stare attenti al linguaggio (p.e. sulla fecondazione assistita, la terminologia usata per distinguere le diverse forme di fecondazione è terminologia già impregnata di nozioni etiche forti, e andrebbe rivista; le tecniche hanno bisogno, pare , di giustificazione morale, mentre l'atto singolo della nascita è sempre giustificata: tale etica del "naturale" considerato come GIUSTO, è un'etica bizzarra, inaccettabile moralmente, ma fa parte della nostra terminologia; la tassonomia sulla fecondazione risente del moralismo: responsabili solo le donne, i partner non compaiono. P.e. in Usa il padre può ricorrere ad una paternità surrogata.  2)sia l'ispirazione humiana sia quella kantiana affrontano le questioni etiche come questioni INDIVIDUALI. Solo noi siamo in grado di conoscere tutti gli elementi che portano ad una decisione nel caso singolo. La questione di mercato 8lo scambio in denaro) no possono influire sulle nostre decisioni, se vogliamo rimanere nel campo etico. Una consapevolezza meta-bioetica ci può aiutare a non farci disperdere, a  non cercare la soluzione dei  ns. problemi da altre parti: nel mercato, nella legge, nel positivismo. Noi da soli le dobbiamo risolvere. Ci vuole una normativa leggera, che si limita a riconoscer il diritto di cittadinanza al nato. Il resto dovrà essere gestito dall'individuo (J.Stuart Mill la teorizza: ci si limita alla forma del "non mi va bene"). Abraham ?Jeshua? ha un libro raccomandabile ("Viaggio alla fine del millennio"): il bigamo protagonista mercante ebreo si confronta col nipote che non è sefardita ma askenazi, per cui non possono fare affari insieme (per il rigorismo della seconda fede), e caso e natura risolvono tragicamente il tutto con il naufragio: anche l'esperienza vissuta insieme non li ha aiutati a superare le differenze, perché pregiudizi tabù e norme impedivano loro di guardare l'altra persona nella vita reale concreta con il portato di emozioni desideri, sofferenze, che non devono essere invece filtrati attraverso norme.

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Contributo di Graziella MORSELLI. (Liceo Bertelli Roma): l'altra metà dell'universale, da portare in discussione.  Non mi sento a mio agio. Lecaldano, non la scandalizza il fatto che nella commissione etica non c'è presenza femminile? Le donne quale filosofia debbono rappresentare? Quella maschile? E' storia che i filosofi italiani abbiano rifiutato di sentirsi chiamare in causa dal pensiero delle donne. Il Convegno Urbino '78 uomo-natura ha visto il mio contributo rifiutato perché posto come rapporto donna-natura (mi ha allora aiutato il prof. Ilario Fiore). Propongo di discutere la filosofia delle donne in Italia (all'estero dipartimenti sulla filosofia. femminista ci sono da 30 anni). Non siamo più nel femminismo radicale separatista, ma già allora in Donna Woman Femme di Ida Magli ci si poneva in senso interdisciplinare che ha formato un nucleo di ricerca. Già Magli nel 67 indicava l'imparzialità dello sguardo degli antropologi (Levi Strauss) maschi. Sapere che aveva ridotto la donna a segno, escludendola dalla parola potere riservata agli uomini. Nella parte curata da Restaino nella Storia della Filosofia di Abbagnano non si attribuisce DWF ad Ida Magli. Anche la Cavarero non la nomina.  Nel pensiero di Cavarero e di Muraro vediamo cosa c'è di ontologico: ordine simbolico della madre, relazione madre-figlio, immanenza dell'essere: di tale legame la Muraro sottolinea il carattere  metafisico, richiamando il destino di rimozione che tale legame ha conosciuto per opera della legge del padre. Per Muraro occorre recuperare questa mancanza, riconoscendo la dipendenza dalla madre. Il pensiero maschile usurpa tale ambito. La linea materna, il continuum materno si pone come riconoscimento del nuovo ordine simbolico della genealogia femminile. Muraro ha posto un programma forte. Julia Kristeva, tedesca, ha descritto il corpo materno. Il secondo passo per costei è l'acquisto della indipendenza della madre, ma per Muraro non parla di questo taglio come necessità d'ordine simbolico. Muraro si sosta sul terreno metafisico, Cavarero come terreno esistenzialistico di desiderio di senso rivolto agli altri e nel contesto. Pongo domande provocatorie: è lavoro tutto da  fare quello dell'analisi dello studio del corpo che dà inizio ad una generazione, indagano su corpo e reazione (cosa fatta in paesi anglosassoni) applicando le categorie kantiane del reale e del possibile applicate al contesto storico di psicologia e  del sociale. Il vissuto femminile è rilevabile? dalle logiche maschili? La corporeità è serie di eventi distinti (meta-teoria) o la filosofia deve studiare connessioni e dipendenze di eventi in modo di sistema inclusi gli eventi che danno origine alla vita?. Se si, ecco due altri interrogativi. Come vedere l'etica del materno (relegarla nella bioetica o nella politica?) non si dovrebbe porre il tema nell'ambito della razionalità? L'ingresso del corpo generante nell'ontologia non potrebbe recuperare la visione del soggetto, in rapporto dialettico soggetto spazio e tempo? (per approfondimenti vedi note su reperibilità intervento  Morselli , nella mia pagina sulla differenza).

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Elena Pulcini (FI): ambivalenza delle passioni e convivenza umana: conflitto identitario è conflitto etnico religioso nazionalistico, tra identità disuguali, differenti, forti e deboli, e tira in ballo  immediatamente il problema inclusione-esclusione. L'inclusione dell'atro è un dato di fatto, l'altro è qui, ci sfida quotidianamente. Il concetto di inclusione presenta dei rischi intrinseci: quello di appropriazione dell'altro nella misura in cui la mia identità è più forte di quella dell'altro. E che  cosa vuol dire multiculturalità? Esplodono qui una serie di aporie dell'Occidente moderni difficili da ricomporre. Bisogna ripensare il problema dell'altro (sorto teoreticamente negli anni '70), che pone il discorso del soggetto (Derrida Levinas, l'altro è  ciò che mi costituisce apriori, che sta prima di me). Ora il soggetto è attraversato dalla differenza, esposto alla differenza, attraversato dal dissimile. Si pone il problema non tanto dell'inclusione ma del RICONOSCIMENTO. Ma come riconoscerlo se mi fondo come razionale, univoco. Devo invece riconoscere la mia differenza costitutiva, devo riconoscere un'alternità interna: il disagio, la dimensione affettiva che disloca la mia identità, impedisce che la mia identità ci costituisca in modo certo e  definitivo. Solo un tale riconoscimento dell'alterità interna mi pone in condizione di "lasciar venire l'altro" nei suo desideri-passioni-diritti. Fino a che punto questo è tollerabile per l'identità europea-occidentale? Ammesso che questo sia un percorso praticabile, quali concetti possiamo o mettere in campo? Autonomia sì, ma esposta all'alterità, quindi concetti come cura-ospitalità-dono, in cui avviene per l'appunto una dislocazione dell'identità sul piano dell'alterità. un'identità non appropriatrice, non autoaffermativa, dialogica, relazionale (Charles Taylor), capace di sopportare la sfida che viene dall'altro, che pone una permanente costruzione e decostruzione sul sé.

Contributo Mario Riccardi (MI): etica e teoria del diritto. Fino agli anni '70 è stata controversia sul metodo, metateoretica: definizione e delimitazione del campo della giurisprudenza rispetto all'antropologia ecc. La teoria del diritto, istituzionalmente, era divisa in due campi contrapposti: giusnaturalismo (unico diritto è quello giusto) e positivismo giuridico (vero diritto quello posto dallo stato). Si ebbero così definizioni di norma-validità-sovranità. Tale dibattito ha portato ad un a migliore definizione di tali termini. Ma 'è oggi un limite in tali concetti. Allora molti positivisti dimenticavano che Tommaso, giusnaturalista per  eccellenza, ha dato contributi anche positivi (Summa), dall'altro lato gli stessi giusnaturalisti dimenticavano che è necessaria una distinzione tra diritto e morale è necessaria per poter criticare il diritto positivo. Oggi la controversia è superata: si ritorna all'etica normativa, sorgono tre nuclei problematici. 1)Garanzie (cioè che strumenti porre come limiti all'utilizzo del potere, p.e. la costituzione ecc v. Rawls e Habermas)  2)Processo (come garanzie funzionano all'interno di procedimenti applicativi del diritto nella parte "bassa" (nozione di "correttezza" di tutte le procedure)  3)Responsabilità(rapporto intenzione azione, tra intenzione e danno: confine con morale e scienza. P. e. la nozione di tentativo richiama alla filosofia. Che differenza tra un tentativo che fallisce per fattore causale indipendente dalla volontà: Tizio entra e accoltella Ciao. era morto d'infarto 5 minuti prima). Per solo questo fatto casuale aio deve avvelena condanna mite?  Altro tema riguarda il diritto delle genti: la teoria fino ad oggi non è sufficiente raffinata da comprendere rapporti tra stati e popoli (sviluppo spontaneo delle regole..). Questioni normative - p.e. relativamente alla guerra giusta - sono state distorte dalla guerra nucleare (p.e. Bobbio: se c'è la guerra non c'è il diritto), ma  ciò configgere con la realtà che tute le guerre sono fatte secondo REGOLE, e se sono violate gli attori NASCONDONO le prove delle violazioni). Altre questioni: quali limiti nell'uso della forza, relazione tra suo della forza e torto. Come faccio io a capire qual è lo scopo dell'azione e se tra scopo e mezzo utilizzato incongruenza (p.e. nella guerra, sto agendo in tutela di un mio diritto ma usando  mezzi sproporzionati, si pone il problema morale di eccedere lo spazio del consentito moralmente).

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STRUMENTI INSEGNAMENTO FILOSOFIA TRA PASSATO E  FUTURO -12/11/99 pomeriggio della seconda giornata.

 

 Il ministro Berlinguer interviene a mezzo del dibattito sulla didattica filosofica (Sgherri che si appella ancora al genuino gentilianismo della didattica-incontro con gli autori e cita le circolari!; per fortuna De Pasquale  si oppone,  e si parla con Fornero di semplicità, universalità della filosofia; Girotti invece lamenta il mancato passaggio dei ricercatori della secondaria ad un riconoscimento universitario):  dice che dopo tre anni di sistemazione normativa, di architettura di sistema, si passerà l'anno prossimo alla tematica disciplinare. Solo dopo aver passato l'unico ciclo di base si potrà parlare di contenuti. Io mi sono battuto per riservare alle superiori il Quinquennio; sono contrario al biennio, voglio mantenere il quinquennio che è tradizione del nostro paese, della cultura italiana. Deve essere unitario, distinto dalla scuola di base. Allora: intendimento del governo è un quinquennio unitario, anche se nel biennio si svolgono elementi di orientamento, ma all'interno di discipline che conservano la loro specificità ,che sono parte dello sviluppo quinquennale. Solo ora che abbiamo un'idea (spero tra qualche settimana) della struttura, parleremo di competenze, abilità, conoscenza disciplinare (che oggi non può esser esclusiva come negli anni '20 quando la secondaria era diretta a1 15% della popolazione, mentre nel '98 il 71% ha preso il diploma di maturità, come nei paesi più evoluti). E' contro la storia conservare quel liceo, il liceo di oggi deve consentire a tutti di crescere culturalmente, pur nella diversità (ognuno deve arrivare al massimo di quelle che sono le sue capacità). Questo all'interno di una società evoluta, in cui una secondaria deve pensare a TUTTI. Un biennio unico è la morte della scuola come quinquennio. Allora: il biennio è differenziato, ma si deve rivolgere alla  totalità. I nostri due padri fondatori delle superiori  (Croce e Gentile) avevano pensato alla filosofia per pochi, e specialistica. Non esiste più nella società una scuola che prepara per l'utile e l'altra per la teoria (professionali-tecnici vs licei). Appena il governo (o almeno io ne sono ragionevolmente ottimista)  avrà visto la dirittura d'arrivo della riforma delle superiori, apriremo il discorso culturale. Ci sarà lo scontro sull'accaparrare le ore tra matematici e filosofici, e per far entrare la musica (personalmente ne sono entusiasta). Allora, se di molto è cresciuto il sapere, non è un ulteriore enciclopedismo che può rispondere a tale esigenza, bensì una forte metodologia della critica. Il MPI dialogherà con le associazioni disciplinari esistenti, per conoscere le tematiche in modo che fortemente si intreccino accademici e docenti delle disciplinari. Il sapere proposto deve essere fortemente intrecciato con la sua didattica. E' importante che i portatori di revisione curriculare siano coloro che hanno sul campo sperimentato cosa significa quella disciplina agli effetti della sua trasmissione. E' necessità assoluta quella di una revisione curriculare tenendo forte l'intreccio con la ricerca e la didattica. Tale questione,  insieme ad un altro paio, ha un profilo particolare. Posso prospettare qui più un'esigenza che una decisione. Il tema è il seguente:  quale  rapporto tra l'apprendimento delle filosofie come fatto specialistico e l'approccio della filosofie come momento fondante della preparazione complessiva degli studenti italiani. Non vogliamo perdere punti sul fatto che l'Italia ha una tradizione in materia di studi storici della filosofia, ma questo riguarda una netta minoranza (20% degli studenti). Allora non abbassare la guardia su questo (come sulle lingue classiche, non solo sull'manistico in generale): ora tutti, non solo il 20%, devono assumere una dimensione e una conoscenza della cultura classica. Questo aspetto, questa avventura del viaggio di Ulisse, non si ottiene solo leggendo il testo originale, può essere data anche in forme più mediate. Questo anche per la filosofia: c'è un profilo dell'insegnamento della filosofie. nei licei, storicistico-diacronico. Ma ci sono altri modi, quello sincronico ad esempio, e comunque bisogna  arrivare ad una modalità meno nozionistica per abbeverarsi al testo. Ci penseranno gli specialisti chiamati nella Commissione.

Ma il problema che sento acutamente, problema nuovo, è un altro. Dobbiamo rispondere agli interrogativi dei giovani. Non tutti gli approcci devono essere logico-deduttivi (come in quello imposto dal modello unico liceale-gentiliano). Oggi sento la necessità della diversità dell'approccio del percorso, con il saper fare parallelo al fare. I due padri fondarono tutto sulle due lingue morte e sulla storia della filosofia, anche  con funzione gymnosofistica (ginnastica mentale) con forte risultato postumo di investimento, ma per la sola classe dirigente. Oggi bisogna formare un popolo civile, in questo quadro qualche elemento di astrazione deve comunque entrare. Qual è il gruppo di discipline che QUESTO può assicurare?  Le SCIENZE SOCIALI, si dice. Ma vista la loro relativa giovinezza in Italia, visto il relativo consolidamento epistemologico nel nostro paese, sono convinto che la disciplina che più dà valore ai grandi interrogativi del conoscere e del comportamento secondo coscienza, sia la filosofia. Può esser però la filosofia finora conosciuta a scuola? NO, perché ad essa manca IL MODO NUOVO con cui deve essere porta, anche nei professionali, negli artistici. Non ho creduto mai alla disciplina dell'educazione civica. Essa si fa in pratica, cioè sperimentando la gestione del potere, lo sporcarsi le mani per la scuola, senza aspettare lamentevolmente il cambiamento.

C'è il momento del saper fare, ma senza prescindere dal momento concettuale, degli elementi conoscitivi di senso, di valore, di verità. (Tale momento) può venire solo dalla nostra tradizione filosofica, ma con modalità bilanciate diacroniche-sincroniche senza fare dell'approccio testuale un punto terroristico per la complessità che implica il testo. Come per tutta la scuola di allora latino e greco erano elementi fondanti, ora i fondanti devono essere, come elementi emancipatori dell'individuo nella società, elementi e tessuti e cemento comune collettivo che spinge in diversi gradi e forme alla capacità di astrazione e quindi a risposte ad interrogativi di senso, devono essere - dicevo - quelli della filosofia. Agli specialisti risolvere questo problema: è opportuno porgere tali elementi nel biennio, all'inizio del nuovo ciclo (ottavo anno di scuola)? La risposta la daraà un intreccio di competenze psicologico-logiche-metodologiche. In che modo? Spero che la risposta sia positiva, ma soprattutto persuasiva. Dobbiamo convincere la maggior parte della cultura italiana su questo terreno.

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Trombino (BO): necessita lo studio accurato e attento di cosa sono i testi filosofici, è rischioso l'avvicinamento al testo (dal passo platoniano del bello come avvicinamento al bene, o dal testo di Weil ecc). E' effettivamente  possibile ricavare dal patrimonio che è oggettivamente STORICO, per un ragazzo p.e. quattordicenne, la sfera del logos, del concetto. Rivivere in aula le esperienze vissute, è possibile. Dobbiamo scendere però di grado, dalla sfera teorica all'enorme tessuto di metafore-immagini-esperienze: questo terreno si incontra  con quello dei nostri studenti, è lo stesso tessuto. Faccio fare allo studente esperienza della differenza  tra immagine e concetto (guardami con gli occhi, adesso chiudi gli occhi e continua a vedermi). Questo il docente lo può fare con tutti i filosofi, la  sfida è enorme, ma per  tutti i filosofi è possibile questa traduzione.

Cioffi (Liceo Galilei Legnano): superare il diacronismo ma mantenere la storia della cultura. Affrontare il dibattito sui problemi, con un ritorno ai contenuti. Nella scelta dei nuclei fondanti, proprio al livello locale nell'ottica dell'autonomia, bisogna affrontare il tema degli standard. Le discipline si sono storicamente fondate come sedimentazione di saper fare comune. Esse entrano in crisi quando vengono a mancare tali caratteri, quando cambia la mappa dei saperi, quando cambiano la abilità cognitive, che nei giovani sono fondate più sullo spazio che sul tempo <più sull'immagine visiva che  sul verbale>.

De Pasquale: ultimo tema l'insegnabilità della filosofia. Frutto della ricerca didattica sono alcuni elementi ormai condivisi: -non è trasmissibile una filosofia. come insieme di nozioni (ché come tale non provoca cambiamenti cognitivi), bensì come apprendimento di esperienze filosofiche, tramite un paradigma comunicativo  -un autentico apprendimento, un viaggio dentro al filosofia,  è possibile se parte dalle esperienze fatte dai gran di autori, e quindi a partire dal testo (che in questo senso deve esser letto non come concettualità ma come ricerca diversificata di approcci diversi, di stili, forma espressiva salvaguardando però gli snodi fondamentali (testi e autori). Quindi esperienza e competenze attraverso il dialogo con i grandi autori. Si punta alla problematizzazione attraverso operazioni sul testo, a partire dal vissuto dell'adolescente. Le scuole saranno chiamate a curricoli che -una volta fissati competenze e standard - si dovranno tradurre in percorsi, forme, testi, esperienze, attraverso cui raggiungere tali standard. Centrale il rapporto tra esperienze fatte dai filosofi e orizzonte di vita dell'adolescente, per una ricerca vivente della propria anima, attraverso l'interpretazione del testo (come si studia musica incontrando il testo del grande musicista). Il contesto comunicativo cambia rispetto a quello concettuale tradizionale. L'enciclopedismo è finito. Si apre una contestualità plurima, più modelli di comunicazione, di realizzazione dell'esperienza.

I soggetti del nostro lavoro offrono una discontinuità di approccio, di tecniche. Oggi c'è il rischio della fuga dallo scritto, dalla concettualità, alla quale è ancorata la filosofia occidentale. Come riuscire allora a comunicare con il fondo di esperienza di vita dei ragazzi, ché altrimenti non c'è un insegnamento effettivo. Come incontrare i linguaggi quotidiani dei ragazzi prevalentemente icono-fonici, come riportare l'esperienza del ragazzo con l'esperienza rigorosamente ricostruita dei grandi autori?

 

--dibattito

Francesco VIGORITI ( Scandicci tf. 055740449): triadicità dell'etica, a partire dalla matematica naturale. Scoperta dell'aggregazione tridimensionale delle energie. Vi attardate nel bosco della logica; ho lavorato sul tema delle grammomolecole, massa, volume, numero, simmetria.

Prof.ssa Liceo Campanella di R.C.: per evitare che la filosofia diventi il fondamento del quinquennio, cioè che rischi di essere una nuova teologia, bisogna salvaguardare la teoresi, che comprende non solo la filosofia, ma anche la matematica, che nella scuola italiana è da sempre maltrattata.

Altro intervento liceo Alba: il valore fondante della filosofia si declina in molti modi, da un lato elaborazione teorica di esperienza, dall'altro come sapere che si pone criticamente rispetto ad ogni altra forma di sapere. Criterio per far fare esperienza di filosofia: non mi fido dell'apprendista stregone che tenta l'esperienza in aula.  Mantenere la nostra esperienza filosofica, ma reimpostarla per problemi, nell'ottica della contiguità di tutti i saperi, a cominciare dall'impostazione ingenua dello studente per arrivare ai contributi dei classici.

(De Pasquale?): lavorare solo sul senso dei filosofi rischia di portarci all'impressionismo. Il manuale a volta è utile, altre volte è volano. Bisogna sottrarci alla tentazione di scelte totalizzanti: la storia della filosofia o i problemi, destra o sinistra ecc. Scelte che creavano sottogruppi: oggi va superato questo blocco, con uno scambio di esperienze, delle diverse metodologie ( dalla ricerca alla lezione teorica frontale ecc.).

Cioffi: meglio partire dalla contemporaneità. La tradizione storicistica ha meriti, ma anche quella oxfordiana: necessita l'aggancio con il senso comune per evitare che l'alunno vada a casa convinto che la filosofia non serva a niente.

Fornero: superare il provincialismo (espresso p.e. negli anni sessanta nelle remore a  tradurre Popper come se  fosse di destra e non di tutti).

Trombino: nella nostra tradizione di insegnamento abbiamo un'enorme varietà di metodi, non il solo frontale contrapposto alla ricerca. Restando dentro il rigore della filosofia, possiamo (evitando di banalizzare la filosofia per insegnarla a tutti) affrontare la filosofia come fondante usando la forma della filosofia per dare estremo rigore a tutte le discipline. Innovare significa entrare profondamente nella dinamica della tradizione, conoscerla dal pdv tecnico. Le conoscenze metodologiche sono però oggi ancora scarse a livello di insegnamento, per cui c'è bisogno di un contributo che integra l'esperienza delle secondarie con quello degli insegnanti universitari.

Cambi: grande disordine sotto il cielo. Difesa della tradizione, ma anche invocazione a confermare il ruolo  paterno-materno dei manuali, o alla  loro defenestrazione. Bisogna evitare il ridurre tutto agli elementi disciplinari, per evitare il rischio di giocare al ribasso nell'autonomia dell'istituzione scolastica.

Girotti: difesa dell'attività filosofica.

Moderatore Sgherri: piano condiviso nel dibattito: fornire strumenti al filosofare, e investire l'insegnamento nella dimensione didattica della filosofia. Il manuale è uno strumento, non può sostituire l'insegnante. L'editoria deve essere spinta verso il tragitto che contestualizza  testo teoria e ricerca. 

 

 

CONVEGNO FILOSOFIA - terza giornata: Filosofie "straniere" 13/11/99

 

Introduce Fabrizio Desideri: com'è  vista la filosofia italiana all'estero, e qual è lo stato attuale degli studi all'estero? Ma il tema sostanziale è il far filosofia, l'esercizio di pensiero relazionato e confinato nella lingua in cui discorsivamente si pensa. Parrini si augurava un superamento degli studi nazionali di logica. Walter Benjamin parlava di verità che ha sede  nel linguaggio (lettera a Hugo von Hoffmanstal), ma non nel senso ermeneutico, bensì nel senso della traducibilità del testo.

Wilhelm Buettmeyer (Oldenburg, Staulinie 11 - D-26122) Filosofia tedesca e italiana

1- concetto di filosofia italiana: premesso che per me non esiste una filosofia nazionale, se non come pensiero di filosofi che hanno la nazionalità italiana. Viano e Garin si sono occupati di questo tema. Per Garin non esiste una specificità italiana (e confuta le teorie 1830 di Terenzio Mamiani, evidenziandone limiti metodologici, forzature storiche e la violenza riduttrice); anche Viano, parlando della filosofia italiana contemporanea, sostiene che non esiste un contributo su principi o temi uniformi. Egli ha cercato di identificare un carattere italiano nell'atteggiamento eclettico di orientarsi verso l'estero: penso che questo tipo di mescolanza sia un'ulteriore conferma duella tesi gariniana;

2- effetti su di me straniero della filosofia italiana, confrontandola con la filosofia tedesca. Prima caratteristica è la prevalenza della storiografia sulla sistematica, secondo aspetto è un forte influsso del cattolicesimo, che do per dimostrato. Per me filosofare significa argomentare, e quindi la filosofia va scissa dalla metodologia e dalla dogmatica teologica (non certo dalla religione come fenomeno). Rispetto all'argomento della storiografia,  do per scontato che una base storiografica è necessaria per costruire filosofia sistematica, però un conto è partire dalla filosofia per costruire un sistema, ma non può arsi un'identità tra ricerca e storiografia. E' vero che la storiografia tedesca (Zeller, Dihels etc) ha un forte peso nella filosofia, ma in Italia la Riforma Gentile ha creato un connubio inscindibile tra filosofia e storia, cosa impossibile in un altro paese,  p. e. a livello di studi istituzionali. Questo nesso non è stato utile alla filosofia italiana. Se guardiamo alla produzione storiografica italiana di questi 80 anni, non vediamo risultati molto superiori a quelli di altri paesi con impostazioni universitari diverse. Connubio anche nocivo, che oltre a non favorire la ricerca sistematica, ha impedito la riflessone sui fondamenti della scienza e della tecnica, ché ha impedito di prendere conoscenze serie di questi temi. Se avvicino da fuori, come filosofo, le scienze, la matematica, senza studiarle in modo fondamentale, non ne risultano produzioni valide. P. es. si è accuratamente evitato di partire dalle problematiche attuali per l'approfondimento di ricerca.

3 -relazione tra filosofia italiana e filosofia tedesca. Da parte italiana si è sempre seguito lo sviluppo del pensiero tedesco, mente non vale il contrario. In Germania non esiste nessuna scuola che faccia capo ad un filosofo italiano, mentre qui da voi ci sono scuole kantiane, hegeliane. Quale la  ragione di questa mancanza tedesca? Prima di tutto la mancanza di conoscenze linguistiche, nel senso che non pochi gli studiosi tedeschi che conoscono l'italiano,  3)relazioni tra filosofia italiana e tedesca vista da parte tedesca. Partiamo da opere di consultazione tedesche (Ferdinando ?Feldman?, non compare neanche un italiano) in altro volume sull'800 si parla di Rosmini Ardigò.. Due volumi su '800-'900 non citano italiani. Il quadro editoriale è più positivo: traduzione dei classici Croce e Gramsci, ma anche di filosofi recenti: E. Agazzi, Bodei, Cacciari, Gargani, Lo Surdo, Marramao, Mathieu, i due Rossi, Severino, Massimo, Veca Moravia... Utile anche il contributo italiano all'edizione di filosofi: sul corpus di Nietzsche, su Maimon. Due edizioni tradotte, riguardanti fenomenologia ed ermeneutica in Italia. Sulla  filosofia italiana dell'800-900 esisteva un'opera di Karl ?Vernant?, non esiste analogo studio sul Novecento. L'Istituto Studi Filosofici di Napoli ha avuto un ruolo fondamentale per i filosofia tedeschi i quali, una volta invitati in Italia, hanno riportato in patria collegamenti con l'Italia. Non esistono analoghe istituzioni in Germania. Nella mia università ho posto una documentazione sulla filosofia italiana dell'800-'900, esiste invece l'Istituto tedesco per gli studi rinascimentali.

Luciano Floridi (Oxford): la filosofia italiana nel mondo anglosassone (anche se la geofilosofia non è una grande e buona idea; relazione scaricabile da http://www.wolfson.ox.ac.uk/~floridi/papers.htm)

Oxford non c'è presenza italiana. La storia della filosofia è un abbraccio mortale per la filosofia.  Dal punto di vista anglosassone, la filosofia teoretica non esiste, anche per il divorzio dalle scienze sociali innestato dall'idealismo.

L'Italia ha prodotto solo studi storici, importa ma non esporta filosofia; unica eccezione il pensiero etico-politico in cui Bobbio è l'unico è considerato.

Perché i nostri colleghi anglosassoni non leggono filosofia italiana? Perché per loro la storia della filosofia sta alla filosofia come la storia della matematica sta alla matematica. Nel mondo anglosassone non si fanno ricerche citando autori, perché tale atteggiamento può mascherare debolezze delle proprie tesi.

Quali filosofi italiani, sulla Routdlege (10 volumi enciclopedici) e su altra enciclopedia? Ne compaiono solo 14 filosofi partendo da Bruno: Vico, Galilei, Campanella, Michelangelo, Cardello (studioso di Berkely), Sigismondo Gerdil (solo perché discuteva su Locke),  Rosmini,  Gioberti, Cattaneo,  Labriola,  Gramsci,  Bobbio,  Croce,  Gentile. Ricorrenze nel Philosophy index: (il "citation impact" nel mondo anglosassone ha un peso nella ricerca di lavoro) portano al primo posto - come autore italiano- Vico, poi Galilei,  Croce, Gramsci, Bruno). C'è un' International Society su Gramsci e su Vico che influisce sul dato. Qui si parla di notorietà, non di peso specifico riguardante i contenuti. Il più noto in citazioni  è Kant con 4000, Vico il nostro giocatore migliore è a 300. Al contrario delle università inglesi, l'università italiana prepara tutti "grandi giornalisti" ma non prepara - cioè non allena - nessun "calciatore"- ricercatore.

 Alessandro Pagnini (FI) sull'area italiana. Cita due convegni. Costanti della filosofia italiana, nella scelta dei referenti. Predomina il filone storicista hegeliano, agganciato a precursori come Vico e … . Tutti in Italia devono fare i conti con Hegel (se non altro per sfuggirvi), così poi lo si fa con Heidegger, Marx, Kierkegaard e Schopenhauer, Nietzsche dagli anni '60 (con ondata di nichilismo e pensiero della differenza), Husserl (Crisi scienze europee) Sartre Merlau.Ponty, (tramite Pareyson e Caracciolo, Schlaiermacher, Dostoievski, Lichtenberg e Kraus), Scuola di Francoforte  e post-strutturalismo francese. Unico nuovo che alligna oggi è Wittgenstein secondo (ma i suo mentori  di oggi sono i soliti noti di ieri). La scelta di campo di tipo umanistico, come esito anche del Gentilismo, porta a un'unità nichilismo-umanesimo. Vattimo addirittura rifiuta di considerare filosofi Chomsky e altri, chè farebbero scienza e non filosofia: vecchio vizio della filosofia italiana, che rifiutava per questo Cattaneo Vaialti ecc. Affrontano temi scientifici solo in termine di storia delle idee.  Se i filosofi non pongono domande radicali, non fanno filosofia ma altro... Nel monumentale libro di Barone sul positivismo logico fa capolino un giudizio come questo sul neopositivismo "barbaro anti-umanesimo". Garin ha prima proposto una fondazione nazionale, ma infine ha esplicitamente ammesso la sua vicinanza all'umanismo di un Ernesto Grassi. Noi siamo legati al post illuminismo e alla filosofia italiana spesso passata attraverso il filtro francese. Mancano molti filosofi stranieri: tutto l'empirismo, la filosofia scientifica, il neokantismo (salvo una certa filosofia storica francese), la filosofia analitica, la filosofia del linguaggio e della mente. Siamo fermi a Vailati Enriquez Geymonat, P. Rossi ... . La scoperta di questi filosofi passa  attraverso un primo giudizio negativo (in termini storicistici). Lakatos, che riassume in salsa ungherese vari analitici, trova spazio  in Italia. La filosofia "post-analitica", definita così anche dal Restaino, è un'invenzione della mentalità storicistica italiana. Non ci si preoccupa dell'induzione, ma delle critiche a Peirce ecc. Trova spazio in Italia la teoria delle catastrofi, ecc, purché da contrapporre ad attitudini scientifiche. Questo spiega lo spazio dato a Prigogine e alla teoria della complessità. In Itali la logica non è mai stata presa sul serio (testo di Cellucci). Se a Croce interessava un po' la scienza era perché ci trovava un po' di Jacobi o di Novalis. La nuova dimensione della ricerca (Erasmus, cd- globalizzazione Intenet) cambia tuttavia l'assetto filosofico italiano, ma siamo ancora lontani dalla sistematicità della ricerca. Difficoltà ad accetare epistemologia, logica. Non un nuovo umanesimo, ma la formazione di mestieranti con professionalità ma in condizione di fare al meglio il loro lavoro: questo manca in Italia.

Bruno Pinchard: area francese. Stupisco, cari amici, sento i peggiori barbari che vengono, i più spudarati  sostengono che l'Italia è niente. Questo mi fa  un effetto strano. Io come barbaro ho scelto almeno di raccontare il mio viaggio a Roma, così forse  da cogliere qualche lembo del pensiero italiano,  mostrare che c'è qualcosa, che c'è qualcosa di inconfondibile qui, di rarissimo e costosissimo per l'anima, e non siamo un club in cui contare i membri, ma cerchiamo chi in un colpo può cambiare il cammino della società. Da noi studiare la filosofia italiana, ci fa dubbiosi: nel senso comune l'Italia produce arti. E' un articolo di fede il fatto che uno dei testi più importanti, la Lettera sull'umanesio di Heidegger, ha aperto la strada, in quanto romano, allo studio sull'essere: questo il punto di partenza della modernità. Io propongo un'altra strada, perché troppo innamorato dell'Italia, che deve tremare dello spirito europeo, dove l'Italia non avrà un ruolo nel pensiero. L'Italia è posto da viaggi quando qualcuno sa qualcosa, ma poi torna al suo paese. L'unità europea - come organizzazione- ha scelto già il suo scopo, l'unità commerciale, e voi in questo senso siete già finiti. Voi potete dire che l'Italia pensa, ché qualcosa pensa dentro l'Italia. Non il testo degli autori, che sono il mezzo, ma che cosa pensa l'Italia è ciò che mi interessa. Certo, bisogna interrogarsi sul provincialismo italiano. Oggi non basta considerare la continuità integrale tra Bruno Vico Hegel. Non vedo altre cose per definire il timbro italiano, se non prendendo un testo italiano: il Convivio di Dante, opera assoluta della filosofia italiana. Un poeta che si pone come un fabbro della lingua, qualcuno che  pensa, perché fa di nuovo una lingua. E' un poeta che non fa soltanto versi ma commenta questi versi, fabbro dunque e commentatore, e penso: l'uomo poeta spiega un conflitto spirituale da cui non c'è esito, quarto: ragione.poesia,politica,tutto questo si fa insieme nello steso straccio. Conflitto irrisolto tra facoltà che imparano a vivere insieme, non il conflitto di facoltà ordinato alla ragione trascendentale, ma la sofferenza e il peso di radunare queste facoltà e di "superarle" in un gesto unico.  Poesia è uso amoroso della sapienza, al di là di tutti i razionalisti volgari, e imeme che passione desiderio l'arma dell'uomo è il vero luogo per scoprire la ragione. Voglio solo mostrare che qualcuno che ha la potenza di inventare una lingua nuova, significa qualcuno che cerca una nuova dignità dell'intelletto, al di là del feudalesimo di Federico II. Dante, l'uomo del conflitto, ritrova attraverso Boezio il più alto spirito dell'antichità. Questo movimento è il RIMANSCIMENTO. Heidegger sbaglia identificando il pensiero italiano con l'umanesimo. Dappertutto ci sono umanisti, ma umanisti che  producono il miracolo della Rinascenza è un altro discorso: Vita Nova,  bisogno di concepire dell'umanesimo dantesco Incipit vita nova. Umanesimo della vita nova-Rinascenza, che ritrova il filone antico. Il  Convivium non è un libro compiuto, è un'esperienza tormenta e sospesa.. Due strade: il poema come risoluzione dei conflitti (strada seguita poi dal Leopardi, nell'inno del cato interiore della lingua), ma l'altra strada mi sembra più fattibile: quella di Vico, secondo cui la lingua, il pensiero nella parola è accertare il vero della filosofia e insieme avverare il certo della filosofia. Il fatto italiano si ha non nel concetto puro ma nell'intreccio tra certo e vero, cioè nel transitato nella lingua. Solo il popolo italiano ha saputo, molto al di là dei greci, produrre su questo comune: dare la parole all'idea, e trovare un'idea dentro le parole. Questo significa dare un vero senso alla scienza. De Antiquissima Italorum sapientia . Non produrre scienze astratte, ma trovare ispirazioni di continuità, da Lucrezio a Varrone, alla IV egloga virgiliana, o ai padri della chiesa. La filosofia italiana c'è alla condizione che pensi al proprio destino, cioè il perdere l'impero, riconoscere il destino di aver perso l'impero e di essere una provincia, ma pensare questo destino è la RINASCITA, scema dal pensiero: può l'Italia avere spazio se trova un'identità tra filosofia della civiltà (Machiavelli, Rosmini sono uomini di civiltà). Non produrre pensieri chiari e distinsi è nel vostro destino (lo si affronta in una lingua ricca si sensi Le sfide del mondo: infinito tempo soggetto, Un popolo che trasforma queste tre sfide in civiltà sarebbe un popolo "drudo" della sapienza, dice Dante. Questo attraverso 4 momenti: 1) creazione di una nova lingua (nuovo sole, lingua pensante attraverso i suoi versi) 2) la capacità italiana di produrre un commento (come Averroè su Aristotele) continuo di tutti i sensi della cultura (contributo positivo del tirocinio italiano) 3)affermazione della verità della natura umana, uomo nato per le stelle,  4)amore non in senso freudiano ma nel senso di limitare la violenza delle passione nei termini della cultura romana antica, ma un amore romano (Lucrezio) V. Dante: se tu sapessi cosa sono le  pietre di Roma, dovresti abbracciarle. Essere innamorato delle pietre di Roma, questo è il timbro della vera facoltà filosofica italiana.

Michael Stoeltzner (Salzburg): mi limito  al dopoguerra. La filosofia austriaca (Wittgenstein Bolzano Brentano Mach): positivo l'empirismo e atteggiamento scientifico, negativo l'irrazionalismo, il rifiuto del criticismo kantiano. Fu completamente assente nell'orizzonte filosofico austriaco. La denazificazione, il superamento dei 4 anni di austronazismo, (v. storia di M. Ferrari) non si ebbe filosoficamente con quella rapidità che si è avuta in Italia (nel senso di apertura e recupero delle correnti europee). In Austria solo con gli anni '60 si recupera il perduto.

1)la filosofia austriaca  vede nel dopoguerra la sua ragion d'essere nel recupero della filosofia del linguaggio. Si aggregano studiosi attorno alle tre presenze rimaste di quelle del circolo di Vienna. Ma Feyerabend e Lakatos non hanno trovato radici in loco. Ruolo importate delle opere su Gramsci in Austria  (convegno '92). Sviluppo di un pensiero esistenzialista sulla base di Gabriel Marcel. Importante il ruolo dei circoli extra-universitari. Nessun ruolo gioca l'ermeneutica. Convegno a Vienna su Wittgenstein, nel '73.  Società Wittgensteiniana (per opera della generazione degli ani '60). L'orientamento verso la filosofia della scienza ha avuto spazio,

2)Da mie interviste brevi su alcuni filosofi, relative al peso da loro attribuito (per la loro formazione e per i loro interessi) agli italiani, è venuto fuori solo Croce per l'idealismo. L'unica ricerca adesso va alla lingua inglese (contatti con i logici italiani di Firenze). Si conoscono i lavori di Cacciari su Brentano, 1956 di Domenico ?Campanale? Studi su Wittgenstein, ricerche di Gargani che collocano Wittgenstein nelle cultura austriaca, la semiotica di Rossi Landi, l''empirismo logico italiano (Geymonat, Francesco Barone biografia del '53 è importante per la ricerca su Wittgenstein). Claudo Magris è molto letto per la cultura austriaca degli anni '20-30.   Nel campo della storia della filosofia, studi italiani sul '700 (ma si tratta di influenze su singoli pensatori austriaci). Altro influsso si può rilevare in ambito teologico (dove vi sono persone di atteggiamento empiristico,  p.e. si hanno studi su Carnap. Il mio punto di vista personale, come epistemologo e storico del Wiener Kreis (per ricavarne indicazioni metodologiche, non per spinte storicistiche) mi porta a conoscere De Finetti: sulla probabilità in fisica egli è interessante per le sue idee soggettiviste (anche se io non sono soggettivista). Poca della nostra letteratura sul Wiener Kreis  è nota in Italia. Qualcosa di Paolo Parrini è stato pubblicato nel '98 (un articolo sulla recezione dell'analitica in Italia). Il Carteggio Neurath e Federico Enriquez è stato  da me pubblicato in italiano. Il "Conscenza e realtà" di Paolo Parrini offre per me nuove prospettive sulla compressione del filone kantiano, Cassirer e prospettiva innovativa empirista-psitivista, che lui chiama filosofia positiva. Anche le ricerca di Massimo Ferrari, da un pdv neokantiamo, mi hanno convinto che la filosofia austriaca trova compatibilità con la dimensione kantiana.  Però lamento che nel libro di Parrini non si parla dell'attività di Giulio Preti.

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dibattito

Fabrizio DESIDERI (FI) modera dibattito: rapporto tra  trattazione storica della filosofia e trattazione per questioni.

De LUISE: come insegnante, tengo a parlare non della formazione dei filosofi ma del contributo della filosofia alla trasmissione di un patrimonio culturale. Nella scuola l'uso della storia della filosofia spesso congela le possibilità di sviluppo di pensiero degli allievi. Due le esigenze nella  formazione: trasmissione patrimonio, e metodo (tradurre la tradizione in questioni, e qui il problema: non tutte le questioni sono oggi recepibili; non sempre le competenze sono immediatamente traducibili in senso operativo).

PARRINI: sta emergendo l'idea che sia importate fare filosofia e non solo storia della filosofia. E per fare filosofia necessitano rapporti fecondi istituzionalizzati con discipline come le scienze naturali, sociali, matematiche. Mancano in Italia studi su Kant, nella cosiddetta tradizione storiografica italiana. La tradizione storiografica non ha giovato alla stessa storia della  filosofia italiana. Oggi siamo arrivati alla standardizzazione linguistica sulla ricerca filosofica, nei campi di cui mi occupo (filosofia della scienza) : qui si studia e scrive in inglese. Il massimo libro sulla filosofia scientifica è di un tedesco, ma è uscito in inglese.

Il contatto tra le culture sta cambiando la filosofia anche in Italia, dove sempre più gente ha voglia di "giocare a pallone" come dice Floridi, anche se gli storiografi non pare se ne siano accorti, per cui a Floridi non è rimasto che emigrare, per giocare a pallone.

Vigoriti: c'è legge sull'immutabilità dell'universo (triadicità costituita da numero volume e simmetria). Il minimo dell'universo sta vicino al massimo. E il fondamento l'ho trovato nella matematica naturale, tutto si  tiene, verum et factum convertuntur, bipolarità dell'atomo, magnetismo. Sono in contatto con lo scopritore delle grammo-molecole.

Altro intervento: paradigma 1898-1907 protonovecentesco: appare in quest'ultimo anno La teoria della giustizia di ?Husman? Ciò ha portato ad una accelerazione su Croce e Gentile, un'intersecazione tra teoria sociale, filosofia del diritto, filosofia della scienza sociale, morale e filosofia tout court.  Bisogna capire il movimento del socialismo giuridico in Italia, una teoria della ricezione reale, non una corsa sui topi come le ricezioni contemporanee.

Floridi: al filosofo analitico interessa non cosa dice Platone ma il contributo teorico (al gioco del calcio) che può aver dato Platone. Cioè l'Autore sul tema x ha ragione o torto? E' lo stesso senso usato da Cartesio, da Wittgenstein, che non sono interessati alla ricostruzione storica della idee (= da giornalisti). Al filosofo interessa fare goal, cioè l'avanzamento nella ricerca, non la paternità di un'idea. Questo vada sé.  Una nota di ottimismo sul fatto che le riviste italiane cominciano a scrivere in inglese.

altro intervento: strumento è la storicità, fine è la razionalità, per cui sia all'approccio storico che quello teorico possono nell'insegnamento funzionare entrambe.

Buettemeyer: la filosofia è sempre stata globale le sue idee non erano greche, l'io di Cartesio non è francese cattolico, ma un io globale, come l'imperativo categorico kantiano non è prussiano. L'attuale globalizzazione linguistica (uso dell'inglese) porta a situazione simili a quelle del latino alla fine dell'impero. Von Humboldt ha posto il discorso delle caratteristiche delle lingue che formano il pensare in un determinato modo (ma si parla di grandi ambiti, non quelli tra italiani e tedeschi, ma tra radice indoeuropea e altre radici). Raccomanda l'apertura dell'università italiana ai docenti stranieri, come avviene in Germania e in generale all'estero.

Pagnini: demitizzare una filosofia sovranazionale su veicolo linguistico anglosassone. Forse è inventata, o è usabile parzialmente come criterio di demarcazione sulla validità di fare filosofia. Valorizza il contributo di Parrini alla filosofia.

Pinchard: vs. Buettmeyer: cos'è l'aspetto universale-globale? Non è forse vero il contrario, cioè che lo spirito del mondo viaggia dentro lo spirito nazionale? Non è il gioco di calcio che mi interessa.

Stoeltzner: In Austria nel corso universitario si attraversa un momento istituzionalizzato di storia della filosofia della scienza (meccanica classica, quantistica). Vedi Lakatos: la filosofia della scienza senza la storia della scienza è vuota, ma la storia senza la filosofia  è cieca.

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CASERTANO (conclude i lavori): non ho memoria di un convegno con tale ampia partecipazione nei miei vent'anni di SFI. Convegno che ha colto il segno come tema ("la filosofia in discussione").

 

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