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CONVEGNO Società Filosofica Italiana, Firenze 11-13 novembre 1999
LA FILOSOFIA ITALIANA IN DISCUSSIONE
[Le parole precedute e seguite da un punto
interrogativo sono riferite a termini che non conosco o che ho
male inteso. Le note tra parentesi acute o con una lettera "i" finale sono riferite a mie riflessioni o associazioni di idee. Non c'è nessuna garanzia di fedeltà rispetto agli interventi: è tutto una mia interpretazione o traduzione del pensiero dei relatori, come mia è la scelta di dare più spazio ad un pensiero anziché ad un altro. P. e. non ho avuto né la forza né la capacità di seguire i singoli interventi del dibattito sulla didattica, come non ho registrato le considerazioni - peraltro interessanti - della comunicazione del sindaco di Firenze. Catullo NALIN [email protected]]. a dx: il filosofo Cesare Cremonini - stampa Archiginnasio Bologna) |
11/11/99 Firenze - congresso SFI-
Paolo Rossi (relazione su "Scienza ed idee")
cita Starobinski "Action et reaction": storia
dell'ermeneutica e del relativo movimento di idee. Atomismo
come ogni ismo è plurisignificante con pesanti valenze
ideologiche. Nel 1624 la discussione pubblica su 14 tesi
aristoteliche (Jean Villon tra gli altri) fu repressa.
L'occasione del ritorno d'attualità dell'atomismo fu anche il
risultato del peso dato dalla Chiesa alla transustanziazione:
ilemorfismo tomistico, conversio totalis, mai presente in
natura. Nel tema transustanziale si procede per analogie: non è
mutamento qualità-quantità, né di mutazione di forma
sostanziale, bensì mutamento che avviene nella materia; rimane
intatta la forma accidentale e invece scompare la materia prima
trasformata. Non si ha successione di forme ma mutazione di
forma: la conversione tocca tutta la sostanza del pane, ma non
tocca il corpo di Cristo che rimane intatto e impassibile. Il
pane continua ad apparire pane anche dopo che è stato
consacrato. Si da' accidente senza soggetto. Le qualità
persistono, ma come accidenti senza soggetto. La forma
sostanziale scompare e viene sostituita con quella del Cristo,
malgrado tutte le apparenze. Come conciliare il carattere
soggettivo della qualità secondarie con il permanere degli
accidenti reali dopo che la transustanziazione è avvenuta? Anche
Descartes si preoccupava di questo. Egli ipotizza solo movimento
di corpuscoli: anche a Galilei si rinfaccia la riduzione di
tutto a grandezze (?Redondi? in "G. eretico").
La discussione sul corpuscolarismo è stata minuta, e si
riferisce al VI libro della Fisica di Aristotele: "nessun
continuo è divisibile in componenti che non ammettano parti: le
parti sono sempre divisibili". Da un lato i
divisibilisti vedono il continuo come composto di corpuscoli,
dall'altro gli indivisibilisti credono che il continuo (non) sia
composto. Ma non tutti gli atomisti sono divisibilisti. Le
teorizzazioni di una scienza ipotetica che intende salvare le
proposizioni non sono categoriche ma ipotetiche: i punti
geometrici non sono cose, e gli indivisibili non esistono: a
inizio e termine di una linea, dicono gli occamisti, non ci sono
cose chiamate punti. La linea è continua e infinita per sua
propria natura. Anche i gesuiti collocano gli atomi come enti cum
fundamenta. Da un lato i nominalisti, dall'altro coloro che
ritengono gli enti "imaginaria" o "imaginabilia":
esseri etra animam. (il gesuita) Rodrigo ?de Ariaga? (Cursus
1632) è un discontinuista, analizza Zenone che
insegnava che il continuum è di punti finiti tra
loro, si rende conto della limitatezza della teoria aristotelica:
i punti hanno a che fare con realtà materiale. L'atomismo dei
punti matematici consentiva di rifiutare la tesi aristotelica
della divisibilità all'infinito, pur rimanendo fedeli alla tesi
dell'inesistenza del vuoto . Di fronte ai problemi tipo
condensazione-rarefazione, si teorizzarono i puncta inflata
(ironizzati da Montaigne). Galilei nel Saggiatore s'era
dichiarato atomista (particelle minime mosse con tanta
velocità): non solo quindi punti matematici. Galileo ha di
fronte consapevolmente il problema fisico dei punti. Atomi e
"quanti" (Redondi), si mescolano concettualmente in
Galileo. Lo Zenonismo (atomi e vuoto) era diventato una scuola di
pensiero: 1670 anonima disputazione napoletana sul continuo.
Altro testo: Dizionario di Bayle voce Zenone, cita Ariaga che
definisce i Zenonisti come puntualisti, habentes rationes
extremi. Leibniz parla di monadi come veri atomi
(inestesi) della natura, sostanze semplici che entrano nei
composti, gli elementi delle cose, che dunque - partendo dai
punti fisici (falsi) -passando per i punti matematici si
realizzano. 23 dicembre 1687: tesi proibite dai gesuiti superiori
napoletani: padre Giuseppe Vinci non doveva insegnare che sono
incompatibili con una (divisibilità? i) fisica. Alunno suo fu
Vico che parla del maestro come zenonista, "scotista di
sempre", per zenonisti si intendeva - secondo Vico- coloro
che si oppongono al continuum aristotelico. ?Brucker?
divide la setta eleatica in due gruppi, la parmenidea più
metafisica, e la zenonea più fisica (seguita da Leucippo e poi
Democrito): Zenone dà valore soltanto al limite, al discreto.
Contro l'atomismo si è sempre nel medioevo opposto che non vi è
rapporto tra linea e punti, perché è incommensurabile il
rapporto lato diagonale. Zenone appare come il sostenitore
del continuum composto di punti, e come tale oppositore
del movimento. Croce nell'analisi del Vico parla di punti
metafisici che Vico attribuisce a Zenone ma che in realtà sono
tipici del Vico, lungo la dimensione galileiana. Secondo il
relatore si tratta di una favola. Vico vede i punti come inestesi
e tuttavia capaci di estensione. Vico è un zenonista metafisico:
la fisica è dell'imperfezione, e quindi divisibile all'infinito,
ma in metafisica, l'optimum va posto "in individua
re": punti non dimensionali, constano di cose astratte.
Cioè Vico è aristotelico-anticartesiano IN FISICA, ma nel mondo
della verità si accede all'indivisibilismo, regno alto, valore:
il tempo si può dividere, l'eternità è indivisibile. La
tranquillità non conosce gradi, i turbamenti sì. Vico si
riferisce sempre a Zenone cizio, solo in una nota (poi
cancellata) si riferisce all'eleata. Nel 1750 esce a Vienna
la Teoria di Filosofia naturale, del Boscovich (m. a
MI 1787): materia immutabile, di puncta semplici
indivisibili, privi di estensione e separati l'uno dall'altro; B.
avvicina Leibniz a Zenone, (punti) come centri di forza della
materia. Si tratta di una via intermedia tra Newton e Leibniz,
una teoria della materia, su base rigorosa: Faraday apprezza tale
valutazione boscovicciana, idem Kelvin che identifica la teoria
di Maxwell con quella di Boscovich. Lo zenonismo insomma fa
ingresso trionfale nella scienza moderna, anche nella chimica.
B. era un gesuita (doveva quindi procedere cautamente i).
Pomeriggio: introduce Luciano Handjaras:
Quali rapporti tra filosofia e storia della filosofia?
Solo il fatto di discuterne, ci fa entrare nella filosofia.
Carlo SINI su segno
interpretazione e scrittura. Andamento del dibattito negli
ultimi 30 anni in Italia. Si inizia dall'anno di traduzione
italiana 1967del Cours del De Saussure, a cura di Tullio de
Mauro. Si generano alcune linee di tendenza: -dibattito riflesso
sullo strutturalismo (contatti con Lacan Althusser e Foucault):
-si sviluppa la semiologia (più ancorata al Saussure, scienza
dei segni) e la semiotica (da Peirce). Eco si aggancia a
quest'ultima provocando un forte impatto sulla tradizione
italiana esistenzialista-fenomenologica-marxista. Si ridiscute
radicalmente il concetto di SOGGETTO e di STORIA. Un terzo punto
di riferimento è - sviluppo del tema dell'interpretazione (a
partire dal secondo Heidegger) attraverso contaminazioni (luoghi
dove le idee di un contesto fruttano in un altro contesto):
da Heidegger e Gadamer allo smantellamento delle tre correnti
dominanti: gli italiani attribuiscono Heidegger al campo
esistenzialista, ma questo è opera solo degli italiani. Dietro
all'interpretazione sta Nietzsche, patriarca
dell'interpretazione. Nietzsche aveva letto Boscovitch, nel quale
trovava spunto per l'elaborazione del suo prospettivismo, del
gioco delle forze, la realtà è essenzialmente sviluppo e
interpretazione, che non può non avvenire se non attraverso
segni <<v. Steiner sull'Eterno Ritorno Uguale come
flusso atomistico e influsso positivistico>>. L'ermeneutica
italiana di opposizione al gramscismo-fenomenologismo ha poi
perso la confluenza di più linee e si è dispersa in questioni
di tipo sociologico-moralistiche, filosoficamente inconsistenti.
Heidegger basa tutta la sua filosofia sul concetto di
"interpretante": non si pone nessuna realtà se non in
riferimento ad un interpretante, che ovviamente si avvale di
segni. Ma questo aveva già detto Peirce. Se l'ermeneutica si
limita all'interpretazione (trasferimento di senso della verità:
la verità ha la natura della relatività inscritta dentro di se,
mai ti troverai di fronte alla cosa stessa, fantasma
irraggiungibile, che passa sempre per il medio
dell'interpretante) si cade al pre-filosofico, descrittivismo,
sociologismo empirico. Il vero problema consiste nel COMPRENDERE
l'evento dell'interpretazione, come accada, non il fatto ovvio
che c'è interpretazione. Come accade che le mie parole
determinano l'evento di un atto di risposta e quindi
l'incarnazione di un significato: ora e qui. Non ha senso
limitarsi alle condizione empiriche [il solito apparato della
teoria della comunicazione].
Accade la
parola nuova, l'evento del significato. Per Sini bisogna
trovare contatti con la tradizione americana: la questione grande
della verità in quanto è presente in segno interpretazione
scrittura. Appiattirsi alla SEMIOSI equivale sottrarsi
all'aspetto filosofico della verità, che si declina non solo sul
piano del significato (traducibibità di senso), ma anche sul
piano dell'evento. Così solo si evita il doppio integralismo (o
la metafisica o il relativismo) che fa bancarotta filosofica.
Bisogna tenere conto del carattere duale della verità, che è
verità ed è anche significato. La verità infine si configura
sempre come INSCRIZIONE: dunque apre al tema della scrittura.
La scuola degli oralisti (canadesi) sottolinea l'impatto
dell'invenzione alfabetica sulla cultura occidentale, che si
costruisce sulla trascrizione del linguaggio orale su manufatti,
che rende possibile l'interpretazione e l'astrazione logica che
porta alla scienza, al concetto, che non è che la parola
trascritta nell'alfabeto. La parola che nell'oralita vive in
contesto, nello scritto si tramuta in concetto astratto. La
nozione derridiana di scrittura è però modesta, modellandosi
sulla nozione di segno di De Sausssure, ridotta a segno
linguistico, secondo cui la parola ha significato mentale, che fa
corpo con un significante psichico che si esprime attraverso la
voce. De Saussure diceva non puoi tagliare il recto e il verso
del significato, comenon lo puooi fare del foglio.
Derrida, autore geniale del nostro secolo, relativamente al che
cos'è questa linea di divisione significato-significante arriva
a rispondere che è il corpo della parole, la voce: devo avere il
significante per trasmettere il significato. Per questa via, la
traccia che non è né significante né significato, si arriva al
decostruzionismo metafisico: questo è per Sini un abbaglio,
presenta una versione debole della verità, cioè si arriva ad
una verità falsa. Peirce offre uno spazio più ampio: la verità
non ha due punti, ma tre: segno oggetto e interpretante. Una
terza linea: - considerare la scrittura come il luogo
fondamentale dove sia possibile porre questioni come quelle
filosofiche: non si tratta di andare dalla scrittura alla voce
(vuoto inafferrabile di un concetto inesistente), ma considerare
voce-corpo-gesto come luogo dell'iscrizione del significato. La
duplicità della verità, nel senso dell'evento e del
significato, con un nodo che li unisce, ma una duplicità di
aspetti che li divide. Luogo dove porre le istanze
dell'interpretazione (e della verità) è la scrittura. Se
ci manteniamo all'interno di questo luogo, ecco che la filosofia
ha moltissimi concetti nuovi da scoprire: quale mai scienza ci
dice una sola parola risolutiva su "che cos'è la verità,
che cos'è UN SIGNIFICATO"? Questa è la domanda che
giustifica l'operare filosofico; il significato transita,
attraverso l'interpretazione dei corpi scritti: il corpo della
mia voce perviene al corpo del vostro udito, il significato non
si incontra mai con una cosa, un in sè e per sè, ma è sempre
transeunte. Il significato NON LO SI PUO FERMARE, lo posso solo
trasferire, da corpi a corpi, da supposti a supporti. Perenne
essere in errore (errare): sarebbe un grave errore non cogliere
un suo disveniente essere attraverso i corpi. Se isoliamo la
verità dal corpo, non abbiamo colto nè la verità nè il
significante: il significato transita. Ogni istante, ogni soglia,
ogni momento del trasferimento, quello è la verità tutta, la
verità, nient'altro che la verità. L'alternativa è
credere ad una verità assoluta che non transita, cioè di cui
non si può cogliere il significato. Verità che transitando
accade e accadendo cade: questa é l'unica verità. Non può non
avere una intonazione etica: si tratta di corrispondere, cioè di
conformare le nostra pratiche di vita al transitare della
verità: ci vuole quindi un'ETICA DELLA SCRITTURA, che si faccia
carico dell'evento della verità , che trasmutiamo e facciamo
vivere cogliendola nell'evento.
--
Pomeriggio: Epistemologia. Handjuras: Calvino rifletteva sul linguaggio nelle conferenze
americane, e poneva come degni del nuovo millennio alcuni valori,
un progetto. Lo stesso dovrebbe valere per noi e per la filosofia
in genere. Il pensiero degli analitici è divenuto patrimonio
naturale comune in Italia. : -capacità di recupero e di ascolto
delle filosofie straniere, - confronto reciproco tra
epistemologi ed ermeneutici -capacità di comprensione
storica, che rende la filosofia teoretica tipica dell'Europa
legata alla dimensione storica.
Paolo Parrini: filosofia
italiana dell'ultimo trentennio nella filosofia. scienza,
episteme, logica e analitica.
La logica,
disciplina specialistica che si muove tra informatica matematica
e filosofia, necessaria per capire le vicende italiane, termine
di confronto per capire gli ultimi tre decenni filosofici.
Nel 45 Preti cerca
di recuperare il dotto estero, ma è condizionato dai suoi
interessi particolari... solo De Finetti continua a elaborare la
concezione della probabilità, che diventa programma di ricerca
sia di matematica che di epistemologia, a livello internazionale.
Le carte De Finetti sono conservate a Pittsburgh , dove ha potuto
svolgere le sue attività.
Negli ultimi 30-40
anni si recupera il tempo perduto in maniera più neutra rispetto
a prospettive filosofiche di tipo personale. Esaminiamo il caso
della logica: La logica simbolica raggiunge un suo
assetto, istituzionalizzato, solo lentamente. Preti la fa
conoscere all'interno dei suoi interessi; solo con gli anni '50
si ha un approccio neutro: la svolta è nel '59 quando in Italia
si ha un manuale istituzionale di logica (Ettore Casari, Manuale
di logica (sotto direzione Geymonat). La logica
italiana ha imboccato con decisione tale strada, disperdendosi
nell'alvo degli studi logici di tipo internazionale.
Viceversa nelle
altre discipline in questione, non c'è stata
internazionalizzazione, in particolare per la filosofia analitica
(nelle tre branche: della conoscenza, del linguaggio, della
mente), della scienza. Per loro necessità queste discipline
conservano al loro interno una capacità di opzione filosofica
generale, che tocca un terreno controverso, non istituzionale.
Dopo la crisi del primo empirismo logico (Cambridge), si riesce
con difficoltà a mettere insieme una piattaforma di conoscenze
istituzionali (non esistono manuali di filosofia della scienza
completamente condivisibili). In filosofia c'è qualcosa di
analogo al progresso, comunque, perché si riesce anche nella
filosofia analitica a stabilire una base comune, p.e. sul
verificazionismo uno studioso sa immediatamente i pro e i contro
di tale posizione, e sa maneggiare tale sistema. La logica
italiana non ha ardito entrare nel discorso filosofico (mentre
all'estero non c'era questa remora). Nel '92 appare un manuale: Introduzione
alla filosofia analitica del linguaggio, che mirava alla
conoscenza istituzionale dell'ambito dei giudizi analitici
(progetto wittgensteiniano, Fregeiano). Mancava il paradigma
verificazionista, ma c'è l'inizio di un assetto produttivo:
Bonomi, Marconi, sulla competenza lessicale. Gli scienziati hanno
qualcosa da dire sulla verità, fanno progetti e ipotesi al
riguardo. Si è costituita la Società Filosofica Analitica
Italiana, come parte dell'ambito europeo. Berti si
interessa oggi all'analitica proprio perché riconosce che sono
state risolte le pregiudiziali antimetafisiche della prima
analitica. La cultura italiana di tipo storicistico a
contatto con l'analitica <si deve rifare alla filosofia
come istituzione >.
IL TEMA DI
OGGI è LA SFIDA COSTITUITA DALLO SPECIALISMO, è LA FILOSOFIA
CHE TENDE A SPECIALIZZARSI, e si trova a doppio disagio. Bisogna
superare l'incomunicabilità tra discipline, inutile lamentarsi
di mancanza di grandi filosofi, esattamente come è inutile
lamentarsi della mancanza di grandi scienziati. Quello che serve
è la coordinazione della ricerca, anche in campo filosofico.
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Comunicazioni
Eddy Carli (PD): sviluppi recenti
dell'analitica e rapporti con la filosofia italiana. Si
tende a vedere una continuità tra filosofia (continentale)
e filosofia. analitica. Caduta la contraddizione tra analitica
(Russell e Primo Wittgenstein, Carnap, Austin) e metafisica. Già
con il secondo Wittgenstein delle Ricerche e con tutta la
scuola di Oxford si è abbandonata la contrapposizione e si è
data 1919 con il libro di ?Dam? Base logica della metafisica,
in senso minimale, cioè come descrizione della realtà come
ontologia degli oggetti e degli eventi. Anche
all'interno delle filosofia analitica si individua un percorso
che prosegua la tradizione classica della filosofia, pur se con
approccio processuale diverso, come nel saggio di Urmson Logica
analitica per l'Enciclopedia Italiana anni 70, dove si
definisce analitico in contrapposizione a sintetico. Gran
parte di Aristotele è di mentalità analitica (v. analisi della
felicità nella Nicomachea). Solo Berti ha dato spazio a
tale aspetto del pensiero aristotelico.
Franca D'Agostini
(TO) su irrilevanza filosofica del problema delle due culture:
tentativo di teoria, oggi difficile perché mascherato di solito
in lavori storiografici. In Italia tutti sono analitici e
continentali cioè sia di scienza che di cultura. Tre
ragioni dell'irrilevanza delle due culture. Divisione
esistenzialistica del lavoro
esiste nella misura in cui
non c'è un' unica fabbrica del prodotto filosofico. Ci sono gli
specialismi scientifici, ma anche le scienze sono costruzioni
ideali antiche: nel '900 tutte le scienze specializzate
hanno avuto l'ambizione di porsi come scienze filosofiche
fondamentali. L'ultimo tentativo di sistema è stato lo
strutturalismo. Oggi si sente bisogno di enciclopedie perché si
sente la mancanza di una filosofia unica, un'unità del sapere.
Terzo motivo dell'irrilevanza: le cultura sono tre: le due più
le scienze esatte. E' vero che pare maggiore il legame di queste
ultime con le scienze della natura, ma il paradigma matematico
non si applica tranquillamente alle scienze empiriche. P. e.
divergenza tra fisici e matematici sul concetto di funzione;
l'ontologia della matematica è più vicina alla cultura
filosofica che alle scienze fisiche. Popperismo invadente
popolarizzato non è che hegelismo, enciclopedismo matematico
presente in Hegel e trascurato negli hegeliani italiani (solo
Enriquez rimproverava Croce per aver portato avanti unicamente
l'aspetto antiscientifico di Hegel, atteggiamento che
veramente non c'era in quest'ultimo).
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Alberto Peruzzi
(FI) su analitici e continentali: l'eredità di Giulio Preti
sulla capacità italica di miscelare, di sincretizzare.. Quello
che conta in filosofia è l'argomentazione, non porre le
questioni del cuore, che se ci sono occupano uno spazio e che
preventivamente è bene esplicitare. Continentali (cultura,
storia) accusano gli analitici per problemi irrisolti che in
realtà sono comuni alle due aree: gli analitici sarebbero
scientisti riduzionisti fautori di una filosofia fine a se
stessa, incapace di uscire dalla dimensione di una
"microfilosofia", di dispersione nel barocchismo
formale, vedono gli alberi ma non la foresta. Viceversa gli
analitici sparano bordate di incompetenza logica, di tuttologia,
di sostituire con l'emotività l'esigenza di procedure logiche.
La ragione del contendere c'è ma non tra un'area e l'altra,
bensì nell'assetto generale della filosofia: dove mettiamo
fenomenologia, neocriticismo? Nel '68 la Retorica e logica
di Preti cerca gli elementi di contrapposizione per individuarne
l'ineffettività, nel senso che sono più gli elementi di
sovrapposizione che quelli di dissidio. Preti non pone il tema
della fine della filosofica (posta successivamente, da Rorty).
Preti si riferiva al pragmatismo di Dewey, e dà come paradigma
di intersoggettività il valore della filosofia (CONCILIARE
logica e società). Oggi invece il pragmatismo prevalente, quello
di Putnam, fa riferimento a James. Preti nel suo libro ha molto
da dirci sulla polemica attuale.
Erminio Rizzi su linguaggio
e percezione-problemi critici. Mi meraviglio che la
filosofia oggi non veda l'antedecenza dei corpi rispetto ai segni
(Gadamer riduce tutto il mondo al linguaggio, unico essere che
può venire compreso). Ma la parola può stare senza il suo
significato? No, le varie successioni di suoni non sono
portatrici di significato: ci dev'essere un già dato prima della
successione di suoni. Il problema è il passaggio dalle
successioni di suoni alle parole, cioè il problema del
linguaggio. Posto che le percezioni sono soggettive,
<rispetto> a cose presenti in se, Kant risolve il
problema riducendo i significanti a fenomeni, Heidegger risolve
il tutto dicendo che l'uomo è posseduto dal pensiero. Nulla è
forma ma tutto è materia data. Non si tratta di chiarire le
condizioni di conoscenza universali, la quali sono le condizioni
perché ognuno di noi conosca.
La forma non è innata, ma
viene concepita progressivamente rispetto alla (materia).
L'immaginazione ha funzione di anticipatrice della materia (p.e.
nella percezione abbiamo una parte sotto i sensi, e ciò che va
al di là viene immaginato dalla mente come anticipazione della
cosa stessa). Due condizioni trascendentali per il rapporto
scienza-filosofia, anima del soggetto e Dio.
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Metafisica e
l'ermeneutica. presiede Amedeo Marinotti (FI) L'ermeneutica ha
dichiarato la fine della metafisica due volte: dapprima come
fondamento della scienza, una volta acquisita la scienza storica,
la seconda volta quando Heidegger con l'ermeneutica ontologica
distrugge la metafisica per l'errata posizione del problema
dell'essere. Ma Heidegger ritrova nell'antropologia la radice
della domanda metafisica, come interrogazione "perché
l'essente e non piuttosto il nulla?". Così la
metafisica nel '900 si è posta in ritirata, ma è ritornata a
Aristotele, a nuove acquisizioni di cui parlerà Berti.
BERTI: stato di
salute della metafisica nella filosofia italiana. La valuto
nell'intero secolo: c'è un'anomalia tutta italiana, almeno nel
primo tentenni dei secolo: contrapposizione tra metafisica e
antimetafisica tra Gentile da un lato e Croce dall'altro. Gentile
si dichiarava in favore della metafisica anche se poi la
intendeva in senso immanentistico, mentre Croce si schierava
decisamente contro la metafisica. Dopo la fine dell'egemonia
idealistica (dalla metà dei '30 alla metà dei '60) la
contrapposizione si incarna nelle posizioni cattoliche da un
lato, con l'anitifisicismo di quasi tutti gli altri, i
"laici". Segno di provincialismo: tale contrapposizione
non mi risulta in ambito europeo e angloamericano (dove oltre
alla dominante analitica è sempre presente la metafisica come
disciplina istituzionale). P.e. in Germania, pur prevalendo
l'ermeneutica, non esistono forme di posizione
"laicistica" nel senso di antireligiosità. Le
due principali correnti metafisiche italiane sono da un lato
quella di ispirazione tomistica, dall'altro quella
agostiniano-platonica. Anch'esse caratterizzate in senso
religioso. Nell'ultimo terzo del secolo la situazione si é
evoluta: crisi delle ideologie, gli effetti del concilio vaticano
secondo e del processo storico di secolarizzazione, la fine delle
ideologie hanno concorso a dissolvere la contrapposizione.
Restaino, nell'appena uscita voce sulla Filosofia UTET, rileva la
progressiva laicizzazione dei filosofi cattolici e dall'altro
lato l'abbandono di un laicismo esasperato in senso
antireligioso. Ora la scelta tra metafisica o non
metafisica è tutta basata su argomentazioni di carattere
filosofico. Quasi completamente sono scomparse le
metafisiche di ispirazione spiritualista, forse le più legate al
fattore religioso, mentre sopravvivono altre forme di metafisica,
quelle che si riconnettono a ciò che era stata nel trentennio
precedente l'ispirazione tomistica-neoscolatica. Le due scuole di
metafisica sopravvissute sono: quella milanese della
Cattolica (Masnovo, Olgiati, Vanni Rovighi) che ha raggiunto il
culmine come rigore con il pensiero di Bontadini, dall'altra
parte, come rileva Restaino e come si vede nella Storia della
filosofia di Mario Dal Pra, la scuola padovana di
metafisica che fa capo a Marino Gentile, tra i cui scolari
annovero anche me stesso. Mentre la scuola milanese conserva un
legame stretto con il pensiero cattolico, e quindi con componente
apologetica tramite Tommaso, nella scuola padovana [Umberto
Padovani, Giacon, Faggiotto...] il processo di laicizzazione è
già avanzato: si parla di metafisica con i maestri antichi
(Plotone e Aristotelico) senza passare per il neotomismo.
Oggi è di moda l'aggettivo debole in filosofia per connotare le
posizioni del momento presente. Per quel che mi risulta non
si è cercato di chiarire cosa significa veramente
"debole". Apriamo una parentesi epistemologica. Vi è
un versante logico del termine, ed uno epistemologico. L'asserto
"Tutti i cigni sono bianchi" qualora fosse
teoria scientifica, sarebbe una teoria forte epistemologicamente
(cioè ricca di informazioni), però da un pdv logico è
debole (sarebbe facilissima da confutare). Ecco che una teoria
può esser forte e debole nello stesso tempo. Viceversa
"Alcuni cigni sono bianchi" è affermazione debole
epistemologicamente ma fortissima logicamente. Così è in
metafisica: Parmenide (tutto ciò che esiste è immobile) è
forte epistemologicamente, ma è debole logicamente (basta
mostrare che esiste la sensazione del movimento: anche se
illusoria, è in movimento, quindi non è vero che il tutto è
immobile). All'opposto si pone la tesi di Eraclìto. Certo,
più difficile confutare (logicamente) posizioni aristoteliche e
platoniche che sostengono "Ci sono cose che mutano e cose
che non mutano".
La tesi di
Bontadini (il quale si inquadra nella tradizione
platonicizzante con Luigi Stefanini (metafisica della persona),
Sciacca (metafisica rosminiana), Prini (metafisica ontologica),
V. Mathieu (metafisica neoplatonica), Carlo Arata (metafisica
della prima persona) .
Il divenire è
contraddittorio perché attesta l'ambivalenza tra essere e non
essere: bisogna rimuovere tale contraddizione, e la soluzione è
che l'essere sorga dal nulla attraverso la Creazione, onnipotenza
dell'atto creativo: metafisica fortissima epistemologicamente, ma
non logicamente, tanto è vero che i suoi sviluppi in E. Severino
portano al divenire come elemento da rimuovere in quanto contro,
per cui basta rimuovere il divenire e tutto è logico. Più
conseguenti rispetto a Severino sono Evandro Agazzi e
Camelo Vigna che insistono sulla sperequazione tra intero
dell'esperienza e intero del reale.
La
metafisica padovana ha meno pretese: il mondo
dell'esperienza, della vita, della storia, della realtà,
dell'esistenza, questa realtà è PROBLEMATICA, cioè non si
spiega da sé, si mostra precaria, inadeguata, finita,
incapacità dell'esperienza del complesso di porsi come realtà
assoluta, come fondamento di ogni cosa, come cosa in cui sia
pienamente realizzata la razionalità, l'autosufficienza
della presenza delle metafisica epistemologicamente debole, ma
molto forte dal pdv logico: i può confutare solo, per antitesi,
dall'estrema facilità con cui si può confutare la sua
negazione, vale a dire che l'esperienza, la storia, l'esistenza,
la storia, la realtà sociale è l'assoluto è qc che non
ha bisogno di altro. Oggi nessuno fa questo discorso né in
analitica né in ermeneutica ecc. La metafisica è dunque
tipica delle persone deboli che si lamentano degli acciacchi e
della cagionevolezza di salute, ma che vivono poi più
dei loro medici.
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L'ermeneutica,
che convive tra tradizione torinese, napoletana, fiorentina
(storia della scienza).
Ne parla Sergio
Givone (FI): gli esiti dell'ermeneutica contemporanea. Con
sottotitolo: quali si possono individuale in riferimento alla
discussione che ha avuto luogo negli ultimi trent'anni in Italia.
Fenomeni di importazione si sono avuti, ma non tutto è
importato. Prospettive originali sono da noi sorte. Quando
Gadamer approda come pensiero in USA tramite Derrida, è stata
recisa la radice heideggeriana (ontologica) all'ermeneutica. Si
taglia l'onto-ermeneutica. Invece in Italia il riferimento ad
Heidegger ha continuato a tenersi come necessario (Pareyson).
Teoria critica (=Scuola di Francoforte) in Italia è stata fatta
interagire con le due prospettive ermeneutiche precedenti, per
cui in Italia si assiste al florilegio di riviste teoretiche
("Aut Aut", "Paradosso", "
Iride"), come interazione, convergenza prospettive tra
teoria critica, l'ermeneuticaeneutica, analitica. In Italia
più che altrove ha sviluppato posizioni speculative che non
possono essere ridotte ad un orizzonte comune. ?Cananeo? e
D'Agostini, in quanto storici della filosofia, hanno sottolineato
che tra pensiero debole e pensiero tragico, ecc. negli ultimi
trent'anni l'ermeneutica italiana ha compiuto percorso in cui
inizio ed arrivo appaiono ricongiunti: dal concetto di verità
subito abbandonato, al concetto stesso riproposto in ambiti
recenti.
Fuori d'Italia
l'ermeneutica aveva abbandonato il concetto di verità, in
concomitanza con eguale atteggiamento dell'analitica. Nietzsche:
nel mondo dove tutto è interpretazione, della verità non resta
nulla. Così p.e. nella giustizia, se si introduce il concetto di
contrattazione, viene a cadere il concetto di verità. Questo
all'estero, ma da noi la maggiore. opera italiana, Verità
e iinterpretazione di Pareyson ('71) pone la questione in
altro modo: della verità non si dà che interpretazione e
dell'interpretazione non si dà che verità. Questo concetto
è stato poi tralasciato, ma oggi ricompare con un allievo di
Pareyson (Ciancio, Paradosso della verità). Lo stesso è
accaduto in ambito epistemologico, quando Parrini l'ha mesa a
confronto con la metafisica. Parrini mette una terza via
tra idealismo metafisico e relativismo radicale (conoscenza
intersistemica), ponendo al centro la nozione di verità
oggettiva: a tale nozione si richiamano le due precedenti
correnti, l'una per porne l'unicità in metafisica, l'altra
nell'asserto che solo la scienza verità oggettivare non
come assolutezza ma come tensione antirelativistica.
Qui
epistemologia e l'ermeneutica sono destinate ad incontrarsi.
Pensiero interpretativo e pensiero oggettivante (scienza) possono
confluire: l'uno è pensiero rivelatore della verità
dell'essere, che non si lascia oggettivare come la verità
dell'ente: la verità è una ma infinite sono le sue
interpretazioni. La verità sopporta l'interpretazione, e si fa
pensiero tragico, che affronta la lacerazione presentata dalla
realtà. Parrini e Ciancio hanno punto di massima divergenza
nell'unicità del vero e molteplicità di interpretazione,
divergenza per il concetto: verità non può esser oggettivata
per Ciancio, lo può essere per Parrino.
Verità
oggettiva (scienza) e verità che non può essere oggettivata
(religione, arte) possono essere ricondotte ad un terreno comune?
La verità può essere detta in molti modi.
L'ermeneutica
interroga il mondo dei significati, delle finzioni, dei giochi,
del muto dialogare nel silenzio (religione, dialogo con uno che
no risponde), ma l'epistemologo non si pone su questo piano. Il
tragico non è un pathos suppletivo della conoscenza, Il
linguaggio è irrimediabilmente manicheo, come dice il nostro
unico grande filosofo Vico. L'ermeneutica ed epistemologia
parlano di verità come qc. che sta dietro la cosa, come
condizione di possibilità: non è tanto al v, ma il NON della
verità (l'una parla della verità dell'essere, l'altra
dell'essere della verità), il riferimento comune è quello dei
termini negativi: nell'ermeneutica la verità dell'esser non è
mai nella cosa-esperienza, ma oltre, ed è riconosciuta se non
attraverso un processo di esclusione: non questo o quello, come
indicava Plotino; similmente l'epistemologia parla dell'essere
della verità, che in realtà è un parlare dell'esser che la
nega. La verità non è che nel suo poter esser FALSIFICATA.
Dunque alla negazione si rivolgono le due teorie: la verità
viene affermata e nel contempo intesa NEGATIVAMENTE.
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1a com: Giuseppe
Cantarano (Roma 2) su l'impossibile libertà: metafisica,
ermeneutica, nichilismo, dal nulla dell'individuo alla
comunità del nulla. L'ermeneutica è segno del passaggio dalla
necessità alla contingenza del nulla. Come pensare oggi la
libertà. NICHILISMO NELLA VERSIONE DELL'ONTOLOGIA DEBOLE, DEL
DECLINO, è l'esito solo del corto circuito ermeneutica-metafisica,
tra cupio dissolvi del primo e costruzione metafisica
della seconda. L'ermeneutica pluralizza in un'infinità di
differenze, ha contrapposto l'individuo forte della meta,
l'individuo debole della comunità delle differenze: questa
seconda versione garantirebbe una maggiore LIBERTA' che si
risolve nell'idolatria della comunità). Ci si è congedati dalle
mega-narrazioni ideologica, per concedersi alla trasparenza
assoluta, alla levità delle apparenze, dalla pacificazione
generalizzata del benessere, dalla felicità. Da una condizione
organicistico-comunitaria dell'organizzazione sociale, ad un
valore della comunità come regolativo dell'individuo, come
modello organizzativo. Con l 'idea postmetafisica della
finitudine umana: siamo alla metafisica del finito; dall'etica
della polis alla unità degli individui deboli tenuti insieme dai
giochi linguistici, dall'apparenza estetica. Dilegua il concetto
stesso di individuo, sia pure come unità indifferenziata di
giochi linguistici. L'individuo prima della polis, non è -
questa è la posizione classica. Secondo il relatore il pensiero
ermeneutico arriva ad una metafisica declinazione della teologia
scientifica, che ci consegna ad una metafisica, da cui in realtà
non ci siamo mai congedati. L' io non è che il rovescio
simmetrico dell'altro nulla, il nulla della realtà.
---
Adriano Fabris PI:
aporie dell'ermeneutica contemporanea. Escher: mano
che disegna la mano che la disegna: esperienza visiva del
paradosso, viene meno la distinzione tra esterno-interno,
soggetto-oggetto e tuttavia siamo in grado noi di cogliere questi
limiti. In analogia, la situazione dell'ermeneutica italiana
richiede di essere interpretata, il luogo della teoria è il
luogo in cui emergono aporie e paradossi, il senso appare
pienamente comprensibile solo a livello del dettaglio (al
contrario del pensiero di Hegel). Come si sa, l'ermeneutica è
antihegeliana. Io non considero però queste aporie come punto di
critica essenziale dell'ermeneutica, giacché per avere una tale
forza la nostra critica dovrebbe basarsi su un piano assoluto,
che l'ermeneutica stessa nega. Givone :"per l'ermeneutica
ambigua è la realtà (molti esempi). Facciamo tre esempi per
vedere se esiste un piano della teoria: tre aporie:
1)
assolutizzazione del relativo e viceversa (v. citazione di
Nietzsche "esistono solo interpretazioni"):
ma se tutto è interpretazione anche questo enunciato è
interpretazione. Petizione di principio di logica ermeutica:
l'assoluto può porsi solo in quanto incarnato in un relativo.
Questo relativo assolutizzato lo poso chiamare uomo, esistenza(v.
Pareyson: la libertà è l'ambiguo per eccellenza)
2) LA LIBERTA
RISULTA NECESSARIA; impossibilità di fare i canti con i fatti
che esso pensiero riconosce
Troppi i fatti che
resistono ai poteri dell'interpretazione: la libertà cui
si è condannati, fattuale l'evento dell'essere. L'orizzonte
preliminare di comprensione non può porsi che come fondamento.
3) Il senso non è
in grado di dar senso a se stesso (se non si superano qs. aporie
non si può continuare a filosofare).
----
Carlo Gentili BO: l'ermeneutica e la
pietà dello storicismo. Per Vàttimo l'ermeneutica è nuova
koinè, terreno comune della teoria, dopo la fase strutturalista
(che dava spazio alle strutture altre, ma poi ricadeva sul
principio della neutralità dell'osservatore che
tl'ermeneuticainava in un rifiuto di identificazione).
L'ermeneutica invece con Gadamer unifica il tutto nell'orizzonte
di passato e presente. Gadamer parla di fusione di due orizzonti,
ma un altro ermeneuta H.R. Jauss nel suo ultimo lavoro, Wege
des Verstehens, ricostruisce e cerca di approfondire il
concetto di Gadamer, che parla di "differenziazione di
orizzonte", con un'operazione di recupero dello storicismo,
come "riflessione metodica sulla storicità del
comprendere": il comprendere parte da una forma di
attenzione verbale. Parte dalla massima "tout comprendre
c'est tuot pardonner", Verstand in francese si
divide in senso attivo comprendre, e passivo entendre.
Nella dialogica appello intenzione e in intelligenza passiva
cambiano continuamente di posizione. Tolstoi appunto in Guerra
e pace esprime questa sentenza: bisogna mettersi nella veste
degli altri (la sentenza è attribuita a M.me de Stael). Il
modello entra in crisi con L'idiota di Dostoievski
(comprendere e perdonare tutti - per il principe Miskin - anche
coloro che lo ingannano). <Tolstoi> sostiene che l'atto
della comprensione mette in discussione: non comprensione bensì mitleid,
compassione come giustificazione di tutto. Ma Nietzsche
vede all' interno di tale filosofia del perdono la coda del
disprezzo.
---
Ultimo contributo: l'ermeneutica e
libertà in Pareyson (da "Verità e interpretazione"
1925 fino all'opus maius "Ontologia della libertà")
della giovane Rosaria Longo (CT), che presenta una filosofia
forte, l'esistenzialismo come filosofia della libertà. (Pascal,
Kiekegaard Schelling Dostoievski Berdiaev), continuità di
umanesimo e romanticismo. L'interpretazione fonda necessariamente
una tradizione. Resa operante dalla LIBERTA' interpretativa degli
uomini: l'ermeneutica e l'ontologia si coniugano nel concetto di
interpretazione. Sul principio dell'inseparabilità di essere e
libertà. Anche il rifiutare l'essere passa per la libertà, che
in quanto tale è comunque condizione dell'essere. L'uomo
consiste nell'esser d'accordo con l'essere: questa è la
dannazione dell'essere.
Pqr il pensiero l'ermeneutica è
pensiero tragico, tragica scienza della scelta tra bene e male.
Grazie a Plotino, l'essere che consente la possibilità di
chiedersi l'impossibilità dell'essere, di stare sull'abisso.
Pareyson privilegia la dinamicità plotiniana rispetto alla
staticità parmenidea. Fichtianamente l'origine del sapere non
può non esser che il non sapere, ma non si può ridurre tutto al
superamento hegeliano, gli opposti rimangono opposti
ineludibilmente, senza integrazione se non nella libertà. E' da
distinguere il piano della dialettica da quello dell'ermeneutica:
il pensiero non riesce a prendere coscienza di se stesso come
origine di se stesso, nella logica, ma nell'ermeneutica questo
solo è possibile: non il nulla, ma il pieno è nell'abisso:
della filosofia negativa si passa al positivo attraverso un
originario contatto con il nulla che come tale si
costituisce positivamente. Il costituirsi della libertà si ha
attraverso l'impegno, il coraggio di scegliersi. UNO
è l'atto con cui la libertà si esercita, anche se è
angosciante fare il bene con lo steso atto con cui si può fare
il male. L'ermeneutica è pensiero. tragico, angoscia, dubbio, ma
è essenziale nella filosofia. della libertà e della filosofia
dell'interpretazione che si svolge nei terni della filosofia
della libertà.
CONVEGNO SULLA
FILOSOFIA ITALIANA - FIRENZE - seconda giornata
12/11/99 Sergio
Moravia (FI): storia della filosofia e storia delle idee,
su temi di antropologia filosofica e filosofia dell'esistenza,
ambiti nei quali ho lavorato: macchina-uomo-ontologia. Macchina e
uomo sono diversi: nessuna macchina è amletica. Nel caso della
macchina il comportamento amletico si riduce all'essere guasta.
Un sogno
mattutino, un demone, un incubo, mi ha portato a cambiare
radicalmente il discorso che avevo preparato, per cui - dopo la
doppia sessione di ieri - ho deciso di parlare a braccio, ché ho
apprezzato la quasi totalità delle relazioni. Il" Moravia
2" si sta dirigendo verso cose molto teoretiche, un discorso
forte sul conflitto tra approccio storiografico e approccio
filosofico in Italia. Sono partito storico assolutamente, e poi
spinto da inquietudine perversa ho imboccato strade filosofiche (L'enigma
della mente, L'esistenza ferita
- cita i suoi
ultimi 3 libri). Interessato al libro della De Agostini su
analitici e continentali: si tratta di una divisione "porta
pericolosissima", griglia che non aiuta nell'analisi dei
casi concreti, di un certo autore. Parrini scherzava sul suo
libro "Analisi della mente" domandandosi se esso
è analitico o continentale. Per me il <suo> testo
- che tende a tesi minoritarie nell'area analitica e molto
legate all'area continentale - è analitico. ?Harris? p.e.
è studioso di Hegel e Humboldt, ma si colloca tra gli analitici.
Bisogna in sostanza sganciarsi da questo paradigma.
Cominciamo col
dire che non mi serve nazionalizzare le filosofie. Non vi
racconto la storia della filosofia dell'esistenzialismo italiana
di Abbagnano, Paci e dintorni (già documentata). Diversa la
storia della filosofia della mente: qui si parte da 0 (mancano
p.e. cattedre, è impensabile che ce ne siano). Cito chi per un
verso teoretico è ai miei antipodi, anche se per altro verso è
mio amico: Vittorio Somenzi. Andava anni fa proponendo i temi in
questione; qualcuno ha aderito alla sua lezione, p.e. Roberto
Corteschi, ma io che negli anni '70 ero reduce dagli USA, ho
dovuto cominciare da 0, anche a livello bibliografico. Il mio
libro "L'enigma della mente" era forse davvero
il primo libro che affrontava in modo analitico questioni mai
affrontate in Italia. Questa situazione mi incoraggia a parlare
di questi problemi. Il mio libro negli USA non è stato in
gran parte capito, perché ha aspetti esistenziali che sono
lontani da quell'ambiente. Ma qualcuno si è interessato al caso.
Cos'è filosofia
della mente? Perché non chiamarla psicologia? In Usa la
psicologia designa un'area di studi sperimentali, laddove tutte
le questioni fondazionali, metodologiche e contestualizzanti, su
mete e soggetto umano, sono affidata alla philosophy of mind,
anche se in Usa si arriva poi a negare la mente. <Tutto viene
ridotto al> mind-body problem, <e non> al soggetto
intenzionale, sempre partendo da presupposti dello psichico,
psicofisico, neurocerebrale. E' dunque una macrodisciplina.
Prendo in esame questo famigerato mind-body problem. Io non
salverei nessuno dei termini: la mente non esiste, sul piano di
fattualità, il corpo esiste se riferito al cervello-neuralità,
ma come può esistere riferito alla mente? "Problema"
è un termine fuorviante, vagamente rassicurante, perché si
presume al fondo che esista una risposta. Cari amici, il
problema, finché resteremo uomini, non avrà mai una risposta.
Ci sono rapporti su determinati studi su atti psichici e loro
correlati lavori neurali (in laboratorio), ma si tratta di lavori
che poco hanno a che fare con le problematiche del mind-body
problem. Uno dei massimi rappresentati del mind-body problem
versione riduzionista, Armstrong, sostiene:"per me l'uomo
è sostanza una pietra un po' più complicata": Ma già
questa frase è meta-empirica. Mi ha colpito la verità della
definizione. schopenhaueriana del problema mente-corpo come un
"nodo del mondo": la filosofia. dell'occidente
nasce con questo problema <<servetta tracia,
senso comune, vs. Talete teorico>>.
La filosofia
moderna si interroga su ossessioni profonde che porta con sé
finché <l'uomo> resterà uomo (non so per quanto): chi
sono io veramente? Sono la mia silhouette fisica che si impone
visibilmente o c'è dell'altro? E anche se fossimo soltanto corpo,
carne (solo il tedesco ha due termini per corpo: Korpe e Fleisch).
Cos'è questo corpo a cui si dovrebbe ridurre il mentale. Il
corpo in se e per se è un'astrazione, ma per me è un vissuto
(Merleau-Ponty): tutti questi temi sono assenti nel mind-body
problem. La ?Green? - secondo cui il mind-body problem si
riduce al mal di denti - riduce tutto a sinapsi neuronale. Ma
il MALE dei denti è lo stesso di un lutto o di un abbandono. Le
parole (Strindberg) ci ingannano, sono troppo poche rispetto a
tutto quanto noi viviamo. Si parla molto del mal di denti, ma
poco di impegno politico, credenza religiosa, cose che sono una
nostra collettiva ossessione: nella nostra vita quotidiana noi
non siamo interessati al rapporto atto psichico-sinapsi, ma
piuttosto a capire il senso col quale un passante o il partner ti
ha guardato o detto una frase singolare. La vita - questa grande
riguardante non solo <l'area della> biologia, ma del
filosofare - la vita è fatta di epifenomeni più numerosi di
quanto emerge dalla letteratura del mind-body problem. Anche se
l'uomo fosse null'altro che corpo, potrebbe questo significare
che allora tutti i problemi del corpo-uomo possono essere
affrontati con i soli problemi delle neuroscienze? NO, perché
quali sono i problemi degli uomini? Certo, molti sono vicini ai
correlati psicofisici, ma altri relati ad altri luoghi del nostro
vivere nel mondo: promessa, impegno, fedeltà. William James
biasimava lo psicologismo prevalente nel linguaggio d'Occidente.
Perché gli uomini tendono a descrivere le loro cose (etiche,
esistenziali
) con parole psichiche o psicologiche,
implicando con questo che tutto ciò che noi facciamo è
generato dalla testa, mentre - diceva James - non è del
tutto così? C'è stimolo neurofisiologico della cosa, ma la cosa
si declina anche a parametri di ordine contestuale, simbolico. Un
atto vissuto in un'isola mediterranea implica reazioni del tutto
diverse rispetto ad uno stesso atto compiuto in altra area
culturale. James intendeva dire che una parte dei problemi che
noi trattiamo in modo psicologico (tanti di questi problemi)
chiede di essere correlata ad un territorio dell'esperienza che a
volte ci attraversa senza che ne siamo consapevoli. E'
masochistico il lavoro di bibliografia sul mind-body problem:
tutti lavori sul mal di denti, mentre la nostra testa è in
realtà attratta da altre cose. Singolare l'aggressività con cui
3 patiti si sono cimentati sul tema negli ultimi 30 anni:
identitisti, mentalisti, personoligi.
Gli indentitisti
dicono m=f, il mentale è il fisico. D'accordo se si
intende che non esiste un pensiero senza cervello. Ma la tesi m=f
è intesa come null'altro che, nothing but. E' un
approccio riduzionistico, mentre qui ci vorrebbe la teoria della
complessità. Oltre alle sinapsi, lo studioso dovrebbe aver
presenti referenze simboliche, culturali, normative. P.e. la
"credenza": è truismo dire che la credenza
eccita qualcosa in noi. "Io credo che P" è
risultato di una sinapsi, ma questo non è tutto quello che
è riferibile al mio stato di credente. Andiamo molto al di là
degli identitisti. Perché ce l'ho la credenza? Con quali
correlati che stanno FUORI di me? C'è un me che si interroga su
se stesso, ma anche un me che guarda fuori.
Il secondo partito
è quello dei mentalisti, nato per rispondere al primo
partito. Il suo momento più alto è il funzionalismo: la m
è non una cosa ma una funzione. Se avete un parco, potete
irrigarlo con una canna di gomma, con uno schiavo negro ecc., ma
a fronte della pluralità dei veicoli vettori, la funzione
dell'irrigazione resta la stessa. La tesi nell'ambito del mentale
parte da questo: non la m, ma il mentale, è
costituito da molte componenti, la cui indicazione non può
essere data a priori: dimmi di cosa ti occupi, e io ti dirò a
cosa correli il tuo mentale. Io no dirò mai "in
principio fu il verbo cognitivo, poi vennero le
risposte". Il correlato segmento sinaptico è molto meno
importante del riferimento convenzionale ad una regola
dell'ambiente culturale in cui vivo. E allora sfondiamo nelle
scienze umane. Un filosofo della mente, Kurt Bayer, ha
posto il problema: che senso ha parlare del dolore senza
parlare di una persona che soffre? Noi - dice ?Weber?-
elaboriamo il costrutto del dolore per consentirci di
<studiare> certi eventi in modo affidabile. Nella domanda
di Bayer emerge una questione che era stata troppo abbandonata:
la persona, che sente ,soffre, vive, parla. Persona che
non può essere messa tra parentesi, perché è quella
cifra-figura che collega tutta quella serie di eventi endogeni
che avvengono nella fabbrica psicofisica, con una memoria
storica, una prospettiva sociale. E' il soggetto che coordina e
disordina gli eventi della mente, si avvarrà bensì gli eventi
sinaptici, ma con sotto e sovrascopi che non appartengono a
psicologia e neuropsicologia. Occorre il riferimento a cose
culturali che non riguardano il cervello. Le cose che
capitano agli uomini sono troppo complicate per attribuirle al
cervello. Cervello è componente essenziale, ma serve poco
studiare il cervello per studiare i pensieri.
A partire dagli
anni ottanta, partendo dalla domanda di Bayer, si crea un terzo
movimento, quello dei personologi, che
rivisita il mentale in una dimensione che va oltre la mente
cercando di riferirlo alla persona (Binswanger parla di uomo-persona).
Il mind-body problem va ridotto: non mi rivolgo ai miei avversari
fisicalisti. Mi riferisco invece a John Eccles, Nobel che ha
vissuto tra le sinapsi neuronali, poi scriveva sul problema uomo
ma non si domandava come le due cose possono coesistere. Noi
siamo delle macchine, ma anche dei soggetti che scrivono la Divina
Commedia. A Dante forse non serviva la strada della
neuropsicologia o della sociopolitica. Occorre rifarsi ai
referenti-persona. Concludo con le tre ragioni, le tre
cose, che stanno intorno alla svolta personologica: 1)il soggetto
oggi ritorna, nell'era del computer, torna il termine subject,
identity, proprio per la macchina oggi alcuni di noi si
reinterrogano su cos' é veramente l'uomo. Noi personologi non
siamo contro la macchina, ma il fatto che io mi interroghi sulle
differenze, sull'amore si spiega con una formula chimica? Le
passioni con un fatto fisiologio? I fenomeni del pensiero sono
SIMULATI dalla macchina? Già, bravo, ma hai capito la differenza
tra simulare o elaborare un pensiero? E' stato scritto un libro
contro l'ideologia dei computer: ?Weissenbaum?, dopo aver
costruito e rigettato il computer ELISA, dopo aver inteso la
macchina come il sinonimo autorassicurante dell'esattezza, <ha
abbandonato> il sogno, la grande utopia regressiva della
nostra contemporaneità, che è di fare del mondo un mondo di
camici bianchi, di esattezze. Ma l'uomo dice bugie, nessuna
macchina dice bugie, ma è solo rotta (Putnam), ha poco a
che fare con l'esprit de finesse che caratterizza
l'essere umano.
Chiedo che la
scienza della persona abbia lo spazio che si merita, ché l'uomo
cerca di studiare empiricamente quali sono le differenze tra se
stesso e la macchina, poi a noi interessa - come uomini -
valorizzare il pdv soggettivo. Per lo può le scienze umane sono
ancora ispirate dalla frase di Levy-Strauss "il primo
gesto della scienza dell'uomo è di dissolvere i l soggetto umano".
Levy-Strauss perseguiva intenti di relazioni enormi
microsistemiche che collegano gli eventi, ma io pongo anche
l'esigenza del darsi esigenze soggettive: le mie piccole cose, io
voglio che vengano studiate da qualche forma di sapere; ci vuole
una forma di sapere, di impegno cognitivo, che si occupi delle
nostre intermittenze del cuore, altrimenti sono costretto a
studiarle in Proust. Il secondo motivo della svolta personologica
è l'analisi del pdv soggettivo, dell' odi et amo: le
vicende della ambivalenza affettivo-erotica non si capiscono
- da Catullo ad Apollinaire - studiando le sinapsi, ma
studiando la biografia individuale, vai vedere il contesto
relazionale-simbolico in cui costui vive. I sociobiologi stanno
cercando il gene della monogamia, della competitività. Datemi
atto che questi miei avversari possano giustificare certe
<mie> lungaggini: Edward Wilson, padre della sociobiologia,
come può non capire che COMPETITIVITA' ha una semantica a Wall
Street, una in Sardegna ecc.? Dicono che l'altruismo si spiega
con leggi neodarwiniane. Mi butto in acqua se vedo un bambino
annegare. Poi mi accorgo che non so nuotare. Nessuna macchina
farebbe questo. Una delle autocensure del sapere contemporaneo è
il non voler guardare in faccia i grandi paradossi dell'esistere
umano. L'uomo a differenza del delfino vive paradossi ed eventi
controfattuali. Chiedo che ci sia un'analisi comprendente che dia
una descrizione fenonmenologico-interpretante.
--
1a comunicazione:
Giuseppe Panella (Normale PI) su filosofia e racconto. La
vita è disintermittenza del cuore proustiana. Si comprende non
come passaggio causa-effetti, ma come salti, capacità di
cogliere attraverso illuminazioni verità che non sono
comprensibili in cielo e in terra. Da Kurt Bayer: non ha senso
parlare del dolore, ma soltanto di una persona che soffre. Il
dolore per essere descritto, riquadrato fenomenologicamente, ha
bisogno di essere provato. Il dolore non può essere
COMUNICATO se non in un rapporto tra PERSONE. Esso può
diventare strumento di conoscenza, come semplice appercezione
della sofferenza, solo se viene raccontato. La
possibilità di raccontare le proprie epifanie, consapevolezze,
passando ad un livello di consapevolezza tramite il racconto,
questo è il grande divario con la macchina: la prova di Turing
è costruita proprio su tale discrimine, il sapersi raccontare.
La grande trilogia di Ricoeur , Tempo e racconto
,
è recente, ma da sempre la consapevolezza della necessità di
raccontare i processi filosofici lancia la propria freccia nel
cuore delle modernità: l'io affabulante, passaggio dall'idea di
anonimità alla consapevolezza dell'autore, della individualità
del filosofo; se non c'è racconto della propria scoperta
filosofica, non c'è soggettività. Come si potrebbe
pensare ad una filosofia (p.e. delle idee chiare e distinte)
fondata senza il racconto dell'intuizione - sulla stufa
decartiana - della scoperta di una nuova conoscenza? Non si può
prescindere in alcun apprendistato filosofico, la fondazione di
una filosofia <dalla sua narraazione> . <Il tema
della modernità che emerge nel> Discorso sul metodo
non può essere distinto dal modo in cui Descartes è giunto a
tale consapevolezza. Fondatezza e imprescindibilità del testo
cartesiano, che arriva alla VERITA' attraverso un discours,
non un trattato: egli usa la scansione narrativa per giungere
alla rifondazione del sapere su base matematica.
Oppure pensiamo a
Rousseau, che ricostruisce il proprio orizzonte
filosofico-pedagogico-politico attraverso una narrazione che è roman
filosophique individuazione di nessi a partire da descrizione
di stati di sogggettività. Così per l'Emilio, così
sulle Confessioni Vicario Savoiardo per la scoperta della
spiritualità, del rapporto intersoggettivo, io-mondo, l'interrogazione
della voce dell'oceano nell'ultima passeggiata, nel grande mare
dell'essere comprende l'annullamento dell'io. E' un confronto,
quello tra l'io raziocinante e tutto ciò che lo inquadra,
è narrazione, passa attraverso la narrazione, il mito platonico
(dall'Apologia alla successiva pratica dialogica come
ricerca della verità). L'VIII libro della Repubblica è
tutto narrazione, per poter portare a termine il rapporto
con la soggettività. Vediamo - come è stato studiato
recentemente - tutte le rappresentazioni di mito presenti
in Platone, e possiamo stabilire ciò che in Platone è
razionalità e ciò che è soggettività. Riprova
nell'aristotelica "l'uomo si distingue dall'animale
perché è in grado di parlare" e parlare vuol dire
oggettivamente comunicare con gli altri, ma nei termini della
soggettività, cioè comunicare sogni desideri, trasformati in
racconto, che ci aiuta a definire ciò a cui aspiriamo in
rapporto col mondo che ci circonda.
Maria Teresa Russo
(Roma 3): temi bergsoniani nella seconda metà '900 in Italia.
Presenza non molto ampia, tranne gli scritti del centenario
(1996) di Materia e memoria. Due interpreti: Sciacca e
Mathieu ("Il profondo e la trasgressione").
Essi mettono in luce tre aspetti: 1) recupero di una razionalità
aperta, esigenza che la filosofia debba aderire alla vita,
apertura bergsoniana ai diversi piani dell'essere. La ragione
deve mettere in luce tale stratificazione, la ragione deve
lasciare il posto ad approcci diversificati della soggettività.
Non basta la razionalità indicata da Taylor; 2)recupero
dell'istanza sapienziale: proprio perché ci sono vari piani
dell'essere, esiste un profondo, ed è questo piano che va fatto
emergere: questo il carattere duale della filosofia. di Bergson:
tempo e durata, meccanica e mistica, materia e spirito: la
realtà è suscettibile di diverse spiegazioni, per cui il tema
della verità assume vari aspetti. Bergson indica il superamento
della tecnica, che non va condannata ma che rimanda al "supplemento
d'anima, <il tema> della tecnica non è un
problema tecnico: non si tratta di spiritualità religiosa, ma di
cultura. Qui si innesta il discorso dei valori: l'epilogo
del pensiero bergsoniano è assiologico (con le Due fonti
chiude in chiave di valori: si affronta il tema dell'eroismo
morale: dialogicità dei valori, non c'è valore adeguato, se non
è proposto in chiave dialogica, da qui la valenza dell'eroe
morale che Bergson intravede nel misticismo cristiano: chiave
fenomenologica che evidenzia come vengono incarnati i
valori. Citazione di Mathieu: l'essere diventa un compito,
questo sul piano più profondo dell'essere (Il profondo e la
sua espressione). L'ultimo Begson individua l'essere nel
compito del rivelare il profondo, per dare così senso
all'essere.
---
Introduce Maria
Moneti: ospitiamo i 2 maggiori filosofi morali italiani: Veca
(etica pubblica, cittadinanza, politica, e l'ultimo "Dell'incertezza")
ed Eugenio Lecaldano ("Etica", "Bioetica")
e studioso di Hume, padre classico della filosofia contemporanea.
VECA (PV): Etica
e sue applicazioni: affronto il tema dei modelli normativi
applicati alle questioni pubbliche, negli anni '80 e '90, perché
è in tale epoca che appare tale impegno. Sostengo che è
possibile, per quanto attiene l'ambito della ricerca,
caratterizzare in modo omogeneo l'approccio praticato negli anni
80 sostenendo che quella fioritura di prospettive alternative a
proposito di questioni di giustizia è da ritenere ancora valida.
E' ragionevole sostenere che il revival dell'etica normativa
applicata ad istituzioni e pratiche sociali, affermatosi in un
confronto tra concezioni alternative di giustizia (distributiva,
ecc) <si rifà agli anni '80>. In quest'ambito vi sono
stati poi negli anni '90 dei passaggi. Sembra cambiare lo sfondo
e ambito in cui tali teorie debbano applicarsi: negli '80
l'interesse è centrato sullo sfondo di un tipo puro di conflitto
distributivo, con riferimento a soggetti come comunità politiche
includenti i clienti dell'etica. Ciò che chiede teoria è il
darsi di conflitti, la natura si rifà a tesi, il conflitto dà
esiti alternativi teoretici secondo il chi cosa perché (anni
'80) e quando ci si chiede CHI ha diritto a che cosa quando come,
all'interno di comunità i cui confini sono assunti come stabili
e quindi sottratti ad ogni incertezza: questo sempre negli anni
'80: pensate alla discussione tra ricerca nella prospettiva
neocontrattualista (in realtà una riformulazione di una teoria
del contratto sociale, su influenza di Rawls in Italia), e
pensate a sviluppi di prospettive utilitaristiche legate all'idea
di una teoria normativa, pensate alla teoria contrattualistica
come equità, alle tesi negative sullo stato minimo: ora tutte
queste tesi (contr, libertarie,normative), in qualche modo pur
divergendo nell'offerta di criteri di valutazioni (di norme
politiche e pratiche) tuttavia condivideva queste due condizioni:
la natura conflitti è catturata dalla teoria, i confini sono
stabili e dati (tesi sui diritti cittadinanza) e quindi
comprende tutti i soggetti. Una prospettiva sulla giustizia
distributiva che sostiene che ciò che può che giustificare
istituzioni politiche è io che può massimizzare una
qualche beneficio? Questa prospettiva ha soggiacente l'idea che
la natura del conflitto sia catturata dalla teoria del conflitto
distributivo, e che esiste una condivisione del vincolo sociale.
Anche la tesi alternativa, dei diritti, condivide i due assunti.
Tesi dell'equità dell'acceso ai beni rimari per i cittadini.
Altri sostengono che l'unico diritto che deve essere garantito è
(sicurezza) come legge e ordine. Ma anche tale ipotesi
presuppone i due assunti.
Invece negli anni
'90 tutte due le condizioni sono saltate. O almeno sono variate:
1) si è messo a fuoco che c'è un altro tipo di conflitto, non
distributivo (realtà più complicata delle teorie): diventa
saliente il conflitto per il riconoscimento, conflitto
identitario (che differisce dal conflitto distributivo, nel
qual caso le identità di coloro che avanzano richieste sono
date, mentre nel conflitto identitario non esiste questa
condizione e non è quindi possibile una metrica omogenea. Se si
va saltare la condizione di identità sugli attori, collassa il
modello di conflitto distributivo, si immettono etica normative
su un vuoto pneumatico. Nell'analisi marxiana non tutto è
saltato. Ora se c'è in certezza sui MODI del
riconoscimento, si ha altra natura del conflitto, ed una
teoria distributiva qui sbaglia il bersaglio, non becca il
target, mi darà raccomandazioni "agenda" ma non sarà
saliente. Negli inizi '90 pullulano teorie che saltano le
allocazioni di quote distributive, e passano a problemi più
elusivi (dalla matematica si passa alla psicologia sociale e
morale): p.e. gli studi di genere assumono la questione prioritaria
è quella attinente ai modi dei riconoscimenti, al nome,
all'esser nominati, riconosciuti, che implica necessariamente la
definizione dei riconoscitori. Il passaggio dal conflitto
distributivo all'identitario non implica però del tutto
l'alterazione del secondo assunto (inclusione di cittadinanza a
confini dati), cioè la stabilità delle condizioni. Se noi
adesso siamo disposti a qs. esperimento mentale: hai alterato la
prima clausola; prova ad alterare la seconda (riconoscimento che
vada oltre o sotto i confini dati). Questa impostazione sembra
introdurre una sfida corposa dell'etica applicata alla
politica. E' la questione della giustizia globale e non
locale, l'arena internazionale contrapposta al versante interno
in cui permangono debolezze.. Ai filosofi non rimane che fare
allora la lista spesa: indicatori ONU su vita media, WTO su tasso
globalizzazione, sulla finanza, unica cosa del tutto globalizzata (in tempo reale,
dov'è non conta nulla), poi le liste di giudici che prendono
vecchi tiranni in pensione, poi si pone il quesito dell'impiego
di forza e guerra per stabilire la fine di violazione dei diritti
umani al di là dei confini. Quanto è possibile estendere
i criteri di giustizia creati nel versante interno, nel versante
esterno: da un lato la scuola venerabile del realismo politico
ritiene che nega l'estensione dell'analogia domestica (non si
possono estendere criteri di giustizia); io propendo per la tesi
alternativa: Ci sono almeno 3 grandi questioni classiche,
ricorrenti: 1) quali istituzioni e politiche per un ordine
internazionale decente? Kant parte dalla battuta d'osteria della
pace perpetua legata al dopo Westfalia, fino alla trasformazione.
del diritto internaz. nei casi recenti 2) guerre giuste e
ingiuste (con questo problema noi convivremo): solo negli anni
dell'equilibro nucleare si sono spese enormi energie per teorie
dell'etica della deterrenza, del primo colpo, dell'intervento;
oggi, dopo la fine dell'equilibrio del terrore, la teoria si
trova di fronte alle risposte da dare; 3) Noi, come esseri umani,
abitiamo un pianeta fatto di due mondi: un arcipelago di isole
ricche e un'enorme distesa di povertà e carestia. La questione
'80 Nord-Sud oggi è stato di natura da un lato: questo è il
problema della giustizia distributiva, quando estendiamo i
confini? Quali criteri di valutazione delle ineguaglianze dei due
mondi? Oggi un'impresa che parte da questo secondo modello,
"pensare largo" (Kant), qualche. che tenga assieme il
modo di guardare le vicende sul lato della... e sul lato
dell'ineguaglianza severa. Un orientamento potrebbe essere l'idea
di eudaimonia, l'idea di non guardare alle istituzioni a
partire dalle istituzioni, ma a partire dalla teoria, tentare di
pensare un mondo un pochino più decente.
--
LECALDANO (Roma):
riflessione sulla morale tra bioetica ed etica teorica.
Mi introduco su un contesto già individuato da Veca. E' come se
ci fosse un mutamento di registro, nel caso mio. Cosa può dare
di contributo la filosofia? Può solamente fare qualcosa che ha a
che fare con i problemi di tutti, della vita quotidiana. In
Italia si sono create queste condizioni, su aree che in passato
erano di competenza dei filosofi. Non tanto un mutamento di
agenda politico. Nel XX sec. si è avuta una trasformazioni
intensiva, a partire dalle questioni poste dalla bioetica .
E' cambiato il senso comune morale (sul modo di nascere, ecc.).
Prima degli anni '90 era carente a livello teorico, da noi in
Italia (incagliata tra teoretici della sovrastruttura e dei
rapporti etica ragione) l'etica della vita individuale, privata:
la nascita dei figli, la morte nostra, la cura nostra e dei
nostri cari. Oggi si scopre che filosofia significa elaborazione
individuale, della vita personale, privata. Si fa filosofia delle
passioni, da Hume in poi, ma c'era una sorta dimenticanza di
contesto di esperienze condivise che permette di elaborare
criticamente qualcosa. E' stata la trasformazione sociale che ha
imposto le nuove riflessi etiche. Referendum su aborto -divorzio
è stato un passo, ma ancor risolto in termini giuridici,
oggi le questioni nascita-cura-morte non pretendono solo una
risposta in termini di legge, sta maturando una istituzione in
cui la soluzione si cerca nella nostra vita, nei nostri giudizi
morali. Sarà una TRAGEDIA se il parlamento vorrà darci una
risposta, necessariamente unica. Questioni prima messe da parte
(teoreticamente), cioè quelle dell'ambito personale, ora
assurgono ad oggetto primario della riflessione teorica. Se fanno
una legge sulla fecondazione assistita, sarà un disastro,
perché le norme non saranno seguite, saranno sforate: abbiamo
imparato, a livello di senso comune, che è nella nostra autonoma
responsabilità morale che le questioni vanno risolte. E' lì che
dobbiamo fare una riflessione. Oggi c'è una fioritura della
bioetica, quasi sempre non sul piano giuridico ma sul piano
delle risposte morali. E' un grande progresso della nostra
filosofia, che finalmente si mette al passo con l'elaborazione
internazionale. Qui la produzione sulle vite private è enorme:
concezione della felicità, di stile di vita, sul rapporto con
altri stili di vita, da accettare o no. Non è certo
scienza, chiesa ecc. che le risolve. E' la società che può
davvero offrire le condizioni per risolvere i temi. Non più è
possibile una normativa (p.e. quella filosofica-religiosa
del "seguire la natura"). Come quando dare origine ad
una prole? La filosofia può dire qualcosa: competenze
pluridisciplinari (anche se questi ultimi specialisti tendono a
lasciare fuori la filosofia, perché si occupa di casi immaginari
-tesi di?Lamb? ed. Il Mulino- o di pura scolastica, o di
fanatismo sulla bioetica, dove cerca sempre ai principi e al
rigore sistematico che impedisce l'accordo pratico a livello
sociale, che è fatto su atti particolari, non sull'insieme). Ma
io - che mi professo analista - pongo la problematica dal punto
di vita di Socrate. ricerca di chiarezza, di sistematicità, di
ricerca di principi unitari nel caso per caso. Quali i contributi
della filosofia: ne posso indicare tre: 1) stare attenti al
linguaggio (p.e. sulla fecondazione assistita, la terminologia
usata per distinguere le diverse forme di fecondazione è
terminologia già impregnata di nozioni etiche forti, e andrebbe
rivista; le tecniche hanno bisogno, pare , di giustificazione
morale, mentre l'atto singolo della nascita è sempre
giustificata: tale etica del "naturale" considerato
come GIUSTO, è un'etica bizzarra, inaccettabile moralmente, ma
fa parte della nostra terminologia; la tassonomia sulla
fecondazione risente del moralismo: responsabili solo le donne, i
partner non compaiono. P.e. in Usa il padre può ricorrere ad una
paternità surrogata. 2)sia l'ispirazione humiana sia
quella kantiana affrontano le questioni etiche come questioni
INDIVIDUALI. Solo noi siamo in grado di conoscere tutti gli
elementi che portano ad una decisione nel caso singolo. La
questione di mercato 8lo scambio in denaro) no possono influire
sulle nostre decisioni, se vogliamo rimanere nel campo etico. Una
consapevolezza meta-bioetica ci può aiutare a non farci
disperdere, a non cercare la soluzione dei ns.
problemi da altre parti: nel mercato, nella legge, nel
positivismo. Noi da soli le dobbiamo risolvere. Ci vuole una
normativa leggera, che si limita a riconoscer il diritto di
cittadinanza al nato. Il resto dovrà essere gestito
dall'individuo (J.Stuart Mill la teorizza: ci si limita alla
forma del "non mi va bene"). Abraham ?Jeshua? ha un
libro raccomandabile ("Viaggio alla fine del millennio"):
il bigamo protagonista mercante ebreo si confronta col nipote che
non è sefardita ma askenazi, per cui non possono fare affari
insieme (per il rigorismo della seconda fede), e caso e natura
risolvono tragicamente il tutto con il naufragio: anche
l'esperienza vissuta insieme non li ha aiutati a superare le
differenze, perché pregiudizi tabù e norme impedivano loro di
guardare l'altra persona nella vita reale concreta con il portato
di emozioni desideri, sofferenze, che non devono essere invece
filtrati attraverso norme.
--
Contributo di
Graziella MORSELLI. (Liceo Bertelli Roma): l'altra metà
dell'universale, da portare in discussione. Non mi
sento a mio agio. Lecaldano, non la scandalizza il fatto che
nella commissione etica non c'è presenza femminile? Le donne
quale filosofia debbono rappresentare? Quella maschile? E' storia
che i filosofi italiani abbiano rifiutato di sentirsi chiamare in
causa dal pensiero delle donne. Il Convegno Urbino '78
uomo-natura ha visto il mio contributo rifiutato perché posto
come rapporto donna-natura (mi ha allora aiutato il prof. Ilario
Fiore). Propongo di discutere la filosofia delle donne in Italia
(all'estero dipartimenti sulla filosofia. femminista ci sono da
30 anni). Non siamo più nel femminismo radicale separatista, ma
già allora in Donna Woman Femme di Ida Magli ci si poneva
in senso interdisciplinare che ha formato un nucleo di ricerca.
Già Magli nel 67 indicava l'imparzialità dello sguardo degli
antropologi (Levi Strauss) maschi. Sapere che aveva ridotto la
donna a segno, escludendola dalla parola potere riservata agli
uomini. Nella parte curata da Restaino nella Storia della
Filosofia di Abbagnano non si attribuisce DWF ad Ida
Magli. Anche la Cavarero non la nomina. Nel pensiero di
Cavarero e di Muraro vediamo cosa c'è di ontologico: ordine
simbolico della madre, relazione madre-figlio, immanenza
dell'essere: di tale legame la Muraro sottolinea il carattere
metafisico, richiamando il destino di rimozione che tale legame
ha conosciuto per opera della legge del padre. Per Muraro occorre
recuperare questa mancanza, riconoscendo la dipendenza dalla
madre. Il pensiero maschile usurpa tale ambito. La linea materna,
il continuum materno si pone come riconoscimento del nuovo
ordine simbolico della genealogia femminile. Muraro ha posto un
programma forte. Julia Kristeva, tedesca, ha descritto il corpo
materno. Il secondo passo per costei è l'acquisto della
indipendenza della madre, ma per Muraro non parla di questo
taglio come necessità d'ordine simbolico. Muraro si sosta sul
terreno metafisico, Cavarero come terreno esistenzialistico di
desiderio di senso rivolto agli altri e nel contesto. Pongo
domande provocatorie: è lavoro tutto da fare quello
dell'analisi dello studio del corpo che dà inizio ad una
generazione, indagano su corpo e reazione (cosa fatta in paesi
anglosassoni) applicando le categorie kantiane del reale e del
possibile applicate al contesto storico di psicologia e del
sociale. Il vissuto femminile è rilevabile? dalle logiche
maschili? La corporeità è serie di eventi distinti (meta-teoria) o la filosofia deve studiare connessioni
e
dipendenze di eventi in modo di sistema inclusi gli eventi che
danno origine alla vita?. Se si, ecco due altri interrogativi.
Come vedere l'etica del materno (relegarla nella bioetica o nella
politica?) non si dovrebbe porre il tema nell'ambito della
razionalità? L'ingresso del corpo generante nell'ontologia non
potrebbe recuperare la visione del soggetto, in rapporto
dialettico soggetto spazio e tempo? (per approfondimenti vedi note su
reperibilità intervento Morselli , nella mia pagina sulla differenza).
--
Elena Pulcini
(FI): ambivalenza delle passioni e convivenza umana:
conflitto identitario è conflitto etnico religioso
nazionalistico, tra identità disuguali, differenti, forti e
deboli, e tira in ballo immediatamente il problema
inclusione-esclusione. L'inclusione dell'atro è un dato di
fatto, l'altro è qui, ci sfida quotidianamente. Il concetto di
inclusione presenta dei rischi intrinseci: quello di
appropriazione dell'altro nella misura in cui la mia identità è
più forte di quella dell'altro. E che cosa vuol dire
multiculturalità? Esplodono qui una serie di aporie
dell'Occidente moderni difficili da ricomporre. Bisogna ripensare
il problema dell'altro (sorto teoreticamente negli anni '70), che
pone il discorso del soggetto (Derrida Levinas, l'altro è ciò
che mi costituisce apriori, che sta prima di me). Ora il soggetto
è attraversato dalla differenza, esposto alla differenza,
attraversato dal dissimile. Si pone il problema non tanto
dell'inclusione ma del RICONOSCIMENTO. Ma come riconoscerlo se mi
fondo come razionale, univoco. Devo invece riconoscere la mia
differenza costitutiva, devo riconoscere un'alternità interna:
il disagio, la dimensione affettiva che disloca la mia identità,
impedisce che la mia identità ci costituisca in modo certo e
definitivo. Solo un tale riconoscimento dell'alterità interna mi
pone in condizione di "lasciar venire l'altro" nei suo
desideri-passioni-diritti. Fino a che punto questo è tollerabile
per l'identità europea-occidentale? Ammesso che questo sia un
percorso praticabile, quali concetti possiamo o mettere in campo?
Autonomia sì, ma esposta all'alterità, quindi concetti come
cura-ospitalità-dono, in cui avviene per l'appunto una
dislocazione dell'identità sul piano dell'alterità.
un'identità non appropriatrice, non autoaffermativa, dialogica,
relazionale (Charles Taylor), capace di sopportare la sfida che
viene dall'altro, che pone una permanente costruzione e
decostruzione sul sé.
Contributo Mario Riccardi (MI): etica e
teoria del diritto. Fino agli anni '70 è stata controversia
sul metodo, metateoretica: definizione e delimitazione del campo
della giurisprudenza rispetto all'antropologia ecc. La teoria del
diritto, istituzionalmente, era divisa in due campi contrapposti:
giusnaturalismo (unico diritto è quello giusto) e positivismo
giuridico (vero diritto quello posto dallo stato). Si ebbero
così definizioni di norma-validità-sovranità. Tale dibattito
ha portato ad un a migliore definizione di tali termini. Ma 'è
oggi un limite in tali concetti. Allora molti positivisti
dimenticavano che Tommaso, giusnaturalista per eccellenza,
ha dato contributi anche positivi (Summa), dall'altro lato gli
stessi giusnaturalisti dimenticavano che è necessaria una
distinzione tra diritto e morale è necessaria per poter
criticare il diritto positivo. Oggi la controversia è superata:
si ritorna all'etica normativa, sorgono tre nuclei problematici.
1)Garanzie (cioè che strumenti porre come limiti all'utilizzo
del potere, p.e. la costituzione ecc v. Rawls e Habermas) 2)Processo
(come garanzie funzionano all'interno di procedimenti applicativi
del diritto nella parte "bassa" (nozione di
"correttezza" di tutte le procedure) 3)Responsabilità(rapporto
intenzione azione, tra intenzione e danno: confine con morale e
scienza. P. e. la nozione di tentativo richiama alla filosofia.
Che differenza tra un tentativo che fallisce per fattore causale
indipendente dalla volontà: Tizio entra e accoltella Ciao. era
morto d'infarto 5 minuti prima). Per solo questo fatto casuale
aio deve avvelena condanna mite? Altro tema riguarda il
diritto delle genti: la teoria fino ad oggi non è sufficiente
raffinata da comprendere rapporti tra stati e popoli (sviluppo
spontaneo delle regole..). Questioni normative - p.e.
relativamente alla guerra giusta - sono state distorte dalla
guerra nucleare (p.e. Bobbio: se c'è la guerra non c'è il
diritto), ma ciò configgere con la realtà che tute le
guerre sono fatte secondo REGOLE, e se sono violate gli attori
NASCONDONO le prove delle violazioni). Altre questioni: quali
limiti nell'uso della forza, relazione tra suo della forza e
torto. Come faccio io a capire qual è lo scopo dell'azione e se
tra scopo e mezzo utilizzato incongruenza (p.e. nella guerra, sto
agendo in tutela di un mio diritto ma usando mezzi
sproporzionati, si pone il problema morale di eccedere lo spazio
del consentito moralmente).
___________
STRUMENTI INSEGNAMENTO FILOSOFIA TRA
PASSATO E FUTURO -12/11/99 pomeriggio della seconda
giornata.
Il ministro Berlinguer
interviene a mezzo del dibattito sulla didattica filosofica
(Sgherri che si appella ancora al genuino gentilianismo della
didattica-incontro con gli autori e cita le circolari!; per
fortuna De Pasquale si oppone, e si parla con Fornero
di semplicità, universalità della filosofia; Girotti invece
lamenta il mancato passaggio dei ricercatori della secondaria ad
un riconoscimento universitario): dice che dopo tre anni di
sistemazione normativa, di architettura di sistema, si passerà
l'anno prossimo alla tematica disciplinare. Solo dopo aver
passato l'unico ciclo di base si potrà parlare di contenuti. Io
mi sono battuto per riservare alle superiori il Quinquennio; sono
contrario al biennio, voglio mantenere il quinquennio che è
tradizione del nostro paese, della cultura italiana. Deve essere
unitario, distinto dalla scuola di base. Allora: intendimento del
governo è un quinquennio unitario, anche se nel biennio si
svolgono elementi di orientamento, ma all'interno di discipline
che conservano la loro specificità ,che sono parte dello
sviluppo quinquennale. Solo ora che abbiamo un'idea (spero tra
qualche settimana) della struttura, parleremo di competenze,
abilità, conoscenza disciplinare (che oggi non può esser
esclusiva come negli anni '20 quando la secondaria era diretta a1
15% della popolazione, mentre nel '98 il 71% ha preso il diploma
di maturità, come nei paesi più evoluti). E' contro la storia
conservare quel liceo, il liceo di oggi deve consentire a
tutti di crescere culturalmente, pur nella diversità (ognuno
deve arrivare al massimo di quelle che sono le sue capacità).
Questo all'interno di una società evoluta, in cui una secondaria
deve pensare a TUTTI. Un biennio unico è la morte della scuola
come quinquennio. Allora: il biennio è differenziato, ma si deve
rivolgere alla totalità. I nostri due padri fondatori
delle superiori (Croce e Gentile) avevano pensato alla
filosofia per pochi, e specialistica. Non esiste più
nella società una scuola che prepara per l'utile e l'altra per
la teoria (professionali-tecnici vs licei). Appena il governo (o
almeno io ne sono ragionevolmente ottimista) avrà visto la
dirittura d'arrivo della riforma delle superiori, apriremo il
discorso culturale. Ci sarà lo scontro sull'accaparrare le ore
tra matematici e filosofici, e per far entrare la musica
(personalmente ne sono entusiasta). Allora, se di molto è
cresciuto il sapere, non è un ulteriore enciclopedismo che può
rispondere a tale esigenza, bensì una forte metodologia della
critica. Il MPI dialogherà con le associazioni disciplinari
esistenti, per conoscere le tematiche in modo che fortemente si
intreccino accademici e docenti delle disciplinari. Il sapere
proposto deve essere fortemente intrecciato con la sua didattica.
E' importante che i portatori di revisione curriculare siano
coloro che hanno sul campo sperimentato cosa significa quella
disciplina agli effetti della sua trasmissione. E' necessità
assoluta quella di una revisione curriculare tenendo forte
l'intreccio con la ricerca e la didattica. Tale questione, insieme
ad un altro paio, ha un profilo particolare. Posso prospettare
qui più un'esigenza che una decisione. Il tema è il seguente:
quale rapporto tra l'apprendimento delle filosofie come
fatto specialistico e l'approccio della filosofie come momento
fondante della preparazione complessiva degli studenti italiani.
Non vogliamo perdere punti sul fatto che l'Italia ha una
tradizione in materia di studi storici della filosofia, ma questo
riguarda una netta minoranza (20% degli studenti). Allora non
abbassare la guardia su questo (come sulle lingue classiche, non
solo sull'manistico in generale): ora tutti, non solo il 20%,
devono assumere una dimensione e una conoscenza della cultura
classica. Questo aspetto, questa avventura del viaggio di Ulisse,
non si ottiene solo leggendo il testo originale, può essere data
anche in forme più mediate. Questo anche per la filosofia: c'è
un profilo dell'insegnamento della filosofie. nei licei,
storicistico-diacronico. Ma ci sono altri modi, quello sincronico
ad esempio, e comunque bisogna arrivare ad una modalità meno
nozionistica per abbeverarsi al testo. Ci penseranno gli
specialisti chiamati nella Commissione.
Ma il problema che
sento acutamente, problema nuovo, è un altro. Dobbiamo
rispondere agli interrogativi dei giovani. Non tutti gli approcci
devono essere logico-deduttivi (come in quello imposto dal
modello unico liceale-gentiliano). Oggi sento la necessità della
diversità dell'approccio del percorso, con il saper fare
parallelo al fare. I due padri fondarono tutto sulle due
lingue morte e sulla storia della filosofia, anche con
funzione gymnosofistica (ginnastica mentale) con forte risultato
postumo di investimento, ma per la sola classe dirigente. Oggi
bisogna formare un popolo civile, in questo quadro qualche
elemento di astrazione deve comunque entrare. Qual è il gruppo
di discipline che QUESTO può assicurare? Le SCIENZE
SOCIALI, si dice. Ma vista la loro relativa giovinezza in Italia,
visto il relativo consolidamento epistemologico nel nostro paese,
sono convinto che la disciplina che più dà valore ai grandi
interrogativi del conoscere e del comportamento secondo
coscienza, sia la filosofia. Può esser però la filosofia
finora conosciuta a scuola? NO, perché ad essa manca IL MODO
NUOVO con cui deve essere porta, anche nei professionali, negli
artistici. Non ho creduto mai alla disciplina dell'educazione
civica. Essa si fa in pratica, cioè sperimentando la gestione
del potere, lo sporcarsi le mani per la scuola, senza aspettare
lamentevolmente il cambiamento.
C'è il momento
del saper fare, ma senza prescindere dal momento concettuale,
degli elementi conoscitivi di senso, di valore, di verità. (Tale
momento) può venire solo dalla nostra tradizione filosofica, ma
con modalità bilanciate diacroniche-sincroniche senza fare
dell'approccio testuale un punto terroristico per la complessità
che implica il testo. Come per tutta la scuola di allora latino e
greco erano elementi fondanti, ora i fondanti devono essere, come
elementi emancipatori dell'individuo nella società, elementi e
tessuti e cemento comune collettivo che spinge in diversi gradi e
forme alla capacità di astrazione e quindi a risposte ad
interrogativi di senso, devono essere - dicevo - quelli della
filosofia. Agli specialisti risolvere questo problema: è
opportuno porgere tali elementi nel biennio, all'inizio del nuovo
ciclo (ottavo anno di scuola)? La risposta la daraà un intreccio
di competenze psicologico-logiche-metodologiche. In che modo?
Spero che la risposta sia positiva, ma soprattutto persuasiva.
Dobbiamo convincere la maggior parte della cultura italiana su
questo terreno.
--
Trombino (BO):
necessita lo studio accurato e attento di cosa sono i testi
filosofici, è rischioso l'avvicinamento al testo (dal passo
platoniano del bello come avvicinamento al bene, o dal testo di
Weil ecc). E' effettivamente possibile ricavare dal
patrimonio che è oggettivamente STORICO, per un ragazzo p.e.
quattordicenne, la sfera del logos, del concetto. Rivivere
in aula le esperienze vissute, è possibile. Dobbiamo scendere
però di grado, dalla sfera teorica all'enorme tessuto di
metafore-immagini-esperienze: questo terreno si incontra con
quello dei nostri studenti, è lo stesso tessuto. Faccio fare
allo studente esperienza della differenza tra immagine e
concetto (guardami con gli occhi, adesso chiudi gli occhi e
continua a vedermi). Questo il docente lo può fare con tutti i
filosofi, la sfida è enorme, ma per tutti i filosofi
è possibile questa traduzione.
Cioffi (Liceo
Galilei Legnano): superare il diacronismo ma mantenere la storia
della cultura. Affrontare il dibattito sui problemi, con un
ritorno ai contenuti. Nella scelta dei nuclei fondanti, proprio
al livello locale nell'ottica dell'autonomia, bisogna affrontare
il tema degli standard. Le discipline si sono storicamente
fondate come sedimentazione di saper fare comune. Esse entrano in
crisi quando vengono a mancare tali caratteri, quando cambia la
mappa dei saperi, quando cambiano la abilità cognitive, che nei
giovani sono fondate più sullo spazio che sul tempo <più
sull'immagine visiva che sul verbale>.
De Pasquale:
ultimo tema l'insegnabilità della filosofia. Frutto della
ricerca didattica sono alcuni elementi ormai condivisi: -non è
trasmissibile una filosofia. come insieme di nozioni (ché come
tale non provoca cambiamenti cognitivi), bensì come
apprendimento di esperienze filosofiche, tramite un paradigma
comunicativo -un autentico apprendimento, un viaggio dentro
al filosofia, è possibile se parte dalle esperienze fatte
dai gran di autori, e quindi a partire dal testo (che in questo
senso deve esser letto non come concettualità ma come ricerca
diversificata di approcci diversi, di stili, forma espressiva
salvaguardando però gli snodi fondamentali (testi e autori).
Quindi esperienza e competenze attraverso il dialogo con i grandi
autori. Si punta alla problematizzazione attraverso operazioni
sul testo, a partire dal vissuto dell'adolescente. Le scuole
saranno chiamate a curricoli che -una volta fissati competenze e
standard - si dovranno tradurre in percorsi, forme, testi,
esperienze, attraverso cui raggiungere tali standard. Centrale il
rapporto tra esperienze fatte dai filosofi e orizzonte di vita
dell'adolescente, per una ricerca vivente della propria anima,
attraverso l'interpretazione del testo (come si studia musica
incontrando il testo del grande musicista). Il contesto
comunicativo cambia rispetto a quello concettuale tradizionale.
L'enciclopedismo è finito. Si apre una contestualità plurima,
più modelli di comunicazione, di realizzazione dell'esperienza.
I soggetti del
nostro lavoro offrono una discontinuità di approccio, di
tecniche. Oggi c'è il rischio della fuga dallo scritto, dalla
concettualità, alla quale è ancorata la filosofia occidentale.
Come riuscire allora a comunicare con il fondo di esperienza di
vita dei ragazzi, ché altrimenti non c'è un insegnamento
effettivo. Come incontrare i linguaggi quotidiani dei ragazzi
prevalentemente icono-fonici, come riportare l'esperienza del
ragazzo con l'esperienza rigorosamente ricostruita dei grandi
autori?
--dibattito
Francesco VIGORITI
( Scandicci tf. 055740449): triadicità dell'etica, a partire
dalla matematica naturale. Scoperta dell'aggregazione
tridimensionale delle energie. Vi attardate nel bosco della
logica; ho lavorato sul tema delle grammomolecole, massa, volume,
numero, simmetria.
Prof.ssa Liceo
Campanella di R.C.: per evitare che la filosofia diventi il
fondamento del quinquennio, cioè che rischi di essere una nuova teologia,
bisogna salvaguardare la teoresi, che comprende non solo
la filosofia, ma anche la matematica, che nella scuola italiana
è da sempre maltrattata.
Altro intervento
liceo Alba: il valore fondante della filosofia si declina in
molti modi, da un lato elaborazione teorica di esperienza,
dall'altro come sapere che si pone criticamente rispetto ad ogni
altra forma di sapere. Criterio per far fare esperienza di
filosofia: non mi fido dell'apprendista stregone che tenta
l'esperienza in aula. Mantenere la nostra esperienza
filosofica, ma reimpostarla per problemi, nell'ottica della
contiguità di tutti i saperi, a cominciare dall'impostazione
ingenua dello studente per arrivare ai contributi dei classici.
(De Pasquale?):
lavorare solo sul senso dei filosofi rischia di portarci
all'impressionismo. Il manuale a volta è utile, altre volte è
volano. Bisogna sottrarci alla tentazione di scelte totalizzanti:
la storia della filosofia o i problemi, destra o sinistra ecc.
Scelte che creavano sottogruppi: oggi va superato questo blocco,
con uno scambio di esperienze, delle diverse metodologie ( dalla
ricerca alla lezione teorica frontale ecc.).
Cioffi: meglio
partire dalla contemporaneità. La tradizione storicistica ha
meriti, ma anche quella oxfordiana: necessita l'aggancio con il
senso comune per evitare che l'alunno vada a casa convinto che la
filosofia non serva a niente.
Fornero: superare
il provincialismo (espresso p.e. negli anni sessanta nelle remore
a tradurre Popper come se fosse di destra e non di
tutti).
Trombino: nella
nostra tradizione di insegnamento abbiamo un'enorme varietà di
metodi, non il solo frontale contrapposto alla ricerca. Restando
dentro il rigore della filosofia, possiamo (evitando di
banalizzare la filosofia per insegnarla a tutti) affrontare la
filosofia come fondante usando la forma della filosofia per dare
estremo rigore a tutte le discipline. Innovare significa entrare
profondamente nella dinamica della tradizione, conoscerla dal pdv
tecnico. Le conoscenze metodologiche sono però oggi ancora
scarse a livello di insegnamento, per cui c'è bisogno di un
contributo che integra l'esperienza delle secondarie con quello
degli insegnanti universitari.
Cambi: grande
disordine sotto il cielo. Difesa della tradizione, ma anche
invocazione a confermare il ruolo paterno-materno dei
manuali, o alla loro defenestrazione. Bisogna evitare il
ridurre tutto agli elementi disciplinari, per evitare il rischio
di giocare al ribasso nell'autonomia dell'istituzione scolastica.
Girotti: difesa
dell'attività filosofica.
Moderatore
Sgherri: piano condiviso nel dibattito: fornire strumenti al
filosofare, e investire l'insegnamento nella dimensione didattica
della filosofia. Il manuale è uno strumento, non può sostituire
l'insegnante. L'editoria deve essere spinta verso il tragitto che
contestualizza testo teoria e ricerca.
CONVEGNO
FILOSOFIA - terza giornata: Filosofie "straniere"
13/11/99
Introduce Fabrizio
Desideri: com'è vista la filosofia italiana all'estero, e
qual è lo stato attuale degli studi all'estero? Ma il tema
sostanziale è il far filosofia, l'esercizio di pensiero
relazionato e confinato nella lingua in cui discorsivamente si
pensa. Parrini si augurava un superamento degli studi nazionali
di logica. Walter Benjamin parlava di verità che ha sede nel
linguaggio (lettera a Hugo von Hoffmanstal), ma non nel senso
ermeneutico, bensì nel senso della traducibilità del testo.
Wilhelm Buettmeyer (Oldenburg, Staulinie 11 - D-26122) Filosofia tedesca e italiana
1- concetto di
filosofia italiana: premesso che per me non esiste una filosofia
nazionale, se non come pensiero di filosofi che hanno la
nazionalità italiana. Viano e Garin si sono occupati di questo
tema. Per Garin non esiste una specificità italiana (e confuta
le teorie 1830 di Terenzio Mamiani, evidenziandone limiti
metodologici, forzature storiche e la violenza riduttrice); anche
Viano, parlando della filosofia italiana contemporanea, sostiene
che non esiste un contributo su principi o temi uniformi. Egli ha
cercato di identificare un carattere italiano nell'atteggiamento
eclettico di orientarsi verso l'estero: penso che questo tipo di
mescolanza sia un'ulteriore conferma duella tesi gariniana;
2- effetti su di
me straniero della filosofia italiana, confrontandola con la
filosofia tedesca. Prima caratteristica è la prevalenza della
storiografia sulla sistematica, secondo aspetto è un forte
influsso del cattolicesimo, che do per dimostrato. Per me
filosofare significa argomentare, e quindi la filosofia va scissa
dalla metodologia e dalla dogmatica teologica (non certo dalla
religione come fenomeno). Rispetto all'argomento della
storiografia, do per scontato che una base storiografica è
necessaria per costruire filosofia sistematica, però un conto è
partire dalla filosofia per costruire un sistema, ma non può
arsi un'identità tra ricerca e storiografia. E' vero che la
storiografia tedesca (Zeller, Dihels etc) ha un forte peso nella
filosofia, ma in Italia la Riforma Gentile ha creato un connubio
inscindibile tra filosofia e storia, cosa impossibile in un altro
paese, p. e. a livello di studi istituzionali. Questo nesso
non è stato utile alla filosofia italiana. Se guardiamo alla
produzione storiografica italiana di questi 80 anni, non vediamo
risultati molto superiori a quelli di altri paesi con
impostazioni universitari diverse. Connubio anche nocivo, che
oltre a non favorire la ricerca sistematica, ha impedito la
riflessone sui fondamenti della scienza e della tecnica, ché ha
impedito di prendere conoscenze serie di questi temi. Se avvicino
da fuori, come filosofo, le scienze, la matematica, senza
studiarle in modo fondamentale, non ne risultano produzioni
valide. P. es. si è accuratamente evitato di partire dalle
problematiche attuali per l'approfondimento di ricerca.
3 -relazione tra
filosofia italiana e filosofia tedesca. Da parte italiana si è
sempre seguito lo sviluppo del pensiero tedesco, mente non vale
il contrario. In Germania non esiste nessuna scuola che faccia
capo ad un filosofo italiano, mentre qui da voi ci sono scuole
kantiane, hegeliane. Quale la ragione di questa mancanza
tedesca? Prima di tutto la mancanza di conoscenze linguistiche,
nel senso che non pochi gli studiosi tedeschi che conoscono
l'italiano, 3)relazioni tra filosofia italiana e tedesca
vista da parte tedesca. Partiamo da opere di consultazione
tedesche (Ferdinando ?Feldman?, non compare neanche un italiano)
in altro volume sull'800 si parla di Rosmini Ardigò.. Due volumi
su '800-'900 non citano italiani. Il quadro editoriale è più
positivo: traduzione dei classici Croce e Gramsci, ma anche di
filosofi recenti: E. Agazzi, Bodei, Cacciari, Gargani, Lo Surdo,
Marramao, Mathieu, i due Rossi, Severino, Massimo, Veca
Moravia... Utile anche il contributo italiano all'edizione di
filosofi: sul corpus di Nietzsche, su Maimon. Due edizioni
tradotte, riguardanti fenomenologia ed ermeneutica in Italia.
Sulla filosofia italiana dell'800-900 esisteva un'opera di
Karl ?Vernant?, non esiste analogo studio sul Novecento.
L'Istituto Studi Filosofici di Napoli ha avuto un ruolo
fondamentale per i filosofia tedeschi i quali, una volta invitati
in Italia, hanno riportato in patria collegamenti con l'Italia.
Non esistono analoghe istituzioni in Germania. Nella mia
università ho posto una documentazione sulla filosofia italiana
dell'800-'900, esiste invece l'Istituto tedesco per gli studi
rinascimentali.
Luciano Floridi
(Oxford): la filosofia italiana nel mondo anglosassone
(anche se la geofilosofia non è una grande e buona idea; relazione scaricabile da http://www.wolfson.ox.ac.uk/~floridi/papers.htm)
A Oxford
non c'è presenza italiana. La storia della filosofia è un
abbraccio mortale per la filosofia. Dal punto di vista
anglosassone, la filosofia teoretica non esiste, anche per il
divorzio dalle scienze sociali innestato dall'idealismo.
L'Italia ha
prodotto solo studi storici, importa ma non esporta filosofia;
unica eccezione il pensiero etico-politico in cui Bobbio è
l'unico è considerato.
Perché i nostri
colleghi anglosassoni non leggono filosofia italiana? Perché per
loro la storia della filosofia sta alla filosofia come la storia
della matematica sta alla matematica. Nel mondo anglosassone non
si fanno ricerche citando autori, perché tale atteggiamento può
mascherare debolezze delle proprie tesi.
Quali filosofi
italiani, sulla Routdlege (10 volumi enciclopedici) e su altra enciclopedia? Ne compaiono solo 14 filosofi
partendo da Bruno:
Vico, Galilei, Campanella, Michelangelo, Cardello (studioso di
Berkely), Sigismondo Gerdil (solo perché discuteva su Locke), Rosmini,
Gioberti, Cattaneo, Labriola, Gramsci, Bobbio, Croce,
Gentile.
Ricorrenze nel Philosophy index: (il "citation
impact" nel mondo anglosassone ha un peso nella ricerca
di lavoro) portano al primo posto - come autore italiano- Vico,
poi Galilei, Croce, Gramsci, Bruno). C'è
un' International
Society su Gramsci e su Vico che influisce sul dato. Qui si parla
di notorietà, non di peso specifico riguardante i contenuti. Il
più noto in citazioni è Kant con 4000, Vico il nostro
giocatore migliore è a 300. Al contrario delle università
inglesi, l'università italiana prepara tutti "grandi
giornalisti" ma non prepara - cioè non allena - nessun
"calciatore"- ricercatore.
Alessandro
Pagnini (FI) sull'area italiana. Cita due convegni.
Costanti della filosofia italiana, nella scelta dei referenti.
Predomina il filone storicista hegeliano, agganciato a precursori
come Vico e
. Tutti in Italia devono fare i conti con
Hegel (se non altro per sfuggirvi), così poi lo si fa con
Heidegger, Marx, Kierkegaard e Schopenhauer, Nietzsche dagli anni
'60 (con ondata di nichilismo e pensiero della differenza),
Husserl (Crisi scienze europee) Sartre Merlau.Ponty,
(tramite Pareyson e Caracciolo, Schlaiermacher, Dostoievski,
Lichtenberg e Kraus), Scuola di Francoforte e
post-strutturalismo francese. Unico nuovo che alligna oggi è
Wittgenstein secondo (ma i suo mentori di oggi sono i
soliti noti di ieri). La scelta di campo di tipo umanistico, come
esito anche del Gentilismo, porta a un'unità
nichilismo-umanesimo. Vattimo addirittura rifiuta di considerare
filosofi Chomsky e altri, chè farebbero scienza e non filosofia:
vecchio vizio della filosofia italiana, che rifiutava per questo
Cattaneo Vaialti ecc. Affrontano temi scientifici solo in termine
di storia delle idee. Se i filosofi non pongono domande
radicali, non fanno filosofia ma altro... Nel monumentale libro
di Barone sul positivismo logico fa capolino un giudizio come
questo sul neopositivismo "barbaro anti-umanesimo".
Garin ha prima proposto una fondazione nazionale, ma infine ha
esplicitamente ammesso la sua vicinanza all'umanismo di un
Ernesto Grassi. Noi siamo legati al post illuminismo e alla
filosofia italiana spesso passata attraverso il filtro francese.
Mancano molti filosofi stranieri: tutto l'empirismo, la filosofia
scientifica, il neokantismo (salvo una certa filosofia storica
francese), la filosofia analitica, la filosofia del linguaggio e
della mente. Siamo fermi a Vailati Enriquez Geymonat, P. Rossi
... . La scoperta di questi filosofi passa attraverso un
primo giudizio negativo (in termini storicistici). Lakatos, che
riassume in salsa ungherese vari analitici, trova spazio in
Italia. La filosofia "post-analitica", definita così
anche dal Restaino, è un'invenzione della mentalità
storicistica italiana. Non ci si preoccupa dell'induzione, ma
delle critiche a Peirce ecc. Trova spazio in Italia la teoria
delle catastrofi, ecc, purché da contrapporre ad attitudini
scientifiche. Questo spiega lo spazio dato a Prigogine e alla
teoria della complessità. In Itali la logica non è mai stata
presa sul serio (testo di Cellucci). Se a Croce interessava un
po' la scienza era perché ci trovava un po' di Jacobi o di
Novalis. La nuova dimensione della ricerca (Erasmus, cd-
globalizzazione Intenet) cambia tuttavia l'assetto filosofico
italiano, ma siamo ancora lontani dalla sistematicità della
ricerca. Difficoltà ad accetare epistemologia, logica. Non un
nuovo umanesimo, ma la formazione di mestieranti con
professionalità ma in condizione di fare al meglio il loro
lavoro: questo manca in Italia.
Bruno Pinchard: area
francese. Stupisco, cari amici, sento i peggiori barbari che
vengono, i più spudarati sostengono che l'Italia è
niente. Questo mi fa un effetto strano. Io come barbaro ho
scelto almeno di raccontare il mio viaggio a Roma, così forse
da cogliere qualche lembo del pensiero italiano, mostrare
che c'è qualcosa, che c'è qualcosa di inconfondibile qui, di
rarissimo e costosissimo per l'anima, e non siamo un club in cui
contare i membri, ma cerchiamo chi in un colpo può cambiare il
cammino della società. Da noi studiare la filosofia italiana, ci
fa dubbiosi: nel senso comune l'Italia produce arti. E' un
articolo di fede il fatto che uno dei testi più importanti, la Lettera
sull'umanesio di Heidegger, ha aperto la strada, in quanto
romano, allo studio sull'essere: questo il punto di partenza
della modernità. Io propongo un'altra strada, perché troppo
innamorato dell'Italia, che deve tremare dello spirito europeo,
dove l'Italia non avrà un ruolo nel pensiero. L'Italia è posto
da viaggi quando qualcuno sa qualcosa, ma poi torna al suo paese.
L'unità europea - come organizzazione- ha scelto già il suo
scopo, l'unità commerciale, e voi in questo senso siete già
finiti. Voi potete dire che l'Italia pensa, ché qualcosa pensa
dentro l'Italia. Non il testo degli autori, che sono il mezzo, ma
che cosa pensa l'Italia è ciò che mi interessa. Certo, bisogna
interrogarsi sul provincialismo italiano. Oggi non basta
considerare la continuità integrale tra Bruno Vico Hegel. Non
vedo altre cose per definire il timbro italiano, se non prendendo
un testo italiano: il Convivio di Dante, opera assoluta
della filosofia italiana. Un poeta che si pone come un fabbro
della lingua, qualcuno che pensa, perché fa di nuovo una
lingua. E' un poeta che non fa soltanto versi ma commenta questi
versi, fabbro dunque e commentatore, e penso: l'uomo poeta spiega
un conflitto spirituale da cui non c'è esito, quarto:
ragione.poesia,politica,tutto questo si fa insieme nello steso
straccio. Conflitto irrisolto tra facoltà che imparano a vivere
insieme, non il conflitto di facoltà ordinato alla ragione
trascendentale, ma la sofferenza e il peso di radunare queste
facoltà e di "superarle" in un gesto unico. Poesia
è uso amoroso della sapienza, al di là di tutti i razionalisti
volgari, e imeme che passione desiderio l'arma dell'uomo è il
vero luogo per scoprire la ragione. Voglio solo mostrare che
qualcuno che ha la potenza di inventare una lingua nuova,
significa qualcuno che cerca una nuova dignità dell'intelletto,
al di là del feudalesimo di Federico II. Dante, l'uomo del
conflitto, ritrova attraverso Boezio il più alto spirito
dell'antichità. Questo movimento è il RIMANSCIMENTO. Heidegger
sbaglia identificando il pensiero italiano con l'umanesimo.
Dappertutto ci sono umanisti, ma umanisti che producono il
miracolo della Rinascenza è un altro discorso: Vita Nova,
bisogno di concepire dell'umanesimo dantesco Incipit vita nova.
Umanesimo della vita nova-Rinascenza, che ritrova il filone
antico. Il Convivium non è un libro compiuto, è
un'esperienza tormenta e sospesa.. Due strade: il poema come
risoluzione dei conflitti (strada seguita poi dal Leopardi,
nell'inno del cato interiore della lingua), ma l'altra strada mi
sembra più fattibile: quella di Vico, secondo cui la lingua, il
pensiero nella parola è accertare il vero della filosofia e
insieme avverare il certo della filosofia. Il fatto italiano si
ha non nel concetto puro ma nell'intreccio tra certo e vero,
cioè nel transitato nella lingua. Solo il popolo italiano ha
saputo, molto al di là dei greci, produrre su questo comune:
dare la parole all'idea, e trovare un'idea dentro le parole.
Questo significa dare un vero senso alla scienza. De
Antiquissima Italorum sapientia . Non produrre scienze
astratte, ma trovare ispirazioni di continuità, da Lucrezio a
Varrone, alla IV egloga virgiliana, o ai padri della chiesa. La
filosofia italiana c'è alla condizione che pensi al proprio
destino, cioè il perdere l'impero, riconoscere il destino di
aver perso l'impero e di essere una provincia, ma pensare questo
destino è la RINASCITA, scema dal pensiero: può l'Italia avere
spazio se trova un'identità tra filosofia della civiltà
(Machiavelli, Rosmini sono uomini di civiltà). Non produrre
pensieri chiari e distinsi è nel vostro destino (lo si affronta
in una lingua ricca si sensi Le sfide del mondo: infinito tempo
soggetto, Un popolo che trasforma queste tre sfide in civiltà
sarebbe un popolo "drudo" della sapienza, dice Dante.
Questo attraverso 4 momenti: 1) creazione di una nova lingua
(nuovo sole, lingua pensante attraverso i suoi versi) 2) la
capacità italiana di produrre un commento (come Averroè su
Aristotele) continuo di tutti i sensi della cultura (contributo
positivo del tirocinio italiano) 3)affermazione della verità
della natura umana, uomo nato per le stelle, 4)amore non in
senso freudiano ma nel senso di limitare la violenza delle
passione nei termini della cultura romana antica, ma un amore
romano (Lucrezio) V. Dante: se tu sapessi cosa sono le pietre
di Roma, dovresti abbracciarle. Essere innamorato delle
pietre di Roma, questo è il timbro della vera facoltà
filosofica italiana.
Michael Stoeltzner
(Salzburg): mi limito al dopoguerra. La filosofia
austriaca (Wittgenstein Bolzano Brentano Mach): positivo
l'empirismo e atteggiamento scientifico, negativo
l'irrazionalismo, il rifiuto del criticismo kantiano. Fu
completamente assente nell'orizzonte filosofico austriaco. La
denazificazione, il superamento dei 4 anni di austronazismo, (v.
storia di M. Ferrari) non si ebbe filosoficamente con quella
rapidità che si è avuta in Italia (nel senso di apertura e
recupero delle correnti europee). In Austria solo con gli anni
'60 si recupera il perduto.
1)la filosofia
austriaca vede nel dopoguerra la sua ragion d'essere nel
recupero della filosofia del linguaggio. Si aggregano studiosi
attorno alle tre presenze rimaste di quelle del circolo di
Vienna. Ma Feyerabend e Lakatos non hanno trovato radici in loco.
Ruolo importate delle opere su Gramsci in Austria (convegno
'92). Sviluppo di un pensiero esistenzialista sulla base di
Gabriel Marcel. Importante il ruolo dei circoli
extra-universitari. Nessun ruolo gioca l'ermeneutica. Convegno a
Vienna su Wittgenstein, nel '73. Società Wittgensteiniana
(per opera della generazione degli ani '60). L'orientamento verso
la filosofia della scienza ha avuto spazio,
2)Da mie
interviste brevi su alcuni filosofi, relative al peso da loro
attribuito (per la loro formazione e per i loro interessi) agli
italiani, è venuto fuori solo Croce per l'idealismo. L'unica
ricerca adesso va alla lingua inglese (contatti con i logici
italiani di Firenze). Si conoscono i lavori di Cacciari su
Brentano, 1956 di Domenico ?Campanale? Studi su Wittgenstein,
ricerche di Gargani che collocano Wittgenstein nelle cultura
austriaca, la semiotica di Rossi Landi, l''empirismo logico
italiano (Geymonat, Francesco Barone biografia del '53 è
importante per la ricerca su Wittgenstein). Claudo Magris è
molto letto per la cultura austriaca degli anni '20-30.
Nel campo della storia della filosofia, studi italiani sul '700
(ma si tratta di influenze su singoli pensatori austriaci). Altro
influsso si può rilevare in ambito teologico (dove vi sono
persone di atteggiamento empiristico, p.e. si hanno studi
su Carnap. Il mio punto di vista personale, come epistemologo e
storico del Wiener Kreis (per ricavarne indicazioni
metodologiche, non per spinte storicistiche) mi porta a conoscere
De Finetti: sulla probabilità in fisica egli è interessante per
le sue idee soggettiviste (anche se io non sono soggettivista).
Poca della nostra letteratura sul Wiener Kreis è nota in
Italia. Qualcosa di Paolo Parrini è stato pubblicato nel '98 (un
articolo sulla recezione dell'analitica in Italia). Il Carteggio
Neurath e Federico Enriquez è stato da me pubblicato in
italiano. Il "Conscenza e realtà" di Paolo
Parrini offre per me nuove prospettive sulla compressione del
filone kantiano, Cassirer e prospettiva innovativa
empirista-psitivista, che lui chiama filosofia positiva. Anche le
ricerca di Massimo Ferrari, da un pdv neokantiamo, mi hanno
convinto che la filosofia austriaca trova compatibilità con la
dimensione kantiana. Però lamento che nel libro di Parrini
non si parla dell'attività di Giulio Preti.
--
dibattito
Fabrizio DESIDERI
(FI) modera dibattito: rapporto tra trattazione storica
della filosofia e trattazione per questioni.
De LUISE: come
insegnante, tengo a parlare non della formazione dei filosofi ma
del contributo della filosofia alla trasmissione di un patrimonio
culturale. Nella scuola l'uso della storia della filosofia spesso
congela le possibilità di sviluppo di pensiero degli allievi.
Due le esigenze nella formazione: trasmissione patrimonio,
e metodo (tradurre la tradizione in questioni, e qui il problema:
non tutte le questioni sono oggi recepibili; non sempre le
competenze sono immediatamente traducibili in senso operativo).
PARRINI: sta
emergendo l'idea che sia importate fare filosofia e non
solo storia della filosofia. E per fare filosofia necessitano
rapporti fecondi istituzionalizzati con discipline come le
scienze naturali, sociali, matematiche. Mancano in Italia studi
su Kant, nella cosiddetta tradizione storiografica italiana. La
tradizione storiografica non ha giovato alla stessa storia della
filosofia italiana. Oggi siamo arrivati alla standardizzazione
linguistica sulla ricerca filosofica, nei campi di cui mi occupo
(filosofia della scienza) : qui si studia e scrive in inglese. Il
massimo libro sulla filosofia scientifica è di un tedesco, ma è
uscito in inglese.
Il contatto tra le
culture sta cambiando la filosofia anche in Italia, dove sempre
più gente ha voglia di "giocare a pallone" come dice
Floridi, anche se gli storiografi non pare se ne siano accorti,
per cui a Floridi non è rimasto che emigrare, per giocare a
pallone.
Vigoriti: c'è
legge sull'immutabilità dell'universo (triadicità costituita da
numero volume e simmetria). Il minimo dell'universo sta vicino al
massimo. E il fondamento l'ho trovato nella matematica naturale,
tutto si tiene, verum et factum convertuntur,
bipolarità dell'atomo, magnetismo. Sono in contatto con lo
scopritore delle grammo-molecole.
Altro intervento:
paradigma 1898-1907 protonovecentesco: appare in quest'ultimo
anno La teoria della giustizia di ?Husman? Ciò ha portato
ad una accelerazione su Croce e Gentile, un'intersecazione tra
teoria sociale, filosofia del diritto, filosofia della scienza
sociale, morale e filosofia tout court. Bisogna capire il
movimento del socialismo giuridico in Italia, una teoria della
ricezione reale, non una corsa sui topi come le ricezioni
contemporanee.
Floridi: al
filosofo analitico interessa non cosa dice Platone ma il
contributo teorico (al gioco del calcio) che può aver dato
Platone. Cioè l'Autore sul tema x ha ragione o torto? E' lo
stesso senso usato da Cartesio, da Wittgenstein, che non sono
interessati alla ricostruzione storica della idee (= da
giornalisti). Al filosofo interessa fare goal, cioè
l'avanzamento nella ricerca, non la paternità di un'idea. Questo
vada sé. Una nota di ottimismo sul fatto che le riviste
italiane cominciano a scrivere in inglese.
altro intervento:
strumento è la storicità, fine è la razionalità, per cui sia
all'approccio storico che quello teorico possono
nell'insegnamento funzionare entrambe.
Buettemeyer: la
filosofia è sempre stata globale le sue idee non erano greche,
l'io di Cartesio non è francese cattolico, ma un io globale,
come l'imperativo categorico kantiano non è prussiano. L'attuale
globalizzazione linguistica (uso dell'inglese) porta a situazione
simili a quelle del latino alla fine dell'impero. Von Humboldt ha
posto il discorso delle caratteristiche delle lingue che formano
il pensare in un determinato modo (ma si parla di grandi ambiti,
non quelli tra italiani e tedeschi, ma tra radice indoeuropea e
altre radici). Raccomanda l'apertura dell'università italiana ai
docenti stranieri, come avviene in Germania e in generale
all'estero.
Pagnini:
demitizzare una filosofia sovranazionale su veicolo linguistico
anglosassone. Forse è inventata, o è usabile parzialmente come
criterio di demarcazione sulla validità di fare filosofia.
Valorizza il contributo di Parrini alla filosofia.
Pinchard: vs.
Buettmeyer: cos'è l'aspetto universale-globale? Non è forse
vero il contrario, cioè che lo spirito del mondo viaggia dentro
lo spirito nazionale? Non è il gioco di calcio che mi interessa.
Stoeltzner: In
Austria nel corso universitario si attraversa un momento
istituzionalizzato di storia della filosofia della scienza
(meccanica classica, quantistica). Vedi Lakatos: la filosofia
della scienza senza la storia della scienza è vuota, ma la
storia senza la filosofia è cieca.
.
CASERTANO (conclude i lavori): non ho
memoria di un convegno con tale ampia partecipazione nei miei
vent'anni di SFI. Convegno che ha colto il segno come tema
("la filosofia in discussione").
-------fine---------