LE RAGIONI DI UN DIVORZIO

di Eros Capostagno

Se il divorzio tra KLM ed Alitalia può tornarci utile dal punto di vista delle tariffe, per il riaprirsi della concorrenza sulle rotte Italia/Olanda, ci lascia tuttavia disgustati per l'ennesima caduta di immagine che questo pateracchio arreca al Paese.

La fusione tra le due compagnie era oggettivamente vantaggiosa per entrambe, visto anche che esse operavano in situazioni più di complementarietà sulle rotte mondiali che non di vera concorrenza.

Elemento importante della fusione era la piena realizzazione di Malpensa come secondo polo di espansione di un mega-aeroporto "hub" Schiphol/Malpensa, visto che Schiphol (l'aeroporto di Amsterdam) non può svilupparsi ulteriormente a causa della contiguità con i centri abitati limitrofi. Come ha scritto il principale quotidiano olandese, l'NRC Handelsblad il 1 maggio u.s.: "Per la KLM Malpensa era un dono di Dio, tanto che "KLM riteneva ragionevole correre il rischio di associarsi con un partner italiano"!

Evidentemente il rischio di associarsi con un partner italiano si è rivelato maggiore di quanto i pur diffidenti olandesi si aspettassero.

Abituati ad operare sul mercato con logiche di mercato, i partners olandesi si sono invece trovati ad interagire con managers italiani di sicuro talento, ma impossibilitati a decidere in piena autonomia, dovendo rispondere non ad una normale assemblea di azionisti ma al variabile umore dell'instabile potere politico italiano.

A questo proposito, ci torna alla mente quella sequenza del film "Il caso Mattei", di Francesco Rosi, in cui l'allora Presidente dell'ENI, Enrico Mattei, riesce ad ottenere un incontro con un rappresentante delle "sette sorelle" (le sette maggiori compagnie petrolifere mondiali), per cercare di inserire l'ENI nel mercato. Costui chiarisce subito le posizioni reciproche, usando tutto il disprezzo di cui era capace: "I deal with oilmen, not with oilsellers (io tratto con petrolieri, non con commercianti di petrolio)".

A quel tempo Mattei poté reagire all'insulto, andando a trattare direttamente con i Paesi produttori, probabilmente anche a prezzo della vita, grazie alla piena autonomia dal potere politico di cui godeva ed anzi al controllo che lui stesso esercitava (a modo suo) sui politici. Viceversa, Cempella & Co. si sono ritrovati ad agire con alle spalle un azionista di maggioranza come il Governo Italiano (rappresentato dal Ministero dei Trasporti), sulla cui efficienza, competenza e stabilità è inutile dilungarsi.

Basta ricordare che l'affare Malpensa è stato gestito, per usare un eufemismo, dall'ex Ministro C. Burlando, col risultato di aver inaugurato un aeroporto senza collegamenti, in aperto contenzioso con la Commissione Europea, con decreti che modificano le rotte in corso d'opera, con decreti che vietano gli atterraggi in certe ore, con decreti che decidono gli spostamenti di voli da un aeroporto all'altro mentre i passeggeri sono già davanti al banco-accettazione e, naturalmente, con l'improvvisa revoca di qualcuno di questi decreti per intervento di un TAR, di una Commissione Europea o qualche pressione politica.

In breve, come scrive sempre l'NRC, "il disastro è ora completo, Malpensa un fiasco. [...] nella sala di Direzione [KLM] ci si deve ora per prima cosa chiedere se tutto ciò non fosse da prevedere"!

Come se non bastasse, l'attuale Ministro dei Trasporti, P.L. Bersani, ha ribadito che il Governo non ha alcuna intenzione di cedere il pacchetto di maggioranza dell'Alitalia, essendo il trasporto aereo un servizio strategico per il Paese. Ritornello che ci sembra di aver già ascoltato molte volte, in particolare a proposito dei panettoni Motta, dei gelati Alemagna, dei supermercati SME..., salvo scoprire poi che l'interesse strategico coinvolgeva magari i soliti noti della finanza italiana. Con buona pace di chi aspetta le privatizzazioni.

Ci sembra dunque patetica la reazione dello stesso Ministro Bersani, che ora accusa la KLM di aver cercato una pretestuosa rottura, per chissà quali altri reconditi interessi. KLM credeva davvero in questa fusione, ed il divorzio la lascia in una situazione di mercato davvero scomoda, anche se non drammatica come quella dell'Alitalia.

Purtroppo, oltre al pressappochismo ed alla incapacità di quanti hanno gestito l'affare Malpensa, ed oltre al trascurabile peso politico dell'Italia nel contenzioso con la Commissione Europea (v. anche Un progetto, almeno uno... nel N°51), l'handicap che grava sulle maggiori imprese italiane nel mercato mondiale è ancora una volta la concezione statalista e dirigista che ha ispirato i Governi catto-comunisti di questi ultimi anni, e che è responsabile del disastro economico ed occupazionale italiano.

Non dimentichiamo che la politica economica ed industriale, quale imposta da Ciampi ed Amato negli ultimi dieci anni, si è sviluppata lungo due direttrici, quella di sottrarre risorse alla libera imprenditoria e quella di tutelare gli interessi dei salotti buoni della finanza italiana. Lo abbiamo scritto tante volte su questa rivista che è impossibile citare tutti gli articoli (gli interessati possono effettuare agevolmente una ricerca con parole-chiave, usando il motore disponibile nella pagina di copertina).

Non dimentichiamo inoltre che i grandi Istituti (e/o carrozzoni) del Parastato, se prima servivano a finanziare direttamente i partiti, ora continuano a servire gli interessi più vari dei potenti di turno, anche se con mezzi meno diretti della tangente (o almeno ci illudiamo che sia così): la ri-fondazione della Cassa per il Mezzogiorno ne è l'ultima riprova. Inutile illudersi dunque, come dicevamo, sulle privatizzazioni.

La cosiddetta "privatizzazione dell'ENEL", con la vendita a prezzo elevato del 35% dell'Ente da parte dello Stato, nient'altro è stata che un'astuta trovata del Ministro del Tesoro, G. Amato, per sottrarre circa 35.000 miliardi dalla tasche degli italiani, una sorta di "finanziaria" aggiuntiva mascherata dalle "fatine" che popolavano gli spot pubblicitari statali in TV. Infatti l'ENEL resta saldamente in mano allo Stato ed ai suoi boiardi di nomina politica, mentre il popolo degli azionisti ha perso un'occasione per investire in titoli più remunerativi, ed il popolo italiano continua a sognare la modernizzazione delle obsolete centrali elettriche e la fine dei black-out quando piove.

Né d'altra parte possiamo aspettarci di meglio da chi, come l'attuale premier Amato, pensa di risanare il Paese a suon di salassi dalle tasche dei cittadini. Come già abbiamo riferito su questa rivista (v. De Pro(fun)dis nel N° 10), nel corso di una conferenza da lui tenuta due anni fa presso l'Istituto Italiano di Cultura di Amsterdam, abbiamo chiesto al prof. Amato se ritenesse ancora corretto il "furto" del 6% da lui perpetrato nel luglio '92 sui conti correnti e depositi bancari degli italiani. Con grande sicurezza ci ha risposto che non solo era doveroso farlo per il bene del Paese, ma che sarebbe stato pronto a rifarlo qualora le circostanze lo dovessero richiedere. Quindi occhio: non possiamo dire di non essere stati avvisati!

Se è dunque questo il "Sistema Italia", se sono questi i Governi che dovrebbero favorire la libera impresa e sostenere le imprese italiane sul mercato mondiale, beh, non ci sono che due soluzioni: lasciar perdere (emigrando magari in Spagna o Irlanda, e lasciando l'Italia al suo destino), o ricoprire questi governanti parassiti con buone dosi di DDT.

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