Il testo che segue sarà
l'opuscolo illustrativo che accompagnerà tutto il percorso
Le Acque Albane Itinerario
storico-paesaggistico
INDICE
L'ITINERARIO STORICO-PAESAGGISTICO 2
GENERALITÀ' 2
L'ITINERARIO PROPOSTO 3
NOTE STORICHE 6
LE TERME 8
LA CONSERVA D'ACQUA DEI CASTRA ALBANA 11
L'ANFITEATRO 12
GLI ACQUEDOTTI 13
IL PERCORSO NEL CRATERE DEL LAGO 16
L'EMISSARIO 18
BIBLIOGRAFIA 22
ALLEGATI 23
SCHEDE ILLUSTRATIVE |
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L'ITINERARIO STORICO-PAESAGGISTICO
GENERALITÀ'
L'importanza del ricco patrimonio ambientale ed archeologico
dell'ager Albanus, a volte sfugge anche a chi queste zone le
abita o le pratica per lavoro.
E' stato perciò naturale pensare di realizzare degli itinerari
storici-paesaggistici del territorio, indirizzati a tutti coloro
che, a vario titolo, si accostano alla conoscenza del nostro
patrimonio ambientale, per trascorrere qualche ora in luoghi
di un ricco passato, gustando così le caratteristiche
storiche, archeologiche, paesaggistiche di questa parte dei Colli
Albani.
I Castelli Romani hanno sempre rappresentato una meta ambita
ed interessante: non è un caso che antiche famiglie patrizie
dell'Urbe, Imperatori romani, Papi e Cardinali, abbiano sempre
prediletto queste zone per la costruzione delle proprie sontuose
dimore. E' stato nostro intento dunque, fornire una guida essenziale
che permetta di conoscere le cose fondamentali, sia che siano
facilmente raggiungibili, sia che si trovino in siti più
nascosti.
Questo primo itinerario si propone di integrare, attorno al filo
conduttore delle Acque Albane, gli aspetti storici ed archeologici
con quelli ambientali, rappresentando una particolare chiave
di rilettura del territorio attraversato e costituendo anche
uno stimolo per sollecitare l'attenzione intorno ai problemi
della conservazione e della valorizzazione di un patrimonio culturale
ed ambientale che dovrà continuare ad esserlo anche per
le generazioni future.
Il PERCORSO
L'itinerario può essere suddiviso in tre parti, così
caratterizzate:
- prima parte, completamente urbana, nella cittadina di Albano
Laziale, caratterizzata dalle evidenze dell'utilizzo delle Acque
Albane, che verranno visitate con visita guidata;
- seconda parte, extraurbana, parte sul percorso degli acquedotti,
parte su sentieri nel cratere del Lago di Albano, in pieno territorio
del Parco dei Castelli Romani, caratterizzata da aspetti paesaggistici
e naturalistici;
- terza parte, che si svolgerà nella parte più
antropizzata del cratere del Lago, con sosta pranzo in riva al
lago, visita dell'emissario, e ritorno ad Albano con la Ferrovia,
dalla Stazione FF SS di Castel Gandolfo.
La tabella di marcia è la seguente:
Località Ora arrivo
Durata Note
Albano FF SS 8.30' Raduno
Terme Cellomaio 8.45' 45' Visita guidata
Cisternone 10.00' 30' Visita guidata
Acquedotti 11.00' 90' Passeggiata
Riva del lago 12.30' 45' Passeggiata
Riva del lago 13.15' 2h Sosta pranzo
Emissario 15.30' 30' Visita guidata
C.GandolfoFFSS 17.30' 10' Rientro in treno
Il tracciato dell'itinerario
è nato dal tentativo di trovare i legami tra la morfologia,
gli aspetti naturali del territorio Albano e le opere che su
questo l'uomo ha realizzato per renderlo più ospitale.
Sono molti i fili conduttori che si possono seguire per ritessere
la struttura territoriale; quello da noi proposto è l'uso
delle acque, il loro equilibrio naturale e gli interventi che
su queste sono stati eseguiti in epoca romana.
L'anello che si percorre si propone, sia praticamente che come
rappresentazione simbolica, di individuare un ciclo che tocchi
i punti più rappresentativi di una struttura idrica: partendo
da una utilizzazione socio culturale dell'acqua (terme) si risale
al suo reperimento (sorgenti, acquedotti), attraverso strutture
di accumulo (cisterne, lago) ed infine si torna all'ultimo utilizzo
(agricolo, artigianale), prima di lasciare che attraverso i fossi
della campagna romana queste acque, pienamente utilizzate, raggiungano
il Tevere e quindi il mare.
Certamente il territorio non può dirsi modificato dagli
uomini che per primi scelsero di vivere sul versante occidentale
del massiccio vulcanico laziale. I resti delle opere realizzate
non appaiono come costrizioni all'ambiente naturale, bensì
la fatica e l'ingegno che traspaiono, osservando le tracce che
gli scalpelli hanno lasciato sulle rocce di peperino, appaiono
come un opera di ingentilimento delle forme cupe e massicce che
le lave hanno creato.
Osservando la piana superficie del lago, il reticolato caratteristico
delle opere romane, le volte muschiate delle cisterne, viene
alla mente il giudizio settecentesco sulle bellezze della natura
e dell'arte: le forme naturali sono così belle da sembrare
l'opera di un artista; le opere dell'uomo, pur riconosciute come
tali, hanno un aspetto ed un'affinità tali con l'ambiente
naturale che le circonda da apparire opera della natura.
L'EQUIPAGGIAMENTO
La passeggiata complessiva per raggiungere tutti i luoghi indicati
è di circa sette chilometri, con un dislivello, da percorrere
sia in salita che in discesa, di circa 180 metri.
I tempi di percorrenza, calcolati al netto delle soste, con passo
normale, sono di circa tre ore, distribuite nell'arco dell'intera
giornata.
Tenendo conto che metà circa del percorso è su
sentieri nel bosco del Lago, occorre indossare scarpe robuste,
con suola antiscivolo, possibilmente a "carrarmato".
Si consiglia di portare un K-way anti pioggia/vento.
La sosta pranzo avverrà sulla riva del lago, con colazione
al sacco, a cura di ciascun partecipante. Portare una borraccia.
L'Associazione provvederà a fornire i biglietti di ingresso
ai monumenti ed il biglietto ferroviario di ritorno ad Albano.
NOTE STORICHE
L'AGER ALBANUS
L'ager Albanus era, ed è tuttora, tra i più fertili
e salubri della campagna romana: è situato in collina
e aperto ai venti marini di ponente, mentre il Monte Cavo lo
ripara dai venti continentali.
Per questo fatto l'agro Albano fu prescelto, come il Tuscolano
ed il Tiburtino, dai ricchi Romani per le loro amene ville estive,
tanto maggiormente in quanto la Via Appia, la regina viarum,
favoriva le rapide comunicazioni con Roma e poneva in una condizione
privilegiata i fondi adiacenti.
Le prime ville di cui abbiamo notizia storica sono quelle risalenti
al periodo repubblicano, tra le quali si sono potute identificare
la villa di Clodio, tra la Via Appia e Castel Gandolfo in località
Ercolano, e la villa di Pompeo, nel parco di Villa Doria ad Albano.
Ad esse possiamo aggiungere, in quanto ai margini dell'itinerario
proposto, la villa di Palazzolo, sul cratere settentrionale del
lago, al di sopra del vallone di Malafitto o Pescaccio.
Nel successivo periodo imperiale l'ager Albanus diventa luogo
di soggiorno di molti Imperatori, che incorporano nel patrimonio
imperiale le ville precedentemente indicate, nonché di
vera e propria residenza principale dell'imperatore Domiziano,
che si fa costruire una imponente residenza imperiale sul bordo
meridionale del cratere del lago, tra Castel Gandolfo e l'odierna
Albano, città all'epoca non ancora fondata.
Questa villa, dotata di ogni conforto secondo i canoni dell'epoca,
quali un ippodromo, un teatro, ninfei (uno dei quali è
stato trasformato in S. Maria della Rotonda, in Albano), occupava
una superficie di circa quattordici chilometri quadrati, si estendeva
da Monte Cavo fino alla Via Appia, racchiudendo dentro di se
tutto il bacino e le pendici esterne del cratere del lago, incorporando
le preesistenti ville di Pompeo e di Palazzolo, già acquisite
al patrimonio imperiale progressivamente fin dal tempo di Augusto.
A questi insediamenti si aggiungono
nel II secolo d.C. la fondazione, da parte dell'Imperatore Settimio
Severo, dei Castra Albana, ovvero degli acquartieramenti della
II Legione Partica, stanziata dall'imperatore per il controllo
di Roma, in posizione strategica a ridosso della Via Appia, nel
luogo dell'odierna Albano, di cui hanno costituito il primo nucleo
urbano.
Questo insediamento fu reso nel tempo più confortevole
con la costruzione di un imponente complesso termale, sul quale
attualmente è installato il quartiere medioevale di Cellomaio,
e di un anfiteatro, di cui esistono alcune rovine.
LE TERME
IL QUARTIERE DI CELLOMAIO
Il quartiere di Cellomaio sorge sugli imponenti resti di edifici
termali ancora visibili e documentati in maniera suggestiva da
alcune tavole del Piranesi.
Nella metà del XV secolo, in epoca rinascimentale, Pio
II riconobbe gli edifici come impianto termale, contro la precedente
tradizione che le attribuiva al mitico palazzo di Ascanio, antico
re di Albalonga.
L'edificazione delle terme è stata attribuita inizialmente
a Pompeo Magno o a Domiziano, anche se autorevoli pareri diversi
le vogliono di epoca successiva. In particolare, il Lugli le
attribuisce a Caracalla, in funzione della tecnica costruttiva
adoperata. Certo l'Imperatore Caracalla per rappacificarsi con
i legionari, irrequieti dopo l'uccisione del fratello Geta, ne
promosse l'utilizzo da parte degli stessi.
Gli edifici, che in seguito presero il nome di "Cellae Magnae"
per via delle grandi dimensioni delle aule, spesso di oltre 10
metri di lato, furono forse usati come prigioni nel periodo medioevale.
Nel 1735 su gran parte dei resti venne edificato il conservatorio,
oggi convento e scuola elementare delle suore Oblate di Gesù
e Maria. Prima ancora l'aula tra il convento e l'Appia venne
utilizzata per la chiesa di San Pietro.
GLI EDIFICI TERMALI
La costruzione è posta sul versante occidentale del cratere,
protetta, dice Vitruvio, dai venti settentrionali. La facciata
principale è rivolta a sud ovest, con magnifico panorama
sulla campagna romana ed il mare. E' composta da tre ordini di
piani. L'ingresso era probabilmente a sud est.
La superficie è di circa 6000 metri quadrati ed è
posta sul lato a valle della via Appia, in posizione contigua
alla villa di Pompeo ed altre che sorgevano lungo il versante
del cratere sia in direzione sud che in direzione nord, e dalle
quali era facile raggiungere l'accesso.
Le terme furono naturalmente utilizzate anche dai legionari che
alloggiavano nell'accampamento fortificato di Albano (Castra
Albana), a monte della via Appia. Questi incrementarono la loro
affluenza in coincidenza del declino dell'uso delle terme da
parte degli abitanti delle ville. L'attraversamento della via
Appia era realizzato con un arco che scavalcava la strada, ancora
visibile nel secolo scorso.
Gli ambienti erano imponenti, con volte a tutto sesto. Sulla
facciata settentrionale della chiesa di San Pietro sono visibili
avanzi di un'opera in grandi blocchi di peperino che appartengono
ad un edificio più antico, probabilmente una tomba gentilizia
posta lungo la via Appia. Da notare che l'edificio termale non
è allineato con quello più antico di cui ha utilizzato
le fondamenta, forse a causa di necessità imposte dall'adattamento
al forte pendio. Per permettere l'accesso dal piano stradale
furono, infatti, costruiti i locali di servizio in basso, sfruttando
così in modo vantaggioso la forte pendenza.
La struttura dei muri è in riempitura di sassi di pietra
albana, impastati con malta e lavorati sottili (alcuni centimetri)
alternati con materiali in opera edilizia: mattoni e malta ottenuta
con pozzolana locale e calce. Al secondo piano, verso il mare,
in un angolo del muro perimetrale vi sono i resti di una vasca
monolitica con base di 2,70 per 4 metri e profondità di
0,7 metri. La vasca aveva il suo interno completamente rivestito
di marmo bianco.
Resti delle Terme sono inglobati nelle costruzioni di tutto il
quartiere e sono ancora oggi ben visibili. La chiesa di San Pietro
mostra, sui lati, la traccia di tre aperture, una di quasi 5
metri al centro del lato rivolto sull'Appia, una seconda di circa
3.5 metri sul lato corto e la terza della stessa misura sul lato
verso il mare. Sullo stesso lato, oltre a due volte a botte,
è anche visibile l'imposta di una terza che era a copertura
di altri ambienti siti nell'attuale piazzetta.
Durante la costruzione della sacrestia e dell'oratorio della
chiesa, a 2-3 metri di profondità furono scoperti dei
mosaici con disegno geometrico, composti da tessere bianche e
nere. Nelle strutture delle abitazioni private e del monastero
sono visibili i tubi, le condotte ed i ricettacoli che ascendono
ai piani superiori, le scale e le camere per i servizi, ed il
tutto da la testimonianza della grandiosità della costruzione.
I locali delle terme romane, escludendo quelli di servizio, erano
divisi in tre ambienti: il frigidarium, il tepidarium ed il calidarium.
La diversità era data dalla temperatura delle acque disponibili
in ogni ambiente attraverso il quale passavano i frequentatori
delle terme. In ognuna delle aule erano disponibili sedili per
sostare e conversare. L'acqua era scaldata da grandi stufe e
quindi convogliata nelle tubazioni di distribuzione.
L'ubicazione del frigidarium
del calidarium e del tepidarium del complesso di Cellomaio non
è stata unanime. Alcuni autori hanno posto il calidarium
in alto in considerazione della sezione dei tubi di alimentazione
delle vasche, altri viceversa hanno posto il calidarium al piano
terra, in prossimità delle stufe di riscaldamento. In
generale, i tre diversi ambienti venivano posizionati anche con
criteri geografici (calidarium esposto a Sud, frigidarium a Nord),
per meglio sfruttare l'insolazione.
L'acqua che alimentava le terme era ottenuta attraverso una fitta
rete di cunicoli che percorrevano il sottosuolo di Albano, captando
e trasportando le acque, come testimonia anche Leon Battista
Alberti. Naturalmente molta dell'acqua proveniva dagli acquedotti
di Malaffitto e Palazzolo. Tutti questi rivoli di acqua erano
raccolti in una enorme piscina posta sotto l'attuale palazzo
Savelli: da qui un condotto sottopassando l'Appia raggiungeva
l'edificio termale.
LA CONSERVA D'ACQUA DEI CASTRA
ALBANA
IL CISTERNONE
All'interno dei Castra e, più precisamente nella parte
più elevata del colle perché potesse fornire acqua
a tutti gli edifici sottostanti, si trova una grande conserva
d'acqua di 10.000 Mc, detta "il Cisternone", alimentata
dagli acquedotti, di cui diremo dopo, di Cento-bocche, originariamente,
e di Malaffitto alto, successivamente, attraverso il ramo dedotto
per portare l'acqua all'Anfiteatro.
L'opera è a forma di trapezio irregolare, di circa M.
48 x 32 x 10, divisa longitudinalmente in cinque navate, con
volte sostenute da 36 pilastri di m. 2,80 x 1,80 di sezione.
Fu scavata per una profondità di circa M. 4 nella roccia
vulcanica nella quale, progredendo lo scavo, furono ricavati
anche i pilastri di sostegno delle volte. Il tutto fu poi portato
all'altezza desiderata, circa nove metri, con mattoni: le pareti
laterali furono completate, parte in reticolato, parte in laterizio.
La copertura fu eseguita con volta a tutto sesto di piccole scaglie
di tufo e malta compatta.
Nella parete di ponente si aprivano in origine cinque grandi
finestroni, in seguito ristretti per precauzione sulla stabilità
del monumento. Altre finestre, oggi chiuse, si aprivano sui lati
contrapposti di sud est e nord ovest: queste, insieme ai lucernari
circolari aperti sulle volte, contribuivano a rendere arieggiati
gli ambienti e salubre l'acqua.
Nell'anno 1884 il Comune di Albano riattivò gli acquedotti
antichi, che portavano l'acqua anche al Cisternone, ripristinandone
l'utilizzo come conserva d'acqua potabile per la cittadina. Ciò
durò fino al 1912 quando, per imperfezioni nel ripristino
dei condotti, l'acqua non risultò più potabile,
ed il suo utilizzo fu limitato all'irrigazione.
L'ANFITEATRO
L'anfiteatro risale all'età
di Settimio Severo (193 D.C.), o di suo figlio Caracalla. Fu
fatto costruire per lo svago dei Legionari della II Legione Partica,
probabilmente impiegando proprio gli stessi Legionari come manodopera,
dato che l'opera presenta una mediocre qualità di esecuzione.
Esso è per metà scavato nel vivo banco roccioso
e per l'altra metà costruito su una terrazza artificiale.
Veniva alimentato per i giochi acquatici da un ramo appositamente
derivato dall'acquedotto di Malaffitto alto. Aveva una capienza
di circa 16.000 spettatori, che potevano rappresentare l'intera
popolazione residente nei Castra Albana.
Infatti i Legionari in senso stretto erano 6.000, a cui occorreva
aggiungere i famigliari degli stessi, che la riforma militare
di Settimio Severo permetteva vivessero negli accampamenti accanto
ai loro congiunti sotto le armi.
A questi occorre aggiungere infine gli artigiani che vivevano
accanto ai Castra, ai quali assicuravano la manodopera specializzata.
Nei secoli successivi al suo abbandono, fu riadattato il II fornice
ad oratorio cristiano da parte della primitiva comunità
cristiana locale.
Oggi circa metà del monumento è perduto in quanto
distrutto dalla costruzione di una strada asfaltata che insiste
proprio sulla parte scavata nel banco di roccia vulcanica.
GLI ACQUEDOTTI
LE ACQUE ALBANE
Possiamo affermare quindi, che l'ager Albanus è stato
sempre luogo di importanti e ricchi insediamenti che, come tali,
necessitavano di grandi quantità di acqua.
D'altra parte, nella zona, e più precisamente nelle località
Palazzolo e Malaffitto sono sempre esistite sorgenti: l'acqua,
incanalata, veniva portata con tre acquedotti di circa tre chilometri
di lunghezza fino all'Albano, garantendo l'alimentazione dei
diversi insediamenti.
I tre acquedotti sono stati costruiti in epoche diverse, presumibilmente
in accordo con lo sviluppo degli insediamenti e sono costituiti
da gallerie sotterranee o a livello del terreno che correvano
quasi parallele, ad altezze differenti, lungo l'orlo meridionale
del cratere.
CENTO-BOCCHE
L'acquedotto più antico è il più basso.
Ha le sorgenti sparse per una lunga regione, perché raccoglie
acqua da numerose infiltrazioni sul terreno, tra Palazzolo e
Malaffitto: per questo motivo l'acquedotto è stato chiamato
CENTO-BOCCHE.
Le sorgenti vengono a poco a poco radunate in un largo alveo
e racchiuse in condotto unico. Nella seconda metà del
XIX secolo, il comune di Albano ha ripristinato l'acquedotto
forzando condutture di ghisa nel cunicolo antico, per circa metà
del percorso.
La galleria originaria (M. 0,65x1,65), dopo aver percorso il
cratere del lago, giunta sotto il colle dei Cappuccini, si interra
con un largo cerchio e sbuca presso la Piazza S.Paolo a circa
tre metri sotto il suolo.
Il tratto sotto il colle è tutto scavato in roccia viva,
con l'ausilio di tre pozzi di areazione ed evacuazione materiali,
uno dei quali profondo M. 43.
L'ultimo tratto di acquedotto all'interno di Albano è
perduto: si ritiene comunque che, data la direzione dei tratti
esistenti ed il fatto che l'opera risale al periodo precedente
a Domiziano, destinazione della stessa fosse la villa di Pompeo,
successivamente alla sua acquisizione al demanio imperiale.
Al tempo di Domiziano servì certamente per le sue costruzioni
termali, quali il ninfeo di S.Maria della Rotonda.
Al tempo di Settimio Severo fu destinato ad alimentare il serbatoio
d'acqua dei Castra Albana (Cisternone).
MALAFFITTO BASSO
Il secondo acquedotto, per ordine di quota e di tempo, prendeva
l'acqua dalla sorgente di Pescaccio, in una grande insenatura
del cratere. Anch'esso è stato riutilizzato attraverso
la stesura di nuove condutture che portano l'acqua ai Palazzi
Apostolici di Castel Gandolfo.
Di esso sono visibili alcuni tratti sul sentiero Cappuccini-Palazzolo.
Il tracciato antico proseguiva oltre la villa di Domiziano, pertanto
si ritiene che servisse la regione sottostante l'attuale Castel
Gandolfo, dove si trovano le rovine della villa di Clodio, nonché
di una grande conserva d'acqua, simile al Cisternone, posta negli
Orti Torlonia.
MALAFFITTO ALTO
Il terzo acquedotto è quello costruito certamente da Domiziano,
in quanto portava l'acqua da sorgenti più alte di Malaffitto,
fino alla grande "piscina limaria" (vasca di decantazione)
sul colle alto della propria villa, per alimentare i servizi
della stessa.
All'altezza del colle dei Cappuccini una diramazione sotterranea,
di epoca successiva, portava l'acqua all'Anfiteatro. Da qui,
un ulteriore condotto giungeva al Cisternone, rafforzandone l'alimentazione.
L'opera, considerata perfetta da un punto di vista idraulico,
è probabilmente stata costruita sotto la supervisione
di Alyphus, Procurator acquarum della Villa imperiale.
L'ACQUA AUGUSTA
Un quarto acquedotto fu scoperto nel 1872 alle pendici orientali
del Monte Cavo: si tratta dell'Acqua Augusta, così come
nominata su alcuni cippi rinvenuti sul suo percorso.
Questo acquedotto, il cui percorso in buona parte è andato
perduto, fu costruito da Augusto Imperatore, per portare l'acqua
dalle sorgenti di Pentima Stella fino alla villa di Palazzolo,
dopo che la stessa fu acquisita al demanio imperiale.
Dopo la costruzione dell'acquedotto CENTO-BOCCHE, i successivi
Imperatori raccordarono quest'ultimo con il tratto finale dell'ACQUA
AUGUSTA, tra Palazzolo e Malaffitto.
IL PERCORSO NEL CRATERE DEL
LAGO
Il tratto del nostro percorso
che ci porta dalla zona degli acquedotti antichi alla riva del
lago, attraversa gli ambienti tra i più intatti dei Colli
Albani, in quanto la ripidità delle coste del lago ha
impedito nel passato una edificazione ed una presenza antropica
pressante, ed oggi il territorio ricade interamente nel Parco
Regionale dei Castelli Romani. Ciò risulta vero soprattutto
per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici e vegetazionali
originali del Vulcano Laziale, di cui il lago rappresenta l'unione
di due crateri.
Dopo aver percorso un tratto del sentiero Cappuccini-Palazzolo
alla ricerca dei tratti visibili dell'acquedotto di Malaffitto
basso, si imboccherà a sinistra un viottolo che attraverso
il bosco originario misto del Vulcano laziale, ci condurrà,
scendendo con un declivio non modesto, in riva al lago, raggiungendo
il sentiero Cabina di Papa Culla del lago, che verrà percorso
verso l'Emissario. Ad un terzo circa della discesa, verrà
effettuata una deviazione a sinistra per vedere alcuni tratti
dell'acquedotto più antico, quello di Cento-bocche.
In tutto il tratto si può ammirare una variegata e rigogliosa
vegetazione, composta da Castagno (l'unica essenza non autoctona,
in quanto introdotta nel XVII secolo), Leccio, Carpino nero e
bianco, Nocciolo, Acero, Tiglio, Olmo, Roverella, Lauro. Lungo
le rive del lago vi sono molti esemplari di Ontano nero e di
Pioppo nero.
Per quanto riguarda gli arbusti, sono presenti varie specie:
l'Orniello, l'Agrifoglio, la Ginestra dei carbonai, il Biancospino,
il Sambuco nero, il Ligustro, il Corniolo, il Pungitopo.
Vari scorci panoramici del lago e passaggi tra rocce incastrate
nel sentiero, rendono molto suggestivo questo tratto, che ci
permette di arrivare sulla riva del lago.
Sulla riva del lago è comune la Cannuccia di palude, la
cui presenza in alcuni tratti elle rive, forma estesi canneti.
Questi offrono un habitat perfetto per alcune specie di uccelli
acquatici: particolarmente presenti sono il Germano reale, la
Folaga, la Gallinella d'acqua. Anche il Cormorano e più
raramente il Martin pescatore sono presenti in questo bacino
lacustre. Una colonia di Gabbiani risiede abitualmente al centro
del Lago.
La fauna ittica è costituita da numero specie, sia indigene
che immesse: la Tinca, la Carpa, il Persico-sole, l'Anguilla,
il Cefalo, il Luccio, l'Alborella, la Scardola, il Cavedano,
la Trota iridea, l'Agone, il Persico reale.
L'EMISSARIO
La realizzazione dell'emissario
del lago di Albano entra nel mito di Roma repubblicana, ed è
associata alla conquista della città etrusca di Veio,
dopo una lunga lotta.
Racconta Plutarco che nell'anno 357 dalla fondazione di Roma
(398 A.C.), la città era in guerra con Veio e l'assedio
portato alla città dai romani durava ormai da sette anni
senza risultati. In quell'anno si verificò un evento prodigioso.
L'estate appena terminata non era stata particolarmente piovosa
e molti fiumi e laghi ridussero sensibilmente il livello delle
loro acque. Invece il lago di Albano, privo di immissari ed emissari,
senza alcun motivo si gonfiò tanto che le acque si riversarono
precipitando nella regione sottostante, inondando le campagne
e recando danno ai pastori e bovari che tenevano le loro mandrie
nei dintorni.
Il fatto fu interpretato come voluto dagli Dei ed un segreto
oracolo disse che Veio non sarebbe mai stata presa se i romani
non avessero fatto tornare indietro le acque del lago quando
fossero straripate. Interrogato, l'oracolo di Delfi ammonì
i romani ad arrestare il deflusso dell'acqua in direzione del
mare e di farla risalire al suo antico bacino o di deviarla e
disperderla nella pianura con canali e fossi impedendo che raggiungesse
il mare. I romani molto rispettosi dei presagi e degli oracoli,
realizzarono nell'anno successivo, il 358 dell'età di
Roma, l'emissario.
Non è facile tradurre in termini reali la storia che Plutarco
narra per individuare, a partire dal conflitto della civiltà
latina con la civiltà etrusca, le ragioni pratiche che
indussero alla realizzazione dell'opera.
Individuare connessioni oggettive tra la battaglia con Veio ed
il riversarsi delle acque in direzione del mare è certo
arduo. Restando ai dati pratici, va considerato che la zona posta
sul ciglio del cratere e la riva del lago era popolata fin da
tempi remoti, come testimoniano vari autori e i molti ritrovamenti,
avvenuti nell'ultimo secolo, di oggetti recuperati anche al disotto
delle ceneri vulcaniche. E' quindi verosimile che il processo
di antropizzazione richiedesse progressivi interventi sul territorio.
Appare quindi di estrema utilità
la regimentazione del livello del lago, per sfruttare appieno
i terreni posti all'interno del cratere, in prossimità
della riva, per scopi agricoli. Inoltre la stabilità del
livello rendeva possibile la realizzazione di strutture stabili,
sia a scopo residenziale che per attività di pesca o allevamento
di pesci. Opere simili furono realizzate anche nel vicino Lago
di Nemi e per la bonifica della Valle Ariccia.
Inoltre il responso dell'oracolo imponeva che le acque estratte
dal lago non avrebbero dovuto raggiungere Roma o il mare, come
la storia narra che accadeva, ma essere regimentate in altro
modo. Tentando un'interpretazione si può ipotizzare, ribaltando
in termini positivi la frase, che le acque dovessero essere indirizzate
a qualcosa di specifico. Forse ad alimentare il versante occidentale
esterno del vulcano e la pianura sottostante.
Il significato implicito di impedire alle acque di raggiungere
il mare è di deviarle ad occidente verso il Tevere. Tenendo
conto anche della testimonianza di Tito Livio e di quella prima
citata di Plutarco, in quell'anno le acque del lago aprirono
o ampliarono un varco sulla parete sud occidentale del cratere
riversandosi a valle verso il mare. Conseguentemente le sorgenti
al disotto di Castel Gandolfo potrebbero aver diminuito la loro
portata, comunque, tenuto conto del progressivo controllo del
territorio che in quel periodo storico era in atto, a seguito
di uno sviluppo nella zona dove poi venne realizzata l'Appia,
la necessità di acqua era un problema da affrontare e
risolvere.
Analizzando la struttura orografica del versante occidentale
del cratere appare evidente che il varco doveva essersi aperto
approssimativamente nella zona di Albano, certo a sud del rilievo
di monte Savello da cui parte il crinale che collegandosi a Pratica
di Mare segna lo spartiacque tra il bacino che si riversa nel
Tevere e quello le cui acque confluiscono nella direzione di
Ardea, e quindi al mare. Naturalmente l'emissario doveva essere
realizzato con lo sbocco a nord di monte Savello per riversare
le acque nel bacino di Malafede, verso il Tevere. Cosi come poi
fu realizzato, a monte del lago detto di Turno (località
Laghetto).
Con questa opera l'acqua veniva ad essere meglio utilizzata e
probabilmente la campagna fu liberata da inondazioni che non
erano superficiali e fenomenali ma sotterranee e permanenti.
Ancora oggi le acque hanno un utilizzo sociale alimentando dei
lavatoi (sempre meno utilizzati) e poi attraverso gli orti vengono
impiegate per l'irrigazione.
Nel Medioevo vennero costruite, allo sbocco dell'emissario, delle
mole per la macinazione, e con queste venne realizzata una caratteristica
torre difensiva quadrata in peperino ancora esistente ed individuabile
per un vasto tratto al disopra delle chiome degli ulivi che la
circondano. Intorno ai fontanili ed alle mole si costituì
un borgo medioevale di cui oggi non restano tracce se non nella
disposizione delle abitazioni.
Molti degli abitanti di Albano ricordano le donne che con le
ceste dei panni, in equilibrio sulla testa, andavano con il loro
carico oscillante verso i lavatoi, e nel buio prima dell'alba
cantavano e si chiamavano per farsi coraggio contro i cattivi
incontri. Andavano presto per tornare alle loro case in tempo
per accendere il fuoco e preparare il pranzo. E qualcuno di questi
uomini, bambino, era tra quelli che si tuffavano nelle vasche
durante i pomeriggi d'estate.
L'opera di perforazione dell'emissario venne completata in circa
un anno. Il canale, con volta a mezza botte, è tagliato
nel peperino e nella lava lungo un percorso di circa 1400 metri.
Passa sotto il cigli del cratere che raggiunge la massima elevazione
verticale di 130 metri; circa la stessa altezza della cima dalla
superficie del lago. Il cunicolo fu fatto mentre il livello delle
acque nel cratere era superiore alla norma, l'opera non poté
aprirsi se non dallo sbocco stabilito.
Data la ridotta dimensione del canale, circa 1,2 metri di larghezza
e poco più di altezza, non potevano lavorarvi più
di due-quattro uomini. Di conseguenza il completamento avrebbe
comportato più dell'anno previsto. La soluzione si ottenne
scavando una serie di 63 pozzi verticali lungo la traiettoria
da seguire, che permisero di suddividere il lavoro per poter
lavorare contemporaneamente e di aerare l'ambiente.
Dato che la profondità media dei pozzi è circa
60 metri e che una persona con lo scalpello poteva tagliare poco
più di trenta centimetri di roccia al giorno, vennero
impiegati 200 giorni per scavare i pozzi e portarli al piano
dell'emissario. La distanza media tra un pozzo e l'altro è
poco più di 20 metri, quindi ci vollero poco più
di 100 giorni per collegarli. Sommando i giorni si ha circa un
anno, il tempo stabilito.
Dopo che il canale fu portato ad una certa perfezione, venne
forato l'ultimo diaframma di roccia che lo separava dalle acque.
Successivamente, verificato che la pendenza era eccessiva, venne
rialzato il piano con una costruzione artificiale posta a circa
120 metri dentro il cunicolo, che rende inaccessibile il passaggio.
All'imbocco dell'emissario
vi è una camera, adibita a manovra, realizzata in opera
quadrata con massi di peperino, ancora ben visibile benché
la volta sia crollata. La figura ad arco piano dell'imbocco ed
il tipo di costruzione delle pareti possono far pensare ad una
sistemazione successiva alla prima realizzazione. Anche allo
sbocco è possibile notare, ormai molto parzialmente opere
di sistemazione con blocchi quadrilateri di peperino.
BIBLIOGRAFIA
" Storia di Roma - Tito
Livio
" Camillo (Vite parallele), Plutarco
" Le acque e gli acquedotti di Roma antica - Rodolfo Lanciani,
1881
" La villa di Domiziano - Giuseppe Lugli, 1918
" La campagna romana - Gaetano Tomassetti, 1910
" Guida ai sentieri naturalistici dei Laghi di Nemi ed Albano
- Parco Regionale dei Castelli Romani, 1992
" Castra Albana - F. Tortorici, 1975
Si ringrazia per la collaborazione
la Biblioteca del Museo Civico di Albano.
ALLEGATI
" Mappa tematica della
cittadina di Albano Laziale nel 1918
" Mappa topografica del Lago di Albano, con il percorso
degli acquedotti
" Mappa topografica del percorso nel cratere del Lago
" Mappa tematica delle zone attraversate dall'Emissario
" Riproduzione delle incisioni del Piranesi della camera
di manovra dell'Emissario |