Questo progetto vuole creare due o tre pacchetti turistici da "vendere" a tour operator della Capitale e basati sulle attrattive archeologiche e enogastronomiche di Albano.
Il primo denominato "le acque Albane" guiderà i turisti alla scoperta delle opere murarie che i Romani edificarono sul nostro territorio , passando per le Terme di Cellomaio, i Cisternoni, i Ninfei, l'affluente del Lago e concludendosi in un ristorante con menù a tema.
L'altro, denominato "il sentiero di Bacco" porterà i turisti alla scoperta delle cantine della zona e si concluderà con un pranzo ad abbinamento sotto la guida di un esperto sommelier.
Ragazzi e ragazze dai 18 ai 28 anni con buona conoscenza dell'inglese parlato e interessati a questo progetto possono contattare.......................................

Quì sotto si esemplificano alcune delle "stazioni" del primo percorso:

Autori: Claudio Bacchini e Lanfranco Casini

 
Cellomaio
I cisternoni
 

 

LE TERME
Questo imponente complesso edilizio era già noto in antico come palazzo del mitico re Ascanio, figlio di Enea e fondatore di Albalonga. Papa Pio II ne riconobbe per primo la reale funzione di edificio termale. Con il nome di terme di "Cellomaio", probabile corruzione di Cella Maior, sono giunte sino a noi, inglobate nell'attuale tessuto urbano. Esse si ergono ancora maestose ad un livello più basso di quello del lato occidentale dei Castra Albana. La pianta quadrangolare con torri appena accennate, come ad esempio presso l'ingresso meridionale, è molto articolata. L'alzato era costituito da tre piani, quello inferiore, caratterizzato da ambienti stretti e lunghi con volta a botte con funzione di potente sostruzione, era destinato anche ad ambienti di servizio. Gli altri due piani invece si articolavano in aule molto ariose e vaste provviste di grandi finestroni sormontati da archi. Qui si svolgevano tutte le funzioni proprie delle terme romane negli ambienti destinati a calidarium, frigidarium, palestra ed attività varie. Tratti di pavimento mosaicato e soprattutto numerosi tubuli, per la conduzione delle acque calde e fredde, sono i resti più specifici a noi giunti degli ambienti interni che furono riutilizzati in maniera intensiva come abitazioni a partire dal tardo antico e dal medioevo sino ai nostri giorni. Le possenti murature delle terme furono realizzate in opera cementizia, rivestita da una bella cortina in laterizio di colore rosso bruno. I fornici delle volte e delle arcate sono irrobustiti da bipedali posti a coltello. Alcuni bolli laterizi e in generale la tecnica di costruzione, permisero al Lugli di datare l'edificio al periodo di Antonino Caracalla che probabilmente le fece costruire per placare gli animi dei legionari a lui ribellatisi per aver ucciso suo fratello Geta al quale, al pari di lui, la legione aveva giurato fedeltà.

I CISTERNONI.
Fatti costruire dall'imperatore SettimioSevero per rifornire d'acqua l'accampamento dei Castra Albana, essi sono databili ai primi anni del III secolo d.C.. La collocazione di questa enorme cisterna nella parte più alta dell'accampamento permetteva una facile distribuzione delle acque nei vari edifici, per caduta naturale.
L'alimentazione della cisterna era assicurata da due acquedotti entrambi provenienti dalle sorgenti poste all'interno del cratere del Lago Albano: il più antico, quello detto delle "Cento bocche" si immetteva al centro della cisterna e l'altro, successivo, sboccava in fondo alla prima navata.
L'areazione dell'edificio era assicurata da alcuni lucernari circolari posti nelle volte, da quattro finestre disposte sui lati lunghi, oggi richiuse, e sul fronte, da cinque grandi finestroni ad arco, ristretti successivamente per assicurare maggiore stabilità all'edificio.
L'accesso attuale è rimasto come in antico, attraverso il primo finestrone di sinistra, ove si diparte una scala di 31 gradini sostenuta da due arcate. Il fronte era quasi sicuramente ornato da intonaci, elementi architettonici, statue, come i due delfini in peperino ivi rinvenuti nel 1884 e da fontane, come quella ornata da una sfinge con sifone interno, ivi rinvenuta sempre nelle prime decadi dell'ottocento.

 Il testo che segue sarà l'opuscolo illustrativo che accompagnerà tutto il percorso

Le Acque Albane Itinerario storico-paesaggistico

INDICE
L'ITINERARIO STORICO-PAESAGGISTICO 2
GENERALITÀ' 2
L'ITINERARIO PROPOSTO 3
NOTE STORICHE 6
LE TERME 8
LA CONSERVA D'ACQUA DEI CASTRA ALBANA 11
L'ANFITEATRO 12
GLI ACQUEDOTTI 13
IL PERCORSO NEL CRATERE DEL LAGO 16
L'EMISSARIO 18
BIBLIOGRAFIA 22
ALLEGATI 23
SCHEDE ILLUSTRATIVE

 

 

L'ITINERARIO STORICO-PAESAGGISTICO

GENERALITÀ'
L'importanza del ricco patrimonio ambientale ed archeologico dell'ager Albanus, a volte sfugge anche a chi queste zone le abita o le pratica per lavoro.
E' stato perciò naturale pensare di realizzare degli itinerari storici-paesaggistici del territorio, indirizzati a tutti coloro che, a vario titolo, si accostano alla conoscenza del nostro patrimonio ambientale, per trascorrere qualche ora in luoghi di un ricco passato, gustando così le caratteristiche storiche, archeologiche, paesaggistiche di questa parte dei Colli Albani.
I Castelli Romani hanno sempre rappresentato una meta ambita ed interessante: non è un caso che antiche famiglie patrizie dell'Urbe, Imperatori romani, Papi e Cardinali, abbiano sempre prediletto queste zone per la costruzione delle proprie sontuose dimore. E' stato nostro intento dunque, fornire una guida essenziale che permetta di conoscere le cose fondamentali, sia che siano facilmente raggiungibili, sia che si trovino in siti più nascosti.
Questo primo itinerario si propone di integrare, attorno al filo conduttore delle Acque Albane, gli aspetti storici ed archeologici con quelli ambientali, rappresentando una particolare chiave di rilettura del territorio attraversato e costituendo anche uno stimolo per sollecitare l'attenzione intorno ai problemi della conservazione e della valorizzazione di un patrimonio culturale ed ambientale che dovrà continuare ad esserlo anche per le generazioni future.

Il PERCORSO
L'itinerario può essere suddiviso in tre parti, così caratterizzate:
- prima parte, completamente urbana, nella cittadina di Albano Laziale, caratterizzata dalle evidenze dell'utilizzo delle Acque Albane, che verranno visitate con visita guidata;
- seconda parte, extraurbana, parte sul percorso degli acquedotti, parte su sentieri nel cratere del Lago di Albano, in pieno territorio del Parco dei Castelli Romani, caratterizzata da aspetti paesaggistici e naturalistici;
- terza parte, che si svolgerà nella parte più antropizzata del cratere del Lago, con sosta pranzo in riva al lago, visita dell'emissario, e ritorno ad Albano con la Ferrovia, dalla Stazione FF SS di Castel Gandolfo.
La tabella di marcia è la seguente:

Località Ora arrivo Durata Note
Albano FF SS 8.30' Raduno
Terme Cellomaio 8.45' 45' Visita guidata
Cisternone 10.00' 30' Visita guidata
Acquedotti 11.00' 90' Passeggiata
Riva del lago 12.30' 45' Passeggiata
Riva del lago 13.15' 2h Sosta pranzo
Emissario 15.30' 30' Visita guidata
C.GandolfoFFSS 17.30' 10' Rientro in treno

 

Il tracciato dell'itinerario è nato dal tentativo di trovare i legami tra la morfologia, gli aspetti naturali del territorio Albano e le opere che su questo l'uomo ha realizzato per renderlo più ospitale.
Sono molti i fili conduttori che si possono seguire per ritessere la struttura territoriale; quello da noi proposto è l'uso delle acque, il loro equilibrio naturale e gli interventi che su queste sono stati eseguiti in epoca romana.
L'anello che si percorre si propone, sia praticamente che come rappresentazione simbolica, di individuare un ciclo che tocchi i punti più rappresentativi di una struttura idrica: partendo da una utilizzazione socio culturale dell'acqua (terme) si risale al suo reperimento (sorgenti, acquedotti), attraverso strutture di accumulo (cisterne, lago) ed infine si torna all'ultimo utilizzo (agricolo, artigianale), prima di lasciare che attraverso i fossi della campagna romana queste acque, pienamente utilizzate, raggiungano il Tevere e quindi il mare.
Certamente il territorio non può dirsi modificato dagli uomini che per primi scelsero di vivere sul versante occidentale del massiccio vulcanico laziale. I resti delle opere realizzate non appaiono come costrizioni all'ambiente naturale, bensì la fatica e l'ingegno che traspaiono, osservando le tracce che gli scalpelli hanno lasciato sulle rocce di peperino, appaiono come un opera di ingentilimento delle forme cupe e massicce che le lave hanno creato.
Osservando la piana superficie del lago, il reticolato caratteristico delle opere romane, le volte muschiate delle cisterne, viene alla mente il giudizio settecentesco sulle bellezze della natura e dell'arte: le forme naturali sono così belle da sembrare l'opera di un artista; le opere dell'uomo, pur riconosciute come tali, hanno un aspetto ed un'affinità tali con l'ambiente naturale che le circonda da apparire opera della natura.

L'EQUIPAGGIAMENTO
La passeggiata complessiva per raggiungere tutti i luoghi indicati è di circa sette chilometri, con un dislivello, da percorrere sia in salita che in discesa, di circa 180 metri.
I tempi di percorrenza, calcolati al netto delle soste, con passo normale, sono di circa tre ore, distribuite nell'arco dell'intera giornata.
Tenendo conto che metà circa del percorso è su sentieri nel bosco del Lago, occorre indossare scarpe robuste, con suola antiscivolo, possibilmente a "carrarmato". Si consiglia di portare un K-way anti pioggia/vento.
La sosta pranzo avverrà sulla riva del lago, con colazione al sacco, a cura di ciascun partecipante. Portare una borraccia.
L'Associazione provvederà a fornire i biglietti di ingresso ai monumenti ed il biglietto ferroviario di ritorno ad Albano.

 

NOTE STORICHE
L'AGER ALBANUS
L'ager Albanus era, ed è tuttora, tra i più fertili e salubri della campagna romana: è situato in collina e aperto ai venti marini di ponente, mentre il Monte Cavo lo ripara dai venti continentali.
Per questo fatto l'agro Albano fu prescelto, come il Tuscolano ed il Tiburtino, dai ricchi Romani per le loro amene ville estive, tanto maggiormente in quanto la Via Appia, la regina viarum, favoriva le rapide comunicazioni con Roma e poneva in una condizione privilegiata i fondi adiacenti.
Le prime ville di cui abbiamo notizia storica sono quelle risalenti al periodo repubblicano, tra le quali si sono potute identificare la villa di Clodio, tra la Via Appia e Castel Gandolfo in località Ercolano, e la villa di Pompeo, nel parco di Villa Doria ad Albano.
Ad esse possiamo aggiungere, in quanto ai margini dell'itinerario proposto, la villa di Palazzolo, sul cratere settentrionale del lago, al di sopra del vallone di Malafitto o Pescaccio.
Nel successivo periodo imperiale l'ager Albanus diventa luogo di soggiorno di molti Imperatori, che incorporano nel patrimonio imperiale le ville precedentemente indicate, nonché di vera e propria residenza principale dell'imperatore Domiziano, che si fa costruire una imponente residenza imperiale sul bordo meridionale del cratere del lago, tra Castel Gandolfo e l'odierna Albano, città all'epoca non ancora fondata.
Questa villa, dotata di ogni conforto secondo i canoni dell'epoca, quali un ippodromo, un teatro, ninfei (uno dei quali è stato trasformato in S. Maria della Rotonda, in Albano), occupava una superficie di circa quattordici chilometri quadrati, si estendeva da Monte Cavo fino alla Via Appia, racchiudendo dentro di se tutto il bacino e le pendici esterne del cratere del lago, incorporando le preesistenti ville di Pompeo e di Palazzolo, già acquisite al patrimonio imperiale progressivamente fin dal tempo di Augusto.

A questi insediamenti si aggiungono nel II secolo d.C. la fondazione, da parte dell'Imperatore Settimio Severo, dei Castra Albana, ovvero degli acquartieramenti della II Legione Partica, stanziata dall'imperatore per il controllo di Roma, in posizione strategica a ridosso della Via Appia, nel luogo dell'odierna Albano, di cui hanno costituito il primo nucleo urbano.
Questo insediamento fu reso nel tempo più confortevole con la costruzione di un imponente complesso termale, sul quale attualmente è installato il quartiere medioevale di Cellomaio, e di un anfiteatro, di cui esistono alcune rovine.

LE TERME
IL QUARTIERE DI CELLOMAIO
Il quartiere di Cellomaio sorge sugli imponenti resti di edifici termali ancora visibili e documentati in maniera suggestiva da alcune tavole del Piranesi.
Nella metà del XV secolo, in epoca rinascimentale, Pio II riconobbe gli edifici come impianto termale, contro la precedente tradizione che le attribuiva al mitico palazzo di Ascanio, antico re di Albalonga.
L'edificazione delle terme è stata attribuita inizialmente a Pompeo Magno o a Domiziano, anche se autorevoli pareri diversi le vogliono di epoca successiva. In particolare, il Lugli le attribuisce a Caracalla, in funzione della tecnica costruttiva adoperata. Certo l'Imperatore Caracalla per rappacificarsi con i legionari, irrequieti dopo l'uccisione del fratello Geta, ne promosse l'utilizzo da parte degli stessi.
Gli edifici, che in seguito presero il nome di "Cellae Magnae" per via delle grandi dimensioni delle aule, spesso di oltre 10 metri di lato, furono forse usati come prigioni nel periodo medioevale. Nel 1735 su gran parte dei resti venne edificato il conservatorio, oggi convento e scuola elementare delle suore Oblate di Gesù e Maria. Prima ancora l'aula tra il convento e l'Appia venne utilizzata per la chiesa di San Pietro.
GLI EDIFICI TERMALI
La costruzione è posta sul versante occidentale del cratere, protetta, dice Vitruvio, dai venti settentrionali. La facciata principale è rivolta a sud ovest, con magnifico panorama sulla campagna romana ed il mare. E' composta da tre ordini di piani. L'ingresso era probabilmente a sud est.
La superficie è di circa 6000 metri quadrati ed è posta sul lato a valle della via Appia, in posizione contigua alla villa di Pompeo ed altre che sorgevano lungo il versante del cratere sia in direzione sud che in direzione nord, e dalle quali era facile raggiungere l'accesso.
Le terme furono naturalmente utilizzate anche dai legionari che alloggiavano nell'accampamento fortificato di Albano (Castra Albana), a monte della via Appia. Questi incrementarono la loro affluenza in coincidenza del declino dell'uso delle terme da parte degli abitanti delle ville. L'attraversamento della via Appia era realizzato con un arco che scavalcava la strada, ancora visibile nel secolo scorso.
Gli ambienti erano imponenti, con volte a tutto sesto. Sulla facciata settentrionale della chiesa di San Pietro sono visibili avanzi di un'opera in grandi blocchi di peperino che appartengono ad un edificio più antico, probabilmente una tomba gentilizia posta lungo la via Appia. Da notare che l'edificio termale non è allineato con quello più antico di cui ha utilizzato le fondamenta, forse a causa di necessità imposte dall'adattamento al forte pendio. Per permettere l'accesso dal piano stradale furono, infatti, costruiti i locali di servizio in basso, sfruttando così in modo vantaggioso la forte pendenza.
La struttura dei muri è in riempitura di sassi di pietra albana, impastati con malta e lavorati sottili (alcuni centimetri) alternati con materiali in opera edilizia: mattoni e malta ottenuta con pozzolana locale e calce. Al secondo piano, verso il mare, in un angolo del muro perimetrale vi sono i resti di una vasca monolitica con base di 2,70 per 4 metri e profondità di 0,7 metri. La vasca aveva il suo interno completamente rivestito di marmo bianco.
Resti delle Terme sono inglobati nelle costruzioni di tutto il quartiere e sono ancora oggi ben visibili. La chiesa di San Pietro mostra, sui lati, la traccia di tre aperture, una di quasi 5 metri al centro del lato rivolto sull'Appia, una seconda di circa 3.5 metri sul lato corto e la terza della stessa misura sul lato verso il mare. Sullo stesso lato, oltre a due volte a botte, è anche visibile l'imposta di una terza che era a copertura di altri ambienti siti nell'attuale piazzetta.
Durante la costruzione della sacrestia e dell'oratorio della chiesa, a 2-3 metri di profondità furono scoperti dei mosaici con disegno geometrico, composti da tessere bianche e nere. Nelle strutture delle abitazioni private e del monastero sono visibili i tubi, le condotte ed i ricettacoli che ascendono ai piani superiori, le scale e le camere per i servizi, ed il tutto da la testimonianza della grandiosità della costruzione.
I locali delle terme romane, escludendo quelli di servizio, erano divisi in tre ambienti: il frigidarium, il tepidarium ed il calidarium. La diversità era data dalla temperatura delle acque disponibili in ogni ambiente attraverso il quale passavano i frequentatori delle terme. In ognuna delle aule erano disponibili sedili per sostare e conversare. L'acqua era scaldata da grandi stufe e quindi convogliata nelle tubazioni di distribuzione.

L'ubicazione del frigidarium del calidarium e del tepidarium del complesso di Cellomaio non è stata unanime. Alcuni autori hanno posto il calidarium in alto in considerazione della sezione dei tubi di alimentazione delle vasche, altri viceversa hanno posto il calidarium al piano terra, in prossimità delle stufe di riscaldamento. In generale, i tre diversi ambienti venivano posizionati anche con criteri geografici (calidarium esposto a Sud, frigidarium a Nord), per meglio sfruttare l'insolazione.
L'acqua che alimentava le terme era ottenuta attraverso una fitta rete di cunicoli che percorrevano il sottosuolo di Albano, captando e trasportando le acque, come testimonia anche Leon Battista Alberti. Naturalmente molta dell'acqua proveniva dagli acquedotti di Malaffitto e Palazzolo. Tutti questi rivoli di acqua erano raccolti in una enorme piscina posta sotto l'attuale palazzo Savelli: da qui un condotto sottopassando l'Appia raggiungeva l'edificio termale.

 

LA CONSERVA D'ACQUA DEI CASTRA ALBANA
IL CISTERNONE
All'interno dei Castra e, più precisamente nella parte più elevata del colle perché potesse fornire acqua a tutti gli edifici sottostanti, si trova una grande conserva d'acqua di 10.000 Mc, detta "il Cisternone", alimentata dagli acquedotti, di cui diremo dopo, di Cento-bocche, originariamente, e di Malaffitto alto, successivamente, attraverso il ramo dedotto per portare l'acqua all'Anfiteatro.
L'opera è a forma di trapezio irregolare, di circa M. 48 x 32 x 10, divisa longitudinalmente in cinque navate, con volte sostenute da 36 pilastri di m. 2,80 x 1,80 di sezione. Fu scavata per una profondità di circa M. 4 nella roccia vulcanica nella quale, progredendo lo scavo, furono ricavati anche i pilastri di sostegno delle volte. Il tutto fu poi portato all'altezza desiderata, circa nove metri, con mattoni: le pareti laterali furono completate, parte in reticolato, parte in laterizio.
La copertura fu eseguita con volta a tutto sesto di piccole scaglie di tufo e malta compatta.
Nella parete di ponente si aprivano in origine cinque grandi finestroni, in seguito ristretti per precauzione sulla stabilità del monumento. Altre finestre, oggi chiuse, si aprivano sui lati contrapposti di sud est e nord ovest: queste, insieme ai lucernari circolari aperti sulle volte, contribuivano a rendere arieggiati gli ambienti e salubre l'acqua.
Nell'anno 1884 il Comune di Albano riattivò gli acquedotti antichi, che portavano l'acqua anche al Cisternone, ripristinandone l'utilizzo come conserva d'acqua potabile per la cittadina. Ciò durò fino al 1912 quando, per imperfezioni nel ripristino dei condotti, l'acqua non risultò più potabile, ed il suo utilizzo fu limitato all'irrigazione.

 

L'ANFITEATRO

L'anfiteatro risale all'età di Settimio Severo (193 D.C.), o di suo figlio Caracalla. Fu fatto costruire per lo svago dei Legionari della II Legione Partica, probabilmente impiegando proprio gli stessi Legionari come manodopera, dato che l'opera presenta una mediocre qualità di esecuzione.
Esso è per metà scavato nel vivo banco roccioso e per l'altra metà costruito su una terrazza artificiale. Veniva alimentato per i giochi acquatici da un ramo appositamente derivato dall'acquedotto di Malaffitto alto. Aveva una capienza di circa 16.000 spettatori, che potevano rappresentare l'intera popolazione residente nei Castra Albana.
Infatti i Legionari in senso stretto erano 6.000, a cui occorreva aggiungere i famigliari degli stessi, che la riforma militare di Settimio Severo permetteva vivessero negli accampamenti accanto ai loro congiunti sotto le armi.
A questi occorre aggiungere infine gli artigiani che vivevano accanto ai Castra, ai quali assicuravano la manodopera specializzata.
Nei secoli successivi al suo abbandono, fu riadattato il II fornice ad oratorio cristiano da parte della primitiva comunità cristiana locale.
Oggi circa metà del monumento è perduto in quanto distrutto dalla costruzione di una strada asfaltata che insiste proprio sulla parte scavata nel banco di roccia vulcanica.

GLI ACQUEDOTTI

LE ACQUE ALBANE
Possiamo affermare quindi, che l'ager Albanus è stato sempre luogo di importanti e ricchi insediamenti che, come tali, necessitavano di grandi quantità di acqua.
D'altra parte, nella zona, e più precisamente nelle località Palazzolo e Malaffitto sono sempre esistite sorgenti: l'acqua, incanalata, veniva portata con tre acquedotti di circa tre chilometri di lunghezza fino all'Albano, garantendo l'alimentazione dei diversi insediamenti.
I tre acquedotti sono stati costruiti in epoche diverse, presumibilmente in accordo con lo sviluppo degli insediamenti e sono costituiti da gallerie sotterranee o a livello del terreno che correvano quasi parallele, ad altezze differenti, lungo l'orlo meridionale del cratere.

CENTO-BOCCHE
L'acquedotto più antico è il più basso. Ha le sorgenti sparse per una lunga regione, perché raccoglie acqua da numerose infiltrazioni sul terreno, tra Palazzolo e Malaffitto: per questo motivo l'acquedotto è stato chiamato CENTO-BOCCHE.
Le sorgenti vengono a poco a poco radunate in un largo alveo e racchiuse in condotto unico. Nella seconda metà del XIX secolo, il comune di Albano ha ripristinato l'acquedotto forzando condutture di ghisa nel cunicolo antico, per circa metà del percorso.
La galleria originaria (M. 0,65x1,65), dopo aver percorso il cratere del lago, giunta sotto il colle dei Cappuccini, si interra con un largo cerchio e sbuca presso la Piazza S.Paolo a circa tre metri sotto il suolo.
Il tratto sotto il colle è tutto scavato in roccia viva, con l'ausilio di tre pozzi di areazione ed evacuazione materiali, uno dei quali profondo M. 43.
L'ultimo tratto di acquedotto all'interno di Albano è perduto: si ritiene comunque che, data la direzione dei tratti esistenti ed il fatto che l'opera risale al periodo precedente a Domiziano, destinazione della stessa fosse la villa di Pompeo, successivamente alla sua acquisizione al demanio imperiale.
Al tempo di Domiziano servì certamente per le sue costruzioni termali, quali il ninfeo di S.Maria della Rotonda.
Al tempo di Settimio Severo fu destinato ad alimentare il serbatoio d'acqua dei Castra Albana (Cisternone).

MALAFFITTO BASSO
Il secondo acquedotto, per ordine di quota e di tempo, prendeva l'acqua dalla sorgente di Pescaccio, in una grande insenatura del cratere. Anch'esso è stato riutilizzato attraverso la stesura di nuove condutture che portano l'acqua ai Palazzi Apostolici di Castel Gandolfo.
Di esso sono visibili alcuni tratti sul sentiero Cappuccini-Palazzolo.
Il tracciato antico proseguiva oltre la villa di Domiziano, pertanto si ritiene che servisse la regione sottostante l'attuale Castel Gandolfo, dove si trovano le rovine della villa di Clodio, nonché di una grande conserva d'acqua, simile al Cisternone, posta negli Orti Torlonia.

MALAFFITTO ALTO
Il terzo acquedotto è quello costruito certamente da Domiziano, in quanto portava l'acqua da sorgenti più alte di Malaffitto, fino alla grande "piscina limaria" (vasca di decantazione) sul colle alto della propria villa, per alimentare i servizi della stessa.
All'altezza del colle dei Cappuccini una diramazione sotterranea, di epoca successiva, portava l'acqua all'Anfiteatro. Da qui, un ulteriore condotto giungeva al Cisternone, rafforzandone l'alimentazione.
L'opera, considerata perfetta da un punto di vista idraulico, è probabilmente stata costruita sotto la supervisione di Alyphus, Procurator acquarum della Villa imperiale.

L'ACQUA AUGUSTA
Un quarto acquedotto fu scoperto nel 1872 alle pendici orientali del Monte Cavo: si tratta dell'Acqua Augusta, così come nominata su alcuni cippi rinvenuti sul suo percorso.
Questo acquedotto, il cui percorso in buona parte è andato perduto, fu costruito da Augusto Imperatore, per portare l'acqua dalle sorgenti di Pentima Stella fino alla villa di Palazzolo, dopo che la stessa fu acquisita al demanio imperiale.
Dopo la costruzione dell'acquedotto CENTO-BOCCHE, i successivi Imperatori raccordarono quest'ultimo con il tratto finale dell'ACQUA AUGUSTA, tra Palazzolo e Malaffitto.

 

IL PERCORSO NEL CRATERE DEL LAGO

Il tratto del nostro percorso che ci porta dalla zona degli acquedotti antichi alla riva del lago, attraversa gli ambienti tra i più intatti dei Colli Albani, in quanto la ripidità delle coste del lago ha impedito nel passato una edificazione ed una presenza antropica pressante, ed oggi il territorio ricade interamente nel Parco Regionale dei Castelli Romani. Ciò risulta vero soprattutto per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici e vegetazionali originali del Vulcano Laziale, di cui il lago rappresenta l'unione di due crateri.
Dopo aver percorso un tratto del sentiero Cappuccini-Palazzolo alla ricerca dei tratti visibili dell'acquedotto di Malaffitto basso, si imboccherà a sinistra un viottolo che attraverso il bosco originario misto del Vulcano laziale, ci condurrà, scendendo con un declivio non modesto, in riva al lago, raggiungendo il sentiero Cabina di Papa Culla del lago, che verrà percorso verso l'Emissario. Ad un terzo circa della discesa, verrà effettuata una deviazione a sinistra per vedere alcuni tratti dell'acquedotto più antico, quello di Cento-bocche.
In tutto il tratto si può ammirare una variegata e rigogliosa vegetazione, composta da Castagno (l'unica essenza non autoctona, in quanto introdotta nel XVII secolo), Leccio, Carpino nero e bianco, Nocciolo, Acero, Tiglio, Olmo, Roverella, Lauro. Lungo le rive del lago vi sono molti esemplari di Ontano nero e di Pioppo nero.
Per quanto riguarda gli arbusti, sono presenti varie specie: l'Orniello, l'Agrifoglio, la Ginestra dei carbonai, il Biancospino, il Sambuco nero, il Ligustro, il Corniolo, il Pungitopo.
Vari scorci panoramici del lago e passaggi tra rocce incastrate nel sentiero, rendono molto suggestivo questo tratto, che ci permette di arrivare sulla riva del lago.
Sulla riva del lago è comune la Cannuccia di palude, la cui presenza in alcuni tratti elle rive, forma estesi canneti. Questi offrono un habitat perfetto per alcune specie di uccelli acquatici: particolarmente presenti sono il Germano reale, la Folaga, la Gallinella d'acqua. Anche il Cormorano e più raramente il Martin pescatore sono presenti in questo bacino lacustre. Una colonia di Gabbiani risiede abitualmente al centro del Lago.
La fauna ittica è costituita da numero specie, sia indigene che immesse: la Tinca, la Carpa, il Persico-sole, l'Anguilla, il Cefalo, il Luccio, l'Alborella, la Scardola, il Cavedano, la Trota iridea, l'Agone, il Persico reale.

L'EMISSARIO

La realizzazione dell'emissario del lago di Albano entra nel mito di Roma repubblicana, ed è associata alla conquista della città etrusca di Veio, dopo una lunga lotta.
Racconta Plutarco che nell'anno 357 dalla fondazione di Roma (398 A.C.), la città era in guerra con Veio e l'assedio portato alla città dai romani durava ormai da sette anni senza risultati. In quell'anno si verificò un evento prodigioso. L'estate appena terminata non era stata particolarmente piovosa e molti fiumi e laghi ridussero sensibilmente il livello delle loro acque. Invece il lago di Albano, privo di immissari ed emissari, senza alcun motivo si gonfiò tanto che le acque si riversarono precipitando nella regione sottostante, inondando le campagne e recando danno ai pastori e bovari che tenevano le loro mandrie nei dintorni.
Il fatto fu interpretato come voluto dagli Dei ed un segreto oracolo disse che Veio non sarebbe mai stata presa se i romani non avessero fatto tornare indietro le acque del lago quando fossero straripate. Interrogato, l'oracolo di Delfi ammonì i romani ad arrestare il deflusso dell'acqua in direzione del mare e di farla risalire al suo antico bacino o di deviarla e disperderla nella pianura con canali e fossi impedendo che raggiungesse il mare. I romani molto rispettosi dei presagi e degli oracoli, realizzarono nell'anno successivo, il 358 dell'età di Roma, l'emissario.
Non è facile tradurre in termini reali la storia che Plutarco narra per individuare, a partire dal conflitto della civiltà latina con la civiltà etrusca, le ragioni pratiche che indussero alla realizzazione dell'opera.
Individuare connessioni oggettive tra la battaglia con Veio ed il riversarsi delle acque in direzione del mare è certo arduo. Restando ai dati pratici, va considerato che la zona posta sul ciglio del cratere e la riva del lago era popolata fin da tempi remoti, come testimoniano vari autori e i molti ritrovamenti, avvenuti nell'ultimo secolo, di oggetti recuperati anche al disotto delle ceneri vulcaniche. E' quindi verosimile che il processo di antropizzazione richiedesse progressivi interventi sul territorio.

Appare quindi di estrema utilità la regimentazione del livello del lago, per sfruttare appieno i terreni posti all'interno del cratere, in prossimità della riva, per scopi agricoli. Inoltre la stabilità del livello rendeva possibile la realizzazione di strutture stabili, sia a scopo residenziale che per attività di pesca o allevamento di pesci. Opere simili furono realizzate anche nel vicino Lago di Nemi e per la bonifica della Valle Ariccia.
Inoltre il responso dell'oracolo imponeva che le acque estratte dal lago non avrebbero dovuto raggiungere Roma o il mare, come la storia narra che accadeva, ma essere regimentate in altro modo. Tentando un'interpretazione si può ipotizzare, ribaltando in termini positivi la frase, che le acque dovessero essere indirizzate a qualcosa di specifico. Forse ad alimentare il versante occidentale esterno del vulcano e la pianura sottostante.
Il significato implicito di impedire alle acque di raggiungere il mare è di deviarle ad occidente verso il Tevere. Tenendo conto anche della testimonianza di Tito Livio e di quella prima citata di Plutarco, in quell'anno le acque del lago aprirono o ampliarono un varco sulla parete sud occidentale del cratere riversandosi a valle verso il mare. Conseguentemente le sorgenti al disotto di Castel Gandolfo potrebbero aver diminuito la loro portata, comunque, tenuto conto del progressivo controllo del territorio che in quel periodo storico era in atto, a seguito di uno sviluppo nella zona dove poi venne realizzata l'Appia, la necessità di acqua era un problema da affrontare e risolvere.
Analizzando la struttura orografica del versante occidentale del cratere appare evidente che il varco doveva essersi aperto approssimativamente nella zona di Albano, certo a sud del rilievo di monte Savello da cui parte il crinale che collegandosi a Pratica di Mare segna lo spartiacque tra il bacino che si riversa nel Tevere e quello le cui acque confluiscono nella direzione di Ardea, e quindi al mare. Naturalmente l'emissario doveva essere realizzato con lo sbocco a nord di monte Savello per riversare le acque nel bacino di Malafede, verso il Tevere. Cosi come poi fu realizzato, a monte del lago detto di Turno (località Laghetto).
Con questa opera l'acqua veniva ad essere meglio utilizzata e probabilmente la campagna fu liberata da inondazioni che non erano superficiali e fenomenali ma sotterranee e permanenti.
Ancora oggi le acque hanno un utilizzo sociale alimentando dei lavatoi (sempre meno utilizzati) e poi attraverso gli orti vengono impiegate per l'irrigazione.
Nel Medioevo vennero costruite, allo sbocco dell'emissario, delle mole per la macinazione, e con queste venne realizzata una caratteristica torre difensiva quadrata in peperino ancora esistente ed individuabile per un vasto tratto al disopra delle chiome degli ulivi che la circondano. Intorno ai fontanili ed alle mole si costituì un borgo medioevale di cui oggi non restano tracce se non nella disposizione delle abitazioni.
Molti degli abitanti di Albano ricordano le donne che con le ceste dei panni, in equilibrio sulla testa, andavano con il loro carico oscillante verso i lavatoi, e nel buio prima dell'alba cantavano e si chiamavano per farsi coraggio contro i cattivi incontri. Andavano presto per tornare alle loro case in tempo per accendere il fuoco e preparare il pranzo. E qualcuno di questi uomini, bambino, era tra quelli che si tuffavano nelle vasche durante i pomeriggi d'estate.
L'opera di perforazione dell'emissario venne completata in circa un anno. Il canale, con volta a mezza botte, è tagliato nel peperino e nella lava lungo un percorso di circa 1400 metri. Passa sotto il cigli del cratere che raggiunge la massima elevazione verticale di 130 metri; circa la stessa altezza della cima dalla superficie del lago. Il cunicolo fu fatto mentre il livello delle acque nel cratere era superiore alla norma, l'opera non poté aprirsi se non dallo sbocco stabilito.
Data la ridotta dimensione del canale, circa 1,2 metri di larghezza e poco più di altezza, non potevano lavorarvi più di due-quattro uomini. Di conseguenza il completamento avrebbe comportato più dell'anno previsto. La soluzione si ottenne scavando una serie di 63 pozzi verticali lungo la traiettoria da seguire, che permisero di suddividere il lavoro per poter lavorare contemporaneamente e di aerare l'ambiente.
Dato che la profondità media dei pozzi è circa 60 metri e che una persona con lo scalpello poteva tagliare poco più di trenta centimetri di roccia al giorno, vennero impiegati 200 giorni per scavare i pozzi e portarli al piano dell'emissario. La distanza media tra un pozzo e l'altro è poco più di 20 metri, quindi ci vollero poco più di 100 giorni per collegarli. Sommando i giorni si ha circa un anno, il tempo stabilito.
Dopo che il canale fu portato ad una certa perfezione, venne forato l'ultimo diaframma di roccia che lo separava dalle acque. Successivamente, verificato che la pendenza era eccessiva, venne rialzato il piano con una costruzione artificiale posta a circa 120 metri dentro il cunicolo, che rende inaccessibile il passaggio.

All'imbocco dell'emissario vi è una camera, adibita a manovra, realizzata in opera quadrata con massi di peperino, ancora ben visibile benché la volta sia crollata. La figura ad arco piano dell'imbocco ed il tipo di costruzione delle pareti possono far pensare ad una sistemazione successiva alla prima realizzazione. Anche allo sbocco è possibile notare, ormai molto parzialmente opere di sistemazione con blocchi quadrilateri di peperino.

 

BIBLIOGRAFIA

" Storia di Roma - Tito Livio
" Camillo (Vite parallele), Plutarco
" Le acque e gli acquedotti di Roma antica - Rodolfo Lanciani, 1881
" La villa di Domiziano - Giuseppe Lugli, 1918
" La campagna romana - Gaetano Tomassetti, 1910
" Guida ai sentieri naturalistici dei Laghi di Nemi ed Albano - Parco Regionale dei Castelli Romani, 1992
" Castra Albana - F. Tortorici, 1975

Si ringrazia per la collaborazione la Biblioteca del Museo Civico di Albano.

 

ALLEGATI

 

" Mappa tematica della cittadina di Albano Laziale nel 1918
" Mappa topografica del Lago di Albano, con il percorso degli acquedotti
" Mappa topografica del percorso nel cratere del Lago
" Mappa tematica delle zone attraversate dall'Emissario
" Riproduzione delle incisioni del Piranesi della camera di manovra dell'Emissario

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