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L'Osservatore europeo

 

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ECCO L'EURO!
Una grande opportunità per l'Europa

di PUBLIUS*


INTRODUZIONE
L´introduzione dell´euro costituisce una rivoluzione, la più grande rivoluzione di questo tipo che sia mai avvenuta in un continente.
Infatti di questo si tratta: mai, nella storia, un numero così elevato di persone ha abbandonato la propria moneta per una comune; e mai un certo numero di Stati (sovrani, tanto numerosi e rilevanti) ha demandato ad un ente sovrano e indipendente da ciascuno la gestione della propria moneta.

Nei primi mesi dell´anno 1998 tutta la politica europea aveva un appuntamento importantissimo: si sarebbero dovuto decidere i paesi IN e i paesi OUT dell´eurozona.
I parametri stabiliti dal Trattato di Maastricht erano alquanto stringenti e alcuni Paesi hanno avuto difficoltà ad entrare nell´ammissibilità all´euro.

In particolare le situazioni finanziarie dell´Italia e del Belgio apparivano abbastanza gravi.
L´Italia era riuscita ad aggiustare i propri conti in un tempo così breve che ha dell´incredibile, e questo è un fatto molto rilevante.
I due Paesi, però, pur rispettando quattro dei cinque parametri previsti dal Trattato, non potevano rispettare il quinto, quello relativo al debito pubblico, che il Trattato richiedeva non superiore al 60% del PIL.

L´Italia si trovava invece con un debito pubblico di oltre il 120% del PIL ed il Belgio addirittura oltre il 130%.
Ma i due Paesi confidavano in una soluzione politica del problema, per la quale, peraltro, un certo spiraglio era già stato lasciato aperto in sede di stesura del Trattato.

Infatti, a differenza degli altri parametri i cui valori erano stabiliti tassativamente, il tetto del 60% del PIL per il debito pubblico era indicato orientativamente; e questo per il fatto che, trattandosi di un accumulo di gestione finanziaria di parecchi anni, non era assolutamente realistico poter rientrare in tempi brevi per chi se ne fosse troppo allontanato.

Alla fine, grazie ad un´intensa e persuasiva opera diplomatica svolta dai massimi rappresentanti politici ed economici del nostro Paese, l´Italia ha superato l´esame di idoneità all´ingresso nell´euro.

L´effetto benefico dell´agganciare la lira italiana all´euro (ossia alle altre monete) con un rapporto non fluttuante ma rigorosamente fisso si è fatto sentire subito: ed ora, grazie alla riduzione dei tassi d´interesse, alla migliore gestione economico finanziaria e soprattutto alle privatizzazioni che hanno portato una grande quantità di capitale in riduzione del debito pubblico, questo veleggia verso il 100% del PIL.

Si è trattato però di operazioni possibili solo una volta, quindi ora è necessario lavorare sulla riduzione della spesa pubblica migliorando la gestione delle entrate in direzione dell´ottimizzazione della destinazione delle risorse.

Già da anni la nostra lira è morta assieme a 10 altre monete, tra le quali il marco tedesco ed il franco francese!
A partire dalla mezzanotte del 31.12.1998, l´euro è l´unica moneta di undici Paesi dell´Unione europea e da allora le nostre monete nazionali hanno cessato di esistere.
La stessa definizione del vocabolo “lira” è mutata!
Se avete sottomano un vocabolario aggiornato, potrete leggervi, alla voce “lira”, che questa, a partire dal 1999, era diventata un sottomultiplo non decimale dell´euro.

I PAESI “IN”

I Paesi entrati nella terza fase dell´Unione monetaria fin dall´inizio furono i seguenti 11:

• Austria
• Belgio
• Finlandia
• Francia
• Germania
• Irlanda
• Italia
• Lussemburgo
• Olanda
• Portogallo
• Spagna

A partire dal 1º gennaio 2001, a questi undici si aggiunse la Grecia.
La dracma diventò così la dodicesima moneta soppiantata dall´euro.

Il Trattato di Maastricht imponeva di esaminare l´idoneità delle monete candidate entro la fine del 1998.
La dracma era pure candidata, ma non superò l´esame del Consiglio dei ministri.
In soli due anni, grazie ad una più attenta politica finanziaria, la Grecia riuscì a far promuovere la dracma ... in seconda sessione: in tempo utile per agganciare gli altri undici Stati sul traguardo della messa in circolazione dell´euro fisico, che è avvenuta il 1º gennaio 2002.

I PAESI “OUT”
La Danimarca, la Gran Bretagna e la Svezia per ora non fanno parte dell´eurozona. Non si tratta, però, né di esclusione né di opzione definitiva.

E´ noto che la Gran Bretagna si mantiene da sempre in regola con i ”parametri di Maastricht” e che il governo Blair ha in animo di abbandonare la sterlina per aderire all´euro quanto prima possibile, ossia non appena tale convenienza sarà compresa dalla maggioranza dei cittadini britannici.

Anche la situazione finanziaria della Danimarca e della Svezia sono tali da consentire il rispetto di quei parametri e l´adesione alla moneta unica quando quei due Paesi lo volessero.
Ed è pure noto che le simpatie per l´euro sono in crescita in entrambi i Paesi scandinavi.
Il loro ingresso nell´eurozona può dipendere fortemente dal collaudo dell´euro per mezzo della sua circolazione in quel grande bacino economico che è l'eurozona.

E´ probabile –come affermano i fautori dell´ingresso nell´eurozona britannici– che nel volgere di un biennio o anche meno, molti euroscettici cambieranno opinione.
Staremo dunque a vedere quale impatto sull´economia in tutta l´eurozona e nei rapporti col dollaro, –e di riflesso sull´opinione pubblica dei tre Paesi “out”– può avere la circolazione dell´euro fisico.
Non è affatto escluso che per il 2004 (ossia all´arrivo di altri Paesi nell´UE) tutti i Quindici attuali siano entro l´euro rendendo coincidenti (se pur per poco tempo) Unione Europea ed Unione Economica Monetaria.

La prova del fuoco sarà il referendum nel Regno Unito (non ancora deciso ufficialmente ma già nelle previsioni sia del governo laburista che dell´opposizione conservatore).
L´esito del referendum britannico non mancherà di influire profondamente sull´opinione pubblica scandinava abituata da sempre a vedere i propri Stati associati alla politica del Regno Unito (come avvenne per l´adesione all´EFTA prima e per quella alla CEE successivamente).
Infine, è anche possibile che il governo norvegese tenti per la terza volta di entrare nell'Unione Europea e che questa volta la spunti dal momento che solo di pochissimo il proposito è fallito in ciascuno dei due referendum precedenti.

C´è dunque all´orizzonte anche la Norvegia e non solo essa: in altri Paesi candidati (come la Slovenia, la Repubblica Ceca, l´Ungheria, ....) già si muovono forze politiche intenzionate a portare nell´euro il proprio Paese.

L´INTRODUZIONE DI UNA MONETA UNICA
Che significa l´introduzione di una moneta unica?
Finalmente un´economia altamente integrata come quella dell´Unione europea è dotata di una sola moneta!
Essa facilita enormemente gli scambi e annulla il rischio di cambio.

Se ci guardiamo intorno, ci rendiamo conto che la maggior parte dei beni che ci circondano non sono più nazionali ma prodotti nell´Unione europea.

Da tempo ormai il nostro non è più un mercato comune ma un mercato unico: un solo grande mercato con libera circolazione di persone, merci, capitale e servizi.
In tale situazione l´impiego nelle transazioni di un´unica comune moneta è assolutamente indispensabile essendosi resi ormai insostenibili i costi aggiuntivi dovuti alla complicazione del cambio in un contesto in cui gli scambi sono quotidiani e relativi ad ogni tipo di bene, ed al rischio di cambio inevitabile in condizioni di rapporti fluttuanti tra i valori delle monete.
L´Unione monetaria è dunque il suggello della completa integrazione del mercato europeo.

Immaginiamo di tornare nel 1998 e di intraprendere un viaggio in giro per l´Europa per visitare varie località turistiche portandovi appresso un milione di lire.
Avremmo subito dovuto cambiarne parte in scellini in Austria, poi in marchi in Germania, poi in fiorini in Olanda, ecc.
Una parte del nostro milione sarebbe stata divorata ad ogni cambio dal costo della relativa commissione: e del milione sarebbe rimasto ben poco.

Gli obiettori alla conversione dalle monete nazionali alla moneta comune, per mostrare che quest´ultima non sarebbe affatto vantaggiosa, accampano spesso il ragionamento seguente.
Demandando la politica monetaria ad un ente superiore non più sottoposto al controllo dello Stato (o di una banca nazionale), di fatto si rinuncia ad una delle leve cui fare ricorso per accelerare o per rallentare l´economia (a seconda delle necessità), riaggiustando il tasso di sconto.
Quando l´economia di uno Stato è nella fase di espansione serve un aumento dei tassi di interesse (di colpo innescato dall´aumento del tasso di sconto operato dalla banca centrale) in modo da rallentare la crescita.
Viceversa, in presenza di stagnazione o di recessione, serve una riduzione dei tassi di interesse per stimolare l´economia, cioè una diminuzione del tasso di sconto.
In un mercato che coinvolge molti Stati con situazioni di sviluppo distinte, una moneta unica non porge più quella possibilità di diversificare le rispettive politiche monetarie.

E´ chiaro che questa obiezione è speciosa ma inconsistente.
Supponiamo di accettarne il percorso logico.
Anche all´interno d´un medesimo Stato ci sono regioni in situazioni distinte di sviluppo economico: ma a nessuno verrebbe in mente di creare altrettante monete da porre sotto il controllo di rispettivi poteri regionali! L´incentivo alla riduzione degli squilibri regionali è compito dello Stato: spetta a lui mettere in atto interventi o favorire operazioni utili ad armonizzare l´economia del Paese.

Esiste apposta un governo che sovrintende alla totalità del territorio e dispone di facoltà di coordinamento economico globale.
E´ anche evidente che una struttura federale basata sui principi della sussidiarietà e della solidarietà (quale quella dei Länder in Germania) si presenta molto più efficace di una struttura centralizzata nell´affrontare il problema degli squilibri regionali.

Pertanto, l´obiezione che la mancanza di controllo nazionale sulla politica monetaria rende più difficile l´allineamento economico degli Stati membri dell´UE porta a riconoscere l´opportunità d´un ulteriore e decisivo passo sulla via dell´integrazione: quello dell´integrazione politica di tipo federale.

Si tratta, dunque, di ammettere che l´Unione monetaria è insufficiente perché occorre anche un Governo europeo, non già di un'inopportunità dell'UEM!

Si tratta allora di guardare ancora in avanti, e non già coltivare la nostalgia del passato.
Se poi ricordiamo quanto vane sono risultate le varie manovre operate dalle banche nazionali europee negli anni terribili precedenti l´avvio dell´Unione monetaria, non possiamo avere più dubbi.
Proprio perché il mercato non è più nazionale ma europeo e mondiale, proprio perché le dimensioni del singolo Stato europeo sono piccole rispetto ai poteri di concentrazioni economiche internazionali sulle quali il singolo Stato non ha controllo, la classica politica monetaria risulta assolutamente velleitaria in mano ai governi nazionali.

Ciò è stato ampiamente dimostrato dalle tempeste monetarie del 1992, quando lira italiana e sterlina britannica si trovarono estromesse dallo SME nonostante il soccorso cospicuo del marco tedesco e nonostante l´allargamento della banda permessa di oscillazione dei cambi da ±6,25% a ±15%.

Certo: l´Unione monetaria dell´Europa senza un Governo europeo è insufficiente.
E di ciò ci si rende conto subito se si instaura un confronto tra l´euro e il dollaro e si considera che la BCE è un organo analogo alla FED ma con la sostanziale differenza che alla BCE sta dietro il solo impegno per mera convenienza di un pool di Stati rimasti formalmente sovrani, mentre alla FED sta dietro un autentico Governo Federale.

Ma i benefici effetti dell´euro, ancor prima che esso sia stato effettivamente in circolazione, sono inoppugnabili.
La presenza di una sola moneta tende a smussare gli squilibri regionali col risultato che, a lungo andare, il livello dei prezzi tende ad allinearsi al livello inferiore.
Infatti, la moneta unica, con l´assoluta trasparenza dei prezzi, realizza completamente l´osmosi del mercato costringendo i prodotti ad allineare i propri prezzi competitivamente, ossia ai livelli inferiori.
Tutto ciò sta succedendo sotto gli occhi di tutti, come dimostra il calo del tasso di inflazione in tutti i Paesi dell´eurozona dove prima era grande (e particolarmente in Italia dove nel giro di qualche anno l´inflazione è diminuita da circa il 6% annuo a meno del 3%).

*Relatori:
Saverio Cacopardi, Pierangelo Fiora, Simona Giustibelli, Luigi V. Majocchi, Marco Spazzini, Arnaldo Vicentini

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