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L'Osservatore europeo

 

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L'IMMEDIATO "DOPO MAASTRICHT"
Alla vigilia di Laeken

di PUBLIUS*


Il Trattato di Maastricht, pattuito dai Dodici nel Consiglio europeo il 14.12.1991, fu senz´altro l´ennesimo “topolino partorito dalla montagna”.
Dopo tante aspettative, riunioni preparatorie, speranze, il vero vincitore della partita fu ancora una volta il Regno Unito.

E´ rimasta storica l´affermazione del Premier inglese che, parafrasando il linguaggio tennistico, uscì dall´incontro dicendo: “Game, set and match for Britain!”.

Delusissimo invece il principale artefice della storia europea dell´epoca: Jacques Delors.
Per meglio dire: deluso ma per nulla remissivo.

E' sintomatica a mio parere la cadenza temporale di due avvenimenti:
il 7 Febbraio 1992 c'è la firma del Trattato, ma l´11 febbraio, a soli 4 giorni, la Commissione Europea approva (e come da regolamenti comunitari invia per l´approvazione al Consiglio) il cosiddetto Pacchetto Delors 2, una serie di provvedimenti atti a rafforzare l´integrazione economica fra i Dodici, fra cui l´istituzione del fondo di coesione, come previsto dal Trattato di Maastricht, l´ampliamento degli stanziamenti dei fondi strutturali, indirizzandoli verso i Paesi più deboli.

Questi provvedimenti avrebbero necessitato un incremento degli stanziamenti a favore della Comunità, passando dall´ 1,20% all´ 1,37% del PIL e perciò con un incremento del 14%.
Al di là della manovra però, è chiaro il significato politico dell´operazione: la Commissione rilancia il proprio ruolo di avanguardia nel processo di integrazione, e senza perdere nemmeno un giorno rilancia le proposte incalzando i governi nazionali.

Da un punto di vista politico il 1992 fu un anno denso di avvenimenti che vale la pena ricordare brevemente, perché fu un anno di svolta, da un inizio d´anno di ispirazione europeistica (non di vero fervore) si passa ad un fine anno in cui le ombre ed il fastidio per le posizioni pro Unione Europea sembrano prevalere.

Poche settimane dopo il Trattato di Maastricht, con gli accordi di Porto, viene creato lo SEE (Spazio Economico Europeo).
In breve le regole di libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi viene estesa anche ai Paesi che si erano uniti nell´EFTA: Svizzera, Austria, Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda.

In questo modo si crea un unico mercato di 380 milioni di persone, il più importante mercato mondiale per numero e valore delle transazioni.

Da un lato è lo sgretolamento definitivo di una organizzazione creata dalla Gran Bretagna in contrapposizione alla Comunità con l´ispirazione di area esclusivamente di libero scambio, dall´altro l´anticipazione dell´ingresso nella Comunità di tre Paesi (Svezia, Finlandia e Austria) che, finiti i problemi legati alla guerra fredda, potevano finalmente riunirsi agli altri Paesi europei.

La Norvegia ripresentava la domanda di adesione alla Comunità dopo il fallimento del 1973 e ancora una volta un referendum bocciava l'adesione. Anche la Svizzera a fine 1992 bocciava l´adesione allo SEE confermando la sua tradizione isolazionista.

Un altro avvenimento importante del 1992 fu la riforma della PAC (politica agricola comunitaria).
Anche in questo caso, per brevità ricordiamo soltanto che per merito di questa, i Paesi europei usciti dalla 2º Guerra Mondiale con un forte deficit agricolo, nel giro di pochi decenni si erano ritrovati Paesi esportatori.

Al di là di questo indubbio merito però, la PAC assorbiva i 2/3 del bilancio comunitario, realizzando una grossa quantità di derrate prodotte solo per essere destinate agli ammassi o alla distruzione e generando una quantità enorme di scontenti, fra i consumatori e nel mondo agricolo, e distorcendo la visione che i cittadini avevano della Comunità, come Comunità del latte e del vino più che come Unione di Cittadini.

Con la riforma del 1992, pur proseguendo negli indirizzi tipici, (prezzi unici, solidarietà finanziaria e preferenza comunitaria), vengono introdotte alcune sostanziali riforme: netto ribasso dei prezzi garantiti, così da rendere competitiva verso l´estero la produzione europea, finanziamenti per la riconversione agricola, per la riduzione dei terreni coltivati, per l´abbattimento dei capi di bestiame, per il rimboschimento, per il prepensionamento e per l´agricoltura estensiva.

Insomma laddove il FEOGA funzionava principalmente nella politica di garanzia, adesso si riequilibrava verso l´aspetto di orientamento.

Il mondo agricolo non ha mai avuto tradizioni riformatrici, e anche in questo caso, toccare interessi molto sentiti principalmente dalla maggiore beneficiaria della PAC (la Francia) voleva dire innalzare un vespaio di polemiche, superiori alle reali intenzioni.

Gli agricoltori francesi (ma non solo) scesero nelle piazze per dimostrare la propria opposizione alla riforma fomentando la protesta contro le istituzioni comunitarie, viste come strutture di burocrati, contrari agli interessi nazionali e oppressori della libertà di impresa.

In Italia la protesta del mondo agricolo venne raccolta dalla Lega Nord, sulle ceneri della Democrazia Cristiana, che proprio in quell´anno veniva travolta da Tangentopoli.

In Francia invece venne raccolta dalla destra anti Mitterrand e portò ad un voto compatto del mondo agricolo contro l'approvazione dei Trattati al referendum di settembre, di cui parleremo fra breve.

Prima ancora del referendum francese, nel giugno del 1992 sono i Danesi a votare il referendum per l´adesione al Trattato di Maastricht, e lo bocciano fra lo stupore generale.

I Danesi non sono mai stati fra i più ferventi sostenitori dell´integrazione europea, ma i due precedenti referendum avevano visto una maggioranza sufficientemente ampia in favore delle scelte europeiste.

In quest´occasione, benché tutti i partiti danesi fossero schierati pro ratifica del trattato, non si raggiunsero il 50% dei SI.

Al di là dell´importanza relativa che la Danimarca ha sempre avuto nella politica comunitaria, l´esito del referendum destò molta impressione e complicò non poco gli sviluppi successivi della Comunità.

In primo luogo perché si dovette trovare una situazione di compromesso fra la Comunità e la Danimarca, attraverso alcune capriole giuridiche, e soprattutto alla buona disponibilità del Governo danese, la Danimarca ottenne alcune deroghe su alcune parti del Trattato e un nuovo referendum sancì poi il reingresso di questo Paese nella vita comunitaria.

In secondo luogo quell´avvenimento creò numerosi problemi al Governo inglese che avrebbe voluto mettere il proprio Parlamento, pieno di euroscettici, di fronte al fatto compiuto di una scelta già effettuata da altri undici Paesi, quindi non più modificabile, qualora negli altri Paesi vi fosse stata la certezza della ratifica.

In terzo luogo la mancata ratifica danese dava la schiusa a tutta una serie di voci di protesta anti europea, che coinvolgevano tutti gli altri Paesi, credo nessuno escluso, ma soprattutto la Francia.

Mitterrand infatti, benché la Costituzione francese non preveda la necessità del referendum per l´adesione a trattati internazionali, probabilmente per rafforzare una posizione in politica interna non sufficientemente solida, indisse il referendum per la ratifica per il settembre dello stesso anno.

Di fronte al montare delle proteste del mondo agricolo, degli euroscettici che finora erano rimasti in sordina, e per la situazione economica, cui accenneremo in seguito, i sondaggi per tutta l´estate fecero prevedere un esito referendario contrario alla ratifica stessa.

Fortunatamente più passava il tempo, più il fronte dei favorevoli alla ratifica cresceva, fino ad arrivare al 20 settembre, la data del referendum, in cui la Francia approvò la ratifica col 51% dei voti.

Ad aggravare ulteriormente il clima ci si mise anche la speculazione finanziaria.

I prodromi della globalizzazione si manifestarono innanzitutto dal punto di vista monetario: nel settembre del 1992 lo SME fu messo a dura prova da movimenti di capitali sui mercati finanziari mondiali, mai visti fino ad allora.

L´effetto di ciò fu l´uscita della Sterlina dal Sistema Monetario, seguita dalla Lira, e con la Peseta costretta a svalutare del 5%.
Questo avvenimento causò una serie di fratture politiche, con la Germania che fu accusata dagli Inglesi e dagli altri partner di voler far pagare agli Europei il prezzo della riunificazione tedesca, attraverso una politica monetaria fortemente restrittiva e di non essere intervenuta sufficientemente a difesa dello SME.

Da parte tedesca si rinfacciava ai partner una scarsa solidità economica.

Insomma: con il Trattato di Maastricht si chiudeva un´epoca, e gli anni a seguire furono anni estremamente difficili, le istituzioni europee risentirono fortemente del mutato clima politico ed economico, e questo incise sensibilmente sui successivi passi del processo di integrazione.

Amsterdam
L´articolo N. 2 del Trattato di Maastricht prevedeva la convocazione entro il 1996 di una Conferenza Intergovernativa (CIG) per la soluzione delle diverse questioni rimaste irrisolte in quel Trattato.

La CIG si aprì il 29 marzo del 1996 nel Vertice di Torino appositamente convocato sotto la Presidenza italiana.

Di cosa dovesse occuparsi esattamente la CIG non era molto chiaro, o meglio esistevano pareri molto diversi.
Ma su un elemento erano tutti concordi: Maastricht con la teoria dei tre pilastri era ed è un ibrido difficilmente gestibile, soprattutto in assenza di un potere politico democratico effettivo.

Pertanto le discussioni abbracciarono, in quei mesi, un po´ di tutto: politica estera, di sicurezza, di polizia, monetaria, turismo, energia, potere di co-decisione del Parlamento europeo, …

E le posizioni erano molto discordi, non c´era più un Presidente di Commissione deciso e autorevole come Delors, al cui posto la Gran Bretagna aveva imposto il lussemburghese Santer.

Gli equilibri politici stavano cambiando sostanzialmente in tutti i Paesi più importanti e l´Italia (in quel momento Presidente di turno dell´Unione) era alla vigilia di elezioni politiche che avrebbero fornito una maggioranza diversa, ed era inoltre un Paese debolissimo a livello europeo: tutti davano per scontato che l´Italia non avrebbe partecipato all´Unione Monetaria, perché per essa i parametri di Maastricht apparivano irraggiungibili.
 
Con questo genere di situazione fu soprattutto grazie alla Presidenza di turno olandese, che dal 1 gennaio 1997 succedette a quella irlandese, se il vertice europeo convocato ad Amsterdam per il 16 giugno non si rivelò un completo fallimento.

Benché il Trattato di Amsterdam non possa essere giudicato un buon trattato da parte di chi ha convinzioni federaliste, alcuni piccoli passi in avanti sono stati fatti.

Va ricordata la decisione di attribuire alla Corte di Giustizia europea una delega ad intervenire su tutte le violazioni della Carta dei diritti dell'uomo del 1950 ad personam, e il diritto del Consiglio di condannare i Paesi che violano i diritti umani, aspetto sottoscritto, sia pure sotto il vincolo del voto all´unanimità, in vista dell´allargamento all'Europa centro-orientale dell´Unione, nonché il diritto del Consiglio stesso di sospendere i Paesi condannati dall´attribuzione di alcuni diritti degli altri Stati membri.

Nel Trattato inoltre viene modificato in senso favorevole al Parlamento Europeo il criterio di co-decisione, esteso a quasi tutta la normativa e senza la possibilità del Consiglio di avocare a sé la decisione ultima.

Un ulteriore passo avanti fu la decisione di istituzionalizzare la cooperazione rafforzata fra quegli Stati che desiderano procedere ad una integrazione maggiore, senza l´unanimità del Consiglio.

Mentre fino al giorno prima valeva la regola del´“Europa à la carte”, da Amsterdam in poi vale il principio che coloro i quali non ritengono opportuno procedere su taluni aspetti del processo d´integrazione, potranno farlo in un secondo momento senza bloccare gli altri Paesi.

(Questo importante elemento, in embrione nel Trattato di Amsterdam, sarà uno degli aspetti principali del successivo Trattato di Nizza.)

Altro punto di sviluppo è stato la comunitarizzazione degli Accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone.

I punti più attesi, furono però quelli rimasti irrisolti.
In primo luogo la disputa sulla politica estera e di sicurezza comune:
il Segretario Generale del Consiglio, quindi un organo burocratico, alle dipendenze dirette dei Governi nazionali, riceveva l´incarico di “Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune”.

(La prima organizzazione politica in cui il ministro degli esteri è un burocrate).

Con le figuracce dei Paesi europei sulla guerra di Bosnia, difficilmente ci si poteva attendere di peggio.

Tutta una serie di bizantinismi ha completato le “decisioni” sul secondo pilastro.

Da certi punti di vista fu ancora più grave il fatto che il Consiglio di Amsterdam, contravvenendo l´articolo 113 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, non completò le norme per affidare il mandato alla Commissione a rappresentare la Comunità in sede di accordi internazionali sul commercio.

Un indebolimento gravissimo per l´area commerciale più importante del mondo, che diminuì anche il prestigio stesso della Commissione in sede di WTO, un arretramento anche rispetto ai Trattati di Roma.

Gli egoismi nazionali e i veti incrociati, avevano impedito ancora una volta che sulle questioni più importanti si arrivasse ad una decisione di indirizzo europeistico.

Con il Trattato di Amsterdam infine trova ufficializzazione il celeberrimo "Patto di stabilità e di crescita".

Questo è un accordo in base al quale ogni anno i bilanci degli Stati membri vengono sottoposti a verifica e devono rispettare i parametri economici concordati.

Le sanzioni previste in caso di inadempienza sono molto pesanti.

In particolar modo, se il disavanzo di un Paese in rapporto al suo PIL annuo supera il 3%, senza motivate ragioni, dopo un primo richiamo, il Paese in questione può essere obbligato a versare all´Unione in un deposito infruttifero lo 0,2 % del PIL per ogni 0,1 % di deficit superiore al 3%.

E´ una misura pesantissima, voluta giustamente dai Paesi ad economia forte, onde evitare facili politiche di spesa pubblica che andrebbero ad indebolire la struttura della moneta unica.

Ma questa decisione ne implicherebbe un´altra: se i Paesi europei non possono far ricorso alla spesa pubblica per risolvere i problemi economici, chi può intervenire sulle spese d´investimento in Europa?

La risposta attuale è: nessuno.

Nizza
Il Trattato di Nizza, ultimo topolino partorito dalla montagna, è forse il più brutto dei Trattati dei 50 anni di Comunità Europea.

Quest´ultimo Trattato non si sa se entrerà mai in vigore. Sono ancora poche le ratifiche già avvenute, (5 su 15).
In Irlanda la ratifica è stata bocciata nel referendum del 7 giugno 2001.

Ecco i cinque punti di qualche rilievo del Trattato di Nizza.
1. Riponderazione dei voti per "maggioranza qualificata".
• Attualmente i "pesi" dei voti degli Stati sono:
Francia, Germania, Italia, Regno Unito: 10 (11,5%);
Spagna: 8 (9,2%);
Belgio, Grecia, Olanda, Portogallo: 5 (5,7%);
Austria, Svezia: 4 (4,6%);
Danimarca, Finlandia, Irlanda: 3 (3,5%);
Lussemburgo: 2 (2,3%);
Totale dei pesi: 87 (100%).
Maggioranza qualificata: non minore di 62 (71,264%)
e non meno di 2/3 degli Stati membri.

• Dopo ratifica del Trattato i "pesi" dei voti degli Stati saranno:
Francia, Germania, Italia, Regno Unito: 29 (12,2%);
Spagna: 27 (11,,4%);
Olanda:13 (5,5%);
Belgio, Grecia, Portogallo: 12 (5,1%);
Austria, Svezia: 10 (4,2%);
Danimarca, Finlandia, Irlanda: 7 (3,0%);
Lussemburgo: 4, (1,7%);
Totale dei pesi: 237 (100%).
Maggioranza qualificata: non minore di 169 (71,308%)
e non meno di 2/3 degli Stati membri.

Inoltre, a richiesta d'un membro, anche: non meno del 62% della popolazione dell´UE.
Sono stati inoltre previsti anche i pesi dei futurti nuovi Stati membri.

2. Ristrutturazione della Commissione

La Commissione è nominata dai Governi nazionali di comune accordo.
E' l'esecutivo della UE, una specie di governo che però vero governo non è!

Rappresenta l'Unione come un tutto, ma in pratica è lottizzata.

Il Presidente non ha poteri nella composizione della Commissione.
Attualmente questa ha 19 Commissari più un Presidente –l'italiano Romano Prodi.

Ecco la composizione per Stato membro:
• Francia, Germania, Italia, Regno Unito: 2 Commissari ciascuno, (8 insieme);
• Tutti gli altri Stati: 1 Commissario per ciascuno, 11 insieme;

A Biarritz e a Nizza il Consiglio Europeo si è spaccato su due proposte di senso contrario:
- Ridurre il numero di Commissari al nuumero effettivo di ministeri da svolgere.
- Un Commissario per ogni Stato, presciindendo dal peso di questo.

Il compromesso raggiunto all'alba del'11 dicembre 2000 è il seguente:

• Dalla prossima Commissione (2004) i Commissari saranno 1 per Stato;
• Quando sarà terminato l'ingresso dei Paesi candidati e la Commissione avrà al massimo 27 Commissari, essa verrà riformata con nuovo accordo secondo la proposta francese: numero in funzione dei ministeri da svolgere; tetto massimo del numero (da concordare); non più di 1 membro per Paese; rotazione dei Paesi che forniscono il loro Commissario (che, tuttavia, resta nominato di comune accordo).

Appare evidente la "vittoria" dei "Paesi piccoli".

Nelle "contrattazioni", i 5 punti non sono stati mercanteggiati separatamente.
Il cedimento dei "Paesi grandi" (con la rinuncia al doppio commissario) è il prezzo pagato da questi ai "Paesi piccoli" in cambio del (lieve) aumento di peso nella riponderazione dei voti nel Consiglio europeo e nel Consiglio dell'Unione. (Punto 1).

Oltre a ciò, a Nizza i poteri del Presidente della Commissione sono stati aumentati. Infatti:
• Il Presidente partecipa alla formazione iniziale della Commissione.
• Il Presidente ha facoltà di ricusare singolarmente i Commissari chiedendone le dimissioni.

3. Materie in cui deliberare a maggioranza qualificata (invece che all'unanimità)

• Della 73 materie da decidere con voto unanime, solo 29 sono passate a decisione con voto a maggioranza qualificata. (V. il Punto 1).
• Queste sono generalmente di scarso rilievo;
• In particolare permane il diritto di veto nei settori concernenti:
- la fiscalità (anche indiretta));
- la sicurezza sociale;
- l'immigrazione (almeno fino al 2004);;
- alcuni comparti della politica commerrciale, tra cui di rilievo è quello audiovisivo.
Sull'ultimo punto la Francia non molla!
Difende la particolare ed autonoma sua posizione culturale che le ha consentito di non cedere all'omologazione anglosassone cui hanno già ceduto gli altri Paesi, compresa la Germania.

4. "Collaborazione rafforzata", ossia maggiore integrazione tra chi lo volesse.
Sono possibili col permesso della UE, permesso rilasciato con votazione a maggioranza qualificata su questioni di poco conto, mentre su quelle dal sapore federale si voterà ancora all'unanimità.

Per espresso veto della Gran Bretagna dalla votazione a maggioranza è esclusa la possibilità di "collaborazione rafforzata" in materia strategica e di difesa.

Quello della enhanced cooperation è forse l'argomento meno chiaro dell'intero Trattato.

L'opportunità di integrazione politica di tipo federale è ormai avvertita da più parti, specie nei 6 "Paesi fondatori" (Francia, Italia, Germania, Belgio Olanda, Lussemburgo).

Ancorché questi fossero determinati a passare dal sistema attuale "confederale" a quello "federale" sarebbe ugualmente impensabile che essi possano trascinare nella federazione gli altri Paesi; e tanto meno quelli futuri, da poco usciti da un sistema politico di segno opposto.

Perciò, Chirac e Schröder hanno inventato l'escamotage della "collaborazione rafforzata".

In fondo anche l'euro è una "collaborazione rafforzata" tra 12 dei 15 Paesi dell'UE.

Ma mentre a Maastricht è stato varato un piano dettagliato per un progetto preciso, con precise scadenze per le varie fasi di realizzazione, a Nizza non c'è stato nulla da pianificare perché non c'è alcun progetto.

La "collaborazione rafforzata" non ha ancora sostanza.

La "contrattazione" è avvenuta circa aspetti delle modalità con cui si realizzeranno –se si realizzeranno– le "collaborazioni rafforzate".

In particolare, l'Italia, la Germania e la Francia sono riuscite ad ottenere che sul varo di una eventuale "collaborazione rafforzata" chi decide di non partecipare non abbia il diritto di veto.

Ma la Gran Bretagna ha concesso ciò ottenendo in cambio che non ci sia alcuna collaborazione rafforzata in materia militare!
Se mai avremo un esercito comune – o meglio composito di truppe assemblate dai vari Paesi – secondo quanto messo in agenda un anno fa ad Helsinki –, questo dipenderà dall'intera UE.

Dopo che il ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer si pronunciò per la Federazione, –Università Humboldt, Berlino, 12 maggio 2000– Chirac istituì all'Eliseo una Commissione (presieduta da Juppé) che studiasse una Costituzione Europea.
Ma la Francia è troppo gelosa della sovranità nazionale e il governo francese si arrovella sul come fare ad impedire che la Germania, con i suoi 82 milioni di abitanti (contro i 60 milioni di francesi) e con il massimo sviluppo economico tra i Paesi dell'UE, venga ad avere una qualche posizione di prestigio se non di supremazia.

Il punto della situazione è sempre lo stesso: perché l'UE abbia una vera svolta nella politica, occorrebbe che gli "statisti europei" incominciassero a pensare "europeo", come giustamente sottolineava tempo fa il leader dei verdi Daniel Cohn-Bendit.
Ma per fare questo occorre del coraggio che per ora non c´è da nessuna parte!

5. Programmazione da qui al 2004.
Mercoledì 13 dicembre 2000, a Consiglio europeo di Nizza appena terminato, presentando i contenuti del nuovo trattato, Il Sole 24ore dedicava queste sole pochissime parole a questo argomento:
«Nell'intesa finale è entrata una "Dichiarazione" che fissa il percorso del futuro. Nel 2004 una nuova Conferenza intergovernativa definirà "una più precisa delimitazione delle competenze fra UE e Stati membri", lo status della Carta dei diritti fondamentali, la semplificazione dei Trattati, il ruolo dei Parlamenti nazionali nell'architettura europea.»

In sostanza, ancora una volta si dimostra l'incapacità di "questa" UE non solo di prendere decisioni importanti ma addirittura di trovare l'accordo sui titoli degli argomenti da considerare importanti e sul loro ordine di priorità.

Si intuisce che la Dichiarazione è il compromesso da visioni assai distanti e pressoché inconciliabili.

Stabilire costituzionalmente ed una volta per tutte i diritti fondamentali dei cittadini, le competenze dell'Unione a livello superiore di quello degli Stati membri e gli organi cui spetta il mettere in pratica tali competenze nonché circoscrivere i limiti del potere di tali organi sarebbe esattamente la trasformazione dell'Unione da "confederale" in autentica "federazione".

Un vago sapore federativo ha dunque la Dichiarazione finale del Consiglio Europeo.
Ma è anche evidente che ad un vero salto di qualità non bastano certo le vaghe parole del Consiglio di Capi di Stato e di Governo sottoscritte anche da chi ha la precisa intenzione di lasciare tutto come come sta impedendo ogni cambiamento in profondità.

Dopo le mille denunce di deficit democratico, di eccesso di tecnicismo e di esclusione del coinvolgimento dei cittadini nel processo di evoluzione; dopo le mille promesse di intraprendere una politica che cancelli tali difetti, i nostri legittimi (!?!) rappresentanti non hanno né il coraggio d'affrontare il vero nodo cruciale di tutta la questione né la decenza di ammettere la propria responsabilità nell'escludere la democrazia europea.
Il nodo cruciale sta nell'abbandonare il metodo intergovernativo statalista in favore del metodo costituente democratico.

Tuttavia, la nuova grande aspettativa dal prossimo consiglio di Laeken (14-16 dicembre 2001) è conseguenza di questa "Dichiarazione" che ha poi provocato le successive prese di posizione dei vari leader ed ha offerto alla Presidenza belga, (ossia a Verhofstadt e Michel), l'opportunità di dichiarare di aspettarsi risultati "ambiziosi" e di impegnarsi a tale scopo.

*Relatori:
Saverio Cacopardi, Pierangelo Fiora, Simona Giustibelli, Luigi V. Majocchi, Marco Spazzini, Arnaldo Vicentini

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