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L'Osservatore europeo

 

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PARLAMENTO EUROPEO A SUFFRAGIO DIRETTO: RIPRESA DEL FEDERALISMO
Il progetto di Spinelli di "Trattato che istituisce l'Unione Europea"

di PUBLIUS*


Con la prima elezione diretta del Parlamento Europeo (PE), avvenuta nel giugno del 1979, l'Europa ha scritto, forse, una delle pagine più esaltanti nella storia della democrazia: l'elezione diretta del PE rappresenta una delle conquiste più significative sulla via dell'integrazione europea.

Quell'evento ha significato infatti l'affermazione del principio della sovranità popolare anche nella sfera politica internazionale, cioè in una dimensione della vita mondiale da sempre dominata esclusivamente dalla pura logica dei rapporti di forza, della ragion di Stato, della diplomazia e degli eserciti, oltre che delle grandi imprese multinazionali.

Lo storico Sergio Pistone parlò per questo di "una svolta nella storia mondiale": l'elezione europea segnava infatti l'avvio di un processo graduale, orientato a creare gli strumenti di un governo democratico dello scenario globale.

Il valore di esempio di questa eccezionale innovazione, a detti di molti, e tra questi l'accademico sovietico Sakharov, era formidabile per tutte le aree del mondo.

Oggi il problema della creazione di strumenti atti a controllare democraticamente le relazioni internazionali è quanto mai in primo piano.

Andrei Dmitrievic Sacharov (1921-1989) con la moglie Elena Bonner (1923)

Anzi, a distanza di decenni, si deve registrare la più assoluta mancanza di conquiste sostanziali in questa direzione.
Se il processo è tuttora in corso e se il suo esito è quanto mai incerto, forse ciò è dovuto anche al fatto che fu proprio il "maestro" a rinnegare per primo il suo insegnamento.

L'Europa (il maestro) nel 1979 divenne un modello da imitare su scala mondiale.
Ma poi si rese colpevole di una gravissima violazione dei diritti del suo stesso popolo, sconfessando con la propria voce se stessa e i valori della democrazia di cui ciononostante pretendeva di essere il faro.
Ignorando il progetto di Trattato di Unione Europea, approvato a larga maggioranza dall'Assemblea di Strasburgo nel
febbraio del 1984, i governi europei calpestarono infatti la volontà popolare liberamente espressa attraverso il voto e legittimamente interpretata dai delegati designati.

Dopo la grandiosa avventura della realizzazione anticipata dell'unificazione doganale e in coincidenza di una grave crisi economica mondiale, il cammino dell'Europa verso la propria unità sembrò per un momento incapace di compiere ulteriori significativi passi in avanti.

Alle difficoltà interne, legate ai limiti di un approccio puramente economico all'integrazione, si aggiungevano problematiche strutturali anche esterne, legate alla drammaticità dello scenario politico internazionale e all'incipiente transizione della società contemporanea verso il modello post-industriale.

A partire dagli anni '60 del secolo scorso la rigida disciplina internazionale che aveva caratterizzato il primo periodo della guerra fredda cominciò a manifestare segni di superamento timidi ma significativi.
Il rafforzamento della Cina, dei Paesi dell'Europa occidentale e del Giappone, nonché il risveglio dei Paesi del Terzo Mondo, fecero prospettare effettivamente la possibilità di un equilibrio mondiale policentrico, alternativo a quello bipolare.

Fu soprattutto la leadership americana a risentire di questo stato congiunturale, in modo particolare sul piano economico.
La decisione statunitense di
sospendere la convertibilità del dollaro (agosto 1971) segnò l'inizio di una grave crisi monetaria, destinata a far avvertire le sue ripercussioni su scala mondiale.

Quanto al quadro europeo, ne risultarono destabilizzati persino i frutti della tanto agognata unificazione doganale.
La fluttuazione tra le varie monete nazionali sembrò infatti poter annullare d'un colpo i vantaggi derivanti dall'abbattimento delle barriere tariffarie interne.
Forse l'urgenza di un'area di stabilità monetaria comunitaria e, in prospettiva, di una moneta unica europea, non fu mai avvertita con tanta forza come allora.

All'incertezza monetaria si aggiunsero, in Europa come nel resto del mondo, gli effetti negativi della quadruplicazione del prezzo del petrolio, decretata dal cartello dei Paesi produttori in occasione della quarta guerra arabo-israeliana (1973).
La spirale di problemi innescata anche per questa via portò in primo piano, accanto alla crisi monetaria ed energetica, la questione sociale, ecologica, dello sviluppo sostenibile e del rapporto Nord-Sud del Pianeta.

Il tutto si tradusse per il Vecchio Continente nell'esigenza di affrontare simultaneamente i problemi della propria costruzione interna e quelli del confronto con la realtà esterna.

Era evidente l'improponibilità di una soluzione limitata alla scala nazionale, ma anche la Comunità presentava scarse possibilità di successo a causa dei gravissimi deficit strutturali in termini di efficienza e di democrazia: a causa del diritto di veto nazionale e della mancanza di legittimazione popolare del PE e del suo ruolo essenzialmente consultivo.

In tale contesto si vanificò il progetto di Unione economica e monetaria (UEM) varato dai Sei nel vertice dell'Aja nel dicembre 1969 ­ e dunque un decennio in anticipo sul Sistema Monetario Europeo (SME). Diveniva quanto mai evidente che solo un coinvolgimento più diretto dei partiti e dell'opinione pubblica nel processo di unificazione europea avrebbe reso possibili, oltre che legittime, le scelte estremamente difficili connesse con il passaggio dal semplice Mercato Comune all'unificazione economica e monetaria.

Valéry Giscard d’Estaing (1926) Helmut Schmidt (1918) Per questo, anche grazie alle pressioni esercitate in tal senso dal presidente francese Valéry Giscard d'Estaing e dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt, i capi di Stato e di governo riuniti nella conferenza di Parigi del dicembre 1974 decisero di introdurre l'elezione diretta del PE, come peraltro già previsto dai Trattati.

Le prime elezioni europee registrarono una percentuale di affluenza alle urne di circa il 63%.
Se, dunque, la partecipazione popolare non fu massimamente soddisfacente, il livello di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e dei partiti politici alle problematiche dell'integrazione risultò considerevolmente incrementato.

In previsione delle elezioni, le tre confederazioni partitiche costituitesi nell'Assemblea parlamentare (quella socialista, quella democristiana a quella liberal-democratica che ancora oggi ne popolano gli scranni) promossero tutte programmi elettorali orientati a un decisivo approfondimento dell'unificazione, per quanto generici.

Fatto sta che da quel lontano giugno 1979 il PE è divenuto il punto di riferimento istituzionale fondamentale per quanti credono e si battono, dal suo interno come dall'esterno, affinché il processo di integrazione europea venga ulteriormente promosso.

Non a caso Willy Brandt volle vedere in esso una sorta di "costituente permanente dell'Europa": ottenuta la legittimazione democratica del suffragio popolare, il PE ha, infatti, ingaggiato una strenua lotta di carattere costituzionale per acquisire tutti i poteri propri di un vero parlamento, in primis quello legislativo e di controllo sull'operato del governo.

In definitiva, nonostante i sostanziali passi in avanti compiuti nel tempo, la sua è stata ed è tuttora una lotta per colmare lo scandaloso deficit democratico di un'architettura istituzionale costituita da un'assemblea parlamentare priva di poteri effettivi e da un Consiglio dei Ministri dotato delle funzioni legislative e di parte di quelle esecutive.

Willy Brandt (1913-1992)

In questa battaglia i federalisti hanno da sempre interpretato il ruolo di attori principali.
Fin dalla prima legislatura democratica, sfruttando l'onda d'urto dell'elezione diretta, essi promossero un'ardita quanto realistica riforma del quadro comunitario, configurandone la rifondazione in una struttura unica e coerente.
Tale era, infatti, la via indicata dal progetto di Trattato di Unione Europea, anche detto "progetto Spinelli" dal nome del suo ispiratore.

L'innovazione sostanziale del nuovo organismo, l'Unione Europea, riguardava appunto il mutamento degli equilibri istituzionali: senza proporre una vera e propria costituzione federale, che peraltro lo stesso Parlamento non avrebbe mai approvato, bensì partendo da un'analisi realistica e spregiudicata della situazione storica contingente, il nuovo trattato mirava a rilanciare l'unificazione e superarne le disfunzioni, nonché avvicinare l'obiettivo finale, la federazione europea.

Il progetto, approvato dal PE, incontrò l'orientamento favorevole dei governi dei sei Paesi fondatori e di quello irlandese.
Durissima e insormontabile fu invece l'opposizione di Inghilterra, Grecia e Danimarca.
Fu così che, nella sede del Consiglio europeo di Fontainebleau (25-26 giugno 1984), incapaci di accettare un qualsiasi limite della sovranità nazionale, i governi europei ignorarono completamente il progetto Spinelli e si accordarono per procedere con molta cautela a una riforma solo parziale del quadro comunitario.
Furono queste le premesse del successivo
Atto Unico Europeo.

Sferzante fu al riguardo il commento dello stesso Spinelli nell'ultimo celebre discorso tenuto al Parlamento europeo il 16 gennaio 1986:

[...] E' assai difficile giustificare l'arroganza del Consiglio europeo e della Conferenza, che hanno rifiutato ogni partecipazione del Parlamento europeo all'elaborazione della riforma istituzionale [...].
La Comunità è un corpo politico, dotato di organi propri [...]. Se, quindi, qualcosa nella sua costituzione deve essere modificato, devono essere le istituzioni rappresentative a promuovere queste riforme, cioè il Parlamento, che rappresenta i cittadini della Comunità, e il Consiglio, che rappresenta gli Stati della Comunità.

In conclusione, l'indifferenza dei governi europei verso l'iniziativa dal PE a favore di una riforma strutturale del quadro comunitario, suonò quale gravissima violazione della sovranità popolare democraticamente espressa.

La democrazia apparve allora semplicemente un valore, per così dire... neutro, ad uso della circostanza, una sorta di farmaco, più o meno benefico, da dosare, a seconda del caso, a totale discrezione dei governanti.

Una storia, dunque, che sa tanto di charte octroyée... (=carta concessa, cioè qualcosa ottenuto non per diritto ma per benevolenza del sovrano, N.d.R.)

*Relatori:
Saverio Cacopardi, Pierangelo Fiora, Simona Giustibelli, Luigi V. Majocchi, Marco Spazzini, Arnaldo Vicentini

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