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L'Osservatore europeo

 

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LA GRAN BRETAGNA E L'EUROPA
L'OECE e il Consiglio d'Europa, l'EFTA (risposta britannica alla CEE) e i primi approcci del Regno Unito alla Comunità Europea

di PUBLIUS*


Il dominio inglese nel secolo XIX
Nell’agosto del 1588, l’Invincible Armada di Filippo II fu annientata dalla flotta inglese, complice anche una tempesta in mare, prima di toccare le coste britanniche, ponendo fine al sogno imperialista del re di Spagna di conquistare l’Inghilterra.
Da quel momento si aprì alla potenza insulare la strada per un progressivo intervento nella politica continentale sino a fare della Gran Bretagna l’arbitro dell’equilibrio del Sistema europeo degli Stati.

La definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo nel 1815 pose la Gran Bretagna in una posizione nettamente preminente come potenza mondiale.
In anticipo sul resto dell’Europa nella rivoluzione industriale, con un ordinamento giuridico e politico d’avanguardia che la manteneva al riparo dai fermenti rivoluzionari del continente, insediata a Gibilterra, a Malta ed in Egitto, con una flotta potente e tecnologicamente d’avanguardia, oltre al controllo del Mediterraneo ebbe mano libera per estendere la sua penetrazione in ogni area del mondo dove imponeva i propri manufatti e da dove si approvvigionava di cibo e materie prime, creando un enorme impero coloniale esteso all'intero pianeta.
Di questo impero il Canale di Suez divenne e rimase per un secolo un’arteria vitale.

Per restare nei rapporti tra Gran Bretagna ed Europa, va ribadita la sua precisa volontà di sovrintendere all’equilibrio del Sistema degli Stati europei impedendo la supremazia di qualcuno a scapito degli altri.
Sotto questa luce va letta la Guerra di Crimea (1853-55) che vide la Gran Bretagna alleata della Turchia (con la Francia ed il Piemonte) per impedire alla Russia di affacciarsi nel Mediterraneo.
Anche l’ascesa di una potenza italiana, a contenimento di quella austriaca, fu favorita. E’ noto, per esempio, che lo sbarco dei Mille in Sicilia (1860) fu possibile per la copertura offerta dalle navi inglesi al largo di Marsala alle navi garibaldine nella fase di attracco.
La Gran Bretagna vide dapprima con favore la perdita di peso dell’Impero Austriaco nel cuore dell’Europa a vantaggio della Prussia, che dopo Sadowa (1866) sostituì l’Austria alla presidenza della Confederazione Germanica.
Cambiò però linea di condotta dopo la sconfitta francese a Sedan (1870), quando l’unificazione tedesca nel Reich guglielmino pose la Germania nettamente in testa alle potenze continentali.
Fu la Gran Bretagna l’artefice della Triplice Intesa (con Francia e Russia) a contenimento della crescente potenza tedesca sino allo scontro immane della Grande Guerra (1914-18).

Inizio del declino della Gran Bretagna con la Grande Guerra (1914-18)
Dopo la pace di Versailles (1920) la Gran Bretagna sperò di riprendere il controllo dell’equilibrio europeo, favorita dalla anticipata estromissione della Russia dal tavolo dei vincitori, dalla frantumazione dell’Impero Austriaco, dalla proliferazione di nuovi Stati di scarsa o nessuna potenza e dalle pesantissime condizioni imposte alla Germania (ivi compresa la perdita di una ingente parte del territorio nazionale).
Ma ormai era chiaro che il "sistema europeo" degli Stati non era più circoscritto in se stesso, essendo la sconfitta tedesca dovuta palesemente all’intervento degli USA. Per la prima volta la Gran Bretagna dovette cedere persino la regia della conferenza di pace: a Versailles fu infatti Wilson, il presidente degli USA, ad avere l’ultima parola.

L’effimera Società delle Nazioni, creatura degli USA e della Gran Bretagna, fu uno strumento inteso al mantenimento dell’equilibrio degli Stati.
Ma il suo insuccesso fu clamoroso a partire dall’avvento del nazismo (1933), attraverso l’avventura del Giappone in Manciuria (1935) quando il delegato giapponese si permise di sfidare l’assemblea della Società delle Nazioni sottolineandone l’impotenza di fatto, per finire con la conquista italiana dell’Etiopia, le annessioni tedesche dell’Austria (1938) e dei Sudeti, ... e lo scoppio della 2ª Guerra mondiale.

Già dagli anni ’20 del secolo scorso la Gran Bretagna non era più da sola a sovrintendere all’equilibrio degli Stati.
Partita con l’associare a sé gli USA, ne venne prima scavalcata ed infine quasi eclissata.
Anche per il Regno Unito, come per gli Stati continentali, dopo la 2ª guerra mondiale finì per sempre il tempo di gareggiare per la supremazia in Europa.

Il declino della Gran Bretagna a metà del secolo scorso
Alla fine della 2ª Guerra mondiale (1945), il Regno Unito era l’unico Paese europeo davvero vincitore, possedeva intatto un Impero coloniale che copriva mezzo mondo, sedeva con USA e Russia (formalmente alla pari) nel decidere il nuovo ordine mondiale.
Mai più invaso dallo straniero dai tempi del normanno Guglielmo il Conquistatore (1066), non aveva più perduta una guerra dopo la perdita delle storiche 13 colonie che divennero USA (1783), mai aveva avuto il crollo della moneta.
Condivideva con gli USA il know-how nucleare sia per scopi militari che civili, era all’avanguardia nelle nuove tecnologie elettroniche e delle telecomunicazioni, ecc.

Finita la guerra mondiale, era naturale che la Gran Bretagna tentasse di perpetuare la politica di potenza e quella –verso l’Europa– di sovrintendere all’equilibrio degli Stati.
Sul piano strategico ciò non trovava più alcuno spazio davanti alla superiorità dei colossi USA e URSS e al netto emergere del Sipario di ferro che separava l’Europa nelle due zone occidentale ed orientale quali aree di influenza rispettivamente americana e russa.
In questo ambito alla Gran Bretagna non restava che il ruolo di alleato privilegiato degli USA: marginale e tuttavia vantaggioso rispetto al resto del continente.
Sul piano economico un certo spazio rimaneva. L’Europa continentale era distrutta ed in balia degli eserciti dei vincitori mentre la Gran Bretagna, cui non erano mai venuti meno gli aiuti degli USA durante il conflitto, pur spremuta allo spasimo nello sforzo militare, era sovrana ed in buon ordine.

Il 5.6.1947, il Segretario di Stato George C. Marshall, in un discorso alla Harvard University, avanzò l’idea d’un programma di “auto-aiuto (self-help) economico europeo” sostenuto dagli USA. L’idea, caldeggiata anche da Truman, si concretizzò nell’European Recovery Program, [E.R.P.], autorizzato nel dicembre '47 dal Congresso degli USA.
Nacque l’OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) come interlocutore europeo: ma i fondi venivano erogati sotto il controllo dell’ente americano ECA (Economic Cooperation Administration).
Per qualche anno gli USA versarono all’OECE circa l’1% del proprio PIL (che allora era circa il 2% del PIL dell’intera Europa).

Fu questo il seme del processo di integrazione europeo.
Infatti il Piano Marshall prevedeva che gli europei concorressero in solido alla migliore distribuzione degli aiuti sul territorio. Inizialmente la Gran Bretagna si auto-escluse dal processo di integrazione.
Nell’ERP, essa non era dalla parte dei Paesi aiutati ma con gli USA dalla parte di chi offriva gli aiuti.
La vastità del Commonwealth e quella insularità che le aveva permesso una posizione di vincitrice ben diversa da quella della Francia, le conservavano l’illusione di poter mantenere il controllo dell’equilibrio del sistema degli Stati.

L’esclusione dall’ERP dei Paesi nella sfera di influenza sovietica, voluta dall’URSS, fu l’inizio di quella divergenza che sarà poi detta "guerra fredda".

L'OECE/OCSE
L’OECE nacque ufficialmente a Parigi il 16 aprile 1948.
I Paesi aderenti erano 16: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera, Turchia e Regno Unito.
Nel 1949 entrò la Spagna.
L’OECE contribuì allo sviluppo del commercio multilaterale con la riduzione graduale delle restrizioni quantitative alle importazioni.

Nel 1961 gli aiuti americani erano solo un ricordo: ma intanto le funzioni dell’OECE si erano trasformate in un coordinamento dei rapporti commerciali.
Per poter meglio ovviare alle nuove funzioni, l’OECE fu trasformata in OCSE, [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico], che includeva anche USA e Canada.

Nel primo anno di funzionamento dell’OECE (1948 - 49), l’attivismo delle forze federaliste, le prese di posizioni ufficiali dei leader europei, la buona esperienza della cooperazione in ambito OECE e la politica aggressiva dell’URSS (per esempio nel promuovere i colpi di stato comunisti in Ungheria e Cecoslovacchia), andavano maturando in Europa occidentale l’opportunità di una più stretta collaborazione, fin’anche alla Federazione.

Il Consiglio d'Europa

La politica ufficiale britannica era quella di favorire l’unione degli Stati sul continente mantenendo però la Gran Bretagna fuori di essa.
Fu in questo contesto che nacque il Consiglio d’Europa.
Ma appena nato si dimostrò tutt’altro da quelle che sembravano le aspettative.
Basta uno sguardo allo statuto e alla sua struttura per capire che si tratta di un organismo intergovernativo che si regge sulla presunta volontà dei Paesi aderenti di perseguire una politica comune senza tuttavia cedere alcunché della rispettiva sovranità in favore di istituzioni sovranazionali.

Il Consiglio d’Europa fu istituito ufficialmente a Londra il 15 maggio 1949.
Attualmente è cresciuto a dismisura, coprendo praticamente tutta l’Europa (compresi piccolissimi Stati come S. Marino o il Liechtenstein).
Tra i suoi 43 membri mancano tuttavia la Iugoslavia e la Bielorussia.

Il Consiglio d'Europa

Crollo dell'Impero britannico. L'EFTA: risposta velleitaria inglese alla CEE.
Primi approcci del Regno Unito alla CEE.
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Dopo la parentesi labourista di Clement Attlee (1945-’51), nel Regno Unito tornano al governo i Conservatori di Winston Churchill (1951-’55) nel cui gabinetto emerge per capacità diplomatiche il Ministro degli Esteri Sir Anthony Eden.

E’ in questi anni che nasce la CECA, che avanza il progetto di una CPE (Comunità Politica Europea), che nasce e muore il progetto della CED (Comunità Europea di Difesa) sostituito in soli 50 giorni con l’UEO (Unione dell’Europa Occidentale), inutile alleanza militare dei Sei della CECA e del Regno Unito, tutti membri della Nato.

Esso tuttavia è un palese successo britannico nel perpetuare la politica di sovrintendenza dell’equilibrio degli Stati europei.
Al ritiro del vecchio Churchill (1955), Eden gli succede alla guida del partito e del governo.
Ma questo è ben presto costretto alle dimissioni in seguito alla famosa Crisi di Suez.

Nel 1952 un colpo di stato militare in Egitto aveva rovesciato il re Faruk; e dopo un breve periodo di dittatura del generale Neguib, il potere era caduto saldamente nelle mani del vero artefice del colpo, il colonnello Nasser.
Costui intraprese subito una politica anti-occidentale ed anti-israeliana: in particolare, nel 1956 estromise gli Inglesi dal Canale di Suez nazionalizzandolo.

Eden approfittò della momentanea crisi del comunismo internazionale (dovuta alla destalinizzazione ed in particolare alla rivoluzione ungherese del 23 ottobre 1956) per un colpo di mano che avrebbe dovuto riportare il Regno Unito nel controllo di Suez.
Mentre Israele entrava nel territorio egiziano conquistandolo sino al Canale di Suez, i parà britannici e francesi rioccupavano il Canale e l’aviazione britannica bombardava Il Cairo (novembre 1956).

Ma il facile successo militare si trasformò subito in un disastro politico.
Il Canale restò per anni inservibile perché, prima di ritirarsi, gli egiziani vi affondarono qualche nave carica di cemento. Soprattutto: l’America di Eisenhower disapprovò apertamente l’azione britannica, l’URSS ebbe modo di spostare il dibattito dall’Ungheria all’imperialismo occidentale e una risoluzione dell’ONU imponeva di ripristinare a Suez la situazione qua ante.

Nel Regno Unito Eden si dimette e gli succede Harold Macmillan, che resterà al governo per oltre 6 anni.
Incomincia dalla Crisi di Suez un periodo difficile per la Gran Bretagna.
Lo scacco subito in Egitto incoraggia l’indipendentismo ovunque nelle colonie.
La Gran Bretagna non è più in grado di far fronte ai suoi impegni in Asia ed in Africa e si ritira progressivamente.

Mentre esplode il “miracolo economico” dei Sei della CECA/CEE, il governo inglese è costretto a severe misure di austerity.

Macmillan capisce i vantaggi della CEE ed inizia a preparare il terreno di casa per una svolta politica in vista dell'ingresso del Regno Unito nella CEE.

Nel 1959 il governo britannico chiede ufficialmente di entrare nella Comunità Economica Europea, ma nel 1958, in seguito alla crisi d’Algeria, in Francia era crollata su se stessa la IV Repubblica (a regime parlamentare) ed era salito al potere de Gaulle: il quale oppone un secco veto all’ingresso dell’UK nella CEE.

E’ dell’anno seguente la nascita dell’EFTA (Europeean Free Trade Association); ed è forse l’ultimo tentativo britannico di dirigere la politica europea sul continente.

L’EFTA costituiva un’area di libero scambio che sarebbe servita alla Gran Bretagna per una estensione di rapporti commerciali vantaggiosi in competizione con l’area della CEE.
Pattuito a Stoccolma tra 7 Paesi (Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Gran Bretagna, Svezia e Svizzera) accolse nel 1961 la Finlandia ed altri Paesi poi.
Il trattato si proponeva soprattutto di abbattere i dazi sulle merci industriali.
Privo di organi sovranazionali, non si occupa di agricoltura né di fonti energetiche in quanto tali.
Divenuto operante solo dal 1966, non ha mai completato l’abbattimento dei dazi.
Contemporaneamente, tutti i suoi membri hanno messo in atto, in varie misure, una politica di accordi bilaterali con i Paesi della CEE in ambito commerciale, turistico e di circolazione delle persone, divenendo pian piano essi stessi area di influenza della CEE.

L’EFTA non produsse sensibili miglioramenti nelle economie dei Paesi membri.
La stessa Gran Bretagna non fece altro che attendere la possibilità di entrare nella CEE.
Anche per l’Austria l’EFTA era un ripiego, essendole negato l’ingresso nella CEE [per tacita volontà di USA e URSS] col pretesto della neutralità costituzionale austriaca (Trattato di Stato entrato in vigore il 28 ottobre 1955) con la quale l'Austria evitò la permanenza di una spartizione analoga a quella tedesca che durò fino al 1990.

Il governo di Macmillan si dimise nel 1963 travolto dallo Scandalo Profumo -quando si scoprì che l’amante d’un suo ministro, Profumo appunto, era un’agente dello spionaggio sovietico in Gran Bretagna–.
A Macmillan successe Sir Alec Douglas-Home, che perse le elezioni nel 1964 a vantaggio del labourista Harold Wilson (1964-70).
Nel 1967, per la seconda volta il governo inglese –laburista questa volta– chiese l’ingresso nella CEE: e per la seconda volta ebbe il veto francese (oltre a difficoltà in patria che forse non avrebbero consentito di portare in porto la trattativa).

Paesi EFTA In tutto questo vediamo, dunque, la doppia anima inglese di fronte all’integrazione economica dei Sei: quella di avversare la CEE e nello stesso tempo di volerne far parte, il che le riuscirà nel 1973.

Il fatto che dall’EFTA siano passati alla CEE la stessa Gran Bretagna ed altri Paesi mostra il totale insuccesso dell’EFTA.

Oggi l’EFTA consta dei seguenti soli 4 Paesi: Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera.

Di questi, la Norvegia e la Svizzera hanno chiesto un tempo l’ingresso nella CEE. La Svizzera ha poi ritirato la domanda e in Norvegia per due volte (1972, 1994) il NO popolare ha prevalso di poco sul SI nei due rispettivi referendum.

Da parte dei britannici, la presa di coscienza del nuovo corso della storia e del doversi rassegnare ad abbandonare la vecchia politica di potenza è stata lenta: anzi non è ancora sufficientemente completa (come si capisce, per esempio, dal fatto che il Regno Unito sceglie volontariamente d’essere coinvolto in Iraq ed in Afghanistan, come un tempo scelse d’essere coinvolto in Corea e nel Vietnam).
Non stupisce, quindi il tentativo britannico di essere dapprima alla guida del processo di ricostruzione dell’Europa attraverso l’OECE e il Consiglio d’Europa; né può stupire l’avversione per la CED (un esercito integrato sostanzialmente franco-tedesco), la soddisfazione per il passato pericolo, l’invidia per il successo della CECA e del MEC, ecc.

Oggi si parla molto di euroscetticismo britannico. Ma sarebbe da stupirsi se non fosse così!
La politica britannica è perfettamente comprensibile e anche molto logica.
Essa consiste nel frenare ogni processo di unificazione delle politiche europee, pur collaborando alla loro armonizzazione mediante accordi (temporanei, e quindi reversibili).
Quando però vedesse vincente ciò che avesse tentato di frenare, la Gran Bretagna sarà pronta –scegliendo il male minore– a farne parte.

Così è successo per la CEE e per l'UE (Trattato di Maastricht) e così sta succedendo per l’UEM (moneta unica europea).
Non per nulla tanto i Laburisti quanto i Conservatori mettono le mani avanti non escludendo un referendum in proposito (previsto nel 2003) e mantengono le finanze dello Stato in regola con i “parametri di Maastricht”.

*Relatori:
Saverio Cacopardi, Pierangelo Fiora, Simona Giustibelli, Luigi V. Majocchi, Marco Spazzini, Arnaldo Vicentini

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