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L'Osservatore europeo

 

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UNA PANORAMICA SULLA STORIA DEL FEDERALISMO
Tratto dalla pagina di presentazione della Bibliografia del federalismo europeo EURO

di Riccardo MARENA - Alberto BUTTERI - Vito CONSOLE


Alcuni autori, eminenti studiosi delle popolazioni antiche, quali il Kramer e il Larsen, hanno confuso il modello confederale con quello federale nello studio delle istituzioni politiche di quelle civiltà (79). Ne scaturì la convinzione diffusa che la tendenza alla costruzione di un ordinamento giuridico positivo atto a mantenere la pace, tendente all'eliminazione della guerra, fosse antichissima. A testimonianza, può essere citato il versetto del libro di Isaia (AT Isaia, 2, 4-5) (80) che è la sintesi di questo pensiero politico mediorientale, a tratti riaffiorante e presente in tutti questi popoli, che teorizza l'aspirazione alla pace perpetua.

Il modello politico-giuridico atto a costituire una unità internazionale, al cui studio si sono dedicati questi autori si colloca molto più indietro nel tempo di quanto ci hanno lasciato supporre le nostre conoscenze storiche. L’esempio più noto, ma anche il più antico, allo stato attuale delle conoscenze, è quello Sumero (81). Esso anticipa di qualche millennio sia l'esperienza delle Anfizionie greche, sia l'esperienza, più studiata, dell'Impero romano anteriore all'editto di Caracalla (212 d. Cr.). Alcuni suoi tratti istituzionali si vanno riproponendo sino ai nostri giorni e sono la dimostrazione che il modello confederale non è una invenzione europea. Alcune scoperte recenti, dovute all'archeologia e agli studi lessicografici che ci permettono di leggere queste lingue antiche, ci hanno rivelato che questo popolo già prima del 4.500 a. Cr., possedeva una struttura politica basata sulla città-stato. Queste città erano dotate di una forma di democrazia diretta, simile a quella della Grecia antica o della Repubblica romana. Le città-stato, poi, erano riunite fra di loro in un sistema confederale.

L’unione era nel pieno rispetto delle singole città. Esisteva un preciso sistema per la partecipazione dei cittadini alla democrazia comune, basata sui Consigli e organi di governo comuni. Rimaneva il fatto che tutti questi organi erano subordinati alle singole città-stato e che le leggi comuni avevano solo valore se erano applicate dagli organi di governo di ogni singola città. Esisteva pure un sistema di veto che talvolta paralizzava il funzionamento di questa confederazione. Sappiamo che il periodo di pace, così ottenuto, fu assai lungo e favorì la prosperità di tutte queste città. La loro economia era a base agraria, ma con uno sviluppo notevole per quel tempo. Si conta che le città mesopotamiche di Ur (semita), Nippur (Accadica), Agga (Kish) avevano una popolazione che variava da 10.000 a 50.000 persone. Il dato più curioso è l'estensione reale della confederazione. La sua estensione territoriale non è certa. Sappiamo però che questo sistema politico fu molto ampio. Partiva dall'India del Nord, escluso il Bengala orientale (82), interessava tutti i territori compresi fra il mar Caspio, l'Anatolia sino al Bosforo.

Dalla Mesopotamia, in cui era il suo punto di forza, si estendeva alla Palestina sino a tutto il Mar Rosso e ai confini con l'Egitto. Si deve rilevare che questa civiltà, una delle più` potenti e importanti del Medioriente, fece sforzi immani per mantenere l'unità delle sue genti, assai diverse fra di loro, con lingue differenti senza sacrificare il modello della città-stato.

Due pericoli, però, minarono questa realtà politica: le mire imperiali di alcuni re e le continue migrazioni di popoli non appartenenti al ceppo dei Sumeri, che arrivarono da altri paesi. Diversi re, noti e potenti cercarono di unificare o di fondere la confederazione complessiva con il loro impero. Al solo re Gilgames nel 2500 a. Cr. riuscì l'operazione, con l'instaurazione della sua monarchia assoluta sulle confederazioni, attuando una unità politica e amministrativa che si estendeva dall'India all'Egitto. In questo periodo gli Ittiti occuparono l'Anatolia. Questa loro conquista, determinò l'innesto delle tradizioni di questo popolo (monarchia elettiva, levirato ecc.) sulla forma confederale che univa le città-stato della penisola anatolica. Per questo, ben presto, gli Ittiti divennero una confederazione di re. Le difficoltà e le lotte intestine di questo popolo furono anche determinate da questa costituzione politica (83). L'influenza del modello sumero fu grande. Le nostre conoscenze archeologiche, solo in questi anni, ci hanno dimostrato che lo stesso regno T’ang (3° millennio a. Cr.), primo regno della Cina antica di cui si abbia memoria storica, subì l'influenza sumera e la sua costituzione politica si modellò su quella dell'unità internazionale sumera. Da questi documenti abbiamo ottenuto la dimostrazione che questa unità internazionale era assai debole, per poter resistere alle azioni di guerra portate da altri popoli in migrazione verso la Mesopotamia. L’India fu conquistata dagli Arii. L’Egitto incominciò la sua espansione imperiale e gli Ittiti si trasformarono in una monarchia assoluta. Fu così che il modello dei Sumeri declinò repentinamente per sfociare in una forma imperiale. Sotto Hammurabi (1792-1750 a. Cr.) tutto quello che rimaneva di questa esperienza fu unificato in un regno unitario, basato sull'uso di leggi comuni e lingua comune. Nonostante tutto, l'autonomia amministrativa lasciata alle città-stato, stava a testimoniare delle forti resistenze da queste ultime opposte alla totale unificazione.

Dal nostro punto di vista, esempi come quello ricordato, non potevano rientrare nella nostra ricerca perché essi non portavano a soluzione alcuni problemi fondamentali su cui doveva poggiare la definizione di Federalismo, quali l'estensione della democrazia dalle singole unità all'unità complessiva, la trasformazione di questa unità in Stato composto con tutti i suoi attributi, oppure il mantenimento della pace fra le unità membre. Di fatto in essa mancava un preciso disegno costituente che salvando l'individualità delle unità statali di base, introducesse la democrazia sul terreno comune.

Tutto questo prova che il Federalismo è intimamente connesso allo sforzo di estendere la democrazia dall'ambito ristretto del singolo Stato al settore internazionale, dando forma di costituzione politica al tutto, che trova nello Stato federale la sua forma più completa.

Un brano del Federalist (84) ci espone la sintesi di questo grande sforzo a cui approda tutto il processo democratico degli Stati Uniti d'America. Dal 1776 al 1800 circa, periodo che fu definito di nascita degli Stati Uniti, uomini di diversa estrazione sociale, di diversa formazione come Thomas Paine, Benjamin Franklin, George Washington, Alexander Hamilton sperimentarono un metodo di ingegneria costituzionale che solo recentemente fu definito dalla dottrina quale metodo costituente a formazione progressiva.

Le teorie di Paine, l'arte compromissoria di Washington e il fervore di Hamilton portarono alla maturazione politica un nuovo modello di Stato e di società, in cui i principi democratici, le regole dello Stato di diritto, la considerazione della pace, quale obiettivo principale nelle relazioni fra gli Stati membri, portarono alla formazione di quello che noi oggi indichiamo come lo Stato federale. L’esperimento americano segnò nella storia dell'umanità il passaggio dai tentativi isolati alla formulazione scientifica della possibilità di unire in un solo ordinamento più Stati in modo permanente. La scoperta della possibilità di frazionare la sovranità fra gli Stati e unificare in un solo popolo, quelli scaturiti da tutti gli Stati interessati, fu la principale invenzione della Rivoluzione americana. L’ingegneria costituzionale degli autori del Federalist fu oggetto di ampi studi, al punto che oggi, è possibile individuare una definizione stessa di Federalismo in coincidenza con quella di Stato federale.

Il 1776 (anno in cui si venne a costituire la prima Confederazione americana, ancora su base confederale), segnò la nascita del Federalismo allo stesso modo in cui indicò il punto di partenza di tutta una letteratura sistematica dedicata a questa filosofia politica. Non può sfuggire, quindi, anche ad un primo approccio, la sua portata universale. Le formulazioni di Immanuel Kant, posteriori di circa un decennio (1784), non sono altro che la sintesi razionale di tutti questi principi, i quali propugnarono il Federalismo quale dottrina politica valida per l'unità di tutto il genere umano (85). L’influenza americana fu grande in Europa, proprio e specialmente perché i più interessati studiosi europei furono i Francesi, reduci dalla esperienza diretta della loro partecipazione alla guerra di indipendenza americana.

[...]

Di fatto il successo delle forze politiche e degli uomini favorevoli all'Unione federale dell'Europa nelle elezioni del 1984, lo svilupparsi di un processo costituente dopo il mandato elettorale del referendum propositivo sull'Unione federale dell'Europa (Giugno 1989) tenutosi in Italia e Belgio e il mandato dato dal Consiglio europeo di Roma (Dicembre 1990), sono stati una conferma della scelta del nostro continente verso il Federalismo. Negli ultimi anni la ratifica dei vari trattati di Maastricht (1992) di Amsterdam (1997), con la realizzazione [...] dell'euro [...], altro non sono che tappe preparatorie di questo processo di unione federale che è ripreso e che non ha ancora un approdo nella Costituzione federale tuttora inesistente.

[...]

Solo dopo la nascita degli Stati Uniti d'America, lo scopo politico dell'unità del genere umano si propose quale progetto e diventò il fine ultimo di varie correnti e del loro comportamento in cui primeggiarono gli autori del Federalist.

Poiché questo obiettivo finale non è stato ancora realizzato, lo si deve considerare quale il più importante e ultimo obiettivo di base di tutte le lotte federaliste. Con l'espressione Federalismo mondiale, quindi, si intende individuare questo aspetto del pensiero. In secondo luogo, l'uomo non si è accontentato di queste esperienze storiche a lungo raggio, ma ha cercato di realizzare questo ultimo obiettivo attraverso al costituzione di federazioni parziali, talvolta relative ad una sola porzione di continente. Su queste esperienze storiche si sviluppò un pensiero teorico e pratico che presentò queste due valenze: l'aspirazione mondiale e la riflessione costituzionale e politica sulla federazione da realizzare.

Per questo la risoluzione del problema del campo bibliografico passò attraverso un vaglio storico della presenza di questi due aspetti del Federalismo nella singola esperienza. Al fine della esposizione metodologica riassumiamo qui alcuni risultati importanti riguardo ad alcune federazioni, per valutarne la portata e la possibile inclusione nella bibliografia.

Vogliamo dimostrare come sia impreciso raccogliere la letteratura su una data federazione per il solo fatto che è uno Stato federale. Esamineremo solo tre esempi noti a prova di questa affermazione: gli Stati Uniti, il Canada, l'India in modo che potremo, poi, valutare come sul terreno europeo si ritrovino tutti e tre gli aspetti del Federalismo. Infatti l'aspetto di valore e quello storico-sociale uniti a quello istituzionale ci permettono di individuare in Europa la sua formulazione più completa.

Incominciamo con gli Stati Uniti. La portata universale di questa esperienza e della sua unicità sono ben scolpite nei saggi del Federalist su cui ci siamo già soffermati (86). La cura con cui fu studiato, riedito e tradotto nel mondo, sta a testimoniare la sua importanza e la sua funzione di "Summa federalista" in cui è sintetizzata l'universalità e l'essenza del messaggio. Come conseguenza non si può dire che tutta la letteratura degli Stati Uniti deve essere annoverata quale federalista. Nel Federalist soltanto troviamo alcuni aspetti unici di irraggiungibile valore scientifico e universale. C’è l'analisi dei mali causati dalle confederazioni (87), i loro limiti sapientemente confrontati con i meccanismi costituzionali dello Stato federale. Il contesto filosofico e teorico su cui poggia, oggi, la definizione del federalismo trova nel Federalist la prima e più completa formulazione. Bisogna osservare che in seguito l'apertura universale di queste formulazioni si richiuse nella prassi politica americana al ristretto ambito dei confini nazionali. Lo Stato federale nato a Filadelfia, e chiamato dagli americani modello Hamiltoniano, entrò in crisi nella prima metà dell'ottocento per il progressivo prevalere degli interessi del singolo Stato su quelli della federazione. Solo dopo la guerra civile si assistette a un ristabilirsi dell'equilibrio fra governo federale e Stati membri. Successivamente, l'espansione verso l'ovest, l'ingigantirsi della potenza economica degli Stati Uniti hanno ingigantito la preponderanza del governo federale sugli stessi Stati membri.

Con l'entrata degli Stati Uniti nell'arena mondiale e la fine della politica isolazionista, lo Stato federale si trasformò sempre di più in un apparato unitario. La pianificazione della seconda guerra mondiale (The Program for Victory), la guerra fredda poi, nel primo dopoguerra, hanno consolidato questo fenomeno, per cui si può dire che pochi siano i connotati federali rimasti agli Stati Uniti. Tutta questa letteratura che va dalla morte di Hamilton alle proposte del Presidente Ronald Reagan per il New Federalism, altro non sono che gli studi in cui gli autori cercano di individuare gli strumenti più idonei per ricuperare la forma federale (88).

Il solo Federalist presenta le caratteristiche teoriche e storiche dell'aspirazione mondialista e del progetto politico federale regionale. Tutto il resto, anche se deve ancora essere approfondito adeguatamente, rientra nelle lotta che si svolge fra le esigenze costituzionali di autonomia dello Stato federato e l'uso sistematico della forza, quale inevitabile legge di governo della Comunità internazionale, in cui anche la federazione americana fu ed è tuttora sottoposta. Al nostro fine, solo il Federalist e le sue traduzioni possono essere introdotte nella bibliografia in quanto fonte.

Per tutto il resto fu inevitabile considerare impossibile il ricupero di tutta la letteratura posteriore senza alcuni anni di lavoro nelle biblioteche americane. Rimane, ancora, il fatto che questa letteratura, assai poco concede ai problemi di prassi politica generale, e non va oltre la dimensione dello Stato federale americano, non ponendosi quale obiettivo politico l'unità del genere umano che invece è presente nel quadro teorico degli autori del Federalist. Un caso a sé ricopre in questo panorama la scuola del Center for Studies of Federalism avente sede presso l'Università di Temple in Pensylvania. La sua produzione è diventata visibile agli studiosi attraverso la loro rivista (89) e un insieme nutrito di pubblicazioni. Alcune di queste presentano il respiro internazionale che abbiamo cercato e per questo le abbiamo inserite nella nostra bibliografia.

Esaminiamo ora un altro esempio: il Canada. I territori dell'attuale Canada furono colonie britanniche e francesi confinanti con gli Stati Uniti d'America. Con la pace di Parigi (1782), che concluse la guerra fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, fu concordato che circa 35.000 lealisti britannici passassero nei territori canadesi accanto a già 70.000 francesi residenti nei territori del Quebec. Dopo alcuni tentativi espansionistici degli Stati Uniti verso il Canada queste colonie ottennero la loro stabilità territoriale nella forma odierna con una grande pluralità di popoli: Pellirosse, Francesi, Inglesi e le nuove generazioni. Di qui la necessità di un assetto istituzionale che tenesse conto delle esigenze di convivenza fra queste etnie. La formazione di questo Stato fu discontinua e si protrasse a lungo nel tempo. Il rapporto di Lord Durham (1839) concesse al Canada una ampia autonomia, che veniva interpretata quale condizione necessaria al superamento delle tensioni etniche che furono e sono tuttora presenti.

Con la Costituzione di Quebec (1864) il Canada assunse una forma giuridica federale per concessione della madre patria. Poi, con la sua partecipazione alla prima guerra mondiale e alle trattative per la pace di Parigi (1919), fu riconosciuto internazionalmente come Stato sovrano. La Gran Bretagna sanzionò questo stato di fatto nello Statuto di Westmister (1931). Con la Costituzione del 1980, promulgata il 1 Luglio 1981, formalmente non diversa da una costituzione data, il Canada raggiunse una completa autonomia nella forma dello Stato federale. Questa costituzione, però, presenta caratteristiche federali che l'avvicinano di più al modello degli Stati Uniti. Le nove provincie, in cui è incluso il Quebec, assumono la forma dello Stato federato e maggiori garanzie individuali e sociali sono inserite quali diritti nella dichiarazione costituente. Di fatto, solo in questo ultimo periodo è possibile scorgere una letteratura istituzionale federalista diretta a propugnare la ratifica e l'approvazione della nuova costituzione, ma rimangono dominanti i problemi delle etnie e la legittima soddisfazione delle loro aspirazioni.

Ai nostri fini anche questa letteratura non affrontava tutti gli aspetti teorici dell'Ideal-tipus, mentre rimanevano le difficoltà logistiche del suo reperimento.

Nella stessa situazione del Canada ci troviamo con l'India (90). Abbiamo già ricordato come la parte nord-orientale di questo continente fu toccata dall'esperienza sumera. Ancora oggi essa è una mescolanza originale ma anche confusa di popoli. Escluse alcune popolazioni autoctone rintracciabili nel sud del paese, la maggior parte delle etnie individuabili sono il risultato di grandi e profonde invasioni che hanno segnato la sua storia. Le stesse religioni, attualmente più diffuse fra la popolazione: la musulmana e la induista, sono il frutto di queste invasioni. Questa ultima religione sviluppò un sistema sociale che riuscì in tutti questi millenni, a rimanere fedele alla sua originaria impostazione e superò indenne l'invasione musulmana e la colonizzazione. Gli europei, da parte loro, lasciarono immutate le strutture sociali e quelle religiose. Il dominio inglese, sul piano politico, non modificò le divisioni statali interne alla colonia sino al momento in cui l'India ottenne l'indipendenza. Per Gandhi e per Nehru non fu possibile superare questo stato di cose. Al momento dell'indipendenza non si poté creare un movimento politico che rappresentasse tutti gli Indiani per il superamento di ogni discriminazione religiosa.

Questo fallimento fece in modo che i musulmani si organizzassero su base religiosa (Conferenza di Silma 1945) e su questo principio chiedessero una rappresentanza politica su base territoriale. L’opposizione di Gandhi all’istituzionalizzazione del principio condusse solo la Gran Bretagna a proporre una federazione quale forma più idonea per conferire l'indipendenza all'India. Il Governo laburista di quel periodo si illuse che una forma federale dello Stato sarebbe stata un buon deterrente a tutte le forme di prevaricazione religiosa. I mussulmani decisero di riunirsi nell'attuale Pakistan e di creare uno Stato indipendente all'interno del Commonwealth anche se diviso in due parti di cui l'orientale era incapace di vivere autonomamente. Gli Indù decisero di unificare il potere nella forma dello Stato federale e superare così le tendenze separatiste delle municipalità che si manifestavano sempre più all'annuncio del ritiro inglese. Il 16 agosto 1946 a Calcutta 2000 persone furono massacrate in un sol giorno dai fanatici religiosi di entrambe le parti. Il 15 agosto 1947, primo giorno dell'indipendenza, moltissimi mussulmani indiani incominciarono una lenta e sofferta migrazione verso l'attuale Pakistan (91). Si calcolò che in questo esodo storico fossero morti più di 2 milioni di persone. Promulgata la costituzione si trattò di costituire la federazione. L’operazione prevedeva rettifiche di confine o fusione fra i vari Stati preesistenti. Alcuni esempi ci possono provare la mancanza di qualsivoglia processo costituente radicato in un movimento popolare quale si era sviluppato nella fase costituente negli Stati Uniti d'America. Lo Stato di Andhra non poté essere rettificato, sino a quando il leader locale non morì in seguito ad uno sciopero della fame intentato contro questa rettifica (1953). Lo Stato dei Sikh, dopo varie difficoltà poté essere staccato dal Punjab e si stanziarono i fondi per costruire la capitale del nuovo Stato: Haryana. Gandhi stesso venne assassinato durante la preghiera comune da un nazionalista indù. Simili vicende si riproposero in tempi più vicini a noi: nel 1984 il Governo federale indiano, con le azioni militari contro i Sikh che abitano il Punjab e la conseguente conquista "manu militari" del Tempio d'oro di Amritsar, provocò la reazione di quella popolazione che culminò nell'assassinio di Indira Gandhi allora Primo Ministro dell'India. Allo stesso modo, l'intolleranza religiosa, che condusse i fondamentalisti Indu, nel 1995, ad assassinare il figlio, di Indira, Rajiv Gandhi, Premier del Partito del Congresso I (92), al culmine di una campagna elettorale favorevole al suo Partito e sfavorevole ai fondamentalisti per il rinnovo del Parlamento federale fissato per l'Aprile 1996, è dimostrazione che la forma dello Stato non supera i conflitti sociali e le intolleranze esistenti e radicate nella società.

Noi vogliamo far rilevare che non basta scegliere la forma dello Stato federale per il superamento di conflitti sociali se questo non è inserito in una strategia politica costituente di più ampio respiro. Il Federalismo possiede queste qualità e la sua strategia ha anche questi obiettivi nella prassi politica quotidiana.

La letteratura indiana, in maggior parte pubblicata in Europa al fine di propugnare e sostenere la possibile indipendenza dell'India nella forma federale si mostrò carente di quelle caratteristiche che legano la riflessione filosofica e gli obiettivi politici che sono alla base della definizione dell'Ideal-tipus.

Anche se abbiamo esaminato solo tre esempi di Stato federale sui diciassette esistenti nel mondo, al di là della forma giuridica, non abbiamo trovato sufficienti elementi che ci permettessero di considerare il modello teorico del Federalismo corrispondente a dati storici che fossero patrimonio di una evoluzione della società in superamento della ragion di Stato quale si presenta oggi l'europea. Ne conseguì che una bibliografia universale non era realizzabile. Abbiamo, quindi, dovuto mutare l'approccio portando il nostro esame sulla storia europea.

Partendo dalla constatazione che sino alla fine della prima guerra mondiale il potere del mondo aveva sede in Europa, abbiamo potuto intuire l'importanza culturale, scientifica e politica del vecchio continente. Di fatto l'influenza della corrente federalista americana, in Europa, fu grande. Appena pubblicato il Federalist in America (1787 ediz. Mc Lain) fu un Francese Trudaine de la Sablière che in piena Rivoluzione francese (1792) lo pubblicò a Parigi tradotto con il preciso scopo di fornire un modello istituzionale per l'Europa. Fu il Governo Girondino che legò la sua politica internazionale di liberazione di tutti i popoli a questo modello contro le monarchie assolute. Il periodo Girondino segnò, quindi in Europa, l'inizio di una fase storica che si rifaceva al modello federale americano e lo riproponeva come modello ideale a cui collegare le proposte di unità europea. Il testamento politico e spirituale di Condorcet può essere indicato quale migliore sintesi di questa epoca in cui emergono questi ideali.

"Mostreremo come questi avvenimenti saranno una conseguenza inevitabile non soltanto dei progressi dell’Europa, ma anche della libertà che la Repubblica Francese e quella dell’America del Nord hanno contemporaneamente sia l’interesse più reale che il potere di rendere al commercio dell’Africa e dell’Asia; come essi debbano dunque nascere necessariamente o dalla nuova saggezza delle nazioni europee, o dal loro attaccamento ostinato ai loro pregiudizi mercantili... I popoli più illuminati rientreranno in possesso del diritto di disporre del loro sangue e delle loro ricchezze, apprenderanno a poco a poco a considerare la guerra come il flagello più funesto, e come il più grande dei crimini. Si vedranno dapprima sparire quelle guerre in cui gli usurpatori della sovranità delle nazioni le hanno trascinate per pretesti ereditari.

I popoli sapranno che non possono divenire conquistatori senza perdere la loro libertà; che confederazioni perpetue sono il solo modo di mantenere la loro indipendenza; che debbono cercare la sicurezza e non la potenza. Poco a poco i pregiudizi commerciali si dissiperanno; un falso interesse mercantile perderà lo spaventoso potere di insanguinare la terra e di mandare in rovina le nazioni con il pretesto di arricchirle. Come infine i popoli si avvicineranno nei principi della politica e della morale, come ciascuno di essi, per il proprio vantaggio, chiamerà gli stranieri ad una divisione più eguale dei beni che esso deve alla natura o alla propria operosità, tutte le cause che producono, inaspriscono, perpetuano gli odi nazionali svaniranno a poco a poco, esse non forniranno più al furore bellicoso ne alimento ne pretesto.

Istituzioni foggiate in modo migliore di quei progetti di pace perpetua che hanno occupato il tempo e consolato l’anima di qualche filosofo, accelerando i progressi della fraternità tra le nazioni, e le guerre tra i popoli, come gli assassinii, entreranno a far parte delle atrocità straordinarie che umiliano e indignano la natura, che imprimono a lungo un marchio di obbrobrio al paese e al secolo la cui storia è stata infamata" (93).

Si aprì così, in Europa, una prima fase del pensiero federalista che fu definita utopica. In esso erano presenti tutti gli elementi dell'Ideal-tipus ma anche le ingenuità che pesarono sino alla fine della seconda guerra mondiale su tutti i pensatori che si ispirarono a questo periodo.

Prima di tutto si sperò che il trasporto in Europa delle istituzioni americane, senza che esse fossero il risultato di una sofferta lotta teorico-pratica, giovasse alla causa del Federalismo. Si pensò egualmente che la politica dell'influenza potesse convincere gli altri Stati a regime simile a percorrere un cammino comune verso la fondazione di una Federazione europea. Si sostenne che bastasse possedere il potere statuale per poter giungere ad una effettiva forma istituzionale federale. Vediamo alcuni esempi. Dopo la scelta della federazione per la Francia repubblicana (1789-1790) come risposta al crollo della Monarchia assoluta e in ossequio alla più ampia libertà concessa alle unità intermedie, il Governo Girondino dovette instaurare, sempre di più, una politica di rigore che a poco a poco toglieva tutte le autonomie e si opponeva ai tentativi di reazione e ai separatisti (Vandea, Baschi ecc.). La liberazione del popolo olandese, e dei tedeschi dei principati della Germania meridionale non furono garanzie sufficienti per difendere la Francia dalla coalizione filomonarchica. Fu così che i Giacobini, sostenitori dello Stato nazionale unitario e di una guerra scientificamente combattuta, prevalsero. Con la scomparsa delle istituzioni girondine e il burocratizzarsi dello Stato, si aprì la porta alla Monarchia assoluta che trovò in Napoleone Buonaparte il suo più degno rappresentante.

Di questo periodo, nel pensiero federalista, devono essere catalogate le ingenuità esposte dalla letteratura classica democratica, liberale e socialista, la quale vedeva nella realizzazione del modello ideale, di società propugnata, la possibilità di espansione, a tutto il mondo, della sua concezione della società e dello Stato. In fondo questa letteratura tutta professa una fede incrollabile sulla spontanea convergenza federale degli Stati quale inevitabile conseguenza del realizzarsi del modello ideale di società.

Benjamin Constant, che rappresenta il Liberalismo classico, così si espresse nell'interpretazione dell'internazionalismo e della politica estera dello Stato liberale: "E’ chiaro che più la tendenza commerciale domina, più la tendenza bellicosa deve indebolirsi" (94).

Allo stesso modo Thomas Paine sintetizzò il pensiero democratico: "la sovranità monarchica, nemica dell’umanità e fonte di miseria è abolita e la sovranità stessa è ristabilita al suo posto naturale: la nazione. Se ciò avvenisse dappertutto in Europa, la causa delle guerre sarebbe rimossa" (95). Pure per il socialismo più tardi (1848), Karl Marx e Frederich Engels così si espressero: "Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più, già con lo sviluppo della Borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l’uniformità della produzione industriale e con le corrispondenti condizioni di esistenza... Il dominio del proletariato li farà scomparire ancora più. Una delle prime condizioni, della sua emancipazione, è l’azione unita, per lo meno nei paesi civili. Lo sfruttamento di una nazione da parte di un’ altra viene abolito nella stessa misura in cui viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro. Con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità delle nazioni" (96).

Più avanti non sfuggì, a questa linea di pensiero, lo stesso Vladimir I. Lenin. Egli cosi si espresse il 31 Gennaio 1918 alla conclusione del Congresso di tutti i Soviet di tutta la Russia: "Ecco il fondamento della nostra federazione, ed io sono profondamente convinto che intorno alla Russia rivoluzionaria sempre di più si raggrupperanno le singole diverse federazioni di libere nazioni. In modo del tutto volontario, senza ne fronde ne ferro, questa federazione crescerà e sarà indistruttibile. La migliore garanzia della sua indistruttibilità sono le leggi, nel quale si fonda il regime statale che noi creiamo.

Noi non siamo più soli. Negli ultimi giorni si sono svolti avvenimenti significativi non solo in Ucraina e sul Don, non solo nel regno dei nostri Kaledin e Kerenski, ma anche in Europa occidentale. Conoscete già i telegrammi sulla situazione rivoluzionaria in Germania. Le lingue di fuoco della rivoluzione fiammeggiano sempre più forti su tutto il vecchio e imputridito regime mondiale. Non era una pura teoria astratta dalla vita, non era fantasia di gente staccata dal mondo che noi, creato il potere dei soviet, avremmo suscitato analoghi tentativi anche negli altri paesi. Giacchè, lo ripeto, per i lavoratori non c’era altra via di uscita da questa guerra sanguinosa. Ora questi tentativi prendono già forma di salde conquiste della rivoluzione internazionale. E noi concludiamo questo storico Congresso dei Soviet all’insegna della sempre più ampia rivoluzione mondiale, e non è lontano il tempo in cui i lavoratori di tutti i paesi si fonderanno in un solo Stato di tutta l’umanità, per costruire con sforzi comuni un nuovo edificio socialista. Il cammino di questa edificazione passa attraverso i Soviet, come una delle forme della rivoluzione mondiale che ora comincia" (97).

Questo periodo però si concluse con un pensatore che anticipò il secondo periodo, quello politico, del Federalismo europeo: Lev Trotskij. Per opera di Trotskij il valore della federazione europea divenne un preciso disegno politico e oggetto dell'azione politica delle forze popolari organizzate le quali lo avrebbero dovuto perseguire autonomamente. Trotskij, partendo dal problema della guerra, si interrogò su quali fossero le possibilità di evitarla. Già nel suo articolo "il vaso di Pandora dell’Europa", scritto nel 1909 (98), giunse a formulare il superamento delle guerre balcaniche in una federazione di quei popoli. Nel Novembre 1914, di fronte al dissolvimento della Seconda Internazionale e a qualche giorno di distanza dall'inizio delle ostilità, in un articolo intitolato "La guerra e l’Internazionale" invitò il Movimento operaio internazionale allo sciopero generale e propose un progetto politico alternativo a quello dell'Imperialismo tedesco e al funzionalismo economico di Friedric List: gli Stati Uniti Socialisti d’Europa.

In questo articolo, uscito a pezzi in tre edizioni del giornale dei fuorusciti Russi a Parigi "Golos", egli additò nella sovranità assoluta degli Stati e nell'Imperialismo capitalista le cause principali del conflitto mondiale, le quali giocando sul lealismo dei socialisti, avevano distrutto l'Internazionale. Esaminando poi le proposte degli economisti funzionalisti, criticò aspramente la progettata unione doganale europea, che a suo modo di vedere, altro scopo non aveva se non quello di dare ancora un po’ di respiro al capitalismo ormai in crisi irreversibile.

"Gli Stati Uniti d’Europa, senza monarchia, senza eserciti permanenti e senza diplomazia segreta, ecco la clausola più importante del programma di pace proletario".

Cosa significasse rifiutare questo programma, Trotskij così lo sintetizzò: "Il ristabilire dogane autonome, monete nazionali, codice sociale nazionale. Evidentemente non è questo. Il programma rivoluzionario comporta la distruzione della forma antidemocratica e di una Unione realizzata con la violenza."

Trotskij profetizzò come alla fine della guerra gli Stati europei non avrebbero più posseduto una vera identità statale. La crisi del militarismo, il processo di decolonizzazione avrebbe spostato il potere del mondo in altre aree geografiche se non fosse stato realizzato un qualcosa di alternativo al sistema europeo degli Stati. Il programma di pace doveva essere basato su due punti. Il primo: scatenare una rivoluzione proletaria in ciascun paese europeo. In questo modo si sarebbe impedito alla forze capitalistiche di risollevarsi dalla crisi dovuta alla guerra. Secondo: costituzione attraverso una democrazia continentale di istituzioni comuni, le quali accanto alla costruzione della democrazia proletaria si collegassero alla costruzione di uno Stato federale europeo.

"In altri termini: lo stabilirsi della dittatura del proletariato non è pensabile che nella sua espansione in tutta Europa, e per di più sotto la forma di una repubblica federale europea. L’Unione europea, non realizzata con il ferro o con gli accordi diplomatici, sarà il problema ineluttabile posto al proletariato vittorioso."

Il processo costituente, per arrivare alla forma federale, era così delineato: a) necessità che i proletari di tutti i paesi belligeranti si rendessero conto che i loro interessi erano diversi da quelli delle forze imperialiste che avevano scatenato la guerra; b) nasceva, quindi, ineluttabilmente la necessita` della Rivoluzione proletaria e la presa del potere; c) non era possibile, a questo punto, pensare in forme nazionali, essendo impossibile a ciascun Stato provvedere autonomamente ai suoi bisogni, ed era necessario progettare delle forme di unione; d) l'unica forma di unione era il patto federale che le libere nazioni potevano scegliere una volta possedute le leve del loro destino.

"Di conseguenza, gli Stati Uniti d’Europa rappresentano, prima di tutto, la sola forma immaginabile della dittatura del proletariato europeo.".

Così Trotskij, cinque anni prima delle dichiarazioni di Wilson, propose la soluzione federale per l'Europa. Nonostante l'adesione entusiastica di Lenin e la successiva redazione del Manifesto di Zimmerwald (4-8 Sett. 1915), messaggio diretto ai proletari di tutto il mondo, entrambi non si aspettavano e non conoscevano ancora le conseguenze a cui li avrebbe condotti la lotta intrapresa contro la Ragion di Stato (99).

Lenin e Trotskij furono sostenitori strenui di questo loro progetto. Lenin stesso non nascose mai la sua preferenza per una Russia post-rivoluzionaria federale. Coinvolti nelle vicende di conservazione del potere bolscevico in Russia, Trotskij, per primo, chiese l'istituzione dell'esercito obbligatorio del lavoro, con turni inumani, la leva obbligatoria e l'installazione di fabbriche di armi, fornite dai Krups, ma necessarie per sostenere l'Armata rossa che difendeva la Russia bolscevica dalla reazione. Si arrivò all'addestramento dell'Armata rossa, fatto da ufficiali tedeschi, a cui il Trattato di Parigi (1919) aveva vietato la ricostituzione dell'esercito. Truppe tedesche, stesse, poterono essere addestrate in territorio sovietico. La Russia da Impero si trasformò in fortilizio del proletariato accerchiato dai paesi capitalisti. Nonostante tutto questo, Trotskij continuò a sostenere le richieste di autonomia politica delle comunità nazionali minoritarie, inserite nella Repubblica dei Soviet, che, invece, erano avversate dal Commissario per le nazionalità Josiph Stalin.

Per Lenin la cosa fu più traumatica. Sino alla morte sperò in questo progetto politico: la federazione europea degli Stati socialisti. Ma in lui si faceva strada la convinzione che il nazionalismo e il capitalismo non erano stati sconfitti dalla Rivoluzione russa. Fu quindi in una circostanza di questo tipo che egli diede il colpo di timone che preservò la Russia e poi l'URSS da una forma unitaria a vantaggio della forma federale. Il problema consisteva nell'accettare o meno che la Georgia fosse fornita di una propria autonomia. Lenin non esitò, contro tutta la commissione per le nazionalità, a trasformare il problema in una questione di assetto istituzionale dello Stato. La sua morte avvenuta dopo aver costretto la Commissione per le nazionalità a scegliere la forma federale depose a favore della sua profonda fede federalista. Gli studi sulle forme di Stato e gli appunti sulle federazioni americana e svizzera, sono la prova del suo profondo interesse politico-istituzionale per questa soluzione.

Il periodo dell'utopia germinò, così, due differenti correnti politiche. La prima corrente, in cui si impersonava la corrente governativa, che voleva l'unione dell'Europa senza nessun sacrificio della sovranità assoluta degli Stati e si coagulò nel Movimento Pan-Europa di N. Kalergi. La seconda corrente più massimalista, che andava oltre il tiepido progetto Briand, la quale sosteneva delle forme di federazione mondiale, quali quelle proposte dagli inglesi propugnatori di trasformazioni federali del Commonwealth. Di questa seconda corrente gli scritti di Lord Lothian diretti a propugnare la trasformazione dell'impero coloniale inglese in federazione furono uno dei punti più alti di questo pensiero.

L’incubazione nazi-fascista e la seconda guerra mondiale furono la conclusione di questo periodo. La seconda guerra mondiale segnò una svolta. Come ben sintetizzò Einaudi (100) in una sua comunicazione al Convegno americano dell'American Academy of Political and Social Science (1940), il significato più vero di quella guerra fu la lotta fra coloro che sostenevano in Europa la formazione di un Impero razziale e coloro che, invece, volevano superare i vecchi equilibri in una Federazione europea alla cui base fossero la libertà e la democrazia. La Resistenza al nazi-fascismo generò, quindi, un secondo periodo del Federalismo che può essere definito periodo politico. In questo arco di tempo si formarono i movimenti autonomi dei federalisti i quali individuarono nella Federazione europea lo sbocco della seconda guerra mondiale (101). Federal Union prima, Il Movimento Federalista Europeo poi, sono alcuni di questi Movimenti che concepirono, in piena guerra, non come "fine quello antico, cioè la conquista del potere nazionale, ma come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale" (102). Questo fu, ed è tutt’ oggi il loro principale scopo politico.

In questo secondo periodo, la letteratura politica assunse due aspetti: a) quello di elaborazione teorica, b) quello di letteratura militante. Elaborazione teorica, significò sistematicità della cultura federalista, la quale si realizzò discutendo da un lato l'esperienza degli Stati Uniti d'America e dall'altra il compito mondiale dell'Europa, sino a giungere all'elaborazione di modelli di questa filosofia politica. Sono di questo periodo gli studi sulla gerarchia dei valori e su processo costituente (103).

Possiamo affermare, oggi, che questo periodo non si è ancora chiuso, anzi ha preso nuovo vigore dopo la prima elezione diretta del Parlamento Europeo (1979) e dal preciso mandato di lottare per l'unione politica europea sempre rivendicato e non ancora ottenuto. E’ così possibile definire questo secondo periodo quale età del prevalere della tendenza democratico-popolare. In esso, le forze politiche, basandosi sul rapporto democratico e sulla volontà popolare, rivendicarono l'unione federale dell'Europa. Dall'incontro delle tendenze integrative sia governative, sia democratico-popolari si può capire e spiegare tutta la storia dell'Europa occidentale di questo secondo dopoguerra. Ad essa partecipano pure i paesi dell'est, Russia compresa, i quali dal 1989, abolita la dittatura comunista, liquidato il COMECON, continuano a battere, insistentemente, alle porte dell'Unione Europea (104).

Alcune caratteristiche distinguono questo periodo dal precedente: 1) l'azione politica si svolge in opposizione agli Stati nazionali nella forma di un movimento continentale; 2) il movimento politico tende a diventare autonomo e a distinguersi, sempre di più, dalle correnti nazionali per assumere un fisionomia propria; 3) l'obiettivo politico è perseguito come processo costituente che deve scaturire nella forma dello Stato federale il quale unifica gli Stati preesistenti; 4) i valori della pace, della democrazia e della libertà sono alla base di questo modo nuovo di fare politica; 5) sono di questo periodo gli studi definitori dell'Ideal-tipus, che danno al Federalismo una dignità pari a quella di altre filosofie politiche quali il pensiero democratico, liberale, socialista, ecc…. L’Europa si trasforma in un grande laboratorio politico, che accanto alla lotta per il superamento del ritardo tecnologico e alla corsa verso la società postindustriale (105) collega lo sviluppo di nuove istituzioni originali che cercano di portarla verso questo ultimo e più importante fine: la federazione. Questo obiettivo viene ancorato ai tratti di una nuova società civile che, da una parte possa essere la prima pietra per una federazione mondiale (106), dall'altra si apra alle attuali esigenze che sono portate avanti dalla crisi dei paesi sottosviluppati del mondo (107).

 

(79) Sulla civiltà Sumera Cfr. KRAMER, S. N., Cradle of Civilisation. New York, 1969, pure dello stesso autore: History of begin Sumers, New York, 1959, e Sumerian Mithology, Philadelphia, 1944, e The Sumerian, Chicago, 1963, ora anche in traduzione italiana: I Sumeri, Roma, New Compton, 1998.

(80) "Egli farà giustizia fra le genti deciderà fra tanti popoli, sì che forgeranno le loro spade in zappe e le loro lance in falci; non più gente contro gente alzerà la spada né mai più s’addesteranno alla guerra" (AT Isaia, 2, 4-5, 740 Av. Cr.)

(81) Fondamentali sono gli studi del KRAMER alla nota n. 79.

(82) Per l’India la principale sintesi storica è contenuta in: The Imperial Gazzetter of India, New Delhi, Today and Tomorrow, 1901, 25 voll.; Cfr. pure MARSHALL, J., Mohenjo-Daro and Indus civilization, London, 1931, 3 voll.

(83) Cfr. GURNEY, O., The Ittites, Baltimore, 1961.

(84) Cfr. The Federalist. New York, Mc Dougall, 1787-1788, anche ediz. Italiana citata alla nota n. 41.

(85) Cfr. i saggi di KANT, I. in Scritti politici e di filosofia del diritto. A cura di Gioele SOLARI, Torino, Utet, 1956. Gli originali sono i seguenti: idem, Keleinere Scriften zur Geschichtephilosophie, Ethik und Politik, Leipzig, Meiner, 1913; idem, Werke, Hers. E. CASSIRER, Berlin, 1912-1921, 10 voll. in particolare citiamo Ideen zum einer allgemeinen Geschichte in Weltbürgerlicher Absicht (1784); Der Streit der Fakultäten (1789), p. 2; Zum ewigen Frieden (1793); Metaphysische Frieden (1793).

(86) Di questa vicenda storica citiamo alcuni scritti del periodo: HAMILTON, A., The Continentalist in The Papers, New York, Columbia University Press, v. 4, 1962; idem, Letter to James Douane (3 sept. 1780) in The papers, cit. v. 2, pp. 400-418. Oltre agli scambi epistolari con MADISON e WASHINGTON Cfr. il The Federalist n. 14-20 citato al n. . Per l’interpretazione di questo periodo Cfr. BEKER, C., The Declaration of Independence, Harcourt, 1922; BURWETT, E. C. The Continental Congress, London, Macmillan, 1941; CALHOON, R. M., The Lojalist in Revolutionary America: 1760-1781., New York, Harcourt, 1973; GREENE, J. P., The Reinterpretation of America Revolution: 1763-1769, New York, 1968; JENSEN, M., The Articles of Confederation, Madison, University of Wisconsin Press, 1940; MAIN, J. T., The Sovereing States: 1775-1783, New Viewpoints, 1973; WOOD, G., The Creation of American Republic: 1776-1787, Capel Hill, University of North Carolina Press, 1969; cfr: pure BEARD, Ch., An economic interpretation of the Constitution of the United States, New York, Macmillan, 1913 e COLE Arthur, Industrial and commercial correspondence of Alexander Hamilton, Chicago, A. W. Shaw and Co., 1928.

(87) Cfr. The Federalist, n. 22 e 23 citato alla nota n. 41.

(88) Per questa involuzione degli Stati Uniti Cfr. ALBERTINI M.- ROSSOLILLO F., La décadence du Fédéralisme aux Etats-Unis citato alla nota n. 46, in "Le Fédéraliste", Pavia, a. 4, 1962, p. 219; pure KEMP H.- TOINET M. F., La fin du Fédéralisme aux Etats-Unis? in "Revue française de science politique", Paris, 1980, a. 30 n. 4, pp. 735-845. Sul nuovo federalismo di R. REAGAN Cfr. American federalism a new partnership for the Republic, Ed. by R. B. HAWKINS, San Francisco, 1982.

(89) Publius: the journal of Federalism, Philadelpia,Temple University, Centre for Study of Federalism, 1971-…

(90) Cfr. in lingua italiana l’opera del GNOLI Rodolfo, La civiltà indiana, Torino, Utet, 1973. In lingua inglese: PANNIKAR K. M., The Cambridge History of India, New Delhi, 1955-1958, 5 voll. (riedizione della precedente edizione del 1923-27 con aggiornamenti).

(91) Su queste vicende è importante la versione romanzata di uno dei figli di mussulmani indiani: cfr. RUSHDIE, Salman, Midnight's children, New York, A. A. Knopf, 1995; in traduzione italiana idem, I figli della mezzanotte, Milano, Garzanti, 1995

(92) Come stimolo di riflessione su queste vicende recenti citiamo GANDHI, K., The story of my experiment with Truth: an authobiography. Bacon Hill, 1957. Si tratta della celebre autobiografia in cui molte pagine sono dedicate alla pacificazione e alla tolleranza religiosa. Pure Cfr. TORRI, M. G., India moderna in Storia dell’Asia, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 370-386. Sulle vicende per il Golden Temple di Amritsar Cfr. inserto speciale in "India Today", New Delhi, a. 15, 1984 (august), pp. 24-39.

(93) Cfr. CONDORCET J. A., Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’ésprit humain, Gènes, 1798, pp. 312-313 e 342-343. Sulla influenza degli Stati Uniti sui Francesi Cfr. PAINE, Th., The rights of man (1791) in Writings of Thomas Paine, edited by M. D. CONWAY, New York, B. Franklin, 1960.

(94) Cfr. CONSTANT B., De l’esprit de conquête (1814). In Oevres, Paris, 1957, p. 94.

(95) PAINE Th., The right of man cit. v. 1, p. 387 (parte 1)

(96) Cfr. MARX K. - ENGELS Fr., Il Manifesto del Partito Comunista (1848), Torino, EINAUDI, 1970, pp. 154-155 e sulla mancata analisi delle forme istituzionali che doveva far parte del Capitale Cfr. ROSDOLSKY, R., Zur entste Hungsgeschichte des Marxschen Kapital, Frankfurt, Europäische Verlagsanstalt, 1967, 2a edz., cap. 1 e 2.

(97) Cfr. LENIN, V. I., Opere complete, Roma, Editori Riuniti, 1966, v. 26, pp. 457-459.

(98) Cfr. TROTSKIJ, L., Jazik Pandori Europe, in "Kievskaja Mils", Kiev, 1909.

(99) I brani citati sono estratti dalla edizione francese che riproduce gli scritti di Trotskij in edizione russa: La guerre et la révolution, Paris, Edition Tete de Feuille, 1974, p. 311 e 318-323. L’originale fu un articolo le cui parti non ancora sistemate organicamente dal titolo; Voina i internationala in "Golos", Paris, nov. 1914, n. 59 e n. 63, 25 nov. La traduzione in tedesco di alcune parti, con l’aggiunta delle parti sulla autodeterminazione dei popoli fu materiale per l’edizione tedesca: Der Krieg und der Internationale, Zürich, 1914. Trotskij che si trovava a Parigi fu espulso dal Governo francese come disfattista mentre il Governo imperiale tedesco lo condannava ad alcuni mesi di prigione per la stessa accusa. Fu così che egli dovette riparare con la famiglia in Svizzera. Su Trotskij rimangono validi i tre volumi di DEUTSCHER, J., The Prophet armed: Trotskij 1879-1921, London, 1954 (trad. italiana Il profeta armato, Milano, 1956); idem, The prophet unarmed: Trotskij 1921-1922, London, 1959 (trad. it. Il profeta disarmato, Milano, 1959); idem, The Prophet olocaust: 1929-1940, London, 1963 (trad. it. Il Profeta esiliato, Milano, 1963). Sulle vicende di cui si parla Cfr. v. 1 in particolare cap. 12, 13 e 14. Sul prevalere della ragion di Stato Cfr. v. 2, cap. 1. Inoltre per Lenin Cfr. LENIN V. I., Opere, cit. v. 26, pp. 402-405. In questo volume è possibile vedere le varie prese di posizione che testimoniano questo suo orientamento genuinamente federalista. Su questo punto pure DEUTSCHER I. nei tre volumi dedicati alla biografia di Trotskij. Nelle opere di LENIN sono pure importanti i voll. 27 e 28. Per l’edizione originale in russo Cfr. i numeri dei volumi sono uguali: LENIN, V. I., Socinenia, Moskva, 1941, 4a edz.

(100) Cfr. EINAUDI L., The nature of World Peace, in "The Annals of American Academy of Political and Social Science", Philadelphia, v. 210, July, 1940, pp. 66-67.

(101) Cfr. il commento di LIPGENS, W., Europa-Föderationplane der Widerstanasbewegungen (1940-45), Munchen, Oldenburg, 1968 e i suoi voll. A History of European Integration: citato alla nota n. 75, pure Documents on the History of European Integration, Berlin, W. De Gruyter, 1985, v. 1.

(102) Cfr. Il Manifesto per una Europa libera e unita (1941), in SPINELLI A. - ROSSI E., Problemi della Federazione europea cit. alla nota n. 54, cpv. 2o, parte 2. Sull’obiettivo della federazione mondiale oltre alle ultime dichiarazioni politiche della Union des Fédéralistes européens (UEF) per le radici storiche che partono dalla Resistenza Cfr. GRANET M. - HERBERT M., Histoire d’un mouvement de résistence de julliet 1940 a julliet 1943, Paris, 1957. Anche i volumi di LIPGENS citati alla nota n. 75. Sul problema più ampio Cfr. JOAD, C., The Philosophy of Federal Union, London, 1942 e JACKS L. P., The idea of a World Community, London, 1950. Per gli italiani cfr, CALAMANDREI, P., Introduzione al Disegno preliminare di costituzione mondiale, Milano, Mondadori, 1949, pp. 15-38.

(103) A testimonianza del lungo cammino percorso dal Movimento Federalista in questo periodo di tempo citiamo: SPINELLI A., L’integrazione europea, Bologna, 1957; SPINELLI A. - ROSSI, E., Problemi della federazione europea, cit. nota n. 54; ROSSI E., L’Europe demain, Neuchâtel, 1945; SPINELLI A., Dagli Stati sovrani agli Stati Uniti d’Europa, Firenze, 1950; Di ROSSI E. rimangono emblematici gli articoli sulla CECA e sul problema europeo: Europa in gelatina (1952), pp. 105-115 e L’unione a pezzettini (1952) pp. 111-119 in Aria fritta, Bari, 1956. Del periodo del MEC importante SPINELLI A., L’Europa non cade dal cielo, Bologna, 1960; idem Tedeschi al bivio, Roma, 1960. In ultimo citiamo: ALBERTINI M., Le radici storiche e culturali del Federalismo europeo in Storia del Federalismo europeo, Torino, 1973, oggi ripresentato in nuova edizione come file HTML in questa stessa base-dati EURO, il cui indirizzo web si trova alla nota n. 1

(104) Sui problemi dello spazio politico lasciato libero dall’ex URSS cfr. KOSSIKOV, Igor - KOSSIKOVA, Lidia, La regionalizzazione dello spazio post-sovietico: aspetti politici ed economici, in "Il Federlista", Pavia, a. 40, 1998, p. 173-183. Sul problema della non federazione Russa e delle sue contraddizioni cfr. BELIAVEV,Sergei, I Problemi del federalismo nell’ex Unione Sovietica, in "Il Federlista", Pavia, a. 40, 1998, p. 54-71.

(105) Questo discorso è tuttora in svolgimento. Manca un’analisi sistematica su quella che potrebbe essere una economia di una società federale. Alcuni sprazzi di matrice federalista o di isolati studiosi che hanno incontrato questa tematica per strada si possono trovare in: ROBBINS, L., Ecomonic Planning and International Order, London, Macmillan, 1937; EINAUDI L., L’economia della Federazione Europea in La Guerra e l’Unità europea, Milano, Comunità, 1955 pp. 69-151; ALBERTINI M., L’economia dell’atomo, dell’automazione e la situazione dell’Europa in "Il Politico", Pavia, a. 22, 1980, n. 3, pp. 689-705; idem, il modo di produzione postindustriale e la fine della condizione operaia in "Il Federalista", Pavia, a. 18, 1976, pp. 254-261; MONTANI, G., Consideration sur les institutions monétaires de la Fédération européenne, in "Le Fédéraliste", Pavia, a. 16, 1974, pp. 133; MONTANI G.- VELO D., L’unione economico-monetaria e la formazione dei programmi europei dei partiti in "Il Federalista", Pavia, a. 19, 1977, p. 56; MONTANI G., L’Europa e il mondo tra libero scambio e il protezionismo in "Il Federalista", Pavia, a. 20, 1978, p. 79; MONTANI G., Rivoluzione scientifica e società post-industriale in "Il Federalista" Pavia, a. 21, 1979, p. 4. Sui problemi di ampio respiro cfr. Movimento Europeo: Consiglio italiano, Lavoro e occupazione nella prospettiva dell’unione economico-monetaria europea, Milano, 1980. Da parte marxista dei pochi studi citiamo: STRUMILIM, S. P., Gosudarsvo i truda, Moskva, 1905; idem, Problemi ekonomiki truda, Moskva, 1925; idem, Na putjah postroenija kommunisma, Moskva, 1959; RICHTA R, Civiltà al bivio, Milano, 1972; SIK O., Plan and market under socialism, London, 1967. Nella traduzione italiana idem, Piano e mercato nel socialismo, Roma, 1969, così scrive a pag. 15: "Infatti per metterle in pratica è necessaria non soltanto una relativa libertà delle aziende, ma anche una corrispondente politica economica centrale, quale appunto viene ampliamente descritta in questo libro, attraverso cui nel più breve tempo possibile vengano promossi un vero mercato dei consumi, una pressione concorrenziale interna ed esterna, una bilancia commerciale in pareggio, un rapido mutamento strutturale della tecnologia". L’apporto alla parabola politica di Mikhail GORBACIEV è leggibile in AGANBEGJAN, Abel G., Il futuro della economia sovietica, Milano, Rizzoli,1989, 280 pp., anche GORBACIEV, Mikhail, Un Piano Marshall per l’URSS? in La casa comune europea, Milano, Mondadori, 1989, p. 172-178.

(106) Cfr. BORGESE G., Foundation of World Republic, Chicago, 1953. Tutti gli atti del Comitato per la Federazione Mondiale sono pubblicati su "Common Cause", Chicago, 1949-1955. Su questo problema il MFE, XI Congresso MFE (Bologna, 5-8 nov. 1982), Risoluzione politica in "Il Federalista", Pavia, a. 24, 1982, pp. 216-221.

(107) Pure ALBERTINI M., Unire l’Europa per unire il mondo. Rapporto al 1o Congresso dell’UEF (Strasburgo 14-16 mar. 1980) in "L’Unità Europea", Milano, n. 74, apr. 1980, 10 pp. suppl.; da parte comunista si veda la sintesi BERLINGUER E., L’Europa, la pace, lo sviluppo: intervista a Critica marxista, in "Critica marxista", Roma, Gen.-Apr. 1984, nn. 1-2, p. 19.

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