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L'Osservatore europeo

 

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UNA LINGUA O UN CODICE?

I diversi contributi al dibattito su una lingua per l'Europa sostengono soluzioni diverse perché in realtà si prefiggono obiettivi diversi.
Cercherò di chiarire questo punto in termini di obiettivi ed effetti collaterali, partendo dall'assunto (generalmente accettato) che una lingua è la combinazione di:

1) un codice di comunicazione, e di

2) una tradizione, che è parte del patrimonio culturale che si trasmette alla comunità di coloro che la parlano.

La lingua diventa anche:

3) un elemento di identificazione della comunità stessa (forse il più importante, certamente il più visibile).

Quindi i "parlanti" di una lingua sono o "utilizzatori di (una lingua come) un codice di comunicazione, o "membri di una comunità (linguistica)".

Questi membri non sono necessariamente "di madrelingua": possono essere entrati nella comunità per le scuole frequentate, per immigrazione, per scelte culturali o politiche ecc.; analogamente molti sono contemporaneamente membri di più comunità linguistiche (dialettale e nazionale, della madrepatria e della zona di residenza ecc.).


Detto questo, che cosa vogliamo per l'Europa?

Opzione 1:

Un codice di comunicazione puro e semplice, sfruttando una qualsiasi delle lingue esistenti.

Obiettivo: Non costituire una comunità linguistica europea di nessun tipo.

Effetto collaterale a breve termine:
Asimmetria fra gli "utilizzatori" del codice e i membri della comunità "privilegiata" per cui quel codice è anche "la" lingua.
Effetto collaterale a lungo termine:
Questa opzione rischia di essere instabile, e di portare ad un allargamento strisciante della comunità "privilegiata", e in conclusione all'opzione 2 senza che questa sia stata voluta né pianificata.

Opzione 2:

Una comunità linguistica vera e propria.

Obiettivo: Fondare un patrimonio culturale comune, che con l'andar del tempo costituisca un chiaro strumento di identificazione. Questa opzione si può perseguire attraverso due linee:

Linea 2.1:

Tutte le comunità linguistiche preesistenti si fondono in una sola, scelta fra loro, che è l'unica a sopravvivere, mentre le altre finiscono con lo scomparire.

Effetto collaterale a breve termine:
Asimmetria fra i membri attuali della comunità destinata ad assorbire le altre e i nuovi aderenti.
Effetto collaterale a lungo termine:
Perdita della maggior parte delle tradizioni culturali delle comunità assorbite, in quanto la probabilità che possano contribuire a formare il patrimonio culturale della comunità europea allargata è esigua.

Linea 2.2:

Tutte le comunità esistenti continuano a sopravvivere, e i loro membri aderiscono anche ad una nuova comunità europea fondata su una lingua comune.

Effetto collaterale:
Conflitto fra la tradizione culturale della lingua scelta e la nuova tradizione europea da fondare sulla stessa lingua.

 

Sul piano individuale la scelta di un'opzione (e, nel caso 2, anche di una linea) è un fatto squisitamente culturale.

Da parte dei governi e della Commissione Europea, decidere di indirizzare (o anche di non indirizzare) questa scelta è un fatto politico, che deve tener conto di tutti gli aspetti del problema, e quindi anche degli effetti collaterali.

Nel caso della linea n° 2.2, il possibile conflitto indicato come effetto collaterale sarebbe ridotto in maniera sostanziale se la lingua prescelta fosse l'esperanto.

La maggior parte delle persone chiamano l'esperanto una lingua "artificiale", in contrapposizione con le altre "naturali"; gli esperantisti affermano che si tratta di una lingua "pianificata", mentre le altre sono "etniche".

La mia definizione è: l'esperanto è una lingua "elettiva", cioè la maggior parte degli esperantisti lo sono diventati per libera scelta; le altre lingue sono "ereditarie", in quanto la maggior parte dei membri delle relative comunità linguistiche sono diventati tali per nascita.
Proprio per la sua qualità di lingua "elettiva", i valori culturali associati all'esperanto, e trasmessi via via ai nuovi aderenti, includono l'appartenenza contemporanea ad almeno un'altra comunità linguistica (e questo vale anche per gli "esperantisti dalla nascita").
Di conseguenza, la tradizione basata sull'esperanto non si propone di sovrapporsi alle altre tradizioni linguistiche, anzi piuttosto di diffonderne la conoscenza, e di aggiungervi qualcosa di nuovo e complementare.



Nicola Minnaja

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