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http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010905/commenti/01dar.html
L'EUROPA
UNITA L'ULTIMA UTOPIA
di RALF DAHRENDORF
GIORNI fa ho preso parte a un dibattito sull'Europa
con Daniel Cohn-Bendit, davanti a un pubblico internazionale di
giovani professionisti, al ministero degli Esteri di Berlino. Nel
suo intervento iniziale, il mio interlocutore ha dimostrato un
crescente entusiasmo. "Pensate", ha detto "che
ogni bambino nato oggi in Europa comprerà il suo primo gelato
pagandolo in euro!". E ha proseguito: "Se nel 1945
qualcuno avesse detto ai miei genitori (ebrei) che un loro figlio
sarebbe stato un giorno ospite d'onore al ministero degli Esteri
tedesco, lo avrebbero preso per pazzo". E ancora: "Nonostante
tutte le loro pecche, Kohl e Mitterrand sono i maggiori statisti
del nostro tempo, poiché hanno saputo trasformare l'unificazione
tedesca in un trionfo per l'Europa".
Da qualche tempo ho l'impressione che l'Europa - anzi,
esattamente l'EUropa - sia diventata l'ultima utopia per gli
esponenti della sinistra. Se qualcuno fa loro presente (come ho
fatto discutendo con Daniel Cohn-Bendit a Berlino) che l'EUropa
non è poi così importante e gloriosa come sembrano credere, si
affrettano a ribattere con qualche bella frase hegeliana del tipo:
"D' accordo, l'Europa di oggi ha i suoi punti deboli, ma
sono aspetti temporanei, e stiamo lavorando per superarli".
Si sgombra il campo da ogni critica assicurando che anche se
tutto non è "ancora" perfetto, lo diventerà col tempo.
Personalmente, non sono un euroscettico - e men che meno nel
senso britannico del termine. Ma la mia posizione sull'integrazione
europea è di segno del tutto diverso da quella di Daniel Cohn-Bendit
(così come dalle tesi di Jrgen Habermas, pubblicate da "Repubblica",
in favore di una Costituzione europea come espressione dell'identità
dell'Europa).
Osservo che l'Unione europea gestisce poco più dell'1,1% del
prodotto interno lordo dei suoi stati membri, i quali dal canto
loro ne amministrano una quota pari o superiore al 40%. Rammento
le strane politiche che assorbono gran parte del bilancio, e in
particolare la politica agricola comune. Ma insisto soprattutto
sulla democrazia.
Non dimentichiamolo: la stessa costruzione della Comunità
economica europea non è avvenuta per via democratica. Né il
Consiglio dei ministri, né la Commissione, e neppure l'Assemblea
originaria meritano questo aggettivo. È vero che oggi il
Parlamento europeo è eletto democraticamente e ha un certo
potere di codecisione; ma neppure i suoi più accesi sostenitori
si azzarderebbero ad affermare che questo basti a creare una
democrazia europea.
Di fatto, più si guarda all'Unione europea e più si rimane
colpiti dalla natura tecnica della sua costruzione, che per vari
importanti aspetti assomiglia più all'Unione postale
internazionale che agli Stati Uniti d'America. È l'amministrazione
di un'unione doganale, con un'enorme sovrastruttura di
istituzioni per non parlare del linguaggio visionario e
magniloquente che l'accompagna. Questo è forse l'aspetto
peggiore dell'Europa: tante minuzie tecniche ammantate da una
specie di sceneggiata euronazionalista.
È chiaro che Daniel CohnBendit, Jürgen Habermas, Joschka
Fischer e varie altre personalità di orientamento analogo hanno
a cuore la costruzione europea, tanto da parlare dell'Europa un
po' come i nazionalisti di vecchio stampo parlavano della patria
(con tutte le relative esclusioni: quando, a Berlino, ho
menzionato la Svizzera, Daniel CohnBendit ha esclamato: «Ma la
Svizzera non è Europa!»).
Recentemente, la nozione di Europa ha acquisito una colorazione
antiamericana e anticapitalista. L'Europa per la quale Habermas
reclama una Costituzione va difesa contro l'egemonia del
capitalismo Usa.
Per parte mia, non ho stretto legami affettivi con nessuna entità
geografica o politica. Ciò che mi sta a cuore è la libertà. E
posso entusiasmarmi per chiunque la difenda e la promuova, anche
quando si tratta di un paese. In quest'elenco gli Stati Uniti
malgrado tutte le loro escrescenze e quant'altro
figurano in testa. Mentre l'Europa, o l'Unione europea, sembra
finora più incline alla burocrazia e al protezionismo che alla
promozione di un ordinamento liberale.
Con questo non cerco affatto di negare l'esigenza della
cooperazione europea, né, per alcuni settori, quella dell'integrazione.
L'Unione doganale rappresenta una misura razionale, e il mercato
unico ideato da Jacques Delors è un progetto brillante. Ma si può
dubitare, al di là delle parole, delle reali prospettive degli
sforzi in atto per la definizione di una politica estera e di
sicurezza comune. In fatto di sicurezza, con la Nato siamo in
buone mani; e anche in futuro, ogni qualvolta un conflitto
minaccerà di aggravarsi, l'Europa farà appello al sostegno
americano. D'altra parte, alla voce «giustizia e affari interni»
figurano varie questioni che si possono affrontare al meglio nell'ambito
di una cooperazione europea. Ma c'è da augurarsi che non se ne
abusi per imporre a tutti un minimo comune denominatore in fatto
di libertà.
E l'euro? Si può certo vederlo come il risultato di una
preoccupazione condivisa da Kohl e Mitterrand: il timore di veder
risorgere il nazionalismo tedesco. Dubito però che, da solo, l'euro
possa costituire una barriera sufficiente contro questo rischio.
Il rublo non è certo bastato a mantenere la coesione dell'ex
Unione Sovietica, così come la corona cecoslovacca non ha
evitato la disintegrazione della Cssr. L'euro è innanzitutto una
misura tecnica, di sostegno al mercato comune per un certo numero
di stati membri. E c'è da chiedersi se veramente coloro che da
tempo criticano il «nazionalismo del marco» se la prenderanno
ora con un «nazionalismo dell'euro». Speriamo di no, se non
altro perché dopo l'allargamento dell'Ue, gli stati membri che
faranno parte anche di Eurolandia saranno meno della metà.
Ma nel dibattito con il deputato europeo CohnBendit sono stato
colpito soprattutto dalla diversità di livello tra il suo
discorso e il mio: il suo entusiasmo visionario, la sua emozione
da un lato, e dall'altro il mio pragmatismo scettico e razionale.
Vale la pena di notare che nel dopoguerra, all'inizio del
processo di integrazione europea, gli entusiasti erano i
democristiani, mentre a sinistra c'era molta cautela e spesso una
netta opposizione. Ma qualunque sia la lettura da dare a questo
mutamento, resta il fatto che il divario più profondo si apre
oggi tra chi aspira a un'Unione sempre più stretta, e chi ha a
cuore valori quali la democrazia e la libertà. E nessun segnale
lascia intravedere una soluzione di questo conflitto.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)
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