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DISCORSO INAUGURALE
ALLA CONVENZIONE DI VALERY GISCARD D'ESTAING
Bruxelles, 28 febbraio 2002
Mesdames, Messieurs,
Ladies and Gentlemen,
Meine Damen und Herren,
Signore e Signori (IT)
Señoras y Señores (ES)
Dames en Heren (NL)
Mine damer og Herrer (DK)
Minhas Senhoras e Meus Senhores (PT)
Hyvät naiset ja Herrat (FI)
Mina damer och Herrar (SV)
Szanowni Panstwo (PL)
Voi siete i membri della Convenzione sul futuro dell'Europa.
Siete i "convenzionali" dell'Europa.
In quanto tali, siete detentori del potere di cui è investito ogni organo politico: riuscire o
fallire.
Da un lato, il baratro del fallimento.
Dall'altro, l'angusta porta del successo.
Se falliamo, alimenteremo l'attuale confusione del progetto europeo che, come sappiamo, non sarà in grado di produrre, in seguito all'allargamento in corso, un sistema di
gestione del nostro continente che sia efficace e comprensibile per l'opinione pubblica.
Ciò che è stato costruito da cinquant'anni in qua raggiungerebbe il suo limite e rischierebbe la disgregazione.
Se riusciamo nel nostro intento, ossia se ci troviamo d'accordo nel proporre un concetto di Unione europea rispondente al tempo stesso alla dimensione continentale e alle esigenze del XXI secolo, un concetto da cui scaturiscano unità per il nostro continente e rispetto per la sua diversità, al termine dei lavori, potrete tornare nel vostro paese, che siate italoeuropei, anglo-europei, polacco-europei o altro, con la sensazione di aver contribuito, in modo modesto ma efficace, ad arricchire di un nuovo capitolo la storia dell'Europa.
Consentitemi, a mo' di introduzione a questa Convenzione, di dirvi quanto il nostro lavoro sia fondamentale per l'Europa e per il mondo intero; di dirvi anche che la nostra missione sarà difficile, in quanto dovrà contemperare la dinamica di un movimento che riunisce gli Stati e gli uomini e un grande rigore di pensiero e di metodo. Concluderò con un appello all'entusiasmo, che rivolgo a voi "convenzionali", ai responsabili degli Stati membri e degli Stati candidati e a tutti i cittadini dell'Europa, uomini e donne, dai più anziani, che hanno sofferto dei dolorosi conflitti passati, ai più giovani, che aspirano a un ampio spazio di libertà e di opportunità in Europa.
Il Consiglio europeo non poteva sottolineare meglio l'importanza dei nostri lavori se non istituendo questa formidabile squadra della Convenzione, di cui siete membri.
Questa squadra, composta di 105 membri, è all'altezza della sfida che ci è lanciata:
- la Convenzione potrà fare assegnamento su due Vicepresidenti di primo piano, i
Sigg. Giuliano Amato e Jean-Luc Dehaene, che hanno rivestito le più alte cariche in due paesi
fondatori;
- la presenza di rappresentanti del Parrlamento europeo, dei Parlamenti nazionali e
dei Governi dotati di grande levatura e adusi a riflettere sui temi del dibattito europeo sarà
garanzia della qualità del dialogo che essi intratterranno con i rispettivi organismi nazionali,
nei confronti dei quali svolgeranno un'indispensabile funzione di collegamento;
- a questo proposito, desidero ringraziiare calorosamente gli organismi che hanno
risposto positivamente al mio invito, designando donne in loro rappresentanza;
- quanto ai due rappresentanti della Coommissione, potremo beneficiare della loro
grande competenza e conoscenza pratica dell'Europa comunitaria;
- la forte rappresentanza dei Paesi >candidati, con 39 partecipanti, assicurerà alla
Convenzione una conoscenza precisa delle loro aspirazioni e del ruolo che intendono svolgere
in Europa;
- il Segretariato generale della Convennzione sarà assicurato da un diplomatico di
alto livello, conoscitore delle istituzioni europee. Ringrazio il Governo britannico per averne
agevolato la designazione.
Infine, la piccola squadra del Segretariato generale, giovane e di talento, scelta soltanto
in funzione dei suoi meriti, costituirà, ne sono convinto, il più brillante laboratorio di idee
della grande avventura europea e uno strumento di coerenza e di metodo per i nostri lavori.
La Convenzione si inserisce nella continuità di una storia europea ricca e feconda.
Il cammino compiuto dai tempi di Jean Monnet, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak e
Alcide de Gasperi ad oggi è imponente, quasi incredibile.
La sola presenza di tutti voi in questa sala sarebbe stata inimmaginabile, quasi un sogno, per i
britannici, i tedeschi , i francesi e gli olandesi meno di sessant'anni fa e per i cechi, gli
ungheresi e i rumeni meno di quindici anni fa.
L'Europa si è costruita un passo dopo l'altro, di trattato in trattato. Il cammino è costellato
di accordi parziali, di crisi presto superate. L'aspetto più sorprendente è che l'Europa, che pure
in determinati momenti sembrava bloccata, non è mai regredita.
Optando per una nuova moneta, con una notevole capacità di adeguamento e una forma di
esultanza popolare, 302 milioni di europei hanno appena smentito l'accusa di euro-sclerosi e
hanno dimostrato di essere in grado di approvare ciò che è loro proposto quando lo considerano semplice
e utile.
Nell'arco di tale percorso, le istituzioni europee, il Consiglio, il Parlamento europeo, la
Commissione, la Corte di giustizia, hanno reso servigi riconosciuti, cui è doveroso rendere
omaggio.
Nel contempo, è giocoforza constatare che questo approccio dà segni di logoramento. Il
processo di unificazione dell'Europa dà segni di affanno, come sottolinea la dichiarazione di
Laeken.
I meccanismi decisionali sono diventati talmente complessi da risultare incomprensibili
all'opinione pubblica. A partire da Maastricht, gli ultimi trattati sono stati oggetto di
difficili negoziati e non hanno risposto agli obiettivi iniziali: le discussioni in seno alle istituzioni
hanno spesso privilegiato interessi nazionali rispetto al bene comune europeo. Infine, la percentuale
di astensione alle elezioni europee ha raggiunto un livello preoccupante, superando per la prima
volta nel 1999 la soglia altamente simbolica del 50%!
L'Europa nella sua geometria attuale è confrontata a un'adeguatezza che sarà ancor più
marcata nell'Europa allargata.
Dobbiamo porvi rimedio, nell'interesse non solo dell'Europa ma anche del mondo.
Nel mondo attuale si sente l'assenza di un'Europa forte, unita e pacifica.
Il mondo trarrebbe beneficio dal poter contare sull'Europa, un'Europa che si esprima con una
sola voce, certamente per affermare il rispetto delle sue alleanze, ma anche per far ascoltare,
ogniqualvolta necessario, un messaggio di tolleranza e di moderazione, di apertura alle
differenze e di rispetto dei diritti dell'uomo.
Non dimentichiamo che il nostro continente ha apportato all'umanità, dall'antichità
greco-romana al secolo dei lumi, i tre contributi fondamentali della ragione, dell'umanesimo e della
libertà.
Sì, ognuno si sentirebbe meglio nel nostro pianeta se potesse ascoltare la voce forte dell'Europa.
Se avremo successo, tra 25 o 50 anni - il tempo che ci separa dal trattato di Roma - l'Europa
avrà un nuovo ruolo nel mondo.
Essa sarà rispettata e ascoltata, non soltanto come la potenza economica che già è, ma come
una potenza politica che parlerà da pari a pari con le più grandi potenze del pianeta, esistenti
o future, e che disporrà degli strumenti d'azione per affermare i suoi valori, garantire la
sicurezza e svolgere un ruolo attivo nel mantenimento della pace internazionale.
I nostri lavori, Signore e Signori membri della Convenzione, rappresenteranno soltanto una tappa della nuova Europa, ma sono un passaggio obbligato per consentire un nuovo inizio della nostra avventura plurinazionale.
L'attuale stasi dell'Europa dipende da vari fattori, segnatamente il groviglio delle competenze, la complessità delle procedure e forse anche l'affievolirsi della volontà politica, ma soprattutto, credo, da un motivo centrale: la difficoltà di coniugare un forte sentimento di appartenenza all'Unione europea e il mantenimento di un'identità nazionale.
Questa difficoltà esiste già oggi. Ma sarà accentuata dal numero e dalla diversità degli Stati
che parteciperanno domani alla vita dell'Unione europea.
Questa domanda è relativamente nuova. Nei primi decenni dell'unione dell'Europa, in cui le
identità nazionali restavano forti, al punto da alimentare scontri durissimi per proteggerle, o
per estenderli, e in cui il progetto riguardava solo una piccola Europa, relativamente omogenea, la
sola questione che si poneva era quella di far avanzare l'integrazione europea.
A partire dagli anni '90, abbiamo visto crescere un'altra domanda: quella della ricerca della
compatibilità tra il desiderio di appartenenza a un'Unione europea forte e il mantenimento di un
radicamento solido nella vita politica, sociale e culturale nazionale.
Dobbiamo far sì che i governanti e i cittadini sviluppino una affectio
societatis europea, forte e accettata, mantenendo nel contempo il naturale attaccamento alla loro
identità nazionale.
È proprio in considerazione di tutti questi dati che il Consiglio europeo di Laeken ha deciso di istituire la Convenzione sul futuro dell'Europa, di cui siete membri, assegnandole il compito di preparare la riforma delle sue strutture e di intraprendere - se ne saremo capaci – la via di una Costituzione per l'Europa.
Quale deve dunque essere il nostro programma?
E come svolgeremo i nostri lavori?
L'attuale situazione europea ci spinge a tornare a monte, per ritrovare le origini del progetto
europeo e interrogarci sulle sue finalità.
La prima fase dei nostri lavori sarà dunque una fase di ascolto, aperto e attento.
Dovremo interrogarci, noi "convenzionali", e interpellare tutti i nostri interlocutori per
trovare una risposta al seguente quesito: "Cosa si aspettano gli europei dall'Europa, all'inizio del XXI
secolo?".
Dobbiamo partire senza idee preconcette e formare la nostra visione della nuova Europa attraverso un ascolto costante e attento di tutti i nostri partner, governanti e governati, parti economiche e sociali, rappresentanti degli enti locali - già presenti in questa sede -, membri delle associazioni e della società civile rappresentate al forum, ma anche uomini e donne la cui sola identità è l'appartenenza all'Europa.
In questo processo di ascolto dobbiamo privilegiare due categorie: i giovani, per i quali auspico possiamo organizzare una "Convenzione dei giovani dell'Europa", che terrebbe una sessione sul modello della nostra; e i cittadini dei Paesi candidati, che scopriranno l'Unione europea e contemporaneamente inizieranno ad apprenderne i meccanismi.
Ricorreremo ai mezzi moderni e interattivi di ascolto, segnatamente via Internet.
Ciascuno deve avere la possibilità di farsi ascoltare, il che implica ovviamente un'organizzazione
efficace e decentrata, che consenta un dialogo senza frontiere ideologiche o di parte.
Auspichiamo inoltre una consultazione interattiva, che consenta alla società civile di reagire
su talune delle future proposte.
Il Vice presidente Jean-Luc Dehaene ha accettato di coordinare l'azione della Convenzione in
questo settore.
Le nostre prime riunioni saranno dedicate all'ascolto sulla domanda d'Europa.
Il nostro quesito verterà segnatamente sul come gli europei immaginano l'Europa tra 50 anni.
Auspicano un'Europa che tende all'omogeneità - un'Europa più uniforme -, sulla spinta di una
dinamica di armonizzazione?
Preferiscono un'Europa che mantenga la sua diversità, rispettando le identità storiche e
culturali? Questi due obiettivi portano evidentemente ad approcci diversi.
Dovremo inoltre dare più spazio all'ascolto su una questione che la dichiarazione di Nizza ha
posto in testa alle domande rivolte alla nostra Convenzione e la cui importanza è sottolineata
nella dichiarazione di Laeken: la definizione delle competenze rispettive dell'Unione europea e degli
Stati membri, la risposta al famoso quesito: chi fa cosa in Europa? Quali devono essere tali competenze
dell'Unione e degli Stati? Vanno privilegiate le competenze esclusive o ci si deve adattare a un
ampio settore di competenze condivise? Quali devono essere le modalità per l'esercizio delle
suddette competenze, perché esse siano comprensibili all'opinione pubblica?
In questo processo di ascolto, potremo avvalerci dei lavori molto validi svolti in seno al
Parlamento europeo.
Forse, per facilitare l’approccio dei nostri interlocutori della società civile, dovremo
suscitare una sorta di “problematica sull’Europa”, analogamente a quanto è già stato fatto in alcuni Stati
membri.
Dopo questa fase di ascolto, dovremo seguire due approcci paralleli.
Anzitutto, dovremo cercare risposte alle questioni sollevate nella dichiarazione di Laeken, che
rientrano in sei gruppi generali : questioni fondamentali sul ruolo dell’Europa, ripartizione
delle competenze nell’Unione europea, semplificazione degli strumenti dell’Unione, funzionamento delle
istituzioni e loro legittimità democratica, espressione dell’Europa all’unisono nel contesto
internazionale e, infine, primi passi verso una costituzione per i cittadini europei.
Nel contempo, dovremo esaminare attentamente le varie istanze avanzate da altri sul futuro
dell’Europa, che sono attualmente all’esame.
In questa fase, il nostro ruolo non sarà quello di formulare giudizi di merito al riguardo, bensì
semplicemente quello di esaminare tali istanze, unitamente alle loro implicazioni, e di
verificarne la coerenza, segnatamente con riferimento alle questioni sollevate a Laeken, in modo da misurarne
l’impatto sul futuro dell’Europa nei prossimi 25 e 50 anni.
In particolare, esamineremo le questioni seguenti :
- l’organizzazione delle istituzioni euuropee, ai sensi del trattato di Nizza;
- il piano per un’Europa organizzata seecondo uno schema federale, come proposto
segnatamente da alti dirigenti tedeschi;
- il documento elaborato dalla Commissiione europea sulla modernizzazione del metodo
comunitario;
- le soluzioni avanzate con la formula “federazione di Stati-nazione”, indipendentemente dal
fatto che esse comportino la creazione di una seconda camera.
Una volta completato l’esame, la Convenzione sarà in grado di avviare la terza fase dei suoi lavori, vale a dire le sue raccomandazioni e una proposta concreta.
Dovremo dare una risposta alla richiesta di semplificare i trattati, con l’obiettivo di giungere a un trattato unico, leggibile per tutti, comprensibile per tutti.
La dichiarazione di Laeken lascia alla Convenzione la scelta tra sottoporre opzioni o formulare
una raccomandazione unica.
Scegliere adesso andrebbe contro la logica della nostra impostazione.
Tuttavia, non vi è dubbio che, agli occhi del pubblico, l'importanza e l'autorevolezza della
nostra raccomandazione sarebbero notevoli se riuscissimo a raggiungere un consenso generale su una
proposta unica che potremmo presentare tutti insieme.
Se riuscissimo a delineare un consenso su questo punto, apriremmo la via verso una costituzione
per l’Europa.
Per evitare discordanze di carattere semantico, mettiamoci d’accordo fin d'ora per denominare
tale strumento “trattato costituzionale per l’Europa”.
Passo ora allo svolgimento dei nostri lavori.
Ciascuno può rendersi conto dell’immensità del compito che ci si attende, se vogliamo
portare fino in fondo le nostre riflessioni e redigere i testi che rispecchiano le nostre
proposte.
Il termine di un anno che ci è stato assegnato è relativamente breve.
Cercheremo di rispettarlo.
Affermo subito, però, che non sono disposto a sacrificare né l’autenticità dell’ascolto dei
cittadini europei, né la qualità dei lavori della nostra Convenzione e delle proposte da essa
elaborate.
Le modalità pratiche di funzionamento della nostra Convenzione non rientrano nel contesto di
questa seduta inaugurale. Le metteremo a punto nel corso della prima sessione di lavoro.
Desidero tuttavia formulare tre osservazioni che, a mio avviso, sono importanti per orientare i lavori.
1. Non siamo né una Conferenza intergovernativa né un Parlamento.
Siamo una Convenzione.
Non siamo una Conferenza intergovernativa, poiché non abbiamo ricevuto dai Governi il
mandato di negoziare in loro nome le soluzioni che proporremo.
Non siamo un Parlamento, poiché non siamo un’istituzione eletta dai cittadini per elaborare
testi legislativi. Questo ruolo spetta al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali.
Siamo una Convenzione.
Vale a dire che cosa ?
Una Convenzione è un gruppo composto di uomini e donne riuniti all’unico fine di elaborare
un progetto comune.
Il principio della nostra esistenza è la nostra unità.
I membri delle quattro componenti della nostra Convenzione non dovranno considerarsi
unicamente come i portavoce di chi li ha designati, cioè Governi, Parlamento europeo,
Parlamenti nazionali e Commissione. Allo stesso modo, Giuliano Amato non parlerà a nome
dell’Italia, né Jean-Luc Dehaene a nome del Belgio, e io stesso non mi esprimerò a nome della
Francia.
Ciascuno si atterrà ovviamente al proprio mandato, ma dovrà apportare il suo contributo
personale ai lavori della Convenzione.
Siamo chiari. Questa Convenzione non potrà essere coronata da successo se si limiterà ad
essere la sede per esprimere opinioni divergenti. Occorre che essa divenga il crogiolo in cui si
elabora, mese dopo mese, un approccio comune.
Per rimanere ricettiva, la Convenzione dovrà aprirsi verso l’esterno.
Ma per riflettere su ciò che potremo proporre, i membri della Convenzione dovranno aprirsi
gli uni e gli altri e delineare poco a poco uno “spirito della Convenzione”.
Verso l’esterno per ascoltare. Verso l’interno per proporre.
2. La mia seconda osservazione riguarda quanto accadrà nell’ambito della Convenzione stessa.
La dichiarazione di Laeken ha dotato la Convenzione di due strutture: un Presidente
affiancato da due Vicepresidenti, e un Presidium composto di dodici membri.
Alcuni di voi hanno espresso preoccupazione per il ruolo del Presidium e dell’assemblea plenaria, temendo che nella pratica il grosso dei lavori sarà svolto dal
Presidium.
Al riguardo affermo che per me la Convenzione è la Convenzione!
È normale che i lavori della Convenzione siano preparati e organizzati da un Presidium,
come avviene per qualsiasi assemblea e associazione.
Le discussioni si terranno però in questa sede e saranno pubbliche.
Il resto dipenderà in ampia misura da voi e dal contenuto dei vostri contributi.
Se i vostri contributi saranno realmente intesi a preparare un consenso e se terrete conto
delle proposte e delle osservazioni degli altri membri della Convenzione, sarà in questa sede
che, passo dopo passo, si potrà elaborare il contenuto del consenso definitivo.
3. La mia terza osservazione è una semplice riflessione.
La Convenzione costituisce la prima occasione, dalla Conferenza di Messina del 1955,
in cui dei responsabili europei si dotano di strumenti e si concedono i tempi per una
riflessione approfondita sul futuro dell’Unione europea.
Vero è che, nel frattempo, vi sono state varie conferenze intergovernative, ma queste
costituiscono sedi di negoziati diplomatici tra gli Stati membri, in cui ciascuno tenta
legittimamente di ottenere il massimo vantaggio senza tener conto del quadro d’insieme.
Il Consiglio europeo, dal canto suo, ha deciso in varie occasioni di tenere riunioni sul
futuro delle istituzioni europee ma, o per via della pressione degli eventi internazionali o a
causa dei vincoli che gravano sul suo programma di lavoro, raramente tali deliberazioni hanno
potuto prolungarsi oltre una giornata.
I lavori della Convenzione presentano pertanto il carattere di una rifondazione intellettuale del futuro dell’Unione europea.
Signore e Signori,
Permettetemi infine di lanciare un appello all’entusiasmo, parola che deriva dal greco
“en-thousia”, che significa “ispirato da un dio”. Nel nostro caso l’ispirazione viene da una
dea, l’Europa!
Spesso ci viene rimproverato di non far sognare dell’Europa, di accontentarci della costruzione di una struttura complicata, opaca, riservata ai soli iniziati all’economia e alla finanza.
Ebbene, sognamo dell’Europa!
Immaginiamo un continente pacificato, liberato dalle sue barriere e dai suoi ostacoli e in
cui la storia e la geografia saranno infine riconciliate, consentendo a tutti gli Stati d’Europa
di costruire insieme il loro futuro dopo aver seguito strade diverse ad Ovest e ad Est.
Uno spazio di libertà e di opportunità, in cui ciascuno potrà muoversi come desidera per
studiare, lavorare, intraprendere, completare la propria cultura.
Un spazio ben identificato dal modo in cui realizzerà la sintesi tra il dinamismo della
creazione, il bisogno di solidarietà e la protezione dei più deboli e dei più svantaggiati.
Ma anche uno spazio in cui vi siano e si sviluppino forti identità culturali, insieme
coscienti delle loro origini e aperte agli scambi tra di esse che possano stimolarle.
Immaginiamo anche la voce dell’Europa nel mondo. La sua unità ne garantirà
l’influenza e l’autorevolezza.
Ognuno conosce la ricchezza della sua cultura e il sempre rinnovato vigore della sua
creatività.
L’Europa ha dato al mondo la ragione, l’umanesimo e la libertà.
Essa ha tutti i titoli per lanciare un messaggio di moderazione, di ricerca di soluzioni
reciprocamente accettabili e di attaccamento appassionato alla pace.
La sua diversità culturale ne garantisce la tolleranza.
Deve mostrarsi capace di garantire la propria sicurezza, qualunque sia la natura dei
pericoli.
Sì, possiamo sognare e far sognare dell’Europa!
Se dovessimo fallire, ogni paese tornerebbe a una logica di libero scambio. Nessuno di
noi, neppure i più grandi, avrebbe un peso sufficiente nei confronti dei giganti del mondo.
Ciascuno di noi resterebbe allora confrontato con se stesso, in un tetro interrogativo sulle
cause del nostro declino e della nostra situazione di dominati.
Il nostro appello all’entusiasmo è rivolto agli altri europei, ma in primo luogo a noi
stessi.
Per coinvolgere e convincere gli altri, dobbiamo puntare con passione al successo del
nostro compito, un compito modesto nella forma ma immenso nel contenuto, perché, se
portato a buon fine, secondo il mandato conferitoci, illuminerà il futuro dell’Europa.
Viva l’Europa!
Grazie.
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