..Approfondimenti

L'Osservatore europeo

 

Pagina iniziale Europa apparente Europa reale Europa futuribile Approfondimenti Segnalibri Mappa sito

 

EUROPA, RINNOVARSI O PERIRE
Tra le liti dei leader politici, il processo di integrazione rischia di regredire

L'articolo di Antonio Padoa Schioppa comparso su La Stampa del 15 novembre 2001.



Insieme con le due Torri, i terroristi islamici potrebbero aver colpito frontalmente anche l'integrazione europea.

Ciò che sta accadendo in queste settimane costituisce, per l'Europa, un arretramento di indubbia gravità.
Capi di Stato e di governo che si precipitano a Washington alla spicciolata, credendo con ciò di dimostrare all'alleato americano e alla propria smarrita opinione pubblica una pretesa primogenitura nella solidarietà.
Leader politici che organizzano riunioni separate su questioni che riguardano la sicurezza europea nel suo insieme.
Proteste per l'esclusione dell'Italia dall'incontro a tre, compiute in nome di una supposta dignità nazionale ferita e non invece, come sarebbe imperativo, in nome dell'Unione europea vulnerata.

In questo scomposto agitarsi, del tutto vano e inefficace, una sola cosa è chiara: che il coordinamento costruito con tanta fatica tra i Paesi dell'Unione europea rischia di sfasciarsi.

Si rendono conto i capi di governo che il loro comportamento può vanificare un'impresa che è nata mirando non solo e non tanto all'unione economica quanto e prima di tutto all'unione politica?
Come non percepiscono che la stessa unione economica e monetaria è in pericolo se vacilla l'unione politica?
E che l'Unione sarà a rischio fino a quando l'impalcatura comunitaria non verrà completata?
Come osano Chirac e Schroeder, Berlusconi e Aznar e gli altri leader europei pregiudicare, in modo forse irreversibile, la sola grande iniziativa - riconosciuta ovunque nel mondo - che l'Europa ha saputo costruire dalle macerie delle due guerre mondiali di cui era stata direttamente responsabile?

Come possono i nostri governanti pensar di servire l'interesse dei propri popoli se rinunciano all'unico strumento davvero in grado di far pesare la voce dei cittadini - i nostri interessi, i nostri valori - nelle questioni di guerra e di pace, di giustizia e di equità che oggi dilaniano il pianeta: e cioè se rinunciano a perseguire in modo coerente l'unificazione politica del continente?

L'unificazione europea è nata ed è cresciuta nelle crisi.
Nella crisi essa può morire.

Sarà forse un declino lento, un tramonto dorato in una regione tra le più belle del pianeta.
Ma i sintomi premonitori sono allarmati.
Non vi è apparentemente nessuno, tra i leader al governo, che sia oggi disposto a rischiare la sua fortuna politica - come seppero fare, tra gli altri, Schumann, De Gasperi, Kohl - per denunciare concretamente l'inanità di una volontà di potenza nazionale che i cittadini dei nostri Paesi, ben più realisti di loro, già da tempo hanno abbandonato.

Non si osa dichiarare la semplice verità, e cioè che i rimedi istituzionali necessari e sufficienti per portare a termine il lungo cammino dell'Unione sono pochissimi, anche se incisivi.

Non si arriva a comprendere e a far comprendere che tali riforme - le riforme istituzionali di cui si discute da anni, girandovi attorno senza costrutto - saranno necessarie domani per non far fallire l'Unione trasformandola di fatto in una zona di libero scambio in seguito all'allargamento ad Est, ma sono necessarie già oggi per fare fronte alla minaccia del terrorismo.

Le riforme non comportano affatto la fine degli Stati nazionali.
Ciò che si richiede è invece l'istituzione di un vero governo europeo nelle questioni non risolubili al livello nazionale né mediante il solo coordinamento intergovernativo.

Chi adduce a pretesto dell'immobilismo l'ostilità di alcuni Stati membri dimentica che nel passato le iniziative più importanti dell'integrazione europea - dal Mercato comune alla moneta unica, dalla politica sociale alla libera circolazione delle persone - sono nate proprio dall'impulso di alcuni, non di tutti gli Stati che poi ne hanno usufruito.

Il rischio attuale di stallo e di involuzione avviene senza che l'opinione pubblica europea e il Parlamento europeo riescano a far sentire il loro peso, che pure è potenzialmente decisivo.

Se così sarà anche in avvenire, allora forse bisognerà concludere che la sorte dell'Europa come soggetto di storia è segnata.
Eppure mai come in questo momento - nel Medio Oriente, nei rapporti con l'Islam, in Africa, in America Latina - la presenza effettiva dell'Europa sarebbe necessaria.

Il nostro passato prossimo e remoto con le sue ombre e le sue luci, le nostre stesse profonde cicatrici, i nostri valori a tutela dei diritti dell'Uomo (che sono valori universali), la nostra disponibilità a trasferire quote di sovranità alle Nazioni Unite, la nostra conoscenza senza pari di popoli, culture, economie anche lontane dall'Occidente potrebbero portare un contributo determinante alla trasformazione economica del Terzo mondo, alla soluzione dei conflitti regionali e all'adozione di politiche davvero lungimiranti per la pace mondiale.

In realtà sarebbe sufficiente l'iniziativa coraggiosa di un Paese senza il quale l'integrazione europea non potrà mai giungere alla piena realizzazione - la Francia - per raccogliere l'adesione di Germania, Italia, Benelux e di altri sui pochi principi davvero imprescindibili per trasformare un insieme di soggetti impotenti in una vera unione di Stati.

Questi principi sono:
1) decisioni collegiali assunte a maggioranza sia nel Consiglio europeo che nel Consiglio dei ministri,
2) riequilibrio dei poteri,
3) sussidiarietà.

Solo questo, nulla meno di questo.

Come nei mesi che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale, anche oggi la responsabilità delle classi politiche nazionali europee, ma soprattutto di chi le guida, è immensa.

Se in un futuro non lontano, il futuro dei nostri figli e nipoti, l'Europa sarà divenuta una provincia minore del pianeta, ricca solo di una storia gloriosa e di cibi raffinati e di stoffe dipinte, la loro cecità sarà giudicata inescusabile.



Commento (16-nov-01)

Anni fa Antonio Padoa Schioppa intitolò in questo modo una sua relazione ad un convegno a Verona: "Verso la Federazione europea".
Erano tempi di ottimismo?
No, non c'era nulla di speciale sulla scena politica: non c'erano state ancora la presa di posizione di Fischer del maggio 2000 e il dibattito sul "Futuro dell'Europa" non era ancora partito.

Solo che non si sapeva ancora quanto miopi fossero i nostri governanti.

Adesso Antonio è davvero pessimista! Ma non gli posso dar torto.
Eppure...
Sappiamo benissimo che le svolte storiche non si prendono in tempi in cui fila tutto liscio!
Purtroppo, per avere in politica una di quelle svolte occorre che si presenti il rischio che tutto vada in malora.
Tanto più grande è la probabilità del disastro e tanto maggiore è la probabilità che, se per fortuna il disastro non avviene, vengano prese delle decisioni profondamente innovative.
E' un paradosso, ma è così!

Gli europei non ricordano più niente: si dà tutto per scontato, non si capisce che quello che c'è esiste solo perché qualcuno l'ha perseguito con tenacia.
E che invece ciò che non esiste non c'è nonostante che qualcuno l'abbia perseguito con la stessa tenacia.
 
Lo studio della Storia ci fa capire chi siamo e da dove veniamo: e anche quando e perché è fallita l'azione di chi perseguiva un disegno politico.

Mi spiacerebbe morire mentre l'Europa non è né carne né pesce, senza sapere come andrà a finire!
Vorrei fare in tempo a veder progredire una Federazione Europea oppure vederla frantumata definitivamente.

Vorrei che si addivenisse finalmente ad una situazione risolutoria: O la va o la spacca!
Perciò mi auguro che la Convenzione che sarà messa in atto dopo Laeken sia così infiammata che si arrivi alla rottura.
Che alcuni partano da soli anche facendo a meno di Regno Unito, Danimarca, Spagna eccetera...

O la va o la spacca!

A.V.

Pagina iniziale - Europa apparente - Europa reale - Europa futuribile - Segnalibri - Mappa sito

Hosted by www.Geocities.ws

1