La Rivoluzione Russa. Un esame critico
I Bolscevichi sono gli eredi storici dei
Livellatori inglesi e dei Giacobini francesi. Ma il compito
concreto loro assegnato nella rivoluzione russa, dopo la
presa del potere, si presentava incomparabilmente più arduo
di quello dei loro predecessori storici. (Importanza della
questione agraria. Già nel 1905. Poi nella III Duma i
contadini i contadini di destra! Questione contadina e
difesa, esercito).
Certo, la parola d'ordine dell'occupazione e della
ripartizione immediata e diretta della terra da parte dei
contadini era la formula più rapida, semplice e lapidaria
per raggiungere due scopi: distruggere la grande proprietà
terriera e legare immediatamente i contadini al governo
rivoluzionario.
Come misura politica per il consolidamento
del governo proletario-socialista si è trattato di una
tattica eccellente.
Ma purtroppo essa presentava due aspetti,
e il rovescio della medaglia consiste nel fatto che
l'occupazione diretta della terra da parte dei contadini non
ha pressocché nulla in comune con l'economia socialista.
La trasformazione dei rapporti economici in
senso socialista presuppone due misure per quanto riguarda i
rapporti agrari.
In primo luogo la nazionalizzazione per
l'appunto della grande proprietà terriera come soppressione
della concentrazione tecnicamente più progredita di mezzi di
produzione e di metodi agricoli, la quale sola può servire
nelle campagne da punto di partenza del sistema economico
socialista.
Mentre naturalmente non occorre togliere al
piccolo contadino il suo campicello (e gli si può
tranquillamente rimettere la decisione di optare
liberamente, in conseguenza dei vantaggi presentati
dall'esercizio sociale, per il legame cooperativo in un
primo tempo, e da ultimo per l'inquadramento nell'esercizio
collettivistico), ogni forma economica socialista della
terra non può evidentemente non prendere le mosse dalla
grande e media proprietà terriera. In questo campo essa deve
innanzi tutto trasferire il diritto di proprietà alla
nazione o, se si vuole, allo stato: ciò che fa lo stesso nel
caso di governo socialista; poiché soltanto una misura di
questo tipo garantisce la possibilità di organizzare la
produzione agricola sulla base di punti di vista socialisti
organici e generali.
Secondo presupposto di questa trasformazione è poi la
separazione dell'agricoltura dall'industria, questo
caratteristico aspetto della società borghese, venga
eliminato per far posto a una reciproca compenetrazione e
fusione, a uno sviluppo tanto della produzione agricola come
di quella industriale secondo punti di vista unitari. Come
nel particolare possa effettuarsi l'amministrazione pretica:
se attraverso comunità urbane, come propongono alcuni, o da
un centro statale, in ogni caso è presupposta una riforma
unitariamente condotta e introdotta dal centro, la quale a
sua volta presuppone la nazionalizzazione della terra.
Nazionalizzazione della media e grande proprietà terriera,
unificazione dell'industria e dell'economia agricola, ecco
due direttive fondamentali di qualunque riforma economica
socialista, senza le quali non si dà socialismo. Che il
governo sovietico russo non abbia effettuato queste
imponenti riforme chi glielo potrebbe rimproverare?
Sarebbe un bello scherzo pretendere o attendersi da Lenin e
compagni che nel loro breve periodo di potere, in mezzo
all'impetuoso vortice di lotte interne ed esterne, assillati
tutt'attorno come sono da miriadi di nemici ed opposizioni,
potessero risolvere uno dei più ostici, anzi, anzi possiamo
tranquillamente affermare: il compito più ostico della
trasformazione socialista o anche soltanto affrontarlo!
Una volta giunti al potere, anche noi in Occidente e nelle
condizioni più favorevoli, avremo occasione di spezzarci
parecchi denti su quest'osso, prima di risolvere soltanto le
più ordinarie delle mille complicate difficoltà di questo
compito immane! A un governo socialista, che sia giunto al
potere, spetta in ogni caso un compito: prendere
provvedimenti, che siano coerenti con questi fondamentali
presupposti di una successiva riforma socialista dei
rapporti agrari, ed evitare almeno tutto quanto sbarri la
strada a quelle misure.
Ora, la parola d'ordine emanata dai
bolscevichi: presa di possesso e ripartizione immediata
della terra da parte dei contadini, non poteva non agire
esattamente nella direzione contraria.
Non solo non si tratta di una misura socialista, ma ne
sbarra anche la strada, innalzando insuperabili difficoltà
davanti alla trasformazione dei rapporti agrari in senso
socialista. L'occupazione dei latifondi da parte dei
contadini, in conseguenza della breve e lapidaria parola
d'ordine di Lenin e dei suoi amici: Andate e prendetevi la
terra!, ha portato semplicemente al repentino e caotico
trapasso dalla grande proprietà terriera in proprietà
fondiaria contadina.
Ciò che ne è derivato, non è proprietà sociale, ma nuova
proprietà privata, e precisamente smembramento della grande
proprietà in possessi di media e minore grandezza, del
grande esercizio relativamente progredito in piccolo
esercizio primitivo, tecnicamente al livello dei tempi dei
Faraoni.
Non basta: attraverso questo provvedimento e il modo
caotico, puramente fondato sull'arbitrio, della sua
attuazione, i divari di proprietà della terra non furono
eliminati, ma solo inaspriti. Sebbene i bolscevichi
esortassero i contadini a formare dei Comités per fare, in
qualche modo, dell'occupazione dei latifondi nobiliari una
collettivizzazione, è chiaro che questo consiglio generico
non può nulla mutare alla prassi concreta e alle concrete
relazioni di forza nelle campagne.
Sicuramente, sia con Comités che senza, contadini ricchi ed usurai, che
costituivano la borghesia paesana e che in ogni villaggio
russo avevano nelle mani l'effettivo potere locale, sono
diventati i principali profittatori della rivoluzione
agraria.
È aprioristicamente evidente che quale risultato della
ripartizione della terra le disuguaglianze sociali ed
economiche tra i contadini non sono state affatto eliminate,
ma solo accentuate, i contrasti di classe inaspriti.
Ma questo spostamento di forze ha avuto luogo a sfavore
degli interessi proletari e socialisti.
Prima, a una riforma socialista nelle campagne avrebbero
offerto resistenza tutt'al più una piccola casta di grandi
proprietari terrieri nobili e capitalisti, come pure una
piccola minoranza di ricca borghesia paesana, la cui
espropriazione da parte di una massa popolare rivoluzionaria
è gioco da fanciulli.
Ora, dopo l'"occupazione", avversaria di qualunque
socializzazione socialista dell'agricoltura, è diventata una
massa enormemente accresciuta e forte di contadini
possidenti, che difenderà coi denti e con le unghie le
proprietà appena acquisite contro ogni attentato socialista.
Attualmente, in Russia, la questione della futura
socializzazione dell'agricoltura, anzi della produzione in
generale, è diventata elemento di discordia e di lotta tra
il proletariato urbano e le masse contadine.
Quanto aspro
sia già ora diventato il contrasto, lo dimostra il
boicottaggio contadino delle città, alle quali rifiutano i
mezzi di sussistenza, per farne speculazioni, esattamente
come gli Junker prussiani.
Il contadino parcellare francese era diventato il più
valoroso difensore della grande rivoluzione francese, dopo
che questa gli aveva regalata la terra confiscata
all'emigrazione. Come soldato napoleonico egli portò alla
vittoria la bandiera francese, attraversò tutta l'Europa e
distrusse il feudalesimo in un paese dopo l'altro.
Lenin e i suoi amici possono essersi attesi un effetto
simile dalla Loro parola d'ordine agraria. Invece il
contadino russo, una volta preso materialmente possesso
della terra, non si è neppure sognato di difendere la Russia
e la Rivoluzione, a cui doveva la terra.
Si è tuffato nel
suo nuovo possesso ed ha abbandonato la rivoluzione ai suoi
nemici, lo Stato alla rovina, la popolazione cittadina alla
fame.
[Discorso di Lenin sulla necessaria centralizzazione
nell'industria. Nazionalizzazione delle banche, del
commercio e dell'industria. Perché non della terra? Qui, al
contrario, decentralizzazione e proprietà privata.
Il programma agrario peculiare di Lenin prima della
Rivoluzione era diverso.
Lo slogan desunto dai tanto
ingiuriati socialisti-rivoluzionari, o più esattamente: del
movimento spontaneo contadino. Per introdurre princìpi
socialisti nei rapporti agrari, il governo sovietico ha
cercato ora di mettere in piedi coi proletari (per lo più
elementi cittadini, disoccupati) delle comuni agricole. Ma è
facile profezia che i risultati di questi sforzi,
commisurati all'intero ambito dei rapporti agrari, siano
inevitabilmente rimasti impercettibili, e per una
valutazione della questione assolutamente irrilevanti. (Dopo
aver spezzettata in piccoli esercizi la grande proprietà
fondiaria, il punto di partenza più appropriato per
un'economia socialista, si cerca ora di edificare da piccole
fondamenta aziende comuniste modello). Nel sistema di
rapporti dato, queste comuni rivestono solo il valore di un
esperimento, non di una larga riforma sociale. Monopolio dei
cereali con premi. Adesso, post festum, introdurre la lotta
di classe nei villaggi!].
La riforma agraria leninista ha procurato al socialismo un
nuovo potente strato sociale di nemici nelle campagne, la
cui resistenza sarà molto più pericolosa e tenace di quanto
non sia stata quella dei grandi proprietari terrieri
aristocratici.
Che la sconfitta militare si sia trasformata nel crollo e
nella disgregazione della Russia, è in parte colpa dei
bolscevichi.
Questi si sono da se stessi appesantiti oltre misura le
difficoltà obiettive della situazione attraverso una parola
d'ordine che hanno spinto in prima linea della loro lotta
politica: il cosiddetto diritto di autodeterminazione
nazionale, o ciò che in realtà sta sotto questo slogan: la
disgregazione statale della Russia.
La formula, sempre di nuovo proclamata con dottrinaria
cocciutaggine, del diritto delle varie nazionalità
dell'Impero Russo a determinare autonomamente il proprio
destino "ivi compresa la separazione statale dalla Russia",
è stata durante la loro opposizione contro l'imperialismo
sia di Miljukow che di Kerenski, ha costituito l'asse della
loro politica interna dopo il rivolgimento d'ottobre, e
tutta quanta la piattaforma bolscevica a Brest-Litowsk,
l'unica arma, che avessero da contrapporre alla posizione di
forza dell'imperialismo tedesco.
Nella caparbietà e arida coerenza, con la quale Lenin e
compagni hanno tenuto duro a questa posizione, ciò che
anzitutto colpisce è che essa è in crassa contraddizione sia
al loro espresso centralismo politico in altri settori sia
anche al comportamento che essi hanno assunto di fronte ad
altri princìpi democratici.
Mentre dimostravano un freddo dispregio di fronte
all'assemblea costituente, al suffragio universale, alla
libertà di stampa e di riunione, in breve a tutto l'apparato
delle fondamentali libertà democratiche delle masse
popolari, che tutte assieme costituivano "il diritto di
autodeterminazione" della Russia stessa, attraverso il
diritto di autodeterminazione delle nazioni come una pupilla
della politica democratica, per amore della quale tutti i
punti di vista pratici della critica realistica non avevano
che da tacere.
Mentre essi non si erano lasciati minimamente mettere in
soggezione dalla votazione popolare sulla base del diritto
elettorale più democratico del mondo e nella piena libertà
di una repubblica popolare, e per considerazioni critiche
assai fredde dichiararono nulli i loro risultati, a Brest
Litowsk propugnarono il referendum sull'appartenenza statale
delle nazionalità non russe dell'impero come il vero
palladio di ogni libertà e democrazia, genuina quintessenza
della volontà dei popoli e come la suprema istanza in
questioni di destino politico delle nazioni.
Questa flagrante contraddizione è tanto più incomprensibile
in quanto a proposito delle forme democratiche della vita
politica di ogni paese, si tratta, come vedremo ancora più
oltre, di validi, anzi indispensabili fondamenti della
politica socialista, mentre il famigerato "diritto di
autodeterminazione nazionale" non è altro che vuota
fraseologia e ciarlataneria piccolo-borghese.
In effetti che cosa dovrebbe significare questo diritto?
Fa
parte dell'ABC della politica socialista combattere ogni
specie di oppressione e conseguentemente anche quella di una
nazionalità da parte di un'altra.
Se ciò nonostante, in questo caso, politici per il resto
così freddi e critici come Lenin, Trotskji e amici loro,
refrattari a ogni genere di fraseologia utopistica come
disarmo, società delle nazioni, ecc. a cui riservano solo
un'ironica alzata di spalle, hanno fatto di un vuoto slogan
della stessa, medesima risma, addirittura il loro cavallo di
battaglia, questo è dovuto, ci sembra, ad una forma di
opportunismo politico.
Lenin e compagni calcolarono evidentemente che non esistesse
mezzo più sicuro per legare le molte nazionalità straniere
dell'impero russo alla causa della rivoluzione, alla causa
del proletariato socialista, che garantire loro in nome
della rivoluzione e del socialismo la più illimitata ed
estrema libertà di disporre dei propri destini.
Si ripresenta su questo punto un atteggiamento analogo alla
politica bolscevica nei confronti dei contadini russi, la
cui fame di terra fu soddisfatta dalla parola d'ordine
dell'occupazione diretta dei fondi aristocratici che
avrebbero così dovuto essere legati alla bandiera della
rivoluzione e del governo proletario.
In entrambi i casi, purtroppo, i calcoli si sono dimostrati
assolutamente errati.
Mentre evidentemente Lenin e compagni,
in quanto propugnatori della libertà nazionale, addirittura
"sino al separatismo statale", si aspettavano che Finlandia,
Ucraina, Polonia, Lituania, Paesi Baltici, Caucasia ecc.
diventassero altrettanti fedeli alleati della rivoluzione
russa, abbiamo assistito allo spettacolo contrario: l'una
dopo l'altra queste "nazionalità" utilizzarono la libertà
appena avuta in dono per allearsi, quale nemiche mortali
della rivoluzione russa, con l'imperialismo tedesco e sotto
la sua protezione portare la bandiera della
controrivoluzione nella stessa Russia.
L'intermezzo a Brest
Litowsk con l'Ucraina, che ha comportato una svolta decisiva
di quelle trattative e in tutta la situazione politica
interna ed esterna dei bolscevichi, ne è un esempio tipico.
Il comportamento di Finlandia, Polonia, Lituania, Paesi
baltici, delle nazionalità del Caucaso è la dimostrazione
più convincente che non si è trattato di un episodio
eccezionale e casuale, ma di un fenomeno tipico.
Certo, in tutti questi casi a svolgere detta politica
reazionaria non sono in realtà le "nazioni", ma solo le
classi borghesi e piccolo-borghesi, che nel più marcato
contrasto con le proprie masse proletarie stravolgono il
"diritto di autodeterminazione nazionale" in uno strumento
della loro politica di classe controrivoluzionaria.
Ma -- e con ciò arriviamo al punto nodale della questione --
il carattere utopistico piccolo-borghese di questa
fraseologia nazionalistica sta appunto nel suo trasformarsi
(nella dura realtà della società di classe, particolarmente
in un tempo di conflitti inaspriti all'estremo) in un
semplice strumento del dominio di classe borghese.
A spese proprie e della rivoluzione i bolscevichi hanno
dovuto apprendere che sotto il dominio del capitalismo non
c'è posto per nessuna autodeterminazione nazionale.
Che in
una società classista ogni classe facente parte della
nazionalità desidera "autodeterminarsi" in maniera diversa e
che tra le classi borghesi i punti di vista della libertà
nazionale cedono completamente il passo a quelli del dominio
di classe.
La borghesia finnica con la piccola borghesia
ucraina erano perfettamente d'accordo nel preferire il
dispotismo tedesco alla libertà nazionale, quando questa
dovesse essere collegata coi pericoli del "bolscevismo".
La speranza di capovolgere questi rapporti di classe
effettivi nel loro contrario, magari attraverso referendum,
motivo attorno al quale a Brest Litowsk girò tutto, e di
ottenere fidando sulle masse popolari rivoluzionarie un voto
di maggioranza per l'unione con la rivoluzione russa, se
seriamente nutrita da Lenin e Trotskji, ha rappresentato un
ottimismo inconcepibile, e se dovesse essere solo una botta
tattica nel duello con la politica di forza tedesca: un
giocare col fuoco!
Qualora nei paesi periferici si fosse giunti al famoso
referendum, data la mentalità delle masse contadine e di
grandi strati proletari ancora indifferenti, la tendenza
reazionaria della piccola borghesia e i mille mezzi a
disposizione della borghesia per influire sulla votazione,
con ogni verosimiglianza esso avrebbe dato ovunque un
risultato poco allegro per i bolscevichi anche senza
l'occupazione militare tedesca.
In faccende di referendum sulla questione nazionale può
dunque valere come regola inviolabile che le classi
dominanti o dove non convenga loro lo sappiano impedire o,
arrivandoci, sappiano influire sui risultati con tutti i
mezzi e mezzucci, che fanno anche sì che alcun socialismo
sia introducibile per via di votazioni popolari.
In genere, il fatto che la questione delle aspirazioni
nazionali e delle tendenze separatiste sia stata buttata in
mezzo alle lotte rivoluzionarie, anzi, attraverso la pace di
Brest Litowsk, spinta in primo piano e addirittura elevata a
Schibboleth della politica socialista e rivoluzionaria, ha
provocato il maggiore smarrimento nelle file socialiste e
scosso la posizione del proletariato proprio nei paesi di
confine. In Finlandia il proletariato socialista, finché ha
combattuto come parte della compatta falange rivoluzionaria
della Russia, è giunto a tenere una posizione di forza
dominante.
Possedeva la maggioranza della Dieta e nell'esercito, aveva
completamente ridotto all'impotenza la borghesia ed era
padrone della situazione del paese. A principio del secolo,
quando ancora non erano state inventate le buffonate del
"nazionalismo ucraino" con le Karbonwentzen e gli Universals
e l'ubbia di Lenin di una "Ucraina autonoma", l'Ucraina
Russa era la roccaforte del movimento rivoluzionario russo.
Da qui, da Rostow, da Odessa, dal Territorio del Donez
fluirono le prime correnti di lava della rivoluzione (già
attorno al 1902-1904) e accesero tutta la Russia meridionale
di un mare di fiamme, così preparando l'esplosione del 1905,
i più forti e i più sicuri focolari rivoluzionari e il
proletariato socialista vi ha svolto un ruolo preminente.
Come avviene che in tutti questi paesi, improvvisamente,
trionfi la controrivoluzione?
Il movimento nazionalista ha
paralizzato il proletariato appunto staccandolo dalla
Russia, e lo ha consegnato alla borghesia nazionale dei
paesi periferici.
Invece di mirare, giusto nello spirito
della pura politica classista internazionalistica, che essi
quanto al resto difesero, alla più compatta concentrazione
delle forze rivoluzionarie su tutto il territorio
dell'impero, di difendere con le unghie e coi denti
l'integrità dell'impero russo in quanto territorio
rivoluzionario, di contrapporre a tutte le aspirazioni
separatistiche nazionalistiche, come supremo comandamento
politico, la comunione e la inseparabilità dei proletari di
tutti i paesi in seno alla rivoluzione russa, i bolscevichi
attraverso la rimbombante fraseologia nazionalistica del
"diritto di autodeterminazione sino alla separazione
statale" non hanno fatto che prestare alla borghesia di
tutti i paesi di confine il pretesto più propizio e più
splendido, addirittura la bandiera per le loro aspirazioni
controrivoluzionarie.
Invece di mettere in guardia i
proletari dei paesi limitrofi da un qualunque separatismo in
quanto semplice trappola borghese, [e di soffocare in germe
le aspirazioni separatistiche con mano ferrea, il cui uso in
questo caso avrebbe veramente corrisposto al senso e allo
spirito della dittatura proletaria] essi hanno piuttosto sconcentrato le masse di quei paesi con la loro parola
d'ordine e le hanno consegnate alla demagogia delle classi
borghesi.
Con questa rivendicazione nazionalista hanno
causato, preparato, lo smembramento della stessa Russia e
hanno così stretto nelle mani dei propri nemici il coltello
da piantare nel cuore della rivoluzione russa.
Certo, senza l'aiuto dell'imperialismo
tedesco, senza i "calci di fucile tedeschi in pugni
tedeschi", come ha scritto la Neue Zeit di Kautsky, i
Lubinsky e le altre canaglie ucraine come pure gli Erich e i
Mannerheim finlandesi e i baroni baltici non ce l'avrebbero
mai fatta contro le masse proletarie socialiste dei loro
paesi.
Ma il separatismo nazionale è stato il cavallo di Troia
dentro il quale fecero il loro ingresso in tutti quei paesi,
baionette in pugno, i "compagni" tedeschi.
I concreti contrasti di classe e i rapporti di forza
militari hanno condotto all'intervento tedesco: ma i
bolscevichi hanno fornito l'ideologia, che ha mascherato
questa campagna rivoluzionaria, hanno rafforzato la
posizione della borghesia e indebolito quella del
proletariato. Ne è la miglior prova l'Ucraina, che doveva
giocare un così fatale ruolo nelle sorti della rivoluzione
russa.
Il nazionalismo ucraino, del tutto diverso da quello per
esempio ceco, polacco o finnico, non è stato null'altro in
Russia che un semplice ghiribizzo, un'imbecillità di un paio
di dozzine di intellettuali piccolo-borghesi, senza la
minima radice nella situazione economica, politica o
spirituale del paese, senza alcuna tradizione storica,
perché l'Ucraina non ha mai costituito una nazione o uno
stato; senza alcuna cultura nazionale, all'infuori delle
poesie romantico-reazionarie di Schewtschenko.
È precisamente come se un bel mattino le popolazioni
costiere volessero fondare sulla base di Fritz Reuter una
nuova nazione e un nuovo stato bassotedesco.
E questa ridicola posa di un paio di professori universitari
e di studenti, Lenin e compagni l'hanno artificialmente
gonfiata a fattore politico con la loro agitazione
dottrinaria sul "diritto di autodeterminazione comprensiva
ecc.".
Furono loro ad attribuire importanza alla buffoneria
iniziale, sinché questa divenne della più sanguinosa
gravità: ma non un serio movimento nazionale, per il quale
ora come prima non esistono radici, bensì un'insegna e una
bandiera di raccolta della controrivoluzione!
Da questo guscio vuoto uscirono a Brest Litowsk le baionette
tedesche!
Nella storia delle lotte di classe questi slogan rivestono a
volte importanza molto concreta.
In questa guerra mondiale è fatale destino del socialismo di
essere predestinato a fornire pretesti ideologici per la
politica controrivoluzionaria.
Al suo scoppio, la
socialdemocrazia tedesca si affrettò a fregiare di uno scudo
ideologico tratto dall'arsenale marxista la razzia
dell'imperialismo germanico, spiegandola come la campagna di
liberazione contro lo zarismo russo auspicata dai nostri
vecchi maestri.
Agli antipodi dei socialisti governativi, era destinato ai
bolscevichi di portar acqua al mulino della
controrivoluzione con lo slogan dell'autodeterminazione
nazionale e di fornire così un'ideologia non solo per lo
strangolamento della rivoluzione russa stessa, ma per la
progettata liquidazione, in senso controrivoluzionario,
dell'intera guerra mondiale.
Abbiamo tutte le ragioni di esaminare molto a
fondo sotto questo riguardo la politica bolscevica.
Il "diritto di autodeterminazione nazionale", accoppiato con
la Società delle nazioni e il disarmo per grazia di Wilson,
costituisce il grido di battaglia sotto il quale dovrebbe
svolgersi l'imminente resa dei conti del socialismo
internazionale col mondo borghese. È evidente che lo slogan
dell'autodeterminazione e l'intero movimento nazionalistico,
che presentemente costituisce il maggiore pericolo per il
socialismo internazionale, hanno ricevuto uno straordinario
rafforzamento proprio dalla rivoluzione russa e dai
negoziati di Brest.
Di questa piattaforma avremo da
occuparci ancora particolareggiatamente.
Le tragiche sorti di questa fraseologia della rivoluzione
russa, nelle cui spine era destino che i bolscevichi si
impigliassero e si scorticassero, servano di lezione al
proletariato internazionale.
Ora, da tutto questo è conseguita la dittatura tedesca.
Dalla pace di Brest sino al "trattato aggiuntivo"! Le 200
vittime espiatorie di Mosca. Da questa situazione sono
derivati il terrore e il soffocamento della democrazia.
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[Questa Versione in italiano è comparsa "online" per la prima volta
come Capitolo dedicato a Rosa Luxemburg dell'E-book
"Tensione" - nel 1998, facente seguito a quella cartacea di
4 anni prima, a cura di Massimo Greco e Toni Corino, su
geocities.com, e-book successivamente "scomparso" dopo la
soppressione degli spazi "gratuiti" ma ancora oggi
rintracciabile qui:
http://www.geocities.ws.
Ed è qui il "da dove" sono state pescate e copiaincollate
talune edizioni facenti riferimento a spazi ed "edizioni"
dalla "PRASSI" tradizionalmente poco incline a citare la
fonte.]
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