Iakov Levi



BIANCANEVE E ALTRE VERGINI



Pubblicato in Scienza e psicoanalisi. Rivista multimediale di psicoanalisi e scienze applicate [Entered 8 Settembre 2002]



Il pudore esiste solo dove ci sia un mistero
Nietzsche (I Umano troppo umano,100)

Nel mito biblico Eva viene sedotta dal serpente a mangiare del frutto dell’albero proibito. In molte rappresentazioni figurate si vede il serpente con in bocca una mela che si avvicina, subdolo, alla nostra madre primigenia.
Nella fiaba dei Fratelli Grimm vediamo la stessa scena in cui una mela viene offerta, nella stessa maniera subdola, ad una giovane donna.
La differenza consiste nel fatto che nella scena di Biancaneve, invece del serpente, è la matrigna, una strega, che cerca di sedurre la vergine.
In entrambi i casi la conseguenza della seduzione sarà la perdizione.
Eva viene cacciata dal Giardino dell’Eden (1) e viene condannata al rapporto eterosessuale, alle doglie e al parto (Gn.3/16).
Biancaneve muore, e potrà resuscitare solo dopo la deflorazione, che nella fiaba viene simboleggiata dal Principe e il suo bacio. Come ci ha mostrato Freud, infatti, il bambino spesso crede che la donna possa rimanere incinta da un semplice bacio (2).
I tre stadi essenziali della vita della donna vengono rappresentati in entrambi i miti.
Il primo stadio è quello in cui Eva vive, apparentemente priva di pulsioni sessuali, nel Giardino dell’Eden.
Biancaneve vive, raccogliendo fiori, nel bosco, parallelo al Giardino in cui viveva Eva, circondata da sette nani che fanno da simbolo fallico apotropaico e difendono così la sua verginità. Come Eva e cappuccetto rosso e le vergini Persefone e Medusa, passano il tempo a cogliere fiori, simbolo del genitale femminile.

   

Il serpente si avvicina alla prima donna e la seduce ad assaggiare del frutto proibito, che è il frutto dell’albero della conoscenza (3), ovvero la invita alla prima esperienza erotica dalla connotazione genitale, che per entrami i sessi è la masturbazione.
Il serpente, che come abbiamo provato per esteso in “Verginità e castrazione” rappresenta il simbolo del pene verginale della donna prima che questo venga evirato dalla deflorazione, è sia lo strumento del rapporto autoerotico che il mezzo apotropaico attraverso il quale Eva mantiene la propria verginità, come i sette nani (4) condensano sia il rapporto autoerotico di Biancaneve, sia il suo strumento apotropaico.
Ed ecco che Eva, dopo questo primo stadio di conoscenza genitale, viene cacciata dal Giardino, in una morte simbolica che, come vedremo in seguito, riceverà il significato di evirazione-deflorazione-parto.
Il Giardino è  il simbolo generale del genitale femminile (cfr. Nota 1) e quindi la cacciata da quello è in associazione diretta  con questo. E il serpente nel Giardino è la clitoride, localizzata tra i suoi “fiori”.
Il mito biblico condensa la saga esistenziale dell’uomo con quella della donna, ma si trattava di due miti completamente diversi che furono fusi in uno solo e il testo ci presenta, a tratti, istantanee di entrambi, mescolate in un’unica sintesi (5).
Questa compressione rende il mito ebraico estremamente ermetico e la sua decodificazione così complessa.
Biancaneve muore, come Eva era diventata mortale dopo l’assaggio dello stesso frutto.
La morte simbolica di Eva è susseguita dalla deflorazione e dal parto; infatti solo dopo la sua cacciata dall’Eden ed aver perso l’immortalità “Adamo si unì a Eva sua moglie (in ebraico “conobbe” Eva sua moglie), la quale concepì e partorì Caino e disse: “Ho acquistato un uomo dal Signore” ”(Gn.4/1).
Come ha rilevato Abraham, la “donna vede nel bambino un sostituto del membro non concessole” (il pene) (6).


Lo spostamento

Dopo il suo colloquio con il serpente, questo, che prima era eretto, fu condannato: “sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai”(Gn.3/14).
Ovvero il pene verginale femminile, con il quale masturbava, fu evirato.
Adesso la donna, priva del suo, dipenderà da quello del marito: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà ”(Gn.3/16).
E come compensazione riceverà dal Padre un bambino: “Ho acquistato un uomo dal Signore”.
Biancaneve muore e rinasce quando il Principe (Adamo) la deflorerà, e verrà fecondata dal suo bacio.
Il mito biblico ci presenta una sintesi estremamente condensata.
La fiaba di Biancaneve, invece, ci aiuta a far luce su uno degli stadi di passaggio più importanti poiché ci presenta la saga della donna distillata da quella dell’uomo ed emerge con le sue peculiarità specifiche.
Il peccato originale e la Caduta hanno un significato diverso per l’uomo e per la donna e anche la cacciata dall’Eden rappresenta un castigo per il primo e un altro per la seconda, come la sessualità viene interpretata diversamente dai bambini e le bambine, nei primi stadi della loro esplorazione sessuale.
Se nel bambino la masturbazione risveglia il terrore di essere evirato e di perdere il suo membro (7), per la bambina la stessa attività viene spiegata come la causale della  “perdita” di quello stesso membro di cui deve, suo malgrado, constatarne la mancanza (8). .
Ovvero, se l’evirazione per l’uomo rappresenta una minaccia che pende sul suo capo come una spada di Damocle, per la donna è una perdita irrimediabile di cui deve prendere atto e razionalizzare.
Questa razionalizzazione spiega che la causa della propria evirazione era stato il suo colloquio con il serpente.
Il testo scinde in maniera esplicita il castigo che il Signore infligge all’uomo da quello della donna (Gn.3/16-19).
Secondo la Legge del taglione, che era l’unica valida per i primitivi, il diverso castigo riflette anche un diverso peccato.
Il primo uomo deve subire le conseguenze del suo peccato di aggressione- cannibalismo verso il Padre (9), mentre la donna non viveva la stessa tensione pulsionale, bensì la propria.
L’uomo viene condannato con la morte per il suo atto sacrilego, poiché questo era stato un delitto di assassinio: “...Polvere tu sei e polvere tornerai” (Gn.3/19). Mentre la donna viene condannata all’evirazione-deflorazione, alla dipendenza dal pene del marito e al parto: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai i figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà ”(Gn.3/16).
In realtà anche la donna diventerà mortale e tornerà ad essere polvere, poiché non c’è differenza tra la mortalità dell’uomo e quella della donna. Ma il testo prescinde da questa constatazione ovvia poiché si stava focalizzando non tanto sulla realtà di vita che tutti conosciamo, bensì era occupato a raccontarci il mito esistenziale della donna nelle sue differenze da quello dell’uomo: morte contro morte, per l’uomo, masturbazione-invidia del pene contro evirazione-deflorazione-parto, per la donna.
La morte a cui viene condannato l’uomo ha, quindi, un significato completamente diverso dalla morte a cui viene condannata la donna.
Se si scinde il ruolo della donna da quello dell’uomo, e lo si affianca a quello di Biancaneve, ecco che lo svolgimento ci diviene chiaro.
Eva, come Biancaneve, diventa mortale dopo aver assaggiato la mela, anche se la maledizione biblica concernente la morte era stata inflitta solo all’uomo, per un peccato di tutt’altra natura.
Aggiungiamo a questo quello che ci dice Freud: Il frutto non sta per il bambino, ma per il seno (10), cioè per il corpo stesso della donna, e lo stesso per quello che riguarda l’albero  e vediamo che in realtà uomo e donna sono preoccupati da due problemi diversi, prodotti delle tensioni a loro peculiari.
L’albero viene chiamato dalla Bibbia l’albero della conoscenza, ed ecco che l’assaggio che fece Eva dell’albero e del frutto era stato una prima conoscenza legata al proprio corpo.
Ugualmente dunque per Biancaneve.
Adamo ed Eva vengono cacciati dal Giardino e viene precluso loro l’albero della vita, affinché non diventino immortali
Nel mito biblico la morte, questa condizione nuova per Eva, viene implicata dal fatto che ora non potrà più restare nel Giardino a colloquiare con il suo serpente, ma verrà cacciata da questo e verrà deflorata = evirata dall'uomo, ovvero, non avrà più fiori tutti suoi.
Per Biancaneve la morte è subitanea e l’associazione assaggio della mela-morte è più diretta. Ma il significato è lo stesso.
Eva diventa mortale ma subito dopo viene deflorata, fecondata e partorisce il primo figlio.
Biancaneve muore e, dopo un lasso di tempo, anch’ella viene deflorata dal principe e implicitamente fecondata.
Quello che ci racconta la fiaba in modo esplicito è di un lasso di tempo, rappresentato da alcuni anni, in cui è morta, e solo dopo avviene la deflorazione-fecondazione.
Su questo la Bibbia non ci aveva detto niente.
Se stessimo trattando di giovani uomini, invece di giovani donne, sarebbe tutto molto chiaro, poiché il lasso di tempo tra la morte simbolica, la rinascita simbolica e l’atto eterosessuale è esattamente quello che incorre nei riti della pubertà dei giovani iniziati, come questo veniva eseguito dalle tribù primitive australiane, africane ed americane ancora all’inizio del secolo e probabilmente anche ai giorni nostri  (11).
Se il parallelismo è lecito, e mi pare che lo sia, abbiamo qui, in forma atrofizzata, la rappresentazione di un rito iniziatico femminile di giovani donne, al posto degli ormai ben noti riti della pubertà maschili.
Possiamo dedurne che questa sia la traccia mnestica di questi riti compiuti sulle ragazze, piuttosto che sui maschi?
Se mai ci furono riti del genere avrebbero dovuto rimanerne tracce più consistenti. Malgrado la circoncisione femminile, praticata ancora oggi presso molte tribù beduine e nel mondo musulmano, sia il rito parallelo a quello della circoncisione maschile, e quindi  anche l’atrofizzazione di un rito di passaggio, essa manca però di molti dei contenuti  dei riti maschili.
È possibile che nella sintesi della condensazione biblica, come nella fiaba dei fratelli Grimm, si possa leggere l’espressione di un bisogno, che non riuscì a trovare sfogo e soluzione nei riti tribali delle antiche tribù, come invece fu il caso per i giovani maschi.
I riti iniziatici avevano lo scopo di staccare i giovani dalle madri e dalle sorelle, indurli ad identificarsi con i fratelli e i padri, e a rinunciare a tutte le pulsioni aggressive ed incestuose, che se non fossero state rimosse energicamente avrebbero portato il disastro sul clan.
Avevano, quindi, anche lo scopo di indirizzare i giovani verso un’identità sessuale ben definita e a reprimere anche tutte le proprie pulsioni pre-edipiche polimorfe e canalizzarle in un chiaro indirizzo eterosessuale.
Alle ragazze non fu proposto niente di simile, ma sappiamo che anche loro, all’età della pubertà, sono sotto la pressione di tensioni talvolta non meno gravose per quello che riguarda la propria identità sessuale e gli stessi impulsi aggressivi, anche se forse di minore intensità, verso le proprie madri.
Questo spiegha la figura della “matrigna” malvagia nella fiaba di Biancaneve, che non è altro che la proiezione esterna dell’aggressività della figlia verso la propria madre. Come in un’allucinazione paranoica, la figlia attribuisce alla madre gli stessi desideri di morte che lei stessa nutriva verso questa e che avevano origine nel proprio inconscio.
Il mito biblico non poteva presentarci niente di simile. La stretta morsa della società patriarcale delle tribù ebraiche non poteva lasciar posto a questo tipo di fantasie femminili, che furono rimosse spietatamente, e le tracce di un lasso di tempo, tra la prima conoscenza genitale autoerotica e la deflorazione della pubertà, fu cancellato senza lasciare tracce apparenti.
Ma gli elementi dei vari stadi di sviluppo sono lì, in entrambe le saghe.
Quello che ce lo conferma sono anche altre  fiabe raccolte dai fratelli Grimm che hanno fissato in un’istantanea questa tensione della pubertà femminile.
“La bella addormentata nel bosco”, si addormenta, ovvero muore, proprio all’età della pubertà, a quindici anni, e anch’ella viene risvegliata solo dal bacio del principe.
Ugualmente nei “Dodici fratelli” e nei “Sei Cigni” una giovinetta deve rimanere muta per sette anni, per riscattare dalla morte i fratelli.
Come ci ha mostrato Freud, il mutismo simboleggia la morte (12), quindi in queste ultime due fiabe la sorella sostituisce, attraverso il mutismo, la morte dei fratelli con la propria.
In queste due fiabe avviene un’inversione, poiché invece di essere l’uomo a riscattarla dalla morte, come in Biancaneve e nella “Bella addormentata nel bosco”, è la giovane che attraverso la sua morte simbolica riscatta i fratelli.
Ma in tutti i casi il mito ci presenta una ragazza, nell’età della pubertà, che muore simbolicamente per un lasso di tempo, prima di venire associata a un uomo, sia questo un principe o dei fratelli.
Come nei riti della pubertà maschili i giovani muoiono simbolicamente, subiscono una mutilazione, rappresentata generalmente dalla circoncisione o una mutilazione equivalente, rinascono, e in diretta associazione hanno il primo rapporto eterosessuale.
La mutilazione-rinascita avvengono in simbiosi, in quanto viene raccontato alle donne e ai bambini della tribù che un mostro li aveva divorati e li aveva poi rilasciati accontentandosi di mutilarli (vedi nota 11).
Queste fiabe sono dunque l’espressione di un rito di passaggio femminile, parallelo a quello maschile, che pur non trovando catarsi nei riti tribali, cercava una valvola di sfogo nel mito.
La tensione era lì, che cercava di essere alleviata.
L’equivalente biblico è Eva, che perde l’immortalità e viene deflorata da Adamo, e la sua deflorazione condensa anche il significato dell’evirazione, parallela alla circoncisione. Il serpente è il simbolo del pene verginale di Eva, con cui ha un colloquio, per il quale verrà punita con la morte (la perdita dell’immortalità).
Il simbolo fallico di Biancaneve sono i sette nani, con cui “colloquia” prima di assaggiare la mela e morire.
“La bella addormentata” nel bosco subito prima di morire filava con un fuso, lo stesso fuso con cui le Moire, le vecchie fanciulle, nella mitologia greca filavano il filo della vita umana (13), ovvero era occupata da un rapporto autoerotico con il proprio simbolo fallico, si punge con questo, parallelo della mutilazione che subiscono gli iniziati, muore per cento anni, e quando si risveglia trova lì pronto il principe. Qui la fiaba scompone la sintesi biblica evirazione-mutilazione e deflorazione in due atti separati.
Nei “dodici fratelli” la giovane raccoglieva dei fiori, anche questi simbolo fallico femminile (cfr. nota1), e, avendo così provocato la morte dei fratelli, si autocondannò al mutismo, ovvero alla morte simbolica, dopo della quale i fratelli vengono riscattati.
L’implicazione è che la fanciulla, a causa della masturbazione con il proprio simbolo fallico, sia stata punita con la morte, che in questo caso passa prima attraverso quella dei fratelli. Come in un’istantanea che ci presenti, in un’unica sintesi, l’invidia del pene femminile per quello dei fratelli e il desiderio inconscio di evirarli, ovvero di ucciderli per imposessarsene (14).
La fiaba condensa sia la formula: masturbazione femminile = evirazione = morte, sia la formula: masturbazione femminile = invidia del pene maschile = evirazione-uccisione dei fratelli = propria morte come espiazione e riscatto.
In tutti questi casi la donna ha un rapporto autoerotico, viene punita con la morte, rinasce e ha il primo rapporto eterosessuale, che condensa in sé, come prima fase, anche l’evirazione, poiché per la donna questa condensa sia il castigo che la conditio sine qua non affinché possa avvenire il rapporto eterosessuale.
Qui ci viene offerta l’occasione di gettare uno sguardo sfuggevole anche su un altro aspetto, che finora ci era sfuggito, evanescente. Come nella prima infanzia la bambina guarda con invidia il pene dei fratelli, all’epoca della pubertà guarda con invidia ai riti di passaggio maschili, attraverso i quali i fanciulli diventano uomini, e che a lei sono preclusi.
Le fiabe che abbiamo davanti sono anche un tentativo di compensare questa frustrazione fantasticando una situazione in cui anche la fanciulla esprima, in una catarsi simile a quella maschile, le proprie tensioni irrisolte.
Il mito più completo è quello di Biancaneve e forse per questo è diventata la fiaba più famosa.
Qui appare in maniera esplicita anche l’ambivalenza conflittuale verso la madre, che nelle altre saghe era stata solo allusa.
Intendiamo naturalmente a tutte le fiabe in cui la figura della madre si trasfigura in matrigna ostile.
Ed ecco che, in questa fusione, ci ricolleghiamo alle fantasie parallele di morte dell’uomo verso il proprio padre. In questo contesto, i desideri di morte della bambina per la madre trovano la loro catarsi nella fiaba.
Mentre la formula della saga maschile era stata: morte del Padre = morte del figlio, quella della saga femminile aveva condensato l’evoluzione, molto più tortuosa e complessa, delle tensioni esistenziali femminili che dovevano districarsi anche nel labirinto della conflittualità verso il proprio genitale e il suo ruolo.
Ed ecco che ci diviene chiara la complessità del ruolo di Eva nel mito biblico.
Per l’uomo era stato tutto molto semplice: aveva mangiato (ucciso) e fu punito con la morte.
Eva invece colloquia con il serpente, viene sedotta, mangia dell’albero e del frutto, seduce l’uomo, viene evirata-deflorata, entra incinta e partorisce.
L’uomo fa la parte dello stolto. La donna di una mente tortuosa e subdola come Lady Macbeth, il suo equivalente shakespeariano.
La tortuosità della sua saga rispecchia la complessità del suo rapporto con il suo genitale così enigmatico e le sue fantasie così complesse: Giardino e serpente, una deficienza fisica irrimediabile, invidia del pene, un ruolo dettato da una sensazione di netta inferiorità e, come soluzione, le fantasie di morte verso la madre e, come condensazione di espiazione, salvezza e riscatto, un uomo che Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà (Gn. 3/16), trasfigurato in Principe Azzurro e verso il quale potrà solo assumere quel ruolo passivo, che le è imposto dalla forma del suo genitale (15).
Come Eva, anche Biancaneve, “la Bella addormentata nel Bosco” e Cenerentola, sono costrette entro la camicia di forza di un ruolo passivo e dipendono dal Principe che le venga a riscattare. Questa è la loro  lunga “attesa” nel bosco.
A differenza dei riti iniziatici maschili, dove “l’attesa” nel bosco ha la funzione di indurre alla rimozione, attraverso il trauma e una repressione violenta, le ragazze devono attendere passive ed addormentate-morte, nello stesso bosco, l’uomo che conceda loro il pene mancante e le riscatti. Dipendono, infatti, da lui per poter risolvere il nodo gordiano della loro conflittualità pulsionale (16).
L’uomo attenderà il proprio Cristo, affinché questi lo riscatti dal peccato dell’assassinio-evirazione che aveva commesso nella figura del Padre.
Le donne attenderanno il proprio Cristo nella figura di un Principe o di un Figlio di Dio, che dia loro quello che le manca.
Il Cristo non ha infatti la stessa funzione per gli uomini che per le donne.
Come mai, infatti, ai piedi della Croce ci sono solo donne che lo piangono, Vergini e prostitute (La Maddalena)?
Con la sua morte aveva dato all’uomo quello di cui aveva bisogno, il riscatto dal peccato originale, ma le donne, e solo di donne che lo circondano dopo la crocefissione ci parla il Vangelo, che cosa volevano ancora da Lui, se non il pene mancante che per loro rappresentava la Salvezza?!
Questo livello si condensa con quello delle donne a cui viene rapito il figlio per passare il rito iniziatico sulla montagna (il Golgota), e dopo la cui conclusione viene loro restituito. I due livelli si condensano e si completano a vicenda, poiché per la donna il figlio era anche stato il sostituto del pene mancante, il “serpente” che le era stato tolto per il peccato di masturbazione.

               

  Dea dei serpenti Creta(Neolitico). Dea dei serpenti minoica(1500B.C). Cappella Sistina(1500A.D)


La Madre




              
                     1600 d.C.                                                      XII sec.                             Otto Munch - Grossmunster (Zurigo)
 

Il Figlio  


Nota la curva a serpente del corpo del Cristo, come in molti crocefissi romanici e gotici.


Nel mito di Biancaneve c’è ancora un’allusione su cui conviene soffermarsi.
La “matrigna” è rappresentata da una strega, che appare alternativamente come donna di singolare bellezza, infatti solo Biancaneve è più bella di lei,  e come vecchia, quindi brutta, che le offre la mela.
In questa rappresentazione appare l’ambivalenza emotiva nella quale la bambina vede nella madre una donna bellissima e desidera ardentemente essere bella come lei.
Nella fiaba, Biancaneve persino la detronizza, essendo ancora più bella di lei, e la riduce a vecchia, ovvero la fa invecchiare prematuramente, come trasfigurazione del suo desiderio di morte verso la madre.
Ma c’è di più.
Le streghe della fantasia medioevale sono la continuazione diretta delle triadi di mostri fallici femminili che popolavano la mitologia greco romana: le Moire, le Erinni, le Parche, le Graie, le Arpie e le Gorgoni. Mostri che venivano generalmente rappresentate in compagnia di serpenti terrificanti. La Medusa, una delle Gorgoni, rappresentata con terribili serpenti al posto dei capelli, era figlia del mostro marino Ceto e sia lei che la madre venivano definite “dal bel volto” (17). E la Medusa stessa, pur essendo terrificante, fu concupita e posseduta da Poseidone.
Vediamo dunque che anche il mito greco presentava un aspetto dicotomico di questi mostri: la Medusa e sua madre mostri orribili, e donne bellissime e concupite nello stesso tempo.
Ed ecco che la stessa rappresentazione dicotomica appare nel mito di Biancaneve in cui si rispecchia l’atteggiamento ambivalente della figlia verso la madre.
Questi mostri fallici, inoltre, sono la rappresentazione arcaica della figura materna, come viene concepita dai bambini durante lo stadio orale, proiezione delle loro pulsioni cannibalistiche e del terrore che queste fantasie risvegliano.
In questo stadio non c’è differenza tra maschietti e femminucce.
L’equazione si completa: donne bellissime = tentatrici = streghe = mostri.
Quindi una donna bellissima, la madre di Biancaneve, una strega, si tramuta in vecchia e tenta Biancaneve.
In questa fiaba si condensano sia le pulsioni pre-edipiche (temere di essere avvelenata è la proiezione di una pulsione sadico-orale) che la tensione provocata dalla gelosia e l’aggressività della bambina quando entra nello stadio del conflitto edipico.
I serpenti, simboli fallici tentatori, e quindi orripilanti e strumento apotropaico, dei mostri pre-olimpici, che emergono trasfigurati nel mito biblico di Eva e il suo colloquio col serpente, anche se non appaiono nella fiaba di Biancaneve, sono implicati dalla figura della strega.
Il serpente che offre la mela ad Eva si trasfigura nella strega che offre il frutto a Biancaneve. Per trovare le tracce di questa equivalenza, serpente-strega, dobbiamo allontanarci dalla rappresentazione che abbiamo davanti agl’occhi, come un presbite che vede meglio faccendo qualche passo all’indietro.
Una leggenda ebraica racconta:
Rabbi Shimon Bar Iochai disse: “Vi racconterò un racconto attraverso il quale potrete capire la storia di Adamo ed Eva: “Un uomo aveva una moglie. Portò a casa una botte e la riempì di fichi e noci e cose dolci. Poi prese uno scorpione e lo mise sull’apertura della botte a fargli da guardia. Disse a sua moglie: “Figlia mia tutto quello che c’è in questa casa ti appartiene, tranne questa botte, non la toccare!” Poi l’uomo uscì di casa. Mentre era fuori entrò una vecchia, facendo finta di essere venuta solo a prendere in prestito dell’aceto. La vecchia disse: “Come ti tratta tuo marito?” E la donna rispose: “Mi ha dato tutto quello che è suo, tranne questa botte”. E la vecchia: “Certamente tiene lì le cose più preziose e a te non l’ha detto perché vuole darle a un’altra donna”. Essa sedusse la donna ad aprire la botte e a introdurvi la mano che fu subito morsicata dallo scorpione (Bereshit Raba 19,10).
La leggenda ebraica che ha creato una metafora per spiegare il mito biblico della tentazione di Eva mette una vecchia al posto del serpente.
Esattamente come nella fiaba di Biancaneve.
I rabbini che riportarono questa leggenda in Palestina nel II sec. d.C., certamente non conoscevano la fiaba nordica di Biancaneve e i sette nani, né possiamo supporre che i cantastorie medioevali conoscessero la leggenda ebraica.
L’inconscio umano aveva creato questa associazione: serpente=tentazione=vecchia.

Lo stesso legame associativo, serpe = strega, lo ritroviamo in una imprecazione di Zarathustra: “maledetta serpe, agile e snodata, maledetta strega, che mi sei sfuggita” (La seconda canzone di danza, 1).
E di nuovo in Al di là del bene e del male, 237: "Giovane: un antro inghirlandato di fiori. Vecchia: un drago ne sbuca fuori [drago = serpente] (Nietzsche, "Sette piccoli proverbi di donne")

Quanta strada hanno fatto i mostri fallici pre – olimpici per riapparire nella fiaba di Biancaneve!
E non solo la matrigna di Biancaneve. Ogni madre è fata, strega, Medusa e serpente.

        

La fata turchina di Pinocchio


Le quattro immagini rappresentano le fantasie di Pinocchio: Madre – Fata –Strega.
Nella terza immagine la fata sta battendo le mani tre volte. Nella fiaba, quando ella batte le mani tre volte e fa tre piccoli colpi (Cap.XVI), appare il grosso falco, ovvero appare il pene nascosto, che nella fiaba si condensa al genitale paterno salvifico che interviene per salvare Pinocchio. Il tre infatti è ripetuto due volte, in tre volte e tre piccoli colpi. Appare – scompare: tutto è magia. Da qui tutte le fate che tengono in mano una bacchetta magica. La magia è il pene fantasmatico, che cè ma non si vede. Battere le mani tre volte è l’esatto equivalente del tenere in mano una bacchetta. Nell’ultima immagine vediamo come da fata stia per trasfigurarsi in Medusa.
Non è un caso che fate e streghe siano sempre donne, e non è un caso se nel Medioevo l’accusa di stregoneria portasse al rogo. Era l’unica maniera per esorcizzare il terrore del pene femminile mancante.

Nella fiaba di Biancaneve si condensano sia le pulsioni pre-edipiche polimorfe (18) che la tensione provocata dalla gelosia e l’aggressività della bambina quando entra nello stadio del conflitto edipico. Forse per questo è diventata la fiaba più famosa. In essa appare in maniera esplicita l’ambivalenza conflittuale verso la madre, che nelle altre saghe era stata solo allusa, come tutte le fiabe in cui la figura della madre si trasfigura in matrigna ostile. Inoltre si condensa anche l’allucinazione paranoica di un complesso edipico non risolto. L’omossessualità latente della paranoia femminile è la causale per cui in Biancaneve, a differenza di Cappuccetto Rosso dove il padre eviratore è rapresentato dal Lupo, e di altre saghe di cui parleremo più avanti dove l’eviratore della femmina è il Padre, colei che evira- uccide è la madre. Infatti qui manca il “Signore” che aveva colpito ed evirato il serpente di Eva. La madre – strega sostituisce il Padre – eviratore, che grida per la sua assenza. Nella paranoia femminile tutto diventa un affar di donne.
Come vedremo in seguito, nelle altre saghe la madre viene fatta sparire all’inizio, e manca come protagonista. La bambina l’ha fatta sparire. In Biancaneve è il padre che è stato fatto sparire fin dall’inizio, e la madre riempe anche il suo ruolo.
Avendo fallito nel suo compito di attirare a sè la libido della bambina, il padre non esiste, la libido si sposta sulla madre, e da qui l’omosessualità latente e la paranoia.
Non vorremmo essere il Principe che appare alla fine e sposa Biancaneve!
Apparentemente anche nella fiaba di Cenerentola il Padre – eviratore è assente, ma la fanciulla perde la sua scarpina (condensazione di perdita del “serpente” e deflorazione, in quanto la scarpa è simbolo della vagina) in associazione con il Principe, e non in associazione con la Madre - matrigna, lasciandoci così qualche speranza che questo matrimonio possa andare a lieto fine.
L’unione più felice sarà probabilmente quella della Bella Addormentata nel Bosco. Qui tutto comincia con “C’era una volta un re e una regina”. Una famiglia solida dove il re è ben presente. La strega è la causale della morte della fanciulla, ma c’erano nella fiaba anche molte streghe buone, e una di queste fa l’undoing della maledizione di quella cattiva. Inoltre la strega cattiva si vendica per essere stata insultata, ovvero, la morte della principessa rappresenta il Taglione per un’offesa perpetrata contro l’imago materna. L’insulto alla strega cattiva appare in maniera esplicita. In Biancaneve, invece, non c’è traccia manifesta della morte della fanciulla come conseguenza di un offesa alla madre. Nella paranoia, infatti, il paziente è sempre la vittima innocente delle cospirazioni altrui. Le tracce dell’aggressività primaria che ha scatenato il Taglione sono ormai sepolte al di là di ogni possibilità di riconoscimento. Infatti, non si tratta più di aggressività edipica, ma di omosessualità latente che ha scatenato la paranoia. Sembrerebbe, invece, che l’immagine della strega cattiva, nella fiaba della Bella Addormentata nel Bosco, a differenza di Biancaneve, sia la proiezione di una sana aggressività edipica, e non mi pare che ci siano tracce alcune di paranoia.
Auguri Principessa!

Links
Cenerentola
Religiosità femminile e paranoia


Rigoletto

Un'opera famosa ripropone in alcune scene parti della saga di Biancaneve. Il "Rigoletto" era nato come “La Maledizione”, allusione alla trama latente, quella dell’evirazione del pene femminile da parte del Padre. L’intenzione di Verdi e di Piave era di raccontare la storia di una maledizione paterna sul nano – pene. Poi optarono per “Tribolet”, spostando l’accento sulle tribolazioni del membro stesso. E infine "Rigoletto": un pene ridicolo, fuori posto.
il nano - pene gira intorno alla bella Gilda, che la custodisce al punto di chiuderla in casa affinché nessuno la veda, come i sette nani custodivano la bella vergine nella casina isolata nel bosco.

RIGOLETTO:

Sta ben... la porta che dà al bastione
È sempre chiusa?

GIOVANNA:

Lo fu e sarà.

RIGOLETTO:

Veglia, o donna, questo fiore
(a Giovanna)
Che a te puro confidai
Veglia attenta, e non sia mai
Che s'offuschi il suo candor.
Tu dei venti dal furore
Ch 'altri fiori hanno piegato
Lo difendi, e immacolato
Lo ridona al genitor (Atto primo – Scena X)

Di Gerico era stata detto “era saldamente sbarrata dinnanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava” (Giosuè, 6,1). La città fu deflorata solo da sette shofarot, come sette erano i nani che giravano intorno a Biancaneve .

Rigoletto, come i nani, va ogni giorno alle sue fatiche, per tornare a casa dal suo inviolato tesoro. Ma arriva il Duca che svolge nell'opera lo stesso ruolo che il Principe svolge nella fiaba. Solo l'ordine degli avvenimenti è leggermente invertito per celare il vero senso della rappresentazione: Gilda prima incontra il duca e poi muore, mentre nella fiaba l'ordine degli avvenire era all'inverso.
Come nei sogni, avviene un'inversione cronologica, ma il senso è lo stesso.
Rigoletto, il nano - pene di Gilda era innamorato del Duca come Biancaneve lo era del Principe: “Pari siamo...Io [sono] la lingua [la clitoride, nascosta nel genitale femminile come la lingua è nascosta nella bocca], lui il pugnale! [il pene maschile], L’uomo son io che ride...!”... “Questo padron mio, Giovin, giocondo, sì possente, bello,...!” (Scena VIII).
Rashi spiega: “Ogni riso (Sehoq) è segno d’idolatria, di spargimento di sangue e d’incesto”, concetti associati a uno sfogo libidinoso.
Monterone maledice Rigoletto - pene, come il Signore aveva maledetto il serpente di Eva. L’illustrazione ci mostra Rigoletto piegato sotto la maledizione di Monterone, il Padre offeso. Temeva di essere evirato, come il serpente biblico.

     

                       Il Nano                        Gilda          Biancaneve e il Principe

Rigoletto, già basso per sè, si piega sotto la maledizione di Monterone, il Padre offeso, come il serpente biblico - pene verginale di Eva - si era piegato sotto la maledizione del Signore, e da eretto aveva cominciato a strisciare.
Esattamente come Abraham spiega che la percezione infantile è che sia stato il padre ad evirare la bambina.
La conferma che Rigoletto, nano e pene di Gilda, è il serpente, viene dal testo stesso:

MONTERONE:

Slanciare il cane a leon morente
è vile, o Duca... e tu, serpente,
(a Rigoletto)
tu che d'un padre ridi al dolore,
sii maledetto!


RIGOLETTO
:

(da sé colpito)
(Che sento! orrore!) (Atto Primo – Scena Prima)

Dunque, il “leon morente” – Padre è Monterone, e il serpente è Rigoletto. Più esplicito di così non avrebbe potuto essere.

       


La prima illustrazione è una scultura denominata: "Rigoletto Edition 1-375 1989 - Size: 19 � x 18 � x 5 �", esposta all'Erte Art Deco Museum , London. La seconda è una statuina egizia predinastica rappresentante Iside. La somiglianza tra le due è evidente, come anche la connotazione femminile.

Dal testo emerge anche un’altra allusione, e cioè che Rigoletto, pene di Gilda, appartiene al Padre: “Lo difendi, e immacolato Lo ridona al genitor”. E’ lui il Pantokrator, che fa i peni e li evira a suo piacimento. I magistrali spostamenti all’interno del testo non ci devono indurre in errore. Anche se il contenuto manifesto di “al genitor” sembra riferirsi a Rigoletto (Atto primo – Scena X), poi “tu che d'un padre ridi al dolore” ci mostra qual’è il contenuto latente della scena e chi sia il Padre a cui si riferisce.
Il Padre offeso che maledice ed evira Rigoletto, pene di Gilda, ci riconduce a quello che ci dicono Abraham e Freud parlando del bambino che è convinto che la femmina sia stata evirata dal padre come punizione. Infatti, “...io sono il Signore che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso; faccio segare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò” (Ez.,17,24).
Dunque Lui, Signore e Falegname, Monterone, Lupo e Conte di Almaviva evira gli alberi o li fà germogliare, ovvero decide quale albero sarà maschio e quale femmina.
Dietro all’intuito, confermato dalla scienza, che sia il Padre a decidere del sesso del feto dando un cromosomo piuttosto che un altro, vi è certamente la “sapienza” a priori che sia il “Signore” a decidere quali peni evirare e quali lasciare intatti.

L’opera finisce con il grido straziante di Rigoletto sul corpo inanime di Gilda: "La Malediziooone!!";, straziante come quello di Eva mentre esce dalle porte del Paradiso terrestre, per il suo serpente evirato. "La Maledizione", infatti, avrebbe dovuto essere il titolo dell’opera.
L’inversione è chiara. E’ infatti Gilda colei che grida sul suo pene evirato. Il cadavere vero è quello di Rigoletto.
Le immagini, come le rappresentazioni oniriche, condensano sempre più di un significato, e spesso due significati opposti.
Dal cadavere di Gilda emerge, proprio al centro del suo corpo, un enorme Rigoletto - pene. Come ci ha mostrato Abraham: "Il bambino ha la concezione secondo cui la donna possiede un pene tenuto nascosto nel corpo ma molto grosso. In questo deve penetrare quello più piccolo dell’uomo� (Karl Abraham, �Una teoria sessuale dei bambini non considerata� (1925), in Opere, B.Boringhieri, Torino 1975 e 1997, vol.I, p.396) Come la Madre Terra, dopo il Diluvio, aveva fatto uscire da sé stessa un enorme Pitone (Ovidio, Metamorfosi, I,435 - 445)



LA  TERZA  MELA

Abbiamo visto finora come due mele siano state proposte a due vergini e abbiano provocato la loro caduta.
Pare proprio che le mele, anche se non fanno salire il colesterolo nel sangue, siano dei frutti estremamente pericolosi.
Una terza mitica mela provocherà un disastro di proporzioni ancora maggiori.
Intendo naturalmente quella offerta da Paride ad Afrodite.
Freud ha dimostrato come, nei miti e nelle fiabe, la scelta di una donna su tre, rappresenti in realtà la scelta della Morte (19).
E questa volta la morte sarà quella di Troia e dei suoi abitanti.
Se le prime due mele erano state offerte a due vergini, qui pare che sia invece stata data ad una dea che aveva tutto tranne che questa peculiarità.
Della triade di dee greche, tra le quali Paride deve scegliere, solo Atena portava come simbolo la propria verginità, con la lancia in una mano e la testa della Gorgone sul petto come mezzi apotropaici per difenderla.
Tranne che in questo caso, in tutto il folclore occidentale quando si tratta di scegliere tra tre donne è esplicito o implicito che queste siano tre vergini : Poseidone che sceglie la Medusa tra le tre Gorgoni, Ades che sceglie Persefone nella triade verginale olimpica, Lear che [non] sceglie Cordelia e il Principe che sceglie Cenerentola tra le tre sorelle da maritare.
La loro verginità è implicata dal loro numero. Questo è infatti il simbolo del genitale maschile completo e inviolato (20), che nella fantasia infantile è simile in tutto e per tutto a quello femminile (21).
In tutti questi casi un uomo deve scegliere tra tre vergini ed è implicito che lo scopo sia la deflorazione.
Alla minaccia di deflorazione-evirazione le triadi femminile contrappongono il proprio numero, il tre, simbolo della loro verginità-inviolabilità, e questo numero funge anche da strumento apotropaico.
Anche la scelta tra le tre dee, Era, Atena e Afrodite doveva necessariamente essere stata la scelta tra tre dee vergini.
La forma mentis della cultura occidentale non può percepire una situazione in cui una triade femminile non sia verginale: sarebbe una vera e propria contraddizione nei termini.
Quindi il mito di Paride che sceglie tra Era, Atena ed Afrodite è una sovrapposizione che ci presenta solo l’epifania esteriore, celando i contenuti reali del mito.
La parte esplicita del mito condensa già, attraverso una compressione, la figura della vergine scelta e la deflorazione che ne consegue nella figura di Afrodite che è la dea dell’amore e dell’erotismo. Ovvero il mito ci presenta già il risultato finale della scelta.
Nella mitologia occidentale l’equazione è deflorazione=Morte, e questo ci ricollega a quello che ci ha detto Freud, a proposito della scelta della terza fra le donne come scelta della Morte e Afrodite era l’unica tra le tre dee associata all’Averno (22).
Quello su cui noi ci focalizzeremo, in questo contesto, è che questa scelta, nel nostro caso, avviene per mezzo di una mela, poiché Paride avrebbe potuto benissimo scegliere tra le tre dee anche indicandone una con un semplice gesto della mano.
È la mela che ci interessa, quella che aveva provocato la caduta di Eva e la morte di Biancaneve.
Come ci ha mostrato Freud, il frutto simboleggia il seno, il corpo della donna stessa, e noi, sulla scia di questa rivelazione, abbiamo interpretato la relazione di Eva e di Biancaneve con la mela come un rapporto autoerotico.
Le tre dee danno a Paride la mela, affinché questi la dia ad una di loro e indichi la sua scelta.
Queste tre dee, dando all’eroe troiano il frutto, ovvero il proprio corpo, gli si offrono. E lui ne sceglie una delle tre. Anche in questo mito la seduzione avviene attraverso la mela, solo che qui avviene un’inversione e, apparentemente, il sedotto è l’uomo e non la donna.
Lo stesso tentativo d’inversione era apparso anche nel mito biblico in cui Eva propone la mela ad Adamo, ma ci pare di essere riusciti a svelare i veri contenuti di questa condensazione. Il testo stesso si era tradito raccontandoci di un serpente che propone la mela alla nostra madre primigenia.
Come si fa durante gli scavi archeologici, se leviamo gli strati superiori per svelare quello che si cela sotto, dopo aver tolto le sovrapposizioni posteriori rimaniamo con una mela che viene proposta ad una vergine, nell’epifania esteriore invertita della figura di Afrodite .
Ed ecco che il ciclo di chiude, poiché, se lo stesso rapporto autoerotico di Eva con la sua mela aveva portato a una morte simbolica e alla sua evirazione-deflorazione, e il rapporto di Biancaneve con lo stesso frutto si era svolto secondo gli stessi parametri, anche la scelta di Afrodite e il suo rapporto con la mela si condensa nella rappresentazione della deflorazione e della morte.
Quella che era stata, apparentemente, la seduzione da parte della dea di un eroe troiano celava, negli strati più profondi, un rapporto autoerotico.
A questo strato si sovrappose la rappresentazione di un rapporto eterosessuale, che venne dopo, come era venuto dopo per Eva e per Biancaneve.
In questo strato Paride adempie esattamente la stessa funzione di Adamo nel mito biblico e del Principe azzurro nella fiaba di Biancaneve. Egli è il Salvatore che redime le vergini dal proprio stato, proponendo loro il proprio pene, dopo che un rimosso peccato di masturbazione aveva fatto perdere loro il proprio.
La deflorazione condensa in un unico atto sia la perdita (evirazione) sia lo stadio successivo della compensazione.
Come masturbazione aveva significato evirazione, morte e deflorazione, quest’ultima fase del ciclo si trasfigura, attraverso l’offerta del pene maschile, in riscatto, compensazione e vita, percorrendo all’inverso le fasi precedenti.
Questa è la saga del genitale femminile, la sua Caduta e la sua risalita, la sua perdita e la sua salvezza.
L’atto eterosessuale fa un undoing della masturbazione infantile e distilla dall’attività genitale la suo componente peccaminosa, e qui ci ricolleghiamo alla saga biblica: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”(Gn.3/16), ovvero: dipenderai dal pene maschile per venire salvata.
Fino a che non arriverà il Principe Azzurro sul suo destriero sarai addormentata, in coma, morta.
Da qui anche la fantasia delle fanciulle che immaginano di venire salvate e portate via dal Principe su un cavallo, simbolo fallico maschile, come gli eroi greci avevano “salvato” Elena di Troia per mezzo di un cavallo, che aveva penetrato la città.
Ma c’è ancora qualcosa che stuzzica la nostra curiosità, che disturba il nostro riposo, sugli allori del materiale ritrovato.
Abbiamo trovato tre mele, proposte a tre giovani vergini.
La prima offerta da un serpente, la seconda da una vecchia, associata attraverso una quasi dimenticata leggenda ebraica ugualmente ad un serpente, e la terza da un giovane eroe.
Questa volta associare Paride ad un serpente ci riuscirà difficile.
Paride Alessandro è colui che difende, questo è il suo nome.
Il mito di Paride e delle sue origini è come quello di tutti gli Eroi che, figli di re e nati da nobile famiglia, furono percepiti dal padre come una minaccia al suo potere, furono esposti appena nati, salvati miracolosamente e diventarono Eroi e salvatori del proprio popolo, spodestando il padre e prendendone il posto.
Con le parole di Freud: “Eroe è colui che coraggiosamente si leva contro il padre e alla fine lo supera vittoriosamente” (23) .
Freud, citando l’opera di Otto Rank (24), enumera la lista degli Eroi che appartengono a questa categoria: Sargon, Ciro, Romolo, Edipo, Karna, Paride, Telefo, Perseo, Eracle, Gilgamesh, Anfione e Zeto e naturalmente il suo Mosè(25).
Tutti questi Eroi sono i vicari della congregazione dei fratelli che compiono l’impresa eroica, che non è altro che la trasfigurazione di riti d’iniziazione arcaici rimossi, uccidendo un mostro che minacciava la collettività.
Nei casi di Sargon, Ciro e Romolo non vi è traccia di uccisione di mostri ma diventarono grandi re fondatori di città o di imperi (nella saga di Romolo le tracce di un mostro emergono nella raffigurazione della lupa che allatta i gemelli).
Fondare una città è sinonimo di rapporto eterosessuale poiché, come spiega Rashi: “le città sono dette ‘figlie’”, e questo ci riporta al primo atto eterosessuale che viene consumato a conclusione del rito iniziatico. La fondazione di Roma e il ratto delle Sabine sono la scomposizione in due atti separati della stessa impresa iniziatica. I primi Romani erano l’orda sbandata dei fratelli, emarginati dal campo principale (Alba). Banditi, criminali, fuggitivi, come l’orda fraterna descritta da Freud. Tenuti lontano dalle femmine, irrompono nel campo principale per prenderle con la forza.

Nel caso di Mosè, la censura biblica represse le tracce di un mostro ucciso, che emergono, ciononostante, nella descrizione di Mosè che trasforma il bastone in serpente (Ex.7/10) e di nuovo quando sconfigge i serpenti  e il loro morso, attraverso il serpente di bronzo da lui creato (Nm.21/8-9). Inoltre Mosè, prima di diventare capo e condottiero, uccise l’Egiziano che stava percuotendo a morte un Israelita (Ex. 2/11-12), traccia dell’atto eroico, facente parte dei riti della pubertà tribali, che in alcune tribù africane si consuma ancora ai giorni nostri, solo quando il giovane iniziato ha ucciso un nemico (26).
Della lista che abbiamo davanti oltre Mosè, che salvò il suo popolo maneggiando serpenti, abbiamo Perseo che uccide la Medusa, il cui simbolo fallico erano i serpenti terrificanti che aveva al posto dei capelli.
Ercole uccide l’Idra di Lerna, tagliando le sue numerose teste, che possono facilmente venir paragonate a serpenti, in associazione alla testa della Medusa-serpenti e a come queste numerose teste sono raffigurate.
In “Verginità e castrazione” abbiamo visto come tutti questi serpenti durante la fase edipica sono il simbolo della clitoride femminile, come quello di Eva e di Biancaneve.
Per ora l’unica cosa che associa Alessandro a un serpente è che l’eroe troiano fa parte di una lista di Eroi dove solo tre di questi possono venire associati a questo.
Siamo ancora in alto mare.
Paride è l’unico di questa lista che non fece assolutamente niente di eroico, tranne che sedurre una bella donna, se questa impresa da gigolò si può definire tale, e Omero lo descrive come un vile che riesce a salvarsi solo nascondendosi sotto le sottane della dea che lo aveva adottato.
Ma quest’atto di seduzione non solo non portò la salvezza al suo popolo, bensì la rovina più completa.
Ma abbiamo altri eroi-dei, che non fanno parte di questa lista, il cui atto iniziatico è associato al serpente: Apollo e il Pitone, San Giorgio e il drago, Pamino e il serpente (l’eroe del mozartiano “Flauto magico”), e un altro il cui atto iniziatico fallì e non poté essere consumato, Orfeo (nel mito di Orfeo ed Euridice).
Riassumiamo quello che abbiamo in mano finora:
Paride fa parte di una lista di eroi, l’impresa eroica dei quali è preceduta da una nascita, una caduta e una rinascita che li porterà a nuove altezze.
Di questa lista tre sono associati al serpente attraverso l'impresa eroica.
Abbiamo altri eroi la cui impresa eroica è associata al rettile ma non fanno parte di questa lista.
Paride non compie nessuna impresa, anzi, perpetra un atto che è l’antitesi assoluta dell’impresa eroica in quanto questo porta alla perdizione, invece di portare alla salvezza del suo popolo.
Come dicono i Francesi: “Parlez bien, parlez mal, mais parlez de moi”.
L’antitesi di un’impresa eroica è pur sempre un’impresa eroica.
Eppure, anche qui il serpente non si vede ma c'è:

Qual chi veduto
in montana foresta orrido serpe
risalta indietro, e per la balza fugge
di paura tremante e bianco in viso,
tal fra le schiere de' superbi Teucri,
l'ira temendo del figliuol d'Atreo,
l'avvenente codardo retrocesse. (Il.,III)        [come il serpente biblico]
Ettore il vide, e con ripiglio acerbo
gli fu sopra gridando: Ahi sciagurato!
ahi profumato seduttor di donne,       [come il serpente biblico]
vile del pari che leggiadro! oh mai
mai non fossi tu nato, o morto fossi      [morte = evirazione]
tu ch’ anzi esser marito, che
certo il mio voto, e per te stesso il meglio,
più che carco d'infamia ir mostro a dito.      [l’infamia del serpente biblico]
Odi le risa de' chiomati Achei,
che al garbo dell'aspetto un valoroso
suspicio rida prima, e or sanno a prova
che vile e fiacca in un bel corpo hai l'alma. (Il., III) [vile...fiacca = afflosciamento]

Risaltare indietro...retroceder...sinonimi di afflosciamento attribuiti al pene che non è in erezione. Freud ha attribuito il simbolo del serpente al pene afflosciato (27). Avrebbe dovuto compiere un passo ulteriore e stabilire l’equazione pene afflosciato = clitoride = fantasmatico pene femminile..

Cerchiamo ora di sviluppare la negativa dell’istantanea che abbiamo scattato.
Gli eroi “positivi”, Mosè , Apollo , Perseo , San Giorgio, Pamino uccidono o esorcizzano il serpente, salvano il loro popolo e ottengono la bella .
L’eroe Orfeo non riesce nella sua missione, provoca la morte della sua amata, e quindi diventa, in questo contesto, un eroe negativo. Non riesce ad esorcizzare il serpente e quindi fallisce miseramente e il risultato è la Morte.
Come Orfeo, Paride, l’Eroe nato per esserlo, si trasforma in anti-eroe poiché....
La risposta è: poiché, come Orfeo, fallisce la sua missione.
Qual’era la sua missione? Era quella di esorcizzare il serpente, di ucciderlo. E invece Paride si identifica con questo e propone alla bella vergine la mela, come il serpente di Eva e quello di Biancaneve.
Paride Alessandro, che era nato per “difendere”, come è chiaramente indicato dal suo nome, adempie il suo destino e funge da strumento apotropaico all'orifizio femminile, come il serpente attorcigliato intorno all’albero-corpo della donna e difendeva la verginità della nostra madre primigenia. Come tale funge da serpente-strumento di masturbazione, ovvero, seduce la donna ad un rapporto autoerotico.

Nella tragedia eschilea de I sette contro Tebe avviene la stessa cosa. Sette Eroi difendono le sette porte di Tebe, i sette orifizi della donna. Eteocle, il difensore della settima porta, l’orifizio principale attraverso il quale sarebbe dovuta avvenire la penetrazione eterosessuale, muore, poiché come Paride, invece di identificarsi con l’attaccante si era messo a strumento apotropaico dell’apertura vaginale. Il messaggero riporta al Coro delle donne il risultato della battaglia: �L’esito è buono, in complesso, alle prime sei porte. La settima fu scelta esclusiva del santo principe, patrono del sette di Apollo: così si concretava - rovina al ceppo di Edipo - il delirio antico di Laio� (I Sette contro Tebe, vv. 797-802).

Nella Bibbia il punto debole di una città è chiamato “ 'Ervà”, genitale, e Tebe d’Egitto, alla quale la Tebe greca si è ispirata e da cui ha preso il nome, era detta “ La città dalle cento porte”. Quando i fratelli di Giuseppe incontrano il fratello, ora vicerè d’Egitto, a Tebe, poichè questa era la capitale durante la XVIII dinastia, questi li accusa di essere spie: “Voi siete spie, voi siete venuti a scoprire i punti deboli (‘Ervà) del paese” (Gn., 42,8). “Scoprire i punti deboli”, in ebraico Legalot ‘Ervà, è la stessa frase usata per incesto, e il punto debole delle fortificazioni di una città era sempre la porta, che per questo veniva fortificata con particolare attenzione.

Nella saga della guerra di Troia c’è un altro Eroe associato ai serpenti che, come Paride Alessandro, fa una brutta fine: Laoconte. Gli Achei erano pronti, con il loro cavallo in erezione a deflorare la città, a portarle la Salvezza e a consumare l’atto eroico, ed ecco che Laoconte si oppone. Non vuol permettere al fallo – cavallo di compiere la sua missione: “Timeo Danaos et dona ferentes...” (Eneide, II.49).
Il dono che gli Achei stavano portando alla donna – città – regina era lo stesso che i Tre Magi porteranno alla Vergine, il pene – bambino che lei si aspettava.


Serpente tra i serpenti


Come Eteocle e come Paride, Laoconte si pone a strumento apotropaico davanti all’orifizio femminile, e come loro ne paga le conseguenze. “Chi di spada ferisce, di spada perisce”, e chi in veste di serpente si oppone, da un serpente viene strangolato. Come aveva detto King Lear: "Kent, non metterti tra un drago e la sua furia"

Invertitasi l’impresa eroica, l’unico risultato sarà che Afrodite (e qui ci ricolleghiamo a quello che dice Freud su Afrodite = Morte) diventerà il simbolo della Morte stessa e, per estensione, la porterà a tutti i Troiani. Paride, come Orfeo prima di lui, aveva fallito nell’impresa iniziatica, e invece di rinascere e avere la bella, sarà portatore di morte e perderà Elena, come Orfeo aveva perso Euridice.

La seconda istantanea, quella sovrapposta, fa l’undoing di quella originale rimasta latente, e ci mostra un Paride-Adamo-Principe Azzurro che deflora la dea, ma, e qui il mito greco diverge da quello semitico e da quello delle fiabe nordiche, questa deflorazione non significherà più, come per Eva, per Biancaneve e per Cenerentola, la salvezza, bensì una nuova Morte. Il risultato finale è lo stesso, malgrado la sovrapposizione posteriore apparentemente invalidi lo strato originale.
I miti, come i sogni, sono il risultato finale di una condensazione di strati differenti. Decodificare un mito è come interpretare un sogno. Quello che vediamo all’inizio è lo strato manifesto, ma sotto di esso, come nel Tel archeologico, si celano gli strati originali. Come abbiamo provato in “Verginità e Castrazione”, il mito greco diverge da quello semitico e da quello nordico.
Nel mito greco-romano-cristiano l’equazione è sempre: deflorazione = perdizione = Morte e, come sua equivalenza, Verginità = Salvezza = Vita. In quello semitico, simile a quello nordico, la formula è opposta: rapporto eterosessuale = prolificazione = salvezza e riscatto dalle fantasie infantili della masturbazione, e quindi salvezza e riscatto dalla condizione esistenziale di castrazione in cui si trova la donna.
La sovrapposizione del mito greco in cui Paride deflora la bella ci conduce ad una situazione in cui invece di salvarla con questo atto, come aveva fatto Adamo dopo la cacciata dall’Eden e il Principe delle fiabe nordiche, la conduce ad una nuova morte, come Poseidone aveva portato alla morte Medusa deflorandola e Ades Persefone.
Questo è esattamente il punto dove avviene la divergenza: la deflorazione di Eva, di Biancaneve, della “bella addormentata nel bosco” e di Cenerentola è la loro salvezza.
La deflorazione di Afrodite corrisponde, invece, alla scelta della Morte e alla perdizione dei Troiani.
La figura di Paride condensa sia il serpente di Eva e di tutte le dee vergini pre-olimpiche ed olimpiche del mondo fantastico partorito dalla fantasia greca, che il Principe (Adamo) che le deflora. Il risultato finale, che nella saga semita e in quella nordica era stato il riscatto e la salvezza, nel mito greco può essere solo una nuova Morte, una perdizione dalla quale non esiste nessun riscatto e diventa finale ed eterna: quella di Troia e di tutto il suo popolo.
La psiche occidentale aveva generato una sola formula: Verginità = salvezza. Questa formula verrà ripresa dal cristianesimo e diventerà per questo l’unica alternativa esistenziale.
Le donne che si affollano intorno alla Croce e sul sepolcro di Cristo dopo la Risurrezione vogliono da lui la Salvezza, il suo pene, che le redima dalla loro condizione di evirazione, ma il Cristo, a differenza di Adamo e del Principe Azzurro le salva non accontentandole, e infatti le invita a perseverare nella loro astinenza.
Questa è la chiave che il cristianesimo, sulla scia del modello della verginità del mito greco, propone alla donna per la sua Salvezza: la verginità. I greci avevani istituito due poli antitetici che si risolvevano in un’unica equivalenza: le dee vergini inviolate Atena – Artemide - Estia, Grandi Madri, e quello delle dee deflorate il cui prototipo era Afrodite.
Con il crollo del mondo antico, il polo Maternità = Verginità =Salvezza ebbe la prominenza e l’unica legittimazione, mentre l’altro polo fu relegato al proibito e restituito all’Averno, da dove Afrodite era venuta: Rapporto eterossessuale = peccato mortale = Inferno. Infatti anche Persefone era diventata sovrana degli Inferi solo dopo essere stata deflorata da Ade, e Medusa era diventata mortale solo dopo essere stata deflorata da Poseidone. I barbari convertiti al cristianesimo durante il medioevo, come rigetteranno con la Riforma dalle proprie chiese tutti i simboli iconoduli della forma mentis greco- romana, rigettarono anche questa formula (verginità=salvezza), e re-isituirono il matrimonio per i propri sacerdoti. Uno dei dogmi che per i barbari era più difficile da digerire era proprio la verginità di Maria. Paolo aveva detto: “Colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio” (Prima Lettera ai Corinzi, 7/38).
Le tribù germaniche, elvetiche, sassoni e normanne, come prima di loro avevano fatto le tribù ebraiche sulla scia del modus mentale semitico, respinsero questa formula e la capovolsero.
Prima di lasciare il serpente, ancora una delucidazione. Questo è un simbolo fallico femminile, ma non è limitato al fantasmatico pene della donna. Gli Eroi Mosè, Orfeo, Apollo, Perseo, Bellerofronte, Ercole, Edipo, San Giorgio e Tamino sconfiggendo serpenti, draghi e mostri fallici femminili equivalenti, sconfiggevano la donna a tutti i livelli, non solo quello edipico = clitoride, ma anche quello sadico-orale e intrauterino.
Nel processo di regressione indotto dal trauma iniziatico, in quanto durante questi riti i novizi venivano fatti morire e rinascere (venivano indotti in una regressione per poter risalire), al livello edipico si condensa quello intrauterino e il serpente o drago, Medusa, Chimera, Sfinge, Idra, rappresentano in questo stadio la placenta e la lotta contro di essa. Gli Eroi sono quelli che rinascono, ovvero, coloro che sconfiggono la placenta.
Il serpente che l’ eroe mancato Orfeo non riesce a sconfiggere morde e uccide Euridice.
Questo è il livello sadico – orale.
Dopo che gli Israeliti sono rinati dalle acque del Mar Rosso, mentre ancora infanti vagano per il deserto (infatti non riecono ad arrivare alla Terra Promessa poichè sono troppo piccoli per camminare) sono assaliti dai serpenti
Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: �perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati da questo cibo così leggero�. Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un grande numero d’Israeliti morì. Il popolo venne a Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te...” (Nm.21,5 - 7).
Il peccato per cui i serpenti si avventarono sugli Israeliti fu dunque il peccato di aver parlato male di Dio e di Mosè e la causa fu la fame, la mancanza di pane.
Il parlare avviene attraverso la bocca e la lingua; di chi parla male si dice che ha una lingua di serpente, e la causa fu la fame: un bisogno che si ricollega alle pulsioni sadico-orali della prima infanzia. Come il serpente di Orfeo mordeva, così quelli nel deserto.
Se la bellezza e negli occhi di chi guarda, ugualmente il significato del simbolo è nel livello evolutivo di chi lo percepisce. A livello edipico il serpente rappresenta il pene femminile, a livelo sadico – orale è la lingua - bocca che morde, e in una regressione intrauterina si materializza nella fantasia come placenta.
Ogni livello combatte le sue guerre. A livelo edipico la lotta è per evirare il pene femminile e perpetrare la penetrazione genitale. A livello sadico orale è divorare la donna per esistere, e a livello intrauterino è la lotta tra Giganti e Titani per poter nascere.

LA  QUARTA  MELA

Quando si procede per associazioni, bisogna aspettarsi che il materiale che emerge sia il più svariato, ma solo così quello che appare sono anche i contenuti autentici.
La quarta mela la troviamo sulla testa di un ragazzino: il figlio di Guglielmo Tell.
Come ha fatto ad arrivare fin lì?
Dopo essere stata proposta da un serpente ad Eva, da una vecchia-serpente a Biancaneve e da un eroe mancato ad Afrodite, appare sulla testa di un ragazzino svizzero del XV secolo, che trema davanti a una freccia che può perforare il frutto, come la sua testa.
Apollo, il dio iniziatico, aveva terrorizzato gli Achei, accampati intorno alle mura di Troia, con il suo arco e le sue frecce.
Apollo, trasfiguratosi in giovane iniziato, aveva usato lo stesso arco per vincere il mostro, il Pitone, e salvare l’umanità appena rinata dal Diluvio Universale.
E Guglielmo Tell deve usare il proprio arco per salvare il suo popolo da un mostro-tiranno simile.
Ora stiamo fotografando un padre che mira minaccioso alla testa del proprio figlio.
Se non lo colpirà, e colpirà invece la mela, salverà il suo popolo, come avevano salvato il proprio popolo, con un atto eroico simile, Prometeo, Apollo, Perseo, Teseo, Edipo, Ercole, Bellerofronte, e chissà quanti altri.
Ma gli eroi che salvano l’umanità sono figli, non padri. Il padre è il nemico.
E infatti Guglielmo Tell è un padre che sta minacciando di morte il proprio figlio, Quindi è lui il nemico. Ma la saga ci fa vedere il vero nemico un po’ più in là, discosto.
La leggenda opera uno spostamento. Il padre minaccia di uccidere il figlio ma il nemico non è lui bensì il tiranno austriaco.
Cosa possiamo pretendere, dopo tutto siamo già nel XV secolo, gli antichi riti tribali d’iniziazione erano stati rimossi da tempo!
Se premono per un riconoscimento dobbiamo manipolarli in modo che emergano irriconoscibili!
Il significato di un padre che minaccia il proprio figlio con un arco, malgrado la razionalizzazione che  ricopre la scena, ci è completamente chiaro.
Anche Abramo ci aveva raccontato di minacciare il proprio figlio con un coltello perché così gli imponeva un altro tipo di tiranno, ancora più onnipotente !
Ma noi non gli avevamo creduto.
Ma la mela, cosa significherà mai la mela?
“Il frutto che non sta per bambino, ma per il seno”(p.3) viene preso di mira dall’eroe, condensazione di figlio e padre insieme.
Se verrà colpito il frutto, simbolo del corpo femminile, la cerimonia iniziatica sarà coronata da successo, altrimenti il figlio morirà.
La morte sarà la conseguenza di un rito di passaggio non consumato, come accadde a Orfeo e a Paride Alessandro.
Con le parole di Reik, lo scopo dei riti iniziatici, con le loro connotazioni terrificanti è “di distaccare i giovani dalle madri, a incatenarli più fermamente alla comunità degli uomini e sanzionare più strettamente l’unione tra padre e figlio che è stata allentata dall’inconscia tendenza incestuosa del giovane”
Come conseguenza del rito non solo i sentimenti ostili dei figli verso i padri vengono risolti attraverso l’identificazione, ma anche quelli dei padri verso i figli vengono sostituita dalla tenerezza e l’affetto, al punto che le due generazioni diventano fratelli di sangue.
E infatti la scena del Guglielmo Tell si conclude con l’abbraccio liberatorio tra padre e figlio.
Attraverso la catarsi del rito della pubertà e l’identificazione della generazione dei figli con quella dei padri, l’atto eterosessuale viene distillato dalla componente incestuosa proibita, e la freccia che perfora la mela è il simbolo della penetrazione eterosessuale che avviene in susseguenza diretta alla conclusione del rito .
Ma la scena che appare nel Guglielmo Tell ci presenta anche un’altra condensazione: come conseguenza di questo rafforzamento dei legami tra la generazione dei padri e quella dei figli emerge anche una nuova ostilità verso le donne , che erano state, per ricalcare un’espressione comune, nel nostro contesto estremamente calzante: “Il pomo della discordia”.
E di pomo infatti si trattava.
La scena di un padre che commette l’azione eroica condensandosi ed identificandosi con la figura del figlio, l’iniziato, include anche un elemento in cui trova piena espressione la misogenia di questa nuova confraternita di padri e figli.
Il pomo della discordia, la mela, simbolo del corpo bramato della donna, diventa l’oggetto di ostilità contro cui è diretta la freccia di Guglielmo Tell.

Links:
Who Burns the Books?


Cappuccetto Rosso

Come i nani di Biancaneve erano stati il pene verginale di Biancaneve, e Rigoletto lo era stato di Gilda, così Cappuccetto Rosso la piccola bambina (piccolo = nano = pene. I bambini credono infatti che un nano sia un bambino poiché nulla sanno di disfunzionalità ormonali della crescita) è essa stessa la rapresentazione del pene. Trattandosi di una bambina la rappresentazione della fiaba, come il sogno, condensa in un'unica immagine sia la donna che il fantasmatico pene femminile.

A letto con il nemico. L'illustrazione di Gustave Dore è più esplicita di cento parole.

Cappuccetto Rosso è dunque un pene femminile, come quello dei mostri fallici verginali arcaici e di Atena, Artemide, Estia. Ella divaga tra i fiori, che come abbiamo visto sono il simbolo della peluria pubica. Il Lupo è l'imago del Padre castratore. Come ci ha mostrato Abraham, i bambini credono che le femmine siano state evirate dal padre e vivono nel terrore che il Padre -lupo faccia a loro lo stesso. Come Biancaneve e Gilda dovettero morire, così Cappuccetto Rosso fu ingoiata dal lupo, e come Eva e Biancaneve furono redente dall'Eroe - sposo venuto al loro soccorso.

      
                                                                      La Nana                                   Un pene tra i suoi "fiori"



Monterone




Il Principe


Come Biancaneve (Specchio, mio bel specchio) aveva eliminato la madre facendola invecchiare prematuramente, Cappuccetto Rosso elimina la madre due volte. La prima quando la madre rimane muta in casa e poi semplicemente sparisce. La seconda volta quando viene divorata dal lupo in quanto nonna (nonna = due volte madre). Nella rappresentazione della fiaba si condensa l'elemento del taglione, che non è mai assente nelle fiabe, miti e sogni, quando Cappuccetto Rosso stessa viene divorata dal Lupo. Come abbiamo visto nel mito di Paride Alessandro e nella fiaba di Biancaneve le rappresentazioni mitiche e oniriche sono composte di vari strati sovrappostiIl contenuto manifesto degli strati sovrapposti tenta di invalidare i contenuti latenti originali, ma il risultato finale è lo stesso: la bambina -pene viene ingoiata-evirata.


Cherubino. Fantasmatico pene di Susanna


Il fantasmatico pene femminile, che abbiamo trovato come sette nani, come Rigoletto e come Cappuccetto Rosso, emerge nelle rappresentazioni del folklore nei posti più impensati. Nell'opera di Mozart 'Le Nozze di Figaro', appare una figura incomprensibile. Cherubino non è nè uomo nè donna, efebico, che gira tra le gambe delle donne e sotto le loro sottane, da Susanna alla contessa di Almaviva.

   
               Cherubino tra le gambe di Susanna
Figaro preme sulla parte posteriore di Susanna e Cherubino sprizza da sotto la gonna della Contessa

(Nota i putti = bambini = peni nella parte superiore dell’immagine. Cherubino è il pene di Susanna. I Putti della Contessa)

La Contessa, essendo già stata deflorata come Afrodite, ha dei putti come fantasmatico pene, e questi sono sempre staccati dal corpo della donna.

Nelle rappresentazioni dell'opera è sempre interpretato da una ragazza, striscia tra le sedie, è un birichino impacciato. Suscita continuamente lo scherno dei protagonisti maschili, e l'ira del conte. In una delle scene si traveste da donna e si mischia alle contadine che vengono a rendere omaggio alla corte. Se gli altri personaggi hanno un'identità sessuale molto chiara, questi è invece una creatura dalla natura incomprensibile: come il pene femminile fantasticato dai bambini. Pene = maschio, ma ragazza. Salta dalla finestra e si azzoppa. Si ferische per un graffio al braccio e la sua ferita viene bendata da uno dei nastri della contessa, come se fosse un tampone mestruale.
Patetico come uomo, donna ma che le corteggia e colloquia con loro, come il bambino tenuto in grembo dalla Vergine, e infatti in una delle scene si vede come Susanna lo tiene in grembo.
Cherubino, il cui nome stesso (angelo) allude alla natura fallica della sua essenza fa l’amore con sè stesso:

Cherubino:
E se non ho chi mi oda,
Parlo d'amor con me.

(Va per partire; e vedendo il Conte di lontano, torna indietro impaurito e si nasconde dietro il seggiolone)

   


Il Conte: (tira Cherubino giù dalla sedia)

E voi restate qui, picciol serpente! (Scena settima)

Ma la sorte del “picciol serpente” è segnata. Le sue speranze nella benevolezza del Conte che rinunci al Ius Primae Noctis, il momento della deflorazione – evirazione, verrano frustrate, malgrado i tentativi di adulare il Signore -Lupo- Monterone a desistere. Anche Dafne aveva tentato, ma lei c’era riuscita: “concedimi, carissimo genitore, di godere di una perpetua verginità. A Diana suo padre glielo ha concesso” (Ovidio, Metam., I, 480-90).

(Figaro con bianca veste in mano. Coro di contadine e di contadini vestiti di bianco che spargono fiori, raccolti in piccioli panieri, davanti al Conte e cantano il seguente)

Coro:

Giovani liete,
Fiori spargete
Davanti al nobile
Nostro signor.
Il suo gran core
Vi serba intatto
D'un più bel fiore
L'almo candor. [I peni femminili sperano di essere risparmiati -fiori serbati intatti]

Il Conte: (a Figaro)

Cos'è questa commedia?

Susanna:

(Non ci ho speranza.) [la poveretta non ha speranza - verrà spietatamente evirata]

Omissis

Coro:

Giovani liete,
Fiori spargete
Davanti al nobile
Nostro signor... [il vostro fiore verrà sparso difronte al Signore]

Omissis

Cherubino: (s'inginocchia)

Perdono, mio signor...

Il Conte:

Nol meritate. [Come ci ha mostrato Abraham, l'evirazione femminile è una consegenza del peccato]

Omissis

Figaro:

Non più andrai, farfallone amoroso,
Notte e giorno d'intorno girando;
Delle belle turbando il riposo
Narcisetto, Adoncino d'amor...(Atto primo - Scena ottava)[evirazione - fine del narcisismo femminile ]

Susanna:

Venite, inginocchiatevi; (prende Cherubino e se lo fa inginocchiare davanti poco discosto dalla Contessa che siede) [ nota come Cherubino si accovaccia tra le gambe di Susanna e diventa il suo pene]
Restate fermo lì. (lo pettina da un lato, poi lo prende pel mento e lo volge a suo piacere) [ovvero se lo maneggia]
Pian piano, or via, giratevi:
Bravo, va ben così. (Cherubino, mentre Susanna lo sta acconciando guarda la Contessa teneramente.)
La faccia ora volgetemi:
Olà, quegli occhi a me. (seguita ad acconciarlo ed a porgli la cuffia)
Drittissimo: guardatemi.
Madama qui non è.
Restate fermo, or via,
Giratevi, bravo!
Più alto quel colletto...
Quel ciglio un po' più basso...
Le mani sotto il petto...[Susanna sta raccontandoci del suo rapporto auto-erotico]

Omissis

Vedremo poscia il passo
Quando sarete in pie'.
Mirate il bricconcello! (piano alla Contessa)
Mirate quanto è bello!
Che furba guardatura!
Che vezzo, che figura! [il narcisismo della bambina che si vanta di avere un pene come i maschi. Infatti le bambine tentano di orinare in piedi per emularli -"quando sarete in pié"]

La Contessa:

Quante buffonerie! [La madre – Contessa schernisce la bambina che fa finta di avere un pene e ferisce il suo narcisismo]

Susanna

Ma se ne sono
Io medesma gelosa; ehi, serpentello,
Volete tralasciar d'esser sì bello! (Atto secondo – Scena terza)

Le donne hanno dunque un serpentello nascosto, non solo ma, come in La Bella Addormentata nel Bosco questo può pungere:
Il Conte
:
(cava il biglietto e nel aprirlo si punge il dito)

Eh già solita usanza,
Le donne ficcan gli aghi in ogni loco.
Ah, ah, capisco il gioco. (Atto terzo – Scena quattordicesima)
"Cherubino nelle Nozze di Figaro"


Papagheno, fantasmatico pene di Pamina


Un'altra figura equivalente è Papagheno nel "Flauto Magico" di Mozart.

   


Uccello e uccellatore (nota l'assenza di pene e il genitale femminile), e quindi genitale maschile ma privo lui stesso di pene. L'illustrazione condensa i due aspetti: privo di pene e pene lui stesso, come la spogliarellista descritta da Baudrillard. Egli rappresenta il fantasmatico membro femminile che, come ci ha mostrato Freud, è fantasticato essere come quello maschile. L'immagine è quella di un uccello con una vagina, ma basta invertire la rappresentazione, come si fa spesso nei sogni, per avere una vagina con un uccello. Appare anche con il viso femminile. Si condensa con l'immagine di Papaghena, sua controfigura evanescente e gemella. E' rappresentato anche come vecchia, la strega di Biancaneve, e quindi serpente.
Riporto qui un sito dove si può vedere come nell'inconscio del pubblico venga associato continuamente ai fiori, come Biancaneve e Cappuccetto Rosso. Quindi uccello tra i fiori, come il pene femminile fantasticato dai bambini.

       
              Uomo?        o          donna              o        bambino            o         bambola             


Il pene femminile è sempre oggetto di scherno (nel caso di Cappuccetto Rosso allo scherno si sovrappone l’empatia poich’ella condensa nella sua figura anche l’eroina principale della saga femminile, come Eva, Biancaneve, Elena, Gilda, Pamina e Susanna che sono tragiche e non ridicole): I nani di Biancaneve ci fanno sorridere, da Gongolo a Cucciolo, a Brontolo, ridiamo nel sentire le loro goffe avventure.
Paride è insultato da Ettore, che gli da del vile, e schernito dagli Achei. Rigoletto, Cherubino, Papagheno sono pagliacci e vengono continuamente scherniti.
Lo scherno è un’accorgimento apotropaico contro il terrore, e nella stessa condensazione la rivincita narcisista maschile contro quel conturbante c’è non c’è.
Paride è associato da Omero al serpente, Rigoletto e Cherubino sono chiamati ‘serpente’. Nessun altro protagonista in queste due opere è chiamato così.

Ridiamo a sentire le avventure della Principessa del Pisello:

VENERDI 28 LUGLIO ORE 21.30:
Enrico Vaime presenta: Serate per comici soli
PIER FRANCESCO POGGI
"Il pisello della principessa"
Spettacolo musicale di Enrico Vaime e Pier Francesco Poggi

Tutti conoscono la fiaba che racconta di una aristocratica particolarmente sensibile che non riusciva a dormire a causa del fastidio procuratole da un piccolo legume. La principessa dormiva su molti materassi, in una situazione ottimale: oscurità totale, insonorizzazione, air conditioned… ma continuava ad avvertire una presenza estranea. Il pisello, così come il fagiolo, il cece, assume nella favola la valenza di un elemento disturbatore. Ecco perché vorremmo essere anche noi il pisello che non fa dormire le principesse. (http://www.fontemaggiore.it/fm15.htm) Come direbbe Freud: “Perturbante” (Das Unheimliche)
Ridiamo, ma non solo. Dietro il riso si cela l’orrore, come verso il tabù, il sacer degli antichi:
Ed è pur vero che la paura del femminile riguarda in primo luogo elementi di tipo fallico: un paziente, ad esempio, mi confess� che la sua insistenza ossessiva, dovunque si trovasse, nel guardare le cosce femminili, nello spiare e sperare che la gonna si sollevasse, era collegata a una fantasia infantile nella quale si era convinto che sotto le gonne materne fosse nascosto un grande pene. Ancora in età adulta, al primo contatto sessuale con una donna, temeva di guardarne i genitali. E una paziente inorridì [vedi supra, RIGOLETTO: (da sé colpito) Che sento! orrore!]di sé stessa quando si lasciò sfuggire un lapsus: volendo parlare di s� come fanciulla molto sensibile e delicata, ella intendeva rappresentarsi nella principessa della fiaba, che si svegliò piena di lividi soltanto perché un piccolo pisello giaceva sotto innumerevoli materassi. Al dunque, però, si tradì e involontariamente affermò di essere "come la principessa col pisello! (Gabriella Mariotti, Padre dove sei, in Gli Argonauti ).

Il pene femminile è così conturbante perché si sa che c'è ma non si vede. Come ogni cosa che c'è ha anche una sua ombra, e qualche volta si può sapere della sua vera natura solo incontrando l'ombra - gemello. Papagheno si guarda nello specchio e vede Papaghena. Se la rapresentazione manifesta ci presenta un Papagheno apparentemente maschio, e poi ci innonda di allusioni che non di membro maschile si tratta ma femminile, ecco che l’immagine che gli restituisce lo specchio è il suo gemello, questa volta esplicitamente femmina.
Ugualmente Cherubino si rispecchia e vede la sua immagine in Barbarina.
Lo specchio riflette la sostanza reale della rappresentazione, come Perseo aveva potuto vedere il genitale femminile solo attraverso uno specchio.
I peni femminili pungono, come il fuso della Bella Addormentata nel Bosco, la spilla del biglietto di Susanna, Barbarina perde la “spilla” che le aveva dato il Conte.
Sono così misteriosi in quanto non si vedono e non si sa dove siano spariti. Quindi non si sa nemmeno quanti siano. Uno quello di Eva, Elena di Troia ne aveva due, che facevano da strumento apotropaico al suo orifizio vaginale, Paride e Laoconte. Per parafrasare Nietzsche "Il viandante e la sua ombra"; due quelli di Pamina e di Susanna, sette quelli di Biancaneve. Il Gatto ha nove code. L’Idra ne produceva multeplici per ognuno che veniva tagliato e quelli di Medusa erano infiniti.

E’ risaputo l’anneddoto di Cornelia, figlia di Scipione l’Africano, che quando le fu chiesto dove sono le sue ricchezze, fece venire i suoi due figli dicendo: “Ecco i miei gioielli!”. Il gioiello di una donna è il suo genitale. Non è forse il figlio il risarcimento donato dal Padre (“Ho acquistato un uomo dal Signore”, Gn., 4,1) per il suo membro mancante? Cornelia aveva ben ragione di essere orgogliosa, poichè ne aveva ricevuti due, un pene e il suo gemello.



Luca Della Robbia e Donatello

La verità ci fa ridere poiché è libido genitale, ma è anche tragica, poichè ci ricollega al Peccato Originale e alla tragedia della sorte dell’uomo: all’Eros e al suo fato.
La tragica sorte del pene femminile mancante emerge violenta in alcune rappresentazioni artistiche, aggirando la censura dell’Io e invadendo senza preavviso l’habitat apparentemente sicuro nel quale ci eravamo trincerati.

                 


Se nella Madonna del Colloquio di Giovani Pisano la tensione del dialogo tra la donna e il suo pene verginale si era risolta nella condensazione tra il sorriso arcaico e un arpeggio gotico, nella Vergine con il Bambino di Luca della Robbia veniamo investiti dal turbamento enigmatico e pensoso della Vergine. Il sorriso curioso accennato dagli occhi del Bambino e le labbra quasi ironiche fanno da contrappunto alla constatazione tragica espressa dal volto della donna. La luce investe la parte destra del viso, lasciando in ombra l’altra parte, creando così un nuovo elemento di contrappunto con il putto illuminato. Il risultato è l’emozione che si blocca senza effondersi.
Il secondo putto, del nipote Andrea, facente parte di una serie sul frontone dell’Ospedale degli Innocenti, nel suo aspetto manifesto esprime la tragedia dei bambini abbandonati, ospiti del luogo. Tuttavia, la struttura del torace, l’ancheggiamento, la giuntura della fronte e i capelli del bambino, più che un neonato ne fanno un nano, come anche gli altri simili scolpiti sul frontone.
I contenuti latenti sono dunque ben diversi da quelli manifesti. Non di neonati veri si tratta, ma di nani, creature fantasmatiche, piccoli, peni. La tragedia di cui parla inconsciamente l’artista è quella dei peni femminili erranti, abbandonati all’orfanotrofio, che è anche un ospedale, dove si curano le ferite, come il nastro della Contessa sul graffio di Cherubino.
Propongo di vedere nell’usanza praticata per secoli di fasciare strettamente i neonati, il bisogno inconscio di bendare il proprio pene evirato, poichè le donne interpretano la nascita del figlio non solo come bambino = pene di compensazione, come proposto da Freud e Abraham, ma in un’unica condensazione anche nascita del bambino = separazione da quel membro che prima tenevano ben nascosto all’interno del proprio corpo.
Peni femminili, e non maschili, poichè erano le donne ad affidare alla ruota dell’Ospedale le loro “disgrazie”. Pene dato = pene abbandonato, da qui l’elemento tragico, poiché se i Magi (tre) avevano risarcito la Vergine del suo membro mancante portandole in dono il Bambino ( nel mito cristiano avviene un ovvio spostamento), le madri obbligate ad abbandonare i loro figli, costrette entro il conundrum della coazione a ripetere, reattivavano l’arcaica maledizione di Monterone, senza un principe, come per Gilda, Biancaneve e Cappuccetto Rosso che le redima dalla loro condizione di castrazione.
Le altre due illustrazioni fanno parte della Cantoria di Luca, oggi al Museo dell’Opera del Duomo



Qui Luca si focalizza sulla natura libidinosa dei putti, erranti, fantasmatici, senza un padrone, ossessi posseduti dalla tragedia di una libido senza una soluzione. Il Cherubino di Susanna che si era mostrato nella sua sovrapposizione manifesta impacciata, goffa e ridicola, qui emerge nel suo aspetto tragico e autentico, il livello latente originale. Anche Rigoletto ci aveva detto “L’uom sono io che ride”, ma poi abbiamo visto la tragedia che si celava dietro alla beffa. In quest’opera sublime del 1431, Luca assume come tema il salmo di Davide: “Laudate eum in sono tubae”. Putti innamorati del loro Signore, dunque, come Rigoletto era innamorato del Duca. Ma non sembrano cantare, diremmo piuttosto gridare terrorizzati le loro lodi al Signore.
Qui già non c'è più traccia della sovrapposizione goffa e ridicola degli altri 'Cherubini' - peni - nani - serpenti.

Donatello, Tre Cantori, Parte della Cantoria, difronte a quella di Luca. Bambini o invasati dionisiaci?
La Cantoria del Donatello, difronte, sembra rispondere al grido di Luca con uno suo equivalente. Le due cantorie erano destinate ad essere disposte nel Duomo una difronte all’altra. Punto e Contrappunto all’interno di Santa Madre Chiesa. La grande arte dei Maestri sono energie che irrompono direttamente dall'Es, magistralmente canalizzate ed arginate da un Io che si lascia invadere, mediando senza reprimere la verità genitale che strabocca, ormai confidente nella propria forza. Da qui l'esilarazione e la sensazione di liberazione da cui veniamo permeati.


L’ultima porta

Il motivo per cui una volta che la libido si sia fissata sul fantasmatico pene femminile, sia anche così difficile convincere l’Io a rinunciare alla rappresentazione inconscia è che Es e Io hanno fatto causa comune. L’Es vi ha fissato la sua libido, ma l’Io sfrutta questa fissazione contro una richiesta pulsionale ben più minacciosa, che rischia di emergere una volta tolta la spada del Cherubino che fa da guardiano alla porta del Giardino dell’Eden: quella di regredire all’utero materno, Ultimate drive e pulsione di morte. Il fantasmatico pene femminile non fa da strumento apotropaico solo contro la penetrazione a livello genitale ma contro la prima pulsione, che è anche quella più forte, quella che Freud ha definito: il bisogno della materia organica di tornare al suo stato precedente.
La fissazione libidica al terrore del pene femminile, ultimo guardiano, ha dunque una funzione rassicurante e ben precisa, quella di tenere chiusa l’ultima porta, quella più tenebrosa e pericolosa di tutte.


Sheela - Na - Gis

T Sheela-Na-Gigs are carvings peculiar to Ireland, and although difficult to date properly, are at least pre-Norman (before 11th century AD). Sheela-Na-Gigs are graphic representations of naked women flaunting their genital regions, and their precise function is presently unknown, although people speculate they are meant to ward off demons, or represent fertility goddesses associated with the early Christian church or Celtic religion. Many of them are carved on church edifices of the period.






Joe Tilson: Snow White and the Black Dwarf (1969-70) Screenprint on paper


In the work by Pop artist Joe Tilson we can see a collage of the symbols of the female genital: dwarf - serpent for the fantasized missing penis, and the shoe for the vagina. Snow White - for sure - is the virgin in the woods awaiting for her deflowering - initiation. The eye adds the voyeuristic dimension. The erotic connotation of the ensemble is obvious. Moreover, works of art express themselves by condensation, and straight from unconscious to unconscious.

Links:
The Three Little Pigs and Bruno Bettelheim. How not to make an interpretation
Why is the Lady so Sexy
I Numeri sacri e il loro simbolismo


NOTE

(1) Sigmund Freud, “Simbolismo nei Sogni”, in Opere, B.Boringhieri, Torino 1989, vol. 8, pp.329-330. Freud dice: “il giardino, un frequente simbolo del genitale femminile...Fioriture e fiori designano il genitale della donna o, più specificatamente, la verginità. Non dimenticate che i fiori sono realmente i genitali delle piante”. Dunque il Giardino dell’Eden era l’habitat della verginità di Eva.

(2) S.Freud, “Teorie sessuali dei bambini”, in op.cit., Vol. 5, pp.462-3.

(3) Nel libro della Genesi ogni “conoscenza” è una conoscenza genitale. La radice ID‘A (conoscere-sapere), è la stessa che viene adoperata sia per l’albero della conoscenza che per la deflorazione di Eva da parte di Adamo (Gn.4/1), Caino che che copula con la moglie (Gn.4/17) e i Sodomiti che vogliono sodomizzare gli ospiti di Lot (Gn.19/5).

(4) Per il bambino, piccolo, e quindi nano, come simbolo genitale, vedi S.Freud, op.cit., p.328. In linguaggio popolare, quando si dice “il piccolo”, si intende il pene. Il quotidiano triestino “Il Piccolo”, corrisponde al “Il Messaggero” o “Il Corriere”, come Hermes, il messaggero degli dei, simboleggia il genitale.

(5) S.Freud, “Una nevrosi infantile”, in op.cit., Vol. 7, pp.558-9. Dall’analisi del sogno di un paziente Freud impara che per il bambino in questione l’albero significava il corpo della madre. F. riporta anche la descrizione che fa il Tasso, nella Gerusalemme Liberata, in cui Tancredi colpisce il tronco d’albero con la spada e da questo sgorga il sangue della sua amata Clotilde. Nel mito della donna l’albero rappresenta dunque il suo corpo, con cui ha un rapporto autoerotico.
T. Reik ci ha mostrato come il Peccato Originale dell’uomo e la Caduta rappresentino, invece, il peccato di aggressione e di cannibalismo verso il corpo del dio-Padre, rappresentato dall’albero (Myth and Guilt, Braziller, New York 1957, pp.130-155 e 161-7). Sembrerebbe dunque che ci sia una contraddizione. Ma non si tratta di tale bensì di una condensazione in cui l’albero del Paradiso Terrestre rappresenta il simbolo del corpo del dio, per quello che riguarda il mito dell’uomo, e il corpo della donna, per quello che riguarda il mito di questa.

(6) Karl Abraham, “Complesso di evirazione femminile”, in Opere, B.Boringhieri, Torino 1997, vol. I, pp. 107-114. Vedi, nelle stesse pagine, anche l’interpretazione della deflorazione come evirazione, della forma della vagina come una ferita e l’ividia per il pene maschile (p.109) e l’associazione di questa con la fecondazione e il parto (pp.111-113). Freud, (“Una nevrosi infantile”, in op.cit., Vol.7 p.552) Sul rapporto deflorazione=evirazione scrive: “...durante lo svolgimento del sogno il paziente aveva ritenuto che la donna fosse evirata e avesse, in luogo del membro virile, una ferita; nella sua interpretazione la ferita doveva servire al rapporto sessuale e l’evirazione era la condizione della femminilità ”.

(7) S.Freud, “Teorie sessuali dei bambini”, in op.cit., Vol. 5, pp. 456-9; “Il tramonto del complesso edipico”, in op.cit., Vol.10, p.30; “Sessualità femminile”, in op.cit., Vol.11, p.70; “Compendio di psicanalisi”,in op. cit., Vol.11, pp. 581-2.

(8) S.Freud, “Teorie sessuali dei bambini”, in op.cit., Vol.5, pp. 456-9; “Il tramonto del complesso edipico”, in op.cit., Vol.10, p.32; “Sessualità femminile”, in op.cit., Vol. 11, pp.70-1.

(9) Theodor Reik, Myth and Guilt, Braziller, New York 1957, pp.130-155 e 161-7.

(10) S.Freud, “Simbolismo nel sogno”, in op.cit., Vol. 8, p. 329.

(11) I vari stadi dei riti iniziatici maschili, come questi avvengono tra le tribù selvagge, sono stati analizzati da T.Reik, Ritual, Farrar & Strauss, NewYork 1946; tr.it.: “I Riti della pubertà”, in Il rito religioso, Boringhieri, Torino 1949 e 1969, pp. 104 -173.

(12) Freud, “La scelta degli scrigni”, in op.cit., Vol. 7, pp. 212 -3.

(13) O. Kern, Orphicorum fragmenta, p.33. riportato da: K. Kerenyi, Gli dei della Grecia, Il Saggiatore Milano, 1962, pp.36-7. Per gli oggetti appuntiti come simboli fallici cfr. S.Freud, “Simbolismo nel Sogno”, in op.cit., Vol. 8, p.326.

(14) K.Abraham, ibidem, p.112.

(15) Nietzsche afferma: “un uomo che ama come una donna diventa pertanto schiavo”, ovvero: vinto, cioè evirato; “una donna, che ama come una donna, diventa con ciò una donna più completa” ovvero: s’impossessa del genitale maschile che a lei manca cfr. La Gaia scienza, par. 363.

(16) La rappresentazione dei Tre Re Magi che portano doni al Bambino opera uno spostamento, in cui bisogna leggere che i tre re portano il Bambino in dono alla Vergine. Poiché i Tre Re Magi sono il simbolo del genitale maschile, come ogni numero tre (vedi S.Freud, “Simbolismo nel Sogno”, in op.cit., Vol. 8, p.326), si può leggere in questo quadro un simbolismo simile a quello di Biancaneve che attende il Principe Azzurro che la riscatti attraverso il dono del suo pene che, come ci ha mostrato Abraham, condensa anche il simbolo il bambino.

(17) K.Kerenyi, op.cit., p. 51.

(18) Per come un attaccamento della bambina alla madre, non risolto dall’identificazione e dallo stadio edipale, sia alla radice della paranoia femminile vedi : S.Freud, “Sessualità femminile”, in op.cit., Vol.11, p.65. In questo contesto l’allucinazione paranoica di Biancaneve sarebbe una conseguenza non del conflitto edipico, ma dall’attardarsi dell’attaccamento della bambina alla madre, e quindi da una omosessualità rimossa che viene proiettata in paranoia.

(19) S.Freud, “La Scelta degli Scrigni”, in op.cit., Vol.7, p.215. Freud dice: “La terza delle sorelle non soltanto non è più la Morte, ma è adirittura la più bella tra le donne, la più buona, la più desiderabile, la più degna di essere amata. Questa sostituzione non era tecnicamente affatto difficile: era predisposta da un’antica ambivalenza, e si realizzò attraverso antichissime connessioni che non potevano essere state dimenticate da troppo tempo. La stessa Dea dell’Amore, che adesso prendeva il posto della Dea della Morte, in origine si era già identificata con lei. Persino la greca Afrodite non si era completamente disgiunta dai suoi rapporti con l’Averno, benché da lungo tempo avesse ceduto il suo ruolo ctonico ad altre figure, quali Persefone e Artemide-Ecate triforme.”

(20) S.Freud, "Simbolismo nel sogno", in op.cit., vol.8, p.326.

(21) S.Freud, “Teorie sessuali dei bambini”, in op.cit., Vol.5, pp. 456-8.

(22) Per come Afrodite sia stata una dea associata all’Averno vedi Freud, “La Scelta degli scrigni”, in op.cit., p.215.

(23) S.Freud, “L’Uomo Mosè e la religione monoteistica ”, primo saggio, in op.cit., Vol. 11, p. 341.

(24) Der Mythus von Geburt des Helden, N.5 della collana “Schriften zur angewandten Seelenkunde”, Vienna 1900. Freud cita l’opera di Rank in op.cit., p.340.

(25) S.Freud, ibidem, p.341.

(26) T.Reik, ibidem, p.122.

(27) S.Freud, �Simbolismo nel sogno�, in op.cit., Vol.8, p.327. Teniamo a mente quello che dice qui Freud: � Ai simboli sessuali maschili meno comprensibili appartengono certi rettili e pesci, soprattutto il famoso simbolo del serpente�.
Malgrado Freud definisca il serpente un simbolo fallico maschile, probabilmente è stato indotto in errore dal fatto che la donna viene fantasticata con un pene simile a quello maschile. Freud stesso dice: “Anche la donna infatti possiede nei suoi genitali un piccolo membro, a somiglianza di quello maschile, e questo piccolo membro, la clitoride, svolge nell’infanzia e nell’età che precede i rapporti sessuali la medesima parte del membro più grande dell’uomo”. Quindi non dobbiamo meravigliarci se si crea qui una confusione. In una lettera a Fliess del 26 Luglio 1904 dice: “Until now I did not know what I learned from your letter-that you are using [the idea of] persistent bisexuality in your treatments. We talked about it for the first time in Nuremberg while I was still lying in bed, and you told me the case history of the woman who had dreams of gigantic snakes. At that time you were quite impressed by the idea that undercurrents in a woman might stem from the masculine part of her psyche.” (The Complete Letters of Sigmund Freud and Wilhelm Fliess 1887-1904, Translated by Jeffrey Moussaieff Masson,The Belknap Press of Harvard University Press Cambridge – Massachusetts, and London-England, 1995, p.465)
Freud aveva quindi percepito inconsciamente l’associazione serpente-parte maschile della donna, ovvero la clitoride come parte fallica pre vaginale, poiché se avesse interpretato il serpente come pene maschile, non avrebbe sollevato la questione della bisessualità in questo legame associativo ma avrebbe interpretato il sogno come un desiderio della donna verso il pene maschile.
Questo simbolo si chiarisce quando si nota che nella mitologia sia occidentale che orientale il serpente funge da simbolo della componente femminile. Ovidio dice esplicitamente che la Madre Terra generò da sé stessa il Pitone, il proprio simbolo fallico, percepito come enorme dalla fantasia infantile. Inoltre, il serpente è sempre associato alla donna e appare esclusivamente in un contesto insieme a questa, fonti d’acqua e serpenti, e la raffigurazione del serpente con il corpo di donna nella Cappella Sistina di Michelangelo.
In un commento al saggio di Abraham (K.Abraham, op.cit., vol. II. p. 510) Freud dice: “A proposito del bastone di Mosè davanti al faraone sarebbe da rilevare anche il particolare assai indicativo che la metamorfosi del duro legno nel flessibile serpente non è nient’altro che la raffigurazione scoperta ( invertita) dell’erezione, in un certo senso il fenomeno più sorprendente nel quale l’uomo si sia imbattuto”.
Abraham stesso, parlando del bastone di Mosè, scrive (ibidem, p.561, nota 60) : “Il processo dell’erezione ha evidentemente sempre dato impulso in misura straordinaria all’attività fantastica; la trasformazione del bastone (fallo) nel serpente significa il ritorno del fallo allo stato di afflosciamento”. Reik sostiene che il serpente sia il simbolo del pene maschile poichè simboleggia l’erezione (T.Reik, Pagan Rites in Judaism, New York 1964, p.85). Sembrerebbe che la confusione ricalchi proprio quella infantile difronte all’enigma del pene femminile. Erezione come sostiene Reik o afflosciamento come sostengono Freud e Abraham? C’è o non c’è? È difficile comprendere questa grande resistenza dei padri della psicoanalisi nell’arrivare all’ovvia conclusione che il serpente non può essere il simbolo del pene maschile proprio perché è afflosciato e non eretto. Interpretare questo simbolo come quello della clitoride avrebbe risparmiato tutte queste acrobazie. Anche gli esercizi erotici delle interpreti di rappresentazioni pornografiche in cui si vedono donne che manipolano serpenti, non sono altro che la raffigurazione della masturbazione femminile. Come ci ha insegnato la psicoanalisi, le maggiori resistenze vengono attivate proprio per non riconoscere il significato esplicito della rappresentazione. Freud, Abraham e Reik, i giganti della penetrazione psicoanalitica, sono inciampati nel proprio narcisismo maschile e non sono riusciti a riconoscere quello che avevano davanti agli occhi. La resistenza deriva dal terrore dell’idea di un pene femminile con il quale la donna possa masturbare. 10


Back to Home Page
Hosted by www.Geocities.ws

1