Il Tambass - il gioco del tamburello


Tutti i paesi dell'Astigiano che possiedono un muro con una decente altezza e lunghezza ed un minimo di spazio a lato, possibilmente in piano, considerano il tamburello (o "tambass") il proprio sport "nazionale".
Ogni muro di paese �, per sua natura, diverso dagli altri. Quando i muraglioni sono stati costruiti, per difesa o per contenere rive franose di colline non certo prevedendo un futuro impiego sportivo, non si � pensato ad unificare misure e dimensioni.
A Scurzolengo si giocava in salita, chi batteva aveva lo svantaggio di dover recuperare il dislivello ed il muro � costellato di finestre, porte, scale, a Moncalvo ci sono due torri a cavallo della linea del fallo che fanno rimbalzar le palle all'indietro, Portacomaro aveva il muro in curva, che faceva correre la palla a mezz'aria ed il "pisûr" (il vespasiano) che, addossato all'angolo di incontro tra muro e Torrione, era utilizzato dai campioni, come Celestino Ponzone, da ricettacolo di palle in battuta.
A Tonco valeva una particolare regola, dato che erano numerosi i balconi: la palla che cade in campo dopo essere finita su un balcone � da considerarsi in gioco... quando questo accadeva il gioco si congelava e tutti ad stavano con il fiato sospeso, ad aspettare, con il naso in s�, la caduta; a volte, quando il giocatore si convinceva che la palla era rimasta su' e si distraeva, la palla improvvisamente cadeva segnando il punto (a volte "aiutata" da un ragazzino nascosto dietro al davanzale).
In considerazione di questi fatti chi giocava in casa, sul suo muro, era generalmente imbattibile, molti giocatori consideravano il muro come il "sesto in campo", ovvero come un proprio compagno di gioco.
Il classico giocatore di paese ha cominciato sui sei anni a far rimablzare la palla sul muro. Era questo l'unico sport a disposizione, altri non ce ne erano: la bici era un lusso e le strade da asfaltare, il pallone era da oratorio dove ci si trovava in abbastanza da fare due squadre ma richiedeva un campo, le porte e poi la palla, non parliamo di tennis (sport di "elit�"), a nuotare si andava nei fossati e nei ruscelli d'estate.
Il tamburello chiedeva solo un muro (e quello, abbiamo visto, che c'era sempre), il tamburello dismesso di pap�, un vecchio "Gavassa" dalla pelle spessa e oramai floscia che si tentava di riportare in tensione bagnadola ed asciungandola al sole, ed una palla (generalmente ritrovata esplorando i cespugli di "giu' dl' riva", la scarpata boscosa che fiancheggiava il gioco del pallone). Dopo trent'anni di questo allenamento giornaliero, solitario od in compagnia, il giocatore conosceva ogni mattone e segreto rimabalzo, ed umiliava facilmente ogni giocatore "forestiero".
Chi al tempo si permetteva di andare in casa altrui e vinceva doveva per forza essere un "fuoriclasse" ed entava di diritto nella leggenda.
Di andare a fare esperienza sui campi altrui non se ne parlava nemmeno, il giocatore tipo era un contadino che lavorava tutto il giorno e solo al pomeriggio del sabato o la sera tardi, al crepuscolo d'estate, poteva permettersi di "dare due colpi" per tenersi in allenamento o per giocarsi la merenda con gli amici.
Quindi solo durante "la partita" la squadra avversaria poteva sperimentare il comportamento del muro.
I muri pi� regolari, come quello di Vignale, erano adibiti a scontri su campo "neutro", magari per l'assegnazione del primato del Torneo a Muro.



Valerio Arri
- il maratoneta
Il pallone a bracciale
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