MOVIMENTO FASCISMO E LIBERTA'
COORDINAMENTO REGIONALE
- MARCHE -

NEL SOLCO DEL LITTORIO
- Corso di Cultura Fascista -

L'agricoltura risorta.

Quando sarà il momento di parlare dell'autarchia, ricorderemo le conquiste dell'industria italiana, che ha vinto e vincerà nei più ardui cimenti. Ora è tempo di parlare dei progressi che il Fascismo — il cui Duce si vanta d'essere stirpe di contadini — ha fatto compiere all'agricoltura.

La vecchia terra italica, cantata madre di messi dai poeti d'ogni tempo, attendeva l'aratro fascista per ricuperare l'antica feracità.

Il Fascismo proclama sommo onore il lavoro dei campi e promuove il ritorno alla terra, perché l'attrazione della vita in città — con la lusinga spesso menzognera di un maggior guadagno, di agi, di svaghi — non sottragga braccia all'agricoltura. Il Fascismo ha bandito la battaglia del grano per assicurare il pane al popolo, anche se un qualunque straniero nemico tentasse di affamarci: ogni anno, in tutte le provincia vengono solennemente premiati gli agricoltori che si sono distinti in questa sacra battaglia, e il Duce stesso premia, in Roma, i vincitori del concorso nazionale del grano, ossia i produttori che, a parità di superficie coltivata, hanno raccolto maggiore quantità di frumento.

Con la bonifica integrale il Fascismo mette in valore tutto il suolo della Patria. Avevamo troppe paludi, troppe sterili lande che da secoli attendevano la redenzione: oggi il mortifero Agro Pontino è risanato e produce in gran copia cereali, foraggi, barbebietole, frutta; sorgono le nuove città fasciste sulla terra bonificata, i borghi, i villaggi rurali: Littoria, Sabaudia, Aprilia, Fertilia, Pomezia, Mussolinia di Sardegna. E dopo il riscatto dell'Agro Pontino la volontà fascista intraprende la colonizzazione del Tavoliere di Puglia, del latifondo siciliano.

Ovunque, nella nostra Patria, sia terra da sottrarre alla sterilità, lì, sotto i segni del Littorio, è in azione l'aratro, mentre vengono adottati i più moderni sistemi per accrescere il rendimento delle coltivazioni, per avere prodotti in maggiore quantità e di migliore qualità. Contemporaneamente il Regime provvede ai boschi e ai pascoli, per rimediare all'incuria e alla rapina del passato, restituire all'Italia la sua ricchezza boschiva, frenare le alluvioni, ricondurre la vita sulle montagne che andavano spopolandosi. La Milizia forestale, con la sua diuturna abnegazione, è il nerbo di questa battaglia, alla quale spesso contribuiscono la G. I. L. e l'O. N. D., i cui iscritti danno mano, volenterosi, al rimboschimento.

L'esistenza fuori delle città non è più quella di una volta. Nella famiglia dell'agricoltore entra gradatamente il benessere, si diffondono nelle campagne le pratiche igieniche, l'Italia rurale è fiera di sé e del culto di cui le nuove generazioni la circondano. I nostri contadini, già costretti a ramingare per il mondo, a dissodare le altrui terre, lavorano i campi degli avi. Con le migrazioni interne, di cui abbiamo fatto cenno, nuclei di popolazione agricola si spostano da una provincia all'altra d'Italia, trovando la casa, il podere, una larga assistenza. Il Regime, che premia, per mano del Duce, i fedeli alla terra, ossia i capi delle famiglie che per maggior numero di anni sono rimaste contadine, coltivando di generazione in generazione gli stessi campi, vuole che i rurali siano assistiti e godano i doni effettivi della civiltà: con la scuola rurale, con il dopolavoro rurale, con l'allargamento dei servizi pubblici — acqua potabile, telegrafo, telefono, radiofonia — con le facili comunicazioni ferroviarie, tranviarie, automobilistiche, con l'intensità, della vita fascista nel suo complesso, che porta anche le masse agricole a partecipare alle manifestazioni della vita nazionale, il Regime sorregge l'agricoltore, lo avvia al progresso spirituale, sociale, economico e gli fa sentire la gratitudine della Nazione intera.

Dal Discorso del 16 dicembre 1934-XIII.

È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende. E il vomere e la lama sono entrambi di acciaio temprato come la fede dei nostri cuori.

Dal Discorso del 26 ottobre

Ora vi voglio raccontare un fatto. Stasera, quando tornerete alle vostre case, lo racconterete alla vostra moglie, ai vostri bambini, poi ai parenti, poi agli amici perché lo sappiano: dovete dunque sapere che degli individui i quali vanno sempre a frugare fra le vecchie carte, credevano di farmi un grande piacere scoprendo che fra i miei lontani nonni, bisnonni e arcibisnonni ci sarebbero stati dei nobili. Allora io ho detto: finitela ! Tutti i miei nonni, bisnonni, arcibisnonni erano dei lavoratori della terra ! E perché non ci fosse più alcun dubbio al riguardo, ho piantato una lapide sulla casa colonica dalla quale risulta che tutte le generazioni dei Mussolini precedenti la mia hanno sempre lavorato con le loro proprie mani la terra.

Mussolini

Dal Discorso del 27 ottobre 1937-XV .

....soprattutto il contadino deve rimanere fedele alla terra, dev'essere orgoglioso di essere contadino, fiero di lavorare il suo campo, né cercare altrove una vita più facile, perché una vita più facile non esiste. La vita nelle città è più difficile. Tremila anni di storia insegnano che tutti i popoli che hanno abbandonato la terra sono diventati schiavi di altri popoli. I contadini che rimangono fedeli alla terra servono gli interessi del Regime, gli interessi della Nazione, gli interessi del popolo italiano.

Mussolini

L'espansione coloniale fascista.

Nel portare avanti tutte queste imprese, davvero titaniche, e nell'effettuare questi provvidi e davvero rivoluzionari rinnovamenti, il Regime non dimenticava le Colonie. Quando, nell'ottobre 1922, Benito Mussolini prese a reggere l'Italia, la nostra situazione coloniale era desolante. I possedimenti sul Mar Rosso e l'Oceano Indiano (Eritrea e Somalia), scarsi di valore economico, erano stati trascurati, e ben pochi Italiani vi svolgevano una attività proficua, quantunque coraggiosi pionieri avessero dimostrato che anche da quei territori era possibile ritrarre, con dura fatica, notevoli risorse: basti pensare alla colonizzazione, intrapresa dal Duca degli Abruzzi, di una vasta zona somala bagnata dall'Uebi Scebeli, dove il Principe Marinaro spese, con fede e indefessa energia, gli ultimi anni della sua vita eroica e volle poi essere sepolto.

In Libia l'occupazione italiana si limitava poco più che alle principali località costiere. Ma proprio da quella che è stata chiamata la " Quarta sponda " dell'Italia mediterranea, doveva cominciare la riscossa coloniale fascista, come preludio alla nostra espansione africana, e all'Impero. Prima del Fascismo, i Governi si erano dimostrati deboli e malaccorti con gli indigeni ribelli, che perciò avevano creduto facile sfidare l'Italia, oppure avevano patteggiato con le autorità coloniali, ottenendo favori e danari, senza farsi scrupolo di corrispondere con l'inganno alla nostra malintesa tolleranza. E di questo stato di cose le prime a soffrire erano proprio le popolazioni arabe dedite all'agricoltura e alla pastorizia, travolte nelle lotte fra i capi tribù che si contendevano il dominio.

Il Governo Fascista mutò sistema, le nostre armi vittoriose riconquistarono i territori perduti, portando ovunque, sovrano, il Tricolore, pacificando tutta la Libia, imponendovi la pace, la giustizia, aprendola alle grandi opere di colonizzazione. Oggi molte migliaia di famiglie coloniche italiane sono al lavoro, in Tripolitania e Cirenaica, e mutano in fertili campi quelle che erano le desolate steppe. Le città libiche, ampliate, modernizzate, ben dotate di servizi pubblici, sono fra le più belle dell'Africa settentrionale; grandi strade, fra le quali la litoranea libica, opera imperiale che corre dal confine tunisino a quello egiziano per più di mille chilometri, assicurano il facile collegamento fra le varie zone; i porti si aprono al traffico, gli acquedotti, i pozzi permettono la vita là dove era il deserto; sorgono i villaggi nelle campagne ben coltivate e si moltiplicano le scuole per la gioventù italiana e indigena.

Cosi la Libia, più che un possedimento coloniale, è, nella sua assoluta sicurezza, nella sua esistenza attiva e ordinata, lembo e parte integrante del territorio italiano. Divisa amministrativamente nelle quattro provincie di Tripoli, Misurata, Bengasi e Derna, è sede di Corpi d'armata metropolitani, e presenta eccezionali attrattive al turista, che ammira, volta a volta, le bellezze di natura — dalle rive ai monti, alle misteriose città sahariane — i caratteristici aspetti della vita orientale e le superbe tracce dell'antico dominio romano, di cui gli scavi intrapresi a Sabratha, a Leptis Magna, a Cirene e in altre località svelano l'augusta potenza.

La rapida pacificazione e risurrezione della Libia — a cui si legano i nomi di grandi coloniali come Badoglio, De Bono, Graziani, Balbo — ha permesso infine di concedere ai libici, che abbiano determinati requisiti, una speciale cittadinanza italiana, e le truppe indigene libiche servono con fedeltà e onore in reparti appositi del nostro esercito.

La vastità dello sforzo compiuto in Tripolitania e Cirenaica non fece trascurare al Fascismo l'Eritrea e la Somalia, dove furono svolti programmi di opere pubbliche ed effettuate riforme politiche e amministrative. Oltre a ciò, sotto i segni vittoriosi del Littorio, venne reso effettivo il nostro dominio sul territorio somalo settentrionale, con l'occupazione, personalmente condotta dal Governatore Quadrumviro De Vecchi, dei sultanati di Obbia e dei Migiurtini. Va anche ricordato che, con la cessione del cosiddetto Oltre-Giuba da parte degli inglesi, il territorio della Somalia aumentò, nel tempo fascista, di altri 90.000 km.2

La Somalia e l'Eritrea rappresentano le basi della nostra espansione nell'Africa Orientale. Perciò il Fascismo le fece oggetto della sua attenzione, anche in tempi nei quali non era prevedibile l'ulteriore andamento dei nostri rapporti con l'Etiopia, divisa da incerti confini dai territori eritreo e somalo.

Educazione nazionale fascista.

Dobbiamo sempre avere presente che tutte queste imprese e queste opere furono preordinate o compiute secondo la volontà del Duce, mentre la Rivoluzione Fascista trasformava sistematicamente la vita italiana.

Il Fascismo era stato dipinto dai suoi nemici, e da chi non lo conosceva o non riusciva a comprenderlo, come un nemico del popolo lavoratore, e invece tutte le cure del Fascismo furono rivolte a dare a questo popolo — con l'ordine e la sicurezza del lavoro — la più ampia possibilità di istruirsi e di innalzare lo spirito. Si può dire che la riforma fascista della scuola cominciasse con l'avvento del Fascismo. In pari tempo fu dato incremento a tutte le attività culturali, per tenere alto il nome d'Italia nelle scienze, nelle lettere, nelle arti.

Le maggiori premure del Regime si concentrarono nella educazione della gioventù, per la quale venne fondata l'Opera Nazionale Balilla, oggi trasformata in quel poderoso organismo che è la Gioventù Italiana del Littorio, di cui vedremo più avanti il funzionamento.

Intanto rileveremo che la G. I. L. e la scuola collaborano nel formare i cittadini dell'Italia Fascista, preparandoli a tutti i doveri e a tutti i compiti dell'esistenza degnamente concepita. La nuova scuola italiana è uno dei vasti aspetti della Rivoluzione Fascista, che l'ha ricostituita nello spirito e negli ordinamenti, dandole, come culmine, quello che potremmo chiamare uno statuto e un programma di avvenire. Questo è la Carta della Scuola, nella quale si riassumono tutte le idealità e le finalità del grande organismo educativo italiano.

Idealità e finalità rivelate da ogni provvedimento preso dal Fascismo, senza interruzione, per la scuola, a cui veniva affidata la missione non soltanto di istruire, ma, ciò che maggiormente conta, di educare: di formare cioè delle coscienze e delle personalità, sviluppando nei fanciulli, nei giovani, le migliori doti e attitudini della razza italiana, sia nel fisico che nel morale. Quando pensiamo che uno dei primi atti del Fascismo fu di introdurre il Crocifisso nelle scuole e di prescrivere l'insegnamento religioso, comprendiamo subito che la scuola fascista è un sacrario delle più alte idealità del nostro popolo; di tutto ciò che illumina l'anima umana. Al tempo stesso, il Fascismo organizzò nella scuola, in collegamento con l'Opera Nazionale Balilla (e poi con la G. I. L.) l'educazione fisica, un tempo troppo trascurata, per creare nei giovani il necessario equilibrio fra le energie della mente e del corpo.

Questi grandi compiti della scuola fascista trovano appunto la loro norma, il loro piano regolatore nella Carta della Scuola, approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 15 febbraio I939-XVII. Questo fondamentale documento è composto di 29 " dichiarazioni ", e nella prima di esse è precisato che: " La Scuola fascista, per virtù dello studio, concepito come formazione di maturità, attua il principio di una cultura del popolo, ispirata agli eterni valori della razza italiana e della sua civiltà; e lo innesta, per virtù del lavoro, nella concreta attività dei mestieri, delle arti, delle professioni, delle scienze, delle armi ".

Con la Carta della Scuola, infatti, il lavoro è associato allo studio in tutti i gradi dell'educazione, perché studio, esercizio fisico, lavoro, forniscano alla scuola medesima i mezzi per saggiare le attitudini dei giovani. Vale a dire che la scuola fascista forma i giovani e li prepara, a seconda della loro diversa tempra, ai vari compiti della vita, ai diversi stati sociali, alle diverse professioni e mestieri.

" L'accesso agli studi e il loro proseguimento — dice la Dichiarazione III — sono regolati esclusivamente dal criterio delle capacità e attitudini dimostrate. I collegi di Stato garantiscono la continuazione degli studi ai giovani capaci e non abbienti ". Ossia: il Fascismo vuole eliminare l'ingiustizia per la quale lo studio, al disopra della scuola elementare, sia possibile soltanto ai figli di famiglie agiate. Qualunque ragazzo italiano, che ne abbia il merito, potrà passare alle scuole medie e superiori, entrare all'Università, anche se la sua famiglia non possa far fronte alle tasse, alle spese di mantenimento, all'acquisto dei libri.

Altro punto importantissimo della " Carta " è quello che riafferma l'assoluta necessità della collaborazione fra scuola e famiglia nell'educazione dei giovani e nel loro orientamento. E un'altra, strettissima collaborazione, è quella fra la scuola e la G. I. L., parti, l'una e l'altra, dell'organismo educativo fascista, e insieme costituenti il servizio scolastico. Il ragazzo italiano ha il dovere di prestare questo " servizio ", come, nell'età virile, avrà il dovere di prestare il servizio militare.

Il servizio scolastico è obbligatorio per tutti dai 4 ai 21 anni di età, consiste nella frequenza, dal quarto al quattordicesimo anno, della scuola e della G. I. L., e continua in questa, fino ai ventun anno, anche per chi non seguita gli studi.

Secondo la Carta della scuola, l'educazione fascista è divisa in " ordini ", che sono i seguenti:

Ordine elementare. - È composto dalla scuola materna, per i fanciulli dai 4 ai 6 anni; dalla scuola elementare, che si frequenta dai 6 ai 9 anni; dalla scuola del lavoro per i ragazzi dai 9 agli 11 anni; e dalla scuola artigiana, frequentata dagli 11 ai 14 anni da quegli alunni che non intendono continuare gli studi.

Ordine medio. - È costituito dalla scuola media unica, per tutti indistintamente i ragazzi che, avendo frequentato la scuola elementare e la scuola del lavoro, vogliano avviarsi a studi superiori. Nella scuola media unica, che dura dagli 11 ai 14 anni, vengono appunto provate le capacità degli alunni, per avviarli, se idonei, a tali studi, nei loro vari rami, a seconda delle diverse attitudini e predilezioni. Rientrano anche nell'ordine medio la scuola professionale, che dura tre anni e prepara alle esigenze del lavoro nei grandi centri, e la scuola tecnica, che dura altri due anni e prepara agli impieghi minori e al lavoro specializzato nelle grandi aziende industriali, commerciali, agricole.

Riassumendo — son parole della Dichiarazione XXV della Carta della Scuola: — dalla scuola materna si passa alla scuola elementare e successivamente alla scuola del lavoro. Questa dà accesso alla scuola artigiana, per coloro che non intendono proseguire gli studi nell'ordine medio; alla scuola professionale e da questa alla scuola tecnica per chi non voglia conti nuare gli studi nell'ordine superiore e, infine, con esame d'ammissione, alla scuola media; da questa si accede, con altro esame di ammissione, a tutte le scuole dell'ordine superiore.

Ordine superiore. - Comprende: liceo classico, liceo scientifico, istituto magistrale, istituto tecnico commerciale (che durano, indistintamente, 5 anni preparando agli studi universitari), e gli istituti professionali, per chi voglia conseguire il diploma di perito agrario, perito industriale, geometra o la patente di capitano marittimo.

Ordine universitario. - Comprende tutte le facoltà universitarie, le quali hanno il fine comune di promuovere il progresso delle scienze e di fornire la cultura necessaria per l'esercizio degli uffici di carattere elevato e delle professioni.

Un ordine a se è quello della istruzione artistica, che comprende: corsi di avviamento all'arte (3 anni), scuole d'arte (5 anni), istituti d'arte (8 anni), corsi di magistero artistico (2 anni), licei artistici (5 anni), accademie di belle arti (4 anni). Il giovane frequenta, a seconda della sua volontà e attitudine, uno solo di questi istituti, o passa, progredendo, dall'uno all'altro, per conseguire abilitazioni superiori. L'ordine artistico comprende anche i conservatori di musica e l'accademia di arte drammatica.

Infine, pur essendo aperta ogni scuola di qualsiasi ordine e grado alle femmine, v'è un ordine femminile, composto dall'istituto femminile, in cui possono entrare le giovinette provenienti dalla scuola media, e dura tre anni; dopo di che le allieve idonee possono passare al magistero femminile. Questi istituti preparano spiritualmente al governo della casa e all'insegnamento nella scuola materna.

Quanto poi ai lavoratori che abbiano superato l'età dell'obbligo scolastico la Carta della Scuola prevede e disciplina la istituzione di appositi corsi di addestramento e elevamento professionale.

Dal Discorso del 5 settembre 1935-XIII.

Poiché nella scuola passano tutti gli italiani, è necessario che essa, in tutti i suoi gradi, sia intonata a quelle che sono, oggi, le esigenze spirituali, militari, economiche del Regime. Bisogna che la scuola, non soltanto nella forma, ma soprattutto nello spirito — che è il motore dell'universo e la forza primordiale dell'umanità — sia profondamente fascista in tutte le sue manifestazioni.

Mussolini

* * *

Con la riforma scolastica il Regime ha dato una nuova base e nuove finalità all'educazione nazionale. L'opera fascista non si è arrestata a questo, ma ha portato le sue energie alla cultura italiana. Ricorderemo le più importanti realizzazioni culturali del Fascismo, cominciando dalla Accademia d'Italia, che accoglie i maggiori scienziati, artisti, letterati italiani ed ebbe a suo primo presidente un luminare del genio italiano: Guglielmo Marconi. L'Accademia prende parte attiva alla vita intellettuale del Paese, conduce, promuove, incoraggia studi di alto interesse; appoggia missioni di studio anche in paesi lontani (p. es. i viaggi dell'Accademico Tucci nel Tibet); chiama annualmente a raccolta in Roma (Convegno Volta) studiosi di tutto il mondo per trattare questioni, problemi di importanza universale; assegna premi al merito intellettuale e premi di incoraggiamento, cura la pubblicazione di opere che arricchiscono la cultura italiana, fra le quali, in prima linea, il vocabolario della nostra lingua, attualmente in preparazione.

Altro consesso di grande autorità è il ' Consiglio Nazionale delle ricerche costituito per studiare e attuare tutte le possibilità di progresso scientifico, esaminare invenzioni e scoperte, proposte e progetti da cui possono provenire nuove conoscenze e utili contributi alla vita pratica, alla difesa nazionale. Tutta una organizzazione di laboratori, di osservatori, di gabinetti, presso le Università, le industrie, gli organi dello Stato, fanno capo a questo Consiglio, oggi presieduto dallo stesso Capo dello Stato maggiore generale, il Maresciallo Badoglio.

Né va dimenticato l'Istituto di cultura fascista, che ha sezioni nelle principali città d'Italia e diffonde ovunque indispensabili cognizioni, arricchendo la mente, sviluppando la coscienza dei cittadini, con corsi di studio, conferenze, pubblicazioni, biblioteche. Inoltre, \'Istituto per l'Africa Italiana studia in modo speciale i problemi coloniali, ne allarga la conoscenza in tutto il Paese ed è valido strumento dell'espansione imperiale fascista.

L'opera di divulgazione e di elevazione morale e intellettuale svolta dal Fascismo è tutta ordinata al comandamento del Duce di andare verso il popolo, e perciò il Regime ha aperto larghe possibilità di istruzione alle masse popolari, sia con le attività culturali del Dopolavoro, sia con l'Ente Nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche, che assiste, incoraggia, indirizza oltre 21.000 biblioteche di Comuni, di Fasci, di enti pubblici e privati, di scuole, di parrocchie, di aziende, ospedali, sanatori ecc., contribuendo efficacemente alla diffusione dei buoni e utili libri.

Il Partito, del quale parleremo a suo luogo, è al centro di questa azione tanto benefica; da esso dipende l'Istituto di cultura fascista, esso cura in particolar modo l'addestramento dei giovani negli studi, nelle battaglie spirituali, in quei rami della vita pubblica che richiedono una solida preparazione politica e intellettuale. Con i Littoriali della cultura e dell'arte e coi Corsi di preparazione politica per i giovani, il Partito assolve compiti delicatissimi, e vanno anche ricordate le scuole per assistenti sociali e le scuole agrarie fondate e gestite dal Partito medesimo. Un posto a sé tiene, nel panorama della spiritualità dell'Italia di oggi, la Scuola di Mistica Fascista, dove vengono coltivati i più alti ed essenziali valori della nostra fede rivoluzionaria.

Ma rientrano nella missione di progresso spirituale assunta dal Fascismo, anche tutti i provvedimenti che sono stati presi per intensificare, allargare, approfondire la vita artistica, scientifica, letteraria in Italia. Le nostre università, come le scuole medie e elementari si rinnovano, si arricchiscono di insegnamenti, di laboratori, di gabinetti, di impianti moderni. Sorgono istituti di studio e di ricerca per determinati rami di scienza, vengono stabiliti premi per chi si distingua nelle scienze, nelle lettere, nelle arti.

Per ciò che riguarda il campo dell'arte dobbiamo notare le cure incessanti per la conservazione del nostro incomparabile patrimonio artistico: gli scavi, i restauri di monumenti, le sistemazioni edilizie, la tutela delle bellezze naturali. Lo Stato Fascista, direttamente o attraverso gli organismi che ne derivano, assiste, sorregge gli artisti del nostro tempo, che trovano nei tanti monumenti e pubblici edifici costruiti dal Regime, nelle esposizioni, nelle mostre larga possibilità di lavoro e giusto compenso al loro valore. La musica, l'arte drammatica, la cinematografia sono del pari incoraggiate e indirizzate al mantenimento e allo sviluppo dei caratteri nazionali.

Molto ha fatto il Regime a favore del libro italiano, per difenderlo dalla concorrenza del libro straniero, assicurarne la diffusione e circondarlo di prestigio, togliendo invece dalla circolazione i libri nocivi o comunque estranei al nostro spirito. Culmina, in questo campo, quella monumentale realizzazione del tempo fascista che è l'Enciclopedia Italiana, accanto alla quale vanno notate numerose edizioni nazionali delle opere di sommi pensatori e scrittori italiani. Altra importante forma adottata dal Regime per diffondere il culto della spiritualità nostra sono le celebrazioni regionali: ogni anno una regione d'Italia è messa all'ordine del giorno del Paese nelle sue glorie d'arte e di scienza, nei suoi uomini maggiori: artisti, scienziati, scrittori, filosofi, uomini di armi e uomini di toga. Le celebrazioni consistono in discorsi commemorativi, mostre, manifestazioni popolari, congressi, e così vengono esaltati i campioni della stirpe che tutte le terre italiane hanno dato alla Patria nel corso dei secoli: santi ed eroi, maestri di vita e di pensiero.

Concluderemo questa brevissima rassegna di fatti che sono onore dell'Italia, coll'accennare che, mentre il Ministero detta Educazione Nazionale dirige e regola tutto ciò che riguarda la scuola, le biblioteche, i musei, gli scavi, il Ministero della Cultura Popolare, appositamente creato dal Regime, soprintende al complesso delle attività che si riferiscono alla stampa (libri e giornali), al teatro, al cinematografo, alla radio, e al turismo — strumento anch'esso di educazione civile, perché fa conoscere l'Italia agli Italiani e agli stranieri — che il Fascismo ha completamente riorganizzato e aperto a grandi masse di popolo, appoggiandolo su quella vasta istituzione che è l'E.N.I.T. (Ente Nazionale Industrie Turistiche) con sedi in tutti i capoluoghi di provincia e uffici in moltissime località, nel Paese e all'estero.

Politica estera fascista.

Le nuove idee e i nuovi sistemi portati dal Fascismo nella vita italiana e nella complessa azione dello Stato, ebbero fin da principio importanti ripercussioni nei nostri rapporti con l'estero, dove molti non videro di buon occhio la conquista fascista del potere, ben comprendendo che, con essa, erano finiti i tempi dell'Italia debole e remissiva davanti agli stranieri.

Però il Duce dimostrò subito che lo Stato Fascista voleva mantenere le migliori relazioni con tutti coloro che fossero animati da altrettanta buona volontà. Fu il Fascismo a liquidare il grave dissidio con la Jugoslavia, assicurando l'annessione di Fiume, pur con dolorosi sacrifici, resi inevitabili dagli errori dei precedenti governi. Nessuno, tuttavia, potè pensare che le buone disposizioni italiane nascondessero una mancanza di fermezza e di energia: avvenuto, infatti, il massacro di una missione italiana sui confini dell'Albania, immediatamente nostre forze navali e terrestri procedettero alla occupazione di Corfù, per ottenere dalla Grecia, sulla quale ricadeva la responsabilità del tragico episodio, le dovute soddisfazioni; che furono subito concesse.

Caposaldo e direttiva immutabile della politica estera fascista fu che la pace dovesse essere basata sulla giustizia. Il Duce affermò costantemente la necessità di rivedere i trattati di pace, per eliminare dalla vita europea i principali motivi di discordia; e se la sua parola fosse stata sempre e da tutti ascoltata, se la di lui opera avesse sempre trovato comprensione e collaborazione, invece di ostilità, l'Europa, per lungo tempo, sarebbe stata risparmiata dalla guerra.

L'Italia fascista tese la mano leale a tutti i popoli, concludendo parecchi accordi di carattere politico ed economico. Per impedire che l'Europa si dividesse in gruppi di potenze fra loro nemiche, il Duce ideò e fece concludere il Patto a Quattro, per l'amichevole intesa fra l'Italia, la Francia, la Germania, l'Inghilterra; ma purtroppo questo trattato non ebbe applicazione, per colpa della politica egoistica e cieca degli Stati che si dicono democratici. In modo particolare, il Duce si applicò a eliminare le cause delle vertenze fra l'Italia, e la Francia, firmando il Patto di Roma, che avrebbe dovuto assicurare l'amicizia fra i due Paesi; e siccome anche con l'Inghilterra eravamo in buoni rapporti, pareva che la via della pace fosse trovata.

Un altro esempio di cordiali intese, anche con " vicini di casa " coi quali un tempo si potè essere imbronciati, fu dato dall'Italia mediante la rinnovata amicizia con la Jugoslavia; e con gli altri Stati della penisola balcanica e del bacino danubiano l'Italia volle una politica di cordiale collaborazione: i fraterni vincoli che legano Italiani e Magiari sono cari al cuore dei due popoli.

Su questa via, se tutti l'avessero seguita con animo sincero, si sarebbero riparate pacificamente tante ingiustizie lasciate dalla guerra, e man mano le varie nazioni d'Europa avrebbero ottenuto il riconoscimento dei loro diritti. L'Italia aveva dato l'esempio della concordia, perfino col riconoscere la Russia sovietica, stabilendo con essa normali rapporti diplomatici e scambi commerciali, nonostante l'invariabile avversione del Fascismo al bolscevismo.

Ma bastò che l'Italia pensasse a regolare i propri conti, vecchi e nuovi, con l'Etiopia, bastò che la vigorosa razza italiana si muovesse determinata a guadagnarsi il posto al sole, perché l'Inghilterra e la Francia coalizzassero contro di noi, servendosi della Società delle Nazioni, ben cinquantadue Stati europei, americani, asiatici, oceanici. Vennero fuori allora le famigerate sanzioni. Due potenze imperialistiche (l'Inghilterra e la Francia suddette) dominatrici di immensi territori coloniali, acquistati con la violenza e — in alcuni casi — anche con la frode, trascinarono mezzo mondo nel tentativo di fermare l'Italia sulle vie del suo destino, umiliarla, soffocarla, abbatterla, e tutto ciò a sostegno di un paese barbaro, nel quale, vergogna per la civiltà moderna, milioni di individui erano in stato di schiavitù. Effettivamente l'imperialismo franco-inglese non si preoccupava affatto dell'indipendenza dell'Etiopia, ma voleva impedire che l'Italia mettesse piede su questo territorio, forse perché francesi e inglesi pensavano di spartirselo al momento opportuno.

Il Duce rispose con tre sole parole: noi tireremo diritto. Il 3 ottobre 1935 egli chiamò a raccolta il popolo italiano, annunciandogli che era suonata la grande ora dell'azione. Il popolo rispose con entusiasmo; dette alla Patria l'anima, il sangue, il danaro. L'Inghilterra, la Francia e i loro seguaci e satelliti non osarono affrontare questo popolo, magnifico di audacia e di sdegno; fulmineamente l'impresa africana fu compiuta e l'Impero italiano d'Etiopia fu fondato. Allora i sanzionisti dovettero dichiararsi sconfitti.

- Senza dimenticare il loro iniquo tentativo, l'Italia fascista, nel suo amore di pace, volle venire a nuovi accordi, non trascurando la minima possibilità di ristabilire una amichevole convivenza fra gli Stati europei, ma le ostilità contro il nostro Paese si rinnovarono nell'occasione della guerra di Spagna.

Per strappare il popolo spagnuolo agli orrori del bolscevismo, un grande figlio di Spagna, il generalissimo Franco, s'era messo a capo di un esercito contro un governo che favoriva le congiure e i delitti dei " rossi ", che massacravano i patrioti, i religiosi, incendiavano le chiese e i conventi, mirando, per ordine di Mosca, a stabilire una dittatura sovietica. Senz'altro, i " rossi " ricevettero aiuti di uomini, armi, danaro, specialmente dalla Russia e dalla Francia, ma anche dall'Inghilterra e da altri paesi d'Europa e di America. Allora, trattandosi di impedire che la Spagna diventasse schiava di influenze straniere, rivolte ai nostri danni, e allo scopo di difendere la civiltà del Mediterraneo, l'Italia mandò a Franco soldati e materiali bellici. I nostri volontari, eroicamente combattendo a Malaga, a Guadalajara, a Bilbao, a Santander, sull'Ebro, in Catalogna, dettero un contributo decisivo alla vittoria nazionale spagnuola.

Finita la guerra di Spagna, rinacque, ancora una volta, la speranza che le relazioni fra le potenze europee diventassero migliori. Invece non fu così e la Francia continuò a mostrarsi ostile all'Italia. Bastò che il nostro Ministro degli esteri, in una memorabile seduta della Camera Fascista, accennasse alle naturali aspirazioni del popolo italiano, perché il governo e la stampa francese — ben sapendo di detenere illecitamente un'isola italiana come la Corsica, di avere usurpato il dominio sulla Tunisia, civilizzata, arricchita dal lavoro italiano, e di ostacolare, a Gibuti, il respiro del nostro Impero — scatenassero una odiosa campagna di ingiurie e di provocazioni contro l'Italia. Questa, frattanto, aveva concluso un accordo italo-britannico, per sistemare i rapporti con l'Inghilterra nel Mediterraneo e il Mar Rosso, ma la più logica conseguenza della situazione fu lo sviluppo dell'amicizia fra l'Italia e la Germania.

L'amicizia italo-tedesca salvò la pace nell'ottobre del 1938, quando parve che il conflitto generale dovesse scoppiare a causa della vertenza tedesco-cecoslovacca per le minoranze germaniche ingiustamente assoggettate al dominio di Praga. Fu Benito Mussolini che rese possibile il convegno di Monaco, al quale intervennero, oltre al Duce e a Adolfo Hitler, i capi dei governi di Francia e Inghilterra. Con questo convegno, che accolse le proposte del Duce stesso, fu evitata la guerra, non solo, ma parve che cominciasse per l'Europa un periodo di quiete e di prosperità, mentre la nostra nobile amica Ungheria otteneva alcuni territori che le erano stati strappati nella ingiusta pace.

Sennonché ancora una volta ricominciarono i sospetti, si rinnovarono gli atteggiamenti ostili e l'Italia, fatta segno a continue insidie e minacce, dovette anche risolvere la questione albanese. L'Albania, territorio che fronteggia la costa della Puglia, da cui è separata per breve tratto di mare, era stata generosamente aiutata dal Governo Fascista a risorgere e a diventare un ordinato e civile paese. Purtroppo il suo monarca, losca figura di avventuriere, corrispose alla nostra magnanimità con l'inganno e il tradimento; perciò le forze armate italiane, esaudendo i voti delle popolazioni stanche di angherie, occuparono il territorio albanese e una assemblea di rappresentanti di questo valoroso popolo proclamò l'unione all'Italia, offrendo la corona a Vittorio Emanuele III, che da allora ha, per sé e i successori, il titolo di Re d'Italia e d'Albania, Imperatore d'Etiopia.

Continuando a inasprirsi la situazione europea, il Duce svolse opera assidua e generosa di moderazione per evitare una grande guerra. Questa, ciò nonostante, scoppiò alla fine del settembre 1939: Francia e Inghilterra, che volevano accerchiare i popoli italiano e tedesco, si posero contro la Germania, che aveva sconfitto la Polonia, dopo inutili tentativi di risolvere in modo amichevole la questione di Danzica, città tedesca dal trattato di Versailles strappata alla madrepatria. Fino all'ultimo il Duce aveva lavorato per impedire il gravissimo urto; ora egli manteneva l'Italia in una posizione di vigile attesa, fiera di armi e di spirito, assicurando con la forza e il prestigio del nostro Paese la tranquillità nel Mediterraneo e nella penisola balcanica.

* * *

La politica estera fascista ha fatto comprendere al mondo quello che è l'Italia, nella sua rinnovata grandezza. Perciò oggi possiamo contare su numerose amicizie, sulla stima e sul rispetto anche di chi non ci è amico.

Dal Discorso del 15 novembre 1924-111.

La politica estera è strettamente condizionata da circostanze di fatto nell'ordine geografico, nell'ordine storico e nell'ordine economico.

Bisogna che gli italiani si interessino dei problemi di politica estera, perché una Nazione esiste in quanto fa della politica estera. Anche le piccole, quelle che si potrebbero chiamare Nazioni microscopiche, fanno una politica estera. Perché? Perché devono avere relazioni col mondo circostante.

Tutte le volte che mi trovo dinanzi a un problema di politica estera il quesito che pongo alla mia coscienza è questo: Giova o non giova alla Nazione? Giova per oggi o anche per domani? È provvisorio o duraturo? Aumenta o diminuisce le possibilità della pace? Quando ho risposto in piena coscienza a questi interrogativi, passo all'azione.

Dal Discorso del 5 giugno 1928-VI.

I trattati di pace sono sacri in quanto conclusero uno sforzo glorioso e sanguinoso, un periodo di sacrificio e di grandi dolori: ma i trattati di pace non sono il risultato di una giustizia divina, bensì di una intelligenza umana, sottoposta, specie sul finire di una guerra gigantesca, a influenze di ordine eccezionale.

Complicazioni gravi saranno evitate se, rivedendo i trattati di pace, laddove meritano di essere riveduti, si darà nuovo e più ampio respiro alla pace.

Mussolini

Le forze armate del Fascismo.

Ricordatevi che il Fascismo non avrebbe mai potuto svolgere la sua azione nel Paese, conquistare l'Impero, unire l'Albania all'Italia, difendere la propria pace e diventare la speranza, il sostegno di altri popoli, se non avesse creato una grande potenza militare.

Quando Benito Mussolini prese nel pugno le nostre sorti, l'esercito era tutto da ricostituire, la marina da guerra era ridotta al minimo e l'aviazione, nata alla gloria durante la guerra mondiale, quasi più non esisteva, per colpa dei pessimi governi liberali e democratici.

Il Duce, che aveva sempre creduto nelle virtù guerriere della razza italiana, volle che l'Italia disponesse di forze adeguate alla sua posizione nel mondo. E siccome elemento primo e insostituibile di ogni potenza è l'uomo — il soldato — la preparazione militare dell'Italiano nuovo comincia dall'infanzia, con l'ingresso del fanciullo nei ranghi della Gioventù Italiana del Littorio. All'età di diciotto anni ogni giovane è soggetto all'obbligo dell'istruzione premilitare, finché, compiuti i 21 anni, non passa a prestare il servizio militare in uno dei corpi armati dello Stato; servizio che dura, normalmente, un anno e mezzo in media. Ma l'obbligo del servizio militare continua, per tutti gli italiani validi, fino ai 55 anni. In questo periodo il cittadino può essere sempre richiamato alle armi. Per tenere vivo lo spirito militare e l'addestramento, il cittadino, dal giorno del congedo della sua classe di leva ai 32 anni, è obbligato all'istruzione postmilitare, effettuata sia con brevi richiami, sia con esercitazioni nei giorni di sabato e domenica.

Attualmente l'Italia può contare su oltre otto milioni di uomini preparati alle armi, che, in caso di bisogno, sarebbero mobilitati. La forza dell'esercito italiano non risulta soltanto da questa cifra: incessantemente, agli ordini del Duce, il nostro esercito ha rinsaldato il suo organismo ed è stato dotato di armi, di strumenti perfezionatissimi, di ottimi servizi. Animato da mirabile spirito, esperto della guerra moderna, largamente dotato di mezzi meccanici, questo esercito, che ha fatto splendide prove in Libia, Etiopia, Spagna, dopo le gesta eroiche e le vittorie della guerra mondiale, è un formidabile strumento bellico e rappresenta una delle più poderose creazioni del Fascismo.

L'Italia — Paese essenzialmente marittimo e il cui destino, secondo la definizione del Duce, è e sarà sempre sul mare — ha anche bisogno di una forte marina. Disponendo dei primi marinai del mondo, l'Italia fascista ha preparato una flotta che impone il rispetto anche alle massime potenze navali. Nucleo di questa flotta sono le navi da battaglia, e cioè le corazzate rimodernate come l'" Andrea Doria ", la " Conte di Cavour ", e le quattro modernissime ultrapotenti che hanno i nomi di " Vittorio Veneto ", " Littorio ", " Roma ", " Impero ". Dispone inoltre, l'Italia, di squadre di incrociatori pesanti e leggeri, di rapidissimi esploratori, di numeroso naviglio silurante di superficie, e della più potente flotta di sommergibili che sia al mondo. Con ciò, mentre siamo in grado di dominare il Mediterraneo, che è il nostro mare, abbiamo preso posto fra le potenze oceaniche. Quando, al tempo delle sanzioni, si parlò di bloccare l'Italia, i sanzionisti dovettero pensare anche ai colpi che questo modernissimo strumento di guerra navale avrebbe potuto portare in tutte le direzioni, e il blocco rimase una pia intenzione.

Molto più, che gli eventuali bloccanti avrebbero dovuto fare i conti col terzo, poderoso elemento della forza militare italiana: l'aviazione.

Figlia della volontà fascista e espressione caratteristica dell'audacia della nostra razza, questa nuova arma, pur giovanissima, è coperta di gloria. Le imprese dei nostri impareggiabili piloti non hanno l'eguale. I voli di massa nel Mediterraneo, le crociere transoceaniche già avevano fornito al mondo un saggio della potenza a cui il Fascismo ha saputo condurre in brevi anni l'aviazione, abilitandola alla conquista dei più difficili primati. Venne poi la guerra d'Etiopia e in essa l'arma aerea ebbe, modo di dare un contributo essenziale alla vittoria. Infine, nella guerra di Spagna, i piloti e gli apparecchi italiani, accorsi a sostegno della causa nazionale spagnuola, dominarono, invincibili, i cieli della penisola iberica.

Abbiamo fabbriche che producono un materiale aeronautico eccellente; squadre aeree capaci di eseguire ogni più ardua missione; e dall'Accademia aeronautica di Caserta, dai ranghi stessi degli avieri escono di continuo legioni di piloti intrepidi. Un superbo slancio porta all'aviazione la migliore gioventù italiana, che fin dall'adolescenza si addestra al volo a vela o va con entusiasmo alla preparazione preaeronautica, trascinata, affascinata dall'esempio di Benito Mussolini che, prima di essere il creatore dell'aviazione italiana, ne fu l'apostolo, il pioniere, ed è un audace, provetto volatore.

Considerando nel suo complesso l'arma aerea, voluta e creata dal Duce, l'Italia sa di avere in essa uno dei massimi fattori della sua sicurezza e del suo destino imperiale.

* * *

Le forze armate fasciste sono dunque, tutte insieme, il presidio della Patria: esse non rappresentano soltanto un temuto organismo di azione militare; esprimono anche lo spirito del popolo italiano, che ha fatto suo il motto del Duce: necessario è vivere, più necessario combattere. L'Italia in armi presenta al mondo il volto di una Nazione guerriera che non lascerà mai scoccare invano l'ora dei suoi destini. Senza lo spirito, nessuna grandezza militare potrebbe sostenersi; ma è proprio su quei valori spirituali che si chiamano disciplina, entusiasmo, valore, prontezza al sacrificio che il Fascismo ha innalzato la sua potenza.

La parola d'ordine per gli italiani del tempo fascista non può essere che questa: bisogna essere forti, bisogna essere sempre più forti, bisogna essere talmente forti da poter fronteggiare tutte le eventualità e guardare negli occhi fermamente qualunque destino.

Dal Discorso del 30 marzo 1938-XVI.

Chiunque osasse attentare ai diritti e agli interessi della Patria, troverebbe in terra, in mare, in cielo la immediata, risoluta, fierissima risposta di un intero popolo in armi.

Dal Discorso di Pomezia 25 aprile I938-XVI.

Ricordate che il ferro — quello delle spade e quello degli aratri — vale e varrà sempre più delle parole.

Mussolini

L'Impero Fascista.

Sappiamo che l'Italia, con una guerra fulminea, sfidando una coalizione di cinquantadue Stati, conquistò l'Etiopia. L'impresa, conclusa con la fondazione dell'Impero, fu il coronamento dell'azione fascista, nei primi tredici anni del Regime. Riassumeremo brevemente le tappe della storia coloniale italiana che ebbero questa trionfale conclusione per merito del Duce, per il valore del popolo.

Fin dal periodo del Risorgimento, l'Italia, in lotta per la propria unità e indipendenza, pensò all'acquisto di territori da valorizzare e civilizzare. Gli Stati europei da tempo costituiti facevano a gara nell'assicurarsi ricche colonie, specialmente in Africa, ma i tempi per noi non erano maturi, e quantunque l'idea coloniale si affacciasse alla grande mente di Cavour, troppo eravamo impegnati nella formazione dello Stato nazionale italiano, per potere assumere imprese lontane. Dopo vari progetti di stabilire stazioni navali o anche penitenziarie in isole oceaniche, fu soltanto nel 1882 che il missionario professor Giuseppe Sapeto, uno dei nostri pionieri, acquistò la baia di Assab sul Mar Rosso, per conto della società di navigazione Rubattino. Questo punto d'appoggio, passato in seguito sotto la sovranità dello Stato, fu la testa di ponte della nostra espansione in Africa, sogno di tutta una legione di esploratori che incidono nella storia i nomi gloriosi di Miani, di Piaggia, di Matteucci, di Cecchi, di Giulietti, di Bianchi, di Chiarini, di Antinori, di Gessi, di Casati: uomini di ferro che affrontarono il Continente Nero, quando era in gran parte ignoto e spesso bagnarono col loro sangue le tappe della civiltà avanzante.

Purtroppo, proprio mentre mettevamo il piede in Africa, i nostri vacillanti, fiacchi governi lasciavano che la Francia, con palese inganno, occupasse la Tunisia — dove già vivevano tanti operosi Italiani — offendendo una delle più vive, tenaci e giuste aspirazioni dell'Italia.

Nel 1885 la nostra bandiera sventolò su Massaua. Attraverso varie vicende occupammo successivamente, non senza dover combattere, il territorio che fu chiamato Colonia Eritrea, e entrammo nel Tigrai. Sembrò, nel 1889, che col trattato di Uccialli, il negus Menelik, da noi aiutato a diventare sovrano dell'Abissinia, accettasse il nostro protettorato, ma egli, in breve, negò di avere preso simile impegno e si venne alle armi, con una serie di episodi sempre per noi onorevoli e gloriosi, se non tutti fortunati, finché il 1° marzo 1896, nella battaglia di Adua, il nostro piccolo esercito, dopo eroica pugna, fu soverchiato dalle orde etiopiche. Molti credettero, allora, che il destino coloniale italiano fosse per sempre svanito, anche perché, nel Paese, miserabili politicanti si opposero a ogni azione di forza, alla riscossa. Tuttavia, nei primi anni del secolo presente, procedemmo a occupazioni sulla costa somala, e poi nell'interno della Somalia, dove, fin dal tempo delle guerre d'Abissinia, avevamo acquistato importanti posizioni.

La seconda impresa d'oltremare dell'Italia fu quella con la quale, nel 1911-12, battendo in guerra la Turchia, conquistammo la Tripolitania e la Cirenaica, da lungo tempo soggette al dominio turco. Avvenne così il risveglio dell'Italia, ma la mancanza di un forte, avveduto Governo impedì allora di assoggettare durevolmente le popolazioni libiche. Abbiamo già visto, nel riferire sull'opera del Fascismo in Africa, che nel 1922-23 la Libia era tutta da riconquistare, essendosi sottratta nel corso della guerra europea (salvo alcuni punti costieri) al nostro dominio. La riconquista libica, alla quale parteciparono reparti della Milizia, che ebbe il battesimo del fuoco, mostrò il Fascismo risoluto a risolvere il problema coloniale italiano.

Quelli che erano stati i nostri alleati nella guerra 1915-18 avevano bensì pattuito, per ottenere il nostro intervento, di assicurare all'Italia importanti colonie, ma a guerra finita non vollero concederci che compensi irrisori. Ora l'Italia avrebbe fatto da sé, guadagnando senz'aiuto d'alcuno, e anzi contro l'ostilità di molti, la sua parte di Africa. Intanto, i nostri rapporti con l'Etiopia si inasprivano. Il negus Ailé Sellasié — ras Tafari — mostratosi dapprima propenso all'amicizia, finì, istigato da stranieri, per assumere un atteggiamento infido e provocatorio. Una serie di malefatte abissine ai nostri danni, aggravarono il vecchio conto fra l'Italia e l'Etiopia. Una aggressione di bande negussite contro nostri armati ai pozzi di Ual Ual in Somalia (5 dicembre 1934) colmò la misura. Entrata di mezzo la Società delle Nazioni, alcuni mesi trascorsero in discussioni e trattative, ma il Duce non tardò a mandare un forte esercito a presidio delle frontiere eritree e somale. A diecine e diecine di migliaia i giovani, gli anziani di ogni classe sociale si arruolarono volontari per andare a combattere in Africa, e il fervore del .popolo per la imminente impresa divenne anche più intenso, quando fu chiaro che l'Inghilterra cercava in tutti i modi di opporsi alla nostra espansione.

Nel discorso di Eboli alle Camicie Nere in partenza per l'Africa Orientale, il Duce disse: " A coloro che pretenderebbero di fermarci con carte o parole, noi risponderemo col motto eroico delle prime Squadre d'azione e andremo contro chiunque, di qualsiasi colore, tentasse di traversarci la strada ".

Ai soldati della Divisione Sabauda, in partenza da Cagliari per il Mar Rosso, il Duce disse: "Abbiamo dei vecchi e dei nuovi conti da regolare: li regoleremo. Non terremo nessun conto di quello che si possa dire oltre frontiera perché giudici dei nostri interessi, garanti del nostro avvenire siamo noi, soltanto noi, esclusivamente noi e nessun altro. Imiteremo alla lettera coloro i quali ci fanno la lezione. Essi hanno dimostrato che, quando si trattava di creare un Impero o di difenderlo, non tennero mai in alcun conto l'opinione del mondo ". (8 giugno 1935).

Nel settembre 1935 tutti sentirono che la vigilia, l'attesa stavano per finire. Vanamente l'Inghilterra, spalleggiata dalla Francia e da altri, concentrava la propria flotta, in atteggiamento di minaccia, nel Mediterraneo. Vanamente la Società delle Nazioni preparava l'assedio economico contro l'Italia. Come abbiamo ricordato; il 2 ottobre tutto il popolo italiano fu chiamato a raccolta, per ascoltare dagli altoparlanti la voce solenne del Duce, che, dallo storico balcone di Palazzo Venezia annunciava l'ora solenne. Le sue parole scolpirono le coscienze, infiammarono i cuori: " Alle sanzioni economiche opporremo la nostra disciplina, la nostra sobrietà, il nostro spirito di sacrificio. Alle sanzioni militari risponderemo con misure militari. Ad atti di guerra risponderemo con atti di guerra. Nessuno pensi di piegarci senza avere prima duramente combattuto ".

Il cielo d'Italia vibrava delle immense acclamazioni del popolo fedele e guerriero, che aveva un'anima sola.

" Italia proletaria e fascista — comandò il Duce — Italia di Vittorio Veneto e della Rivoluzione, in piedi ! Fa' che il grido della tua decisione riempia il cielo e sia di conforto ai soldati che attendono in Africa, di sprone agli amici e di monito ai nemici in ogni parte del mondo: grido di giustizia, grido di vittoria ! ".

Il 3 ottobre le nostre truppe varcarono le linee di confine in Africa Orientale. La guerra durò appena sette mesi. Quel vecchio valoroso soldato fascista del maresciallo Emilio De Bono, veterano di tutte le battaglie, operò il miracolo di preparare l'impresa, a tante migliaia di chilometri dalla metropoli, in territori pressoché privi di attrezzatura, di risorse; e a lui toccò l'onore di occupare Adua e di portare le nostre armi fino a Macallè. Quindi il comando fu assunto dal Maresciallo Pietro Badoglio, che ebbe ai suoi ordini sul fronte Sud (Somalia) quel grandissimo condottiero che è Rodolfo Graziani.

Il mondo rimase sbalordito. Le vittorie si seguirono impetuose, dando veramente l'impressione di un volo di aquile. E il popolo, che aveva mandato i propri figli a combattere, fu superbo di fede, di risoluzione. Stoltamente gli stranieri si illusero di turbarlo o dividerlo: il giorno in cui cominciò l'assedio economico (18 novembre I935-XIV) tutte le case d'Italia si coprirono di bandiere. Il 18 dicembre fu una grande giornata italica: la Giornata della Fede:

la Regina, sull'Altare della Patria, offrì la propria fede di sposa e quella del Re; tutte le spose e i capi di famiglia italiani seguirono l'esempio augusto. L'offerta dell'oro alla Patria confermò ai nemici d'Italia che nulla avrebbe potuto fermarci, che eravamo pronti a tutto dare e sacrificare per abbattere la loro iniqua congiura. Continuarono bensì, da lor parte, le intimidazioni e le insidie, ma da parte nostra parlarono le armi.

Graziani, al Sud, prima conquista, audacissimo, Gorrahei, piomba quindi sul nemico, lo batte nella battaglia che ogni giorno si rinnova e s'inoltra in territorio selvaggio per più che 400 chilometri: è questa l'epopea che passa alla storia col nome di Neghelli. Al Nord, Badoglio procede a colpi di maglio e le vittorie schiaccianti si chiamano Tembien, Endertà, Scirè, Lago Ascianghi. Le armate del negus sono annientate una dopo l'altra, soldati nostri di ogni arma si eguagliano nello slancio e nel valore, esercito e milizia fanno gara di eroismo, l'aviazione è stupenda di audacia, le truppe di colore, entusiasmate dall'esempio dei loro ufficiali italiani, si battono valorosamente.

Da Nord e da Sud le armate fasciste mirano al cuore dell'impero negussita. Graziani attacca nell'Ogaden e s'apre la strada di Harar con quotidiana sovrumana lotta contro il nemico e le tremende difficoltà naturali; Badoglio, piombato su Dessié, conduce con romano ardimento colonne motorizzate su Addis Abeba, mentre

una colonna di Camicie Nere, al comando del Luogotenente Generale Achille Starace, marcia su Gondar, nell'estremo Ovest etiopico, e l'occupa.

Il 5 maggio 1936 Addis Abeba, da cui Tafari era vergognosamente fuggito, non senza fare man bassa sul tesoro dello Stato, è occupata e il 'Duce stesso vuole farlo sapere al popolo, chiamandolo nuovamente a raccolta:

" Annuncio al popolo italiano e al mondo che la guerra è finita. Annuncio al popolo italiano e al mondo che la pace è ristabilita. Non è senza emozione e senza fierezza, che, dopo sette mesi di aspre ostilità, pronuncio questa grande parola, ma è strettamente necessario che io aggiunga che si tratta della nostra pace, della pace romana che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l'Etiopia è italiana ".

L'Impero fu proclamato il 9 maggio 1936. Anno XIV dell'Era Fascista. E fu ancora il Duce a proclamarlo, dinanzi all'esercito e al popolo:

" Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente, e la vittoria africana resta nella storia della Patria integra e pura come i Legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L'Italia ha finalmente il suo Impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l'Italia vuole la pace per sé e per tutti e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose, imprescindibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità, per tutte le popolazioni dell'Etiopia: è nella tradizione di Roma, che dopo aver vinto associava i popoli al suo destino.

" Ecco la legge, o Italiani, che chiude un periodo della nostra storia e ne apre un altro come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro:

I. - / territori e le genti che appartenevano all'Impero di Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d'Italia.

II. - Il titolo di Imperatore d'Etiopia viene assunto per sé e per i suoi successori dal Re d'Italia.

" Ufficiali, sottufficiali, gregari di tutte le forze Armate dello Stato, in Africa è in Italia, Camicie Nere, Italiani e Italiane ! Il popolo italiano ha creato col suo sangue l'Impero, lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema levate in alto, legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare dopo quindici secoli la riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma ".

La parola del Duce, sublime di verità e di passione, parve imprimersi in sillabe luminose sugli antichi marmi del Foro !

* * *

L'Impero, che, nella amministrazione dello Stato, rientra nella competenza del Ministero dell'Africa Italiana, è governato da un Viceré, sedente in Addis Abeba. Il territorio è diviso in governi, a ciascuno dei quali è preposto un governatore, dipendente direttamente dal Viceré; e sono: Governo dello Scioa (capoluogo Addis Abeba), Governo dell'Eritrea (capoluogo Asmara), Governo degli Amara (capoluogo Gondar), Governo dei Galla e Sidamo (capoluogo Gimma) Governo di Harar (capoluogo Harar), Governo detta Somalia (capoluogo Mogadiscio).

Saldamente presidiato e dotato di una adatta organizzazione politico-amministrativa, l'Impero è un immenso cantiere. Legioni di pionieri-lavoratori, . pronti a combattere in ogni ora, sono all'opera. Il territorio etiopico viene sistematicamente esplorato, procedono con metodo scientifico le ricerche minerarie, gli esperimenti di colonizzazione agricola. Grandi strade squarciano le barbare solitudini, le città assumono il volto della civiltà fascista, porti e aeroporti preparano e seguono lo sviluppo del traffico, e sorgono le industrie, si sviluppano i commerci, regolati da apposite leggi. Scuole, ambulatori, ospedali si prodigano per la salute morale e fisica dei nostri e degli indigeni. Sboccia, si espande la vita nuova, il progresso irradia le sue luci, che mai nessuno aveva portato nell'Africa Orientale.

Su quegli sconfinati altipiani — dalle sorgenti del Nilo al Mar Rosso, dalle soglie dei deserti ai grandi laghi equatoriali — l'eroica volontà fascista prepara potenza e benessere per il popolo d'Italia che ben merita il premio della sua incomparabile fatica.

Dal Messaggio del 28 ottobre 1936-XV.

La Marcia su Addis Abeba è la logica storica conseguenza della Marcia su Roma. Nel '22 combattemmo contro la politica vile del " piede di casa ", nel 1936, abbiamo conquistato il nostro posto al sole: il nostro orgoglio è legittimo e l'opera che svolgeremo in Africa sarà un contributo alla civiltà, degno delle tradizioni millenarie d'Italia.

Quattro tempi.

La storia dei popoli che hanno capacità d'impero ci dice che, in un primo tempo, l'Impero è una creazione spirituale, politica, militare della Madre Patria.

In un secondo, l'Impero vive e si sviluppa con mezzi forniti in massima parte dalla Madre Patria.

In un terzo tempo, l'Impero basta integralmente a se stesso, cioè raggiunge la sua piena autosufficienza economica e militare.

In un quarto, l'Impero è capace d'integrare le risorse della Madre Patria, fornendole materie prime e ospitando nelle sue terre masse sempre più numerose di genti della metropoli. Gli Imperi per sicuramente tenerli bisogna popolarli.

Mussolini

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