MOVIMENTO FASCISMO E LIBERTA'
COORDINAMENTO REGIONALE
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NEL SOLCO DEL LITTORIO
- Corso di Cultura Fascista -

L'intervento.

Le origini immediate della Rivoluzione Fascista debbono essere vedute nel movimento, di cui fu massimo esponente Benito Mussolini, che, nella primavera del 1915, condusse all'intervento dell'Italia nella guerra europea.

L'intervento, che — come poi affermò il Duce — preparò il Fascismo e annunciò la Marcia su Roma, fu voluto non solo per completare l'unità nazionale con le terre italiane soggette all'Impero austro-ungarico, ma anche per ridestare la coscienza del popolo nostro, che aveva bisogno di ritrovare in una dura lotta le proprie antiche virtù civili e guerriere.

* * *

II 15 novembre 1914, mentre l'Italia, incerta e divisa fra i partiti e le contrastanti tendenze, era neutrale, Benito Mussolini fondò il Popolo d'Italia, che fu, da allora, il giornale della rivoluzione nazionale italiana. Questo organo diventò subito una bandiera, attorno alla quale si raccolsero quanti sentivano la necessità di un profondo rinnovamento del Paese, e comprendevano che ciò non sarebbe stato possibile senza una guerra vittoriosa.

La guerra, cominciata il 24 maggio 1915, finì il 4 novembre 1918 con la completa sconfitta, dovuta unicamente all'Italia, dell'Impero austro-ungarico.

Nel corso del conflitto i maggiori propugnatori dell'intervento combatterono da valorosi; alcuni caddero da eroi, come Filippo Corridoni, come Giosuè Borsi, e fra gli italiani irredenti che erano accorsi sotto le bandiere della Patria, Cesare Battisti, Nazario Sauro, Fabio Filzi, Damiano Chiesa subirono il martirio. Benito Mussolini, che aveva dato l'esempio del dovere nelle trincee, fu gravemente ferito. Con tutta la sua azione, col giornale da lui fondato, egli tenne viva nel popolo la volontà di vincere, incitando alla fiducia in noi stessi, alla tenacia dei propositi, alla resistenza anche nell'ora in cui gli avvenimenti militari volsero sfavorevoli alle nostre armi: perciò il Duce fu artefice della Vittoria.

La Vittoria e il dopoguerra.

Con la pace consacrata dal sangue di sette centomila morti, di centinaia di migliaia di mutilati, invalidi, feriti, rientrarono nella grande Patria italiana il Trentino, la Venezia Giulia e l'Istria, Zara, e — grazie all'eroismo di Gabriele d'Annunzio e dei suoi Legionari — la intrepida, italianissima città di Fiume. Ma i frutti della vittoria avrebbero potuto essere assai maggiori, se i nostri alleati nella guerra — dimenticando il gigantesco sforzo compiuto dall'Italia, che con la battaglia di Vittorio Veneto aveva determinato il successo comune, e calpestando i patti solennemente conclusi — non ci avessero impedito di far valere tutti i nostri diritti.

La pace, dunque, lasciò l'Italia irritata e insoddisfatta, carica di debiti, scarsa di approvvigionamenti, incerta del domani. I governanti del tempo, oltre a non saper fronteggiare con energia l'ostilità e l'ingratitudine degli stranieri, vennero meno al dovere di assicurare una esistenza di ordinato lavoro al popolo italiano, la cui massa era reduce dalle trincee. In queste condizioni, la, propaganda sovversiva potè dilagare, tendendo al rinnegamento della vittoria e a trasportare nella nostra terra i sistemi del bolscevismo, che, in Russia, a prezzo di stragi e rovine, aveva istituito la cosidetta " dittatura del proletariato ", negatrice di Dio, della Patria, della Famiglia e dei più elementari diritti individuali.

Ma anche allora fu Benito Mussolini a chiamare a raccolta i migliori Italiani — i giovani e i veterani che avevano avuto il supremo onore di combattere per la Patria — proclamando la necessità di mettere fine alle discordie, agli urti fra le classi sociali e di ristabilire l'autorità dello Stato, perché tutto il popolo facesse fronte all'iniquità straniera e cooperasse alla vita della Nazione.

Il Duce e la Patria.

Chi era Benito Mussolini?

Il Duce nacque in un villaggio di Romagna — Predappio, presso Forlì — da un fabbro e da una maestra di scuola. La sua casa era molto modesta, e fin dalla fanciullezza egli seppe quanto sia sudato il pane dei lavoratori. Con grande sacrificio i genitori riuscirono a fare studiare questo figliuolo, che aveva rivelato una intelligenza superiore e un carattere straordinariamente fiero e risoluto. Compiuti gli studi nella scuola normale di Forlimpopoli, Benito Mussolini fu per breve tempo insegnante; poi, nella Svizzera, conobbe le fatiche, le privazioni degli emigranti italiani. E certo fin d'allora egli pensò una Patria capace di assicurare la dignità e il pane a tutti i suoi figli; fin d'allora sentì la necessità di una giustizia sociale, per cui a ogni uomo fosse riconosciuto, attraverso il lavoro, il diritto all'esistenza civile.

Mussolini combattè per i lavoratori, fu giornalista e organizzatore di masse lavoratrici. Nel Trentino, con Cesare Battisti, rivendicò l'italianità di quelle popolazioni e l'Austria degli Asburgo lo carcerò, lo espulse. L'idea, la convinzione profonda che la vita sia un combattimento, fu la costante ispiratrice dei pensieri e delle azioni di questo Italiano insofferente delle cose meschine, ribelle ai destini mediocri. Il sacro fuoco dell'amore di Patria ardeva nel profondo del suo cuore; ma la Patria com'egli la concepiva, era ben diversa dalla piccola Italia timida davanti allo straniero, debole, disunita, che non ricordava più la gloriosa discendenza imperiale romana, l'impeto eroico del Risorgimento, e invece di dare il lavoro e l'onore a tutti gli Italiani, tanti e tanti ne mandava oltre i monti e oltre i mari in cerca di pane, esposti a ogni umiliazione, a ogni prepotenza.

Scoppiata la guerra europea, Mussolini comprese esser giunta l'ora della riscossa per il popolo italiano, ed ecco perché egli, aspramente rimproverando al socialismo di predicare la viltà, volle che l'Italia sorgesse in armi.

La fondazione dei Fasci.

Il Duce era sicuro che l'Italia aveva davanti a sé un avvenire di potenza e di gloria. Forte di questa fede, e perfetto conoscitore dell'anima nazionale, il suo genio vide distintamente la via della salvezza.

Il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano, in Piazza San Sepolcro, i Fasci Italiani di combattimento, col programma di lottare per la rivendicazione della vittoria calpestata dai sovversivi — e dagli stessi governanti privi di idealità e di capacità. I Fasci sorgevano per opporsi alla tracotanza straniera, che, oltre a negare i nostri sacri diritti, disconosceva i meriti, i sacrifici del popolo italiano ingiuriando gli eroici soldati dell'Isonzo, delle Alpi, del Piave; e per ristabilire l'ordine nel Paese e condurlo al benessere, col lavoro e con la giustizia.

I primi fascisti erano pochi, ma il fascino del Duce li spingeva ad affrontare qualunque cimento. Molti, invece, i nemici da combattere: non si trattava soltanto delle masse traviate dalla propaganda sovversiva; scetticismo e inerzia avevano portato tutta una parte della popolazione a dubitare del domani della Patria, i vecchi partiti, che si chiamavano liberali e democratici, non sapevano far altro che inchinarsi ai sovversivi o tentare di accordarsi con essi, un nuovo partito — il " partito popolare " — sorto sotto la bandiera della religione, faceva invece a gara con i socialisti e i comunisti per usurpare la rappresentanza del popolo. All'impeto dei Fasci di Combattimento si opponeva, per giunta, tutto un sistema di governo che, incapace di far rispettare le leggi, andava avanti senza mèta, a forza di rinunzie e di vergognosi espedienti.

Lo Squadrismo.

L'odio fra le classi sociali era aizzato da una perversa propaganda, i continui scioperi impoverivano il Paese, nessuna autorità era più riconosciuta, i reduci della guerra, i gloriosi mutilati venivano aggrediti e vilipesi: il compito di capovolgere questo stato di cose sarebbe parso inattuabile a chiunque non avesse avuto la forza d'animo, la eroica volontà di Mussolini.

Egli seppe infondere nei suoi seguaci queste potenze dello spirito, e fin da principio i Fascisti affrontarono gli avversari senza contarli.

Siccome, in tutta Italia, v'erano cuori generosi e fedeli alla Patria che aspettavano un Capo e un appello per gettarsi nella lotta, subito furono costituiti Fasci di Combattimento in parecchie località, e per tenere testa ai sovversivi, che non esitavano a macchiarsi dei peggiori delitti, i singoli Fasci formarono Squadre d'azione, che, con assoluto disprezzo del pericolo, attaccarono le bande dei traditori, dei rinnegati, dei delinquenti, distrussero i loro covi, difesero la popolazione contro le loro prepotenze, portarono nell'intero Paese l'esempio e il fremito di una audacia rivoluzionaria.

Dinanzi a questa meravigliosa fioritura di energie, le masse popolari cominciarono a riscuotersi. Il numero dei Fascisti aumentò rapidamente e la voce del Duce che proclamava: " Noi difendiamo la Nazione, il popolo nel suo complesso, vogliamo la fortuna morale e materiale del popolo ", trovò nell'Italia un'eco sempre più vasta e profonda.

L'esempio delle Squadre d'Azione era tanto più trascinante, perché gli Squadristi sapevano morire ! Morivano col nome del Duce e della Patria sulle labbra, negli scontri, negli agguati. A questa lezione di eroismo, i sovversivi non sapevano contrapporre che il più bieco livore, l'imboscata, una orrenda criminalità: ma erano giudicati dalle loro stesse azioni, e i lavoratori che essi pretendevano di rappresentare e di guidare cominciarono ben presto a ribellarsi al loro esoso giogo, sicché nel 1921 sorsero i primi Sindacati Fascisti.

Nel novembre del medesimo anno, i Fasci Italiani di Combattimento costituirono il Partito Nazionale Fascista, che il Duce portò alla conquista del potere, per liberare definitivamente l'Italia dal malgoverno e darle una nuova vita, degna della sua storia; una vita veramente romana e imperiale.

La Marcia su Roma.

Al principio dell'ottobre 1922 il Fascismo era ormai la sola forza che dominasse la Nazione, mentre i vecchi partiti cadevano in sfacelo e il governo non rappresentava più che un passato condannato a scomparire.

Nella realtà d'ogni giorno, la forza del Fascismo si sostituiva alla debolezza dello Stato, perché la vita della Nazione continuasse. Nell'estate, un miserabile tentativo dell'antifascismo coalizzato di sommuovere il Paese — il cosiddetto " sciopero legalitario " — fu stroncato dall'energia fascista. In uno storico discorso pronunciato a Udine il 20 settembre, Benito Mussolini aveva proclamato la meta a cui il Fascismo tendeva: Roma!; la conquista di Roma, per restituire alla eterna Città il suo destino d'impero. Poi, nell'ottobre stesso, vi fu il congresso nazionale del Partito a Napoli. Lì il Duce denunciò i meschini tentativi dell'ultim'ora per fermare il Fascismo con offerte di partecipazione al governo. Era troppo tardi, e il Fascismo era pronto ad assumere la responsabilità piena e intera di governare l'Italia. Il Congresso si sciolse in una atmosfera già rivoluzionaria.

Con rapidità fulminea, il Duce ordinò la mobilitazione del Partito. Un Quadrunvirato — composto da Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon — stabilì a Perugia il quartier generale dell'insurrezione armata. Il Duce stesso dettò un proclama, che fu firmato dai Quadrunviri e dal quale togliamo il brano seguente:

" Saremo generosi con gli avversari inermi, saremo inesorabili con gli altri. Il Fascismo snuda la sua spada lucente per tagliare i troppi nodi di Gordio che irretiscono e intristiscono la vita italiana. Chiamiamo Iddio sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila morti a testimoni che un solo impulso ci spinge, una sola volontà ci accoglie, una passione sola ci infiamma: contribuire alla salvezza e alla grandezza della Patria.

" Fascisti di tutta Italia ! Tendete romanamente gli spiriti e le forze. Bisogna vincere. Vinceremo. Viva l'Italia! Viva il Fascismo! ".

Nelle provincie le Squadre d'Azione, con audaci colpi di mano, s'impadronirono dei più importanti uffici pubblici; quattro colonne di fascisti — uomini d'ogni età, adolescenti e anziani, e di ogni ceto, perché fu movimento di popolo, slancio di razza — marciarono su Roma, pronti a tutto, decisi a vincere.

Ma — quantunque altri camerati cadessero in quella vigilia — non fu necessario combattere, perché la saggezza del Re, Primo Soldato d'Italia, evitò un conflitto doloroso, che d'altronde non avrebbe potuto impedire il compiersi dell'evento. Mentre le Camicie Nere giungevano alle porte della Capitale, il Sovrano chiamò a Roma il Duce del Fascismo per affidargli il governo del Paese.

Le colonne fasciste, entrate nella Città Eterna, sfilarono dinanzi al Re sul colle del Quirinale, quindi si sciolsero, in obbedienza al secondo proclama del Quadrunvirato, — proclama dettato dal Duce — che così concludeva:

" Fascisti ! Il quadrunvirato supremo d'azione, rimettendo i suoi poteri alla Direzione del Partito, vi ringrazia per la magnifica prova di disciplina e vi saluta. Voi avete bene meritato dell'avvenire della Patria. Smobilitate con lo stesso ordine perfetto con il quale vi siete raccolti per il grande cimento, destinato — lo crediamo certamente — ad aprire una nuova epoca nella storia italiana. Tornate alle consuete opere poiché l'Italia ha bisogno ora di lavorare tranquillamente per attingere le sue maggiori fortune. Nulla venga a turbare l'ordine potente della Vittoria che abbiamo riportato in queste giornate di superba passione e di sovrana grandezza. Viva l'Italia! Viva il Fascismo! ".

La Rivoluzione incessante.

Con la ferrea mano sul timone dello Stato, col suo genio proteso verso mete meravigliose, il Duce impose a tutti una consegna: L'opera nostra comincia oggi. Abbiamo demolito, bisogna costruire. Egli non volle la vendetta di tutte le male azioni commesse dal vecchio regime, di tutto il sangue offerto dal Fascismo sulla via della vittoria; fu generoso con gli avversari, chiese una sola cosa, indistintamente agli Italiani: lavorare per la Patria.

La Rivoluzione Fascista doveva costruire l'Italia nuova, l'Italia imperiale, sulle rovine dei partiti, dello Stato liberale e democratico, e si accinse con altissimo spirito alla gigantesca fatica. Non mancarono gli ostacoli: coloro stessi sui quali si era stesa la generosa bontà del Fascismo trionfante, credettero di poter giocare il solito gioco delle insidie e dei tradimenti; i residui dei vecchi partiti si coalizzarono per strappare il potere alla Rivoluzione vittoriosa, ma il 3 gennaio 1925 il Duce annunciò che era suonata l'ora di farla finita con le cosiddette " opposizioni ", ossia con quanti, d'ogni risma, pensavano di poter tornare indietro, per ripiombare l'Italia nella meschinità e nel caos. Poco occorse per liquidare l'odioso tentativo, al quale era rimasta estranea la massa del popolo, già afferrato ed esaltato, nelle sue migliori virtù, dall'idea fascista.

Più gravi assai furono le difficoltà derivanti dalla decadenza dello Stato e dal disordine della vita italiana nel suo complesso. La guerra aveva lasciato un enorme peso finanziario, i servizi pubblici richiedevano una completa riorganizzazione, occorreva assicurare lavoro a tutti i lavoratori, regolare i rapporti con l'estero, risolvere urgenti questioni coloniali, restituire all'Italia una forza armata, per poi marciare risolutamente sui grandi obiettivi rivoluzionari.

Il Duce non perse tempo, fu infaticabile, supplì a tutti, provvide a tutto, la sua giornata di lavoro fu un mirabile esempio. Il 13 gennaio 1923 egli aveva istituito il Gran Consiglio del Fascismo e il i febbraio 1923 aveva fondato la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, sicché, fin dal suo primo anno, il Regime ebbe l'organo supremo costituzionale che coordina e integra tutte le sue attività, ed ebbe una guardia armata pronta ad eseguire qualsiasi consegna.

Andremo ora brevemente ricordando le tappe, le opere del Regime — che è la stessa Rivoluzione Fascista, fondatrice del nuovo Stato e della potenza italiana — ma possiamo dire subito che questo Regime, creato dal Duce per inquadrare il popolo intero, ha compiuto senza soste un lavoro immenso.

Di questo lavoro noi vediamo i frutti e i risultati: città che si rinnovano e nuove città che sorgono, terre bonificate, strade, acquedotti, canali, porti, centri di produzione d'ogni genere, un esercito che non teme confronti, una marina, un'aviazione ammirate e temute.

L'unità morale degli Italiani.

Soprattutto, il Regime ha dato al popolo un'anima fiera e audace e lo ha educato secondo il carattere nazionale; ha istituito una disciplina in cui tutti gli Italiani diventano camerati, ha gettato, col sistema corporativo, i pilastri di una nuova umanità organizzata sul diritto del lavoro, e, riprendendo le vie di Roma antica, imperitura nello spirito e nel destino, ha fondato un Impero.

Nel succedersi degli anni dell'Era Fascista, la demolizione di ciò che, nella vecchia Italia, era inutile, superato, dannoso, e la ricostruzione di un'Italia moderna, attiva, volitiva, hanno proceduto di pari passo. Il primo compito che il Fascismo aveva davanti a sé non consisteva soltanto nel riorganizzare lo Stato; la Rivoluzione Fascista doveva realizzare l'unità morale della Nazione, divisa e discorde da troppo tempo entro i suoi confini geografici e i suoi vacillanti ordinamenti politici.

Da quando, nel periodo del Risorgimento, Massimo d'Azeglio aveva esclamato: L'Italia è fatta, bisogna fare gli Italiani, molte volte questa frase era stata ripetuta da educatori, da filosofi, da uomini politici, ma intanto le lotte fra i partiti, e le gare degli interessi tendevano a disunire sempre più il nostro popolo. La lotta di classe aveva seminato l'odio sui campi del lavoro sacri alla concordia; e soltanto il Fascismo saprà sostituire all'odio la cooperazione e l'armonia, mediante il Corporativismo. Il regionalismo e il campanilismo, alimentati dalle solite beghe elettorali, facevano dimenticare a troppi Italiani la grandezza, la gloria della Patria comune. Perfino quel meraviglioso legame della vittoria nella grande guerra europea 1914-18, che avrebbe dovuto stringere senza distinzione gli Italiani in una medesima fierezza, si scioglieva nel perverso disegno sovversivo di spregiare il valore e l'eroismo, nelle polemiche settarie, nelle recriminazioni, nelle rampogne. Altro motivo di discordia fra Italiani proveniva dall'ostilità fra la Chiesa e lo Stato.

Ma anche questo contrasto, che pareva insolubile dacché Roma era diventata, con la caduta del potere temporale dei Papi (20 settembre 1870) capitale del Regno d'Italia, trovò in Benito Mussolini colui che l'avrebbe risolto.

Dobbiamo mettere la Conciliazione fra i massimi eventi della storia italiana, e ascriverlo fra i più alti meriti della Rivoluzione Fascista. Restituita e riconosciuta al Papa la sovranità sulla Città del Vaticano, e riconosciuta a sua volta dal Pontefice la sovranità del Regno d'Italia con Roma capitale, la coscienza cattolica del Paese fu soddisfatta, mentre ovunque la religione dei nostri padri tornava in onore, e il Concordato concluso fra lo Stato Fascista e la Santa Sede regolava i rapporti fra questi due poteri, separati nei rispettivi campi di azione, ma cooperanti al bene di tutti.

Avvenuta la Conciliazione, la disciplina fascista unanimemente accettata, la fierezza d'ogni cittadino di partecipare alla vita dello Stato e di essere un produttore in quella immensa azienda che è la Nazione, resero effettiva e granitica l'unità italiana, sotto i segni del Littorio, dopo secoli di lotte.

In altre parole, l'unità morale del popolo italiano è stata raggiunta dal Fascismo col dare a questo popolo il culto della Patria, che è territorio, razza, fede, costumi, destino. La Patria — aveva detto il Duce — non si nega, si conquista. Un tempo le masse lavoratrici avevano potuto credere che la Patria rappresentasse il privilegio e il dominio dei ricchi e dei potenti; il Fascismo, invece, dimostrò che la Patria è di tutti coloro che lavorano a farla sempre più grande.

Il Duce aveva anche detto: " I lavoratori debbono amare la Patria. Come amate vostra madre, dovete, con la stessa purezza di sentimenti, amare la madre comune: la Patria nostra. Bisogna lavorare a produrre. Lavorando e producendo voi dimostrerete il vostro amore più tenero per la Patria e contribuirete a ricostruire la ricchezza nazionale ". Seguendo il Duce, il popolo italiano — questo popolo di produttori e di combattenti — ha conquistato la Patria, non è più diviso, ha davanti a sé una via sicura, sulla quale marcia compatto verso l'avvenire.

Dal Discorso del 18 marzo 1934-XII.

L'Italia ha il privilegio di essere la Nazione più nettamente individuata dal punto di vista geografico. La più completamente omogenea dal punto di vista etnico, linguistico, morale. L'unità religiosa è una delle grandi forze di un popolo. Comprometterla od anche soltanto incrinarla è commettere un delitto di lesa Nazione.

Mussolini

Le leggi del Fascismo.

Per cementare questa unità, naturalmente occorrevano nuove leggi. La legislazione fascista è un monumento elevato dallo spirito di giustizia, dalla saggezza e dal senso di realtà del Regime. Molte di queste leggi si riferiscono all'ordinamento politico-amministrativo dello Stato, di cui vedremo, in appositi capitoli, i capisaldi e i principali istituti. Altre leggi hanno rifatto l'organismo giudiziario del nostro Paese. I nuovi codici fascisti sono quanto di più progredito esista al mondo per stabilire i diritti e i doveri dei cittadini. Le nostre leggi sulla razza, sulla famiglia, sul lavoro, sull'assistenza sociale indicano ai popoli civili le vie dell'equità e del progresso. Le leggi che hanno riformato la costituzione dello Stato, e quelle che regolano l'ordinamento corporativo manifestano la perenne potenza rinnovatrice dello spirito italiano.

L'Italia fascista, orgogliosa di essere l'erede di Roma che dette al mondo, col diritto romano, una norma di giustizia che tutt'oggi è sostegno della nostra civiltà, ha saputo riprendere questa luminosa tradizione. Gli ordinamenti legislativi e giudiziari italiani sono perciò oggetto di studio, e spesso di imitazione, negli altri Paesi del mondo.

Fra le principali leggi fasciste rammentiamo — per limitarci a quelle che hanno mutato il vecchio Statuto del Regno, trasformando i rapporti fra i cittadini e lo Stato, con più vasta e profonda influenza nella vita nazionale — : la legge sul Gran Consiglio del Fascismo, la legge sulle associazioni segrete, la legge sui poteri del Capo del Governo e le attribuzioni del potere esecutivo, tutte le leggi sul lavoro che costituiscono il nucleo giuridico dello Stato corporativo; la legge sulla bonifica integrale, le leggi sulla razza, la legge costitutiva della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Per avere un'idea sommaria della importanza di queste leggi, basti pensare che, con esse, lo Stato Fascista ha affermato e garantito la sua autorità su tutti i cittadini, ha liquidato il sovversivismo, la massoneria, il parlamentarismo, tarli roditori della civiltà moderna; ha fatto di quel grande potere moderno che è la stampa — già diventata fra noi ciò che è tuttora nei Paesi cosiddetti democratici: strumento di discordia, spesso a servizio di tristi interessi privati — un disciplinato fedelissimo organo della Nazione, fiero di servire la causa fascista; ha portato il popolo italiano dalla lotta di classe che divide e rovina, alla collaborazione fra le classi che è unità e vita; ha messo in valore il suolo della Patria, ha difeso la stirpe contro ogni pericolo di inquinamento e di decadenza spirituale e fisica.

Noi possiamo dire che senza queste provvide leggi — in cui rivive e si rinnova l'antica sapienza giuridica italiana — l'Italia non sarebbe mai giunta alla sua completa unità, all'ordine, alla potenza e all'Impero.

La politica sociale.

Alcune fra le principali leggi fasciste riguardano la politica sociale del Regime, basata sulla volontà di assicurare al popolo italiano non solo il lavoro e la sicurezza, ma anche la salute fisica, il benessere materiale, e, al disopra di tutti questi beni essenziali della vita, il progresso morale e intellettuale.

Per quello che si riferisce al lavoro, vedremo, parlando all'ordinamento corporativo, l'opera immensa, veramente rivoluzionaria compiuta dal Fascismo; ma ora dobbiamo accennare alle principali provvidenze fasciste per il popolo, considerato come un grande esercito di produttori, che forma lo Stato e lo alimenta di sempre nuova energia.

Siccome il principio della potenza è il numero, il Fascismo vuole che il popolo italiano si accresca, che nascano molti italiani nuovi, e perciò tutela la famiglia e il matrimonio, protegge le madri e i fanciulli, aiuta e premia le famiglie numerose (politica demografica). Per assistere le madri bisognose e i loro bambini è stata creata, appunto, l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, che salva alla Patria tante e tante creature, dando al bambino italiano il primo aiuto, perché cresca forte e lieto.

Ma la potenza non consiste soltanto nel numero. La Russia sovietica ha 180 milioni di abitanti eppure non è potente. La potenza è numero e qualità. Il Fascismo vuole che il popolo italiano sia numeroso, ma vuole, insieme, che sia sano di mente e di corpo. Perciò questo popolo, fino dall'età infantile, è protetto dal Regime con altre istituzioni, fra le quali basterà ricordare le colonie climatiche, nidi di gioia donde i fanciulli tornano vivificati alle loro case.

Poi, la scuola e la G. I. L. continuano, con l'educazione morale, intellettuale e fisica, la formazione dell'Italiano nuovo, portandolo all'età in cui egli diventa un lavoratore e un soldato.

L'assistenza sociale fascista segue l'Italiano e lo sostiene lungo tutto il cammino dell'esistenza. L'impulso dato dal Regime a questa assistenza, nella quale si esprime la più alta solidarietà nazionale, ha portato l'Italia alla testa di tutti i Paesi civili, compresi quelli — cosiddetti democratici — che vorrebbero arrogarsi il monopolio dell'amore verso il popolo, che invece, troppo spesso, è lusingato e illuso. Appositi istituti creati, sviluppati dal Fascismo, difendono il lavoratore italiano contro le tristi vicende, che si chiamano malattie, infortuni, disoccupazione, invalidità, e gli assicurano il pane nella vecchiaia. L'Istituto Nazionale Fascista della previdenza sociale e l'Istituto Nazionale Fascista per gli infortuni sul lavoro sono fra i più potenti del mondo. Il Patronato Nazionale assiste i lavoratori nelle pratiche per la liquidazione delle indennità e delle pensioni.

Lo spirito di previdenza è spronato e incoraggiato con moltissime facilitazioni, e citeremo, come esempio, la Polizza XXI Aprile, amministrata dall'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, che permette a tutti i lavoratori, col pagamento di minime quote mensili o settimanali, di costituirsi un peculio.

Altro, grandioso istituto di assistenza sociale che onora l'Italia Fascista, è l'Opera Nazionale Dopolavoro, che oggi conta circa quattro milioni di iscritti, appartenenti a tutte le categorie del popolo italiano, ed ha lo scopo di promuovere il sano e proficuo impiego delle ore libere dei lavoratori intellettuali e manuali, con istituzioni e iniziative dirette a sviluppare le loro capacità morali, fisiche, intellettuali. Il Dopolavoro diffonde la cultura e specialmente la istruzione professionale, cura l'educazione fisica degli adulti mediante i diporti, l'escursionismo, i giuochi popolari; stimola e incoraggia le attitudini artistiche innate nell'Italiano, apre largamente alle masse, con i Carri di Tespi, il teatro lirico e drammatico, coopera alla diffusione dell'igiene, favorisce le piccole industrie domestiche, offre agli iscritti le più svariate ricreazioni e facilitazioni, perché viaggino in comitiva, frequentino gli spettacoli ecc.

Questi non sono che alcuni aspetti della politica sociale del Fascismo, che culmina nella creazione mirabile del corporativismo e nella difesa della razza, che si manifesta anche nella lotta contro le malattie sociali e che, come vedremo parlando della rinascita agricola, si oppone all'esagerato urbanesimo, determina il ritorno alla terra, sostituisce all'emigrazione fuori dei confini della Patria le migrazioni interne e la colonizzazione nella Libia e nell'Impero, costituendo una testimonianza di verace amore del Regime per il popolo e di sicura coscienza della missione dello Stato.

Opere fasciste.

Pare un miracolo che, in breve tempo, abbia potuto il Fascismo condurre la Nazione a simili progressi, che sarebbero stati impossibili nel vecchio regime; eppure l'azione fascista ha segnato tante altre tappe e raggiunto tante altre mete.

L'Italia, quando fu conquistata dal Fascismo, versava in tristi condizioni economiche, la nostra moneta perdeva il suo valore, i commerci languivano, le industrie decadevano e la stessa agricoltura, forza prima della Patria italiana, era in una situazione di grave disagio.

Per ordine del Duce, furono abolite spese superflue, gli uffici e i servizi pubblici ricominciarono a funzionare, i bilanci dello Stato vennero risanati, il commercio rifiorì e la produzione industriale riprese. Tutto questo fu dovuto alle buone leggi, alla severa vigilanza e all'esecuzione di vasti programmi di opere pubbliche, che moltipllcarono le forze dell'economia nazionale.

Fra i maggiori problemi risolti ricordiamo quello delle comunicazioni. La rete ferroviaria gestita dallo Stato, supera oggi i 17.000 chilometri di linee. Alcune fra le principali linee, oltre alle secondarie, sono state elettrificate, riducendo il consumo del carbone, che prima veniva comprato all'estero. Nell'Anno XVIII dell'Era Fascista la lunghezza delle linee elettrificate supera i 5000 chilometri, e il lavoro per sostituire la elettricità al vapore sulle ferrovie continua: l'elettrificazione dovrà estendersi a una rete di 9000 chilometri. Il materiale ferroviario è stato, in gran parte, rinnovato, i binari sono stati raddoppiati per migliaia di chilometri, la velocità media dei treni è grandemente aumentata, e le ferrovie italiane sono oggi fra le più veloci del mondo, quantunque abbiano, in gran parte, percorsi difficili su territorio montuoso. Ai treni ordinari — fra i quali ricordiamo i " rapidi " — si sono aggiunti gli elettrotreni e le velocissime littorine, azionate da motori a combustione interna. Bisogna d'altra parte rilevare che, relativamente al costo generale della vita, e al confronto delle tariffe in vigore sulle ferrovie straniere, le tariffe ferroviarie italiane sono molto moderate. Inoltre vengono concessi biglietti a prezzo ridotto per ogni genere di manifestazioni, in tante località; gli sposi in viaggio di nozze possono andare dal loro paese a Roma e effettuare il ritorno, colla riduzione dell'80 per cento. Nella stagione estiva i treni popolari trasportano a prezzo bassissimo, per ogni dove, centinaia di migliaia di gitanti. Impulso non minore delle ferrovie hanno avuto le strade ordinarie. L'Azienda Autonoma della Strada, costituita nel 1928, ha dato all'Italia una fra le più belle reti stradali del mondo. Nel tempo fascista, il percorso delle strade statali è quasi raddoppiato, e si avvicina ai 22.000 chilometri. Molte strade sono state migliorate, o addirittura rifatte per consentire un traffico sempre più celere e intenso. Le nostre bellissime arterie asfaltate, alberate sono una gioia per gli occhi e dicono che il Fascismo ha ripreso la tradizione romana di aprire con nuove vie gli sviluppi della vita civile. Molte di queste nostre strade sono arditi capolavori di ingegneria e hanno un ineguagliabile valore turistico, svelando bellezze naturali che affascinano. Esse legano tutte le provincie d'Italia, allacciano i centri della produzione., tolgono all'isolamento le campagne, e il Fascismo continua a svilupparle, a migliorarle, a mantenerle. In più, vengono costruite splendide autostrade, riservate al traffico automobilistico leggero (es. Roma-Lido, Napoli-Pompei, Firenze-Mare, Milano-Laghi, ecc.) e vengono aperte comunicazioni di straordinario interesse commerciale, come la camionale che va da Genova a Serravalle Scrivia, unendo direttamente al mare le zone più produttive del Piemonte e della Lombardia. Anche i secolari problemi della navigazione fluviale, riguardanti principalmente la Valle Padana, vengono finalmente avviati a una soluzione feconda di benefici economici, mediante opere che, mentre onorano la tecnica idraulica italiana, che ha il suo glorioso precursore in Leonardo da Vinci, diventano altrettante fonti di benessere.

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Allo sviluppo delle comunicazioni interne ha corrisposto quello delle comunicazioni marittime. "II destino dell'Italia è stato e sarà sempre sul mare " ammoniva il Duce. Vedremo quello che ha fatto il Fascismo per affermare la potenza marinara italiana. Ora ci basti rammentare brevemente la resurrezione della nostra marina mercantile, che aveva perduto tante navi nella guerra mondiale e si trovò, nell'immediato dopoguerra, con unità in gran parte antiquate, di scarso valore, inadatte ai nostri speciali bisogni. Restava però la vecchia, incomparabile virtù della nostra gente di mare, che ha dato al mondo i più grandi navigatori; restavano i nostri cantieri, celebri per le massime creazioni dell'arte navale, e non appena il Fascismo prese nel pugno le sorti del Paese, la marina mercantile, come quella da guerra, rapidamente si risollevò e poté gareggiare con le marine straniere, conquistando invidiatissimi primati nel Mediterraneo, sulle rotte delle Americhe e dell'Oriente vicino e lontano. Dagli scali dell'Adriatico e del Tirreno scesero in mare le nuove navi, adatte ai vari tipi di traffico — le motonavi, i giganteschi piroscafi da passeggeri i cui nomi sono noti e ammirati in ogni Paese: il Rex, il Conte di Savoia, l'Augustus, il Roma, il Conte Verde, il Conte Biancamano, il Conte Grande, il Saturnia, il Vulcania, il Neptunia, l'Oceania, il Victoria, tanti altri — e presto varie marine straniere ricorsero ai cantieri italiani per far costruire navi da commercio e da guerra, tanto fu palese l'assoluta superiorità della tecnica navale italiana, mentre il grande turismo estero dette la sua entusiastica preferenza, per i viaggi attraverso gli oceani, alle navi vigilate dalla bandiera tricolore.

Alla riconquista delle vie del mare andò unita la conquista delle vie del cielo. Avremo modo di vedere il superbo sviluppo delle forze aeree fasciste; qui accenniamo soltanto alla creazione, dovuta al Fascismo, di una aviazione civile italiana, con una fitta rete di linee interne e internazionali, rinomate per celerità, comodità, sicurezza. Oltre ai servizi fra varie città' d'Italia, abbiamo linee regolari con molti grandi centri europei; il Mediterraneo è solcato in tutti i sensi dai nostri apparecchi, che trasportano regolarmente passeggeri, posta, merci; i servizi per l'Impero funzionano in modo ammirevole e la linea italiana fra Roma e Rio de Janeiro, attraverso l'Atlantico, rappresenta una nuova vittoria dell'aeronautica nazionale.

Possiamo concludere questo rapido cenno allo sviluppo delle comunicazioni dovuto al Fascismo, ricordando il progresso dei servizi postali, telegrafici, cablogràfici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici. Oggi possediamo, sul territorio metropolitano, nelle colonie, nell'Impero, stazioni radiotelegrafiche ultrapotenti, esercitiamo lunghissime linee telegrafiche sottomarine, l'Ente Italiano audizioni radiofoniche (E. I. A. R.) gode di una estesissima popolarità, impianti perfetti consentono di sbrigare con assoluta sicurezza, rapidamente, il complesso servizio postale, mentre il telegrafo e il telefono raggiungono ogni più lontano villaggio d'Italia, facendo ovunque correre, vibrare la modernità, il fervore della nostra vita rinnovata.

Ricordiamo con riverenza che, per molti anni, anima di questo sviluppo delle comunicazioni italiane fu Costanzo Ciano, l'eroe di Cortellazzo, devotissimo collaboratore del Duce e campione di fede, di energia fascista.

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Con l'enorme mole delle sue opere pubbliche, il Regime, oltre a dar lavoro a grandi masse di popolo che altrimenti avrebbero conosciuto le miserie morali e materiali della disoccupazione, ha fatto salire l'Italia, in pochi anni, a superbi livelli di progresso civile. A parte i lavori ferroviari, stradali, navali di cui abbiamo parlato e di quelli agricoli di cui parleremo, va ricordato in modo speciale ciò che il Fascismo ha fatto per l'edilizia, e specialmente per l'edilizia popolare. Le nostre belle città non corrispondevano più alla accresciuta popolazione, in troppe case non entrava il sole, troppe famiglie vivevano ammucchiate in ambienti malsani; l'operaio, l'impiegato, il modesto professionista incontravano crescenti difficoltà nel procurarsi un alloggio adatto ed economico. Ma ecco che entra in funzione il piccone fascista: le città vengono trasformate, risanate, abbellite, le demolizioni mettono in luce bellezze d'arte e di natura, mentre disperdono i focolai delle malattie, aprono il varco alla salute e permettono di ricostruire, su aree bene scelte, edifizi monumentali e edifizi di pratica utilità. Viene restituito il decoro agli uffici pubblici e vengono edificate le abitazioni per i lavoratori intellettuali e manuali.

Non c'è oggi Italiano, si può dire, che non abbia veduto coi propri occhi la Roma mussoliniana, che dispiega le sue grandiose prospettive e organizza la sua vita moderna attorno alle sacre testimonianze imperiali, restituite all'ammirazione universale. Come Roma, tante altre città d'Italia si rinnovano, pur conservando i loro caratteri, determinati dall'ambiente naturale, dalle vicende storiche e dall'arte. Sorgono ovunque, o sono ripristinati, i palazzi dei pubblici poteri, le sedi dei Fasci. Le scuole, le caserme, le palestre, gli stadii, accolgono la gioventù fascista per i suoi arditi addestramenti; interi quartieri nuovi nascono alla periferia, modeste famiglie hanno un nido accoglievole, un lieto focolare.

Né sono trascurate le campagne, perché alla bonifica integrale della terra fa riscontro il progresso edilizio nei villaggi, il graduale rinnovamento delle case coloniche. Ma l'edilizia moderna non consiste nel solo problema delle abitazioni: per migliorare la vita, per assicurare l'igiene, per fornire nuove forze all'agricoltura, e all'industria, il Fascismo ha costruito e compiuto bacini idraulici, che producono immani quantità di energia elettrica, e linee per trasportarla, acquedotti, fognature, con la spesa di molte centinaia di milioni; e altre ingentissime somme sono state impiegate per scavare canali, sistemare laghi e fiumi, ingrandire e attrezzare porti.

Sì, l'Italia è tutta un cantiere. Ricordatevi però che non basta essere fieri di vivere in Italia. Bisogna vivere in Italia da Italiani; non limitarsi ad ammirare la fede, la volontà, il lavoro altrui, ma ambire di parteciparvi con tutto l'impegno e l'entusiasmo, di assumere il proprio posto — secondo le attitudini e le inclinazioni — in questo cantiere ove tutto un popolo, comandato dal Duce, rafforza ogni giorno ed espande la potenza imperiale di Roma.

Dal Discorso del 21 aprile 1924-II.

Sino dai giorni della mia lontana giovinezza, Roma era immensa nel mio spirito che si affacciava alla vita, e dell'amore di Roma ho sognato e sofferto e di Roma ho sentito tutte le nostalgie. Roma ! e la semplice parola aveva un rimbombo di tuono nella mia anima. Più tardi, quando potei peregrinare tra le viventi reliquie del Foro e lungo la Via Appia o presso i grandi templi, sovente mi accadde di meditare sul mistero di Roma, sul mistero della continuità di Roma. Mistero è l'origine. La cosiddetta critica storica può industriarsi a sfrondare la leggenda, ma sempre una zona d'ombra rimane, dove la leggenda — insostituibile dal freddo e spesso assurdo ragionamento — torna superbamente a fiorire. La critica non può dirci per quali doti segrete, o per quale disegno di una intelligenza suprema, un piccolo popolo di contadini e di pastori potè grado a grado assurgere a potenza imperiale e tramutare, nel corso di pochi secoli, l'oscuro villaggio di capanne sulle rive del Tevere in una città gigantesca che contava i suoi cittadini a milioni e dominava il mondo con le sue leggi.

Altro elemento di mistero, nella storia di Roma, la tragedia di Cristo, che a Roma trova la sua consacrazione, nuovamente universale e imperiale. Crolla l'Impero, i barbari valicano le Alpi, passano e ripassano lungo la penisola devastandola. Roma ridiventa un villaggio di appena diciassettemila anime che si aggrappano disperatamente ai ruderi, che tengono vivo il nome, poiché il nome di Roma è immortale: la nave che fu lanciata " vèr l'imperio del mondo ", emerse ancora sui flutti delle età oscure, attendendo le luminose ore che verranno: ecco Dante e la Rinascenza, ecco Roma giganteggiare ancora e sempre nello spirito dei popoli.

L'Italia è ancora per secoli divisa, ma Roma è la Capitale predestinata: è l'unica città d'Italia e del mondo che abbia una storia universale.

Nel Risorgimento si grida: " Roma o Morte " ! È il grido che sale dalle profondità della stirpe, che in Roma e solo in Roma si riconosce: è il grido che sarà ripreso, dopo Vittorio Veneto, dalle generazioni delle trincee, che spezzano definitivamente ogni inciampo, disperdono ogni equivoco, frantumano i residui orgogli di un localismo, retaggio di età ingrate, e innalzano a Roma un altare splendente nel cuore di tutto un popolo e del Natale di Roma fanno il Natale della Nazione, che lavora e cammina.

Mussolini

L'arte è per noi un bisogno primordiale ed essenziale della vita, è la stessa umanità nostra, lo stesso nostro passato incancellabile.

L'arte, insieme col diritto, ha segnato col suo sigillo l'espansione unificatrice del mondo latino. In Roma, e dovunque Roma arriva nel mondo con le sue legioni e col suo spirito potente, sentiamo di trovarci dinanzi a una forza di bellezza che non è solo una manifestazione di uno stato dello spirito e della civiltà, ma che ha dentro di sé lo stupendo germe dell'arte italiana, quella che voi, signori, avete consacrata ognuno con le proprie forze e tutti con una passione non estinguibile, se non colla vita.

Per secoli l'arte fu la stessa Patria a traverso le diverse scuole di Firenze, di Venezia, di Ferrara, di Roma, di Bologna, di Napoli, che portavano ancora una volta nel mondo il nome d'Italia.

È l'arte che ha raccolto la leggenda, la storia, il mistero cristiano e li ha rivestiti di bellezza. Divisa l'Italia in Stati minuscoli uno contro l'altro armati, i nostri predecessori le hanno dato grandezza con opere che toccano il divino. Fu nell'arte che gli italiani si sentirono e si ritrovarono fratelli, fu per mezzo dell'arte che la nostra gente dalle molte vite disse la sua parola destinata a rimanere eterna nel mondo dello spirito.

Mussolini

L'agricoltura risorta.

Quando sarà il momento di parlare dell'autarchia, ricorderemo le conquiste dell'industria italiana, che ha vinto e vincerà nei più ardui cimenti. Ora è tempo di parlare dei progressi che il Fascismo — il cui Duce si vanta d'essere stirpe di contadini — ha fatto compiere all'agricoltura.

La vecchia terra italica, cantata madre di messi dai poeti d'ogni tempo, attendeva l'aratro fascista per ricuperare l'antica feracità.

Il Fascismo proclama sommo onore il lavoro dei campi e promuove il ritorno alla terra, perché l'attrazione della vita in città — con la lusinga spesso menzognera di un maggior guadagno, di agi, di svaghi — non sottragga braccia all'agricoltura. Il Fascismo ha bandito la battaglia del grano per assicurare il pane al popolo, anche se un qualunque straniero nemico tentasse di affamarci: ogni anno, in tutte le provincia vengono solennemente premiati gli agricoltori che si sono distinti in questa sacra battaglia, e il Duce stesso premia, in Roma, i vincitori del concorso nazionale del grano, ossia i produttori che, a parità di superficie coltivata, hanno raccolto maggiore quantità di frumento.

Con la bonifica integrale il Fascismo mette in valore tutto il suolo della Patria. Avevamo troppe paludi, troppe sterili lande che da secoli attendevano la redenzione: oggi il mortifero Agro Pontino è risanato e produce in gran copia cereali, foraggi, barbebietole, frutta; sorgono le nuove città fasciste sulla terra bonificata, i borghi, i villaggi rurali: Littoria, Sabaudia, Aprilia, Fertilia, Pomezia, Mussolinia di Sardegna. E dopo il riscatto dell'Agro Pontino la volontà fascista intraprende la colonizzazione del Tavoliere di Puglia, del latifondo siciliano.

Ovunque, nella nostra Patria, sia terra da sottrarre alla sterilità, lì, sotto i segni del Littorio, è in azione l'aratro, mentre vengono adottati i più moderni sistemi per accrescere il rendimento delle coltivazioni, per avere prodotti in maggiore quantità e di migliore qualità. Contemporaneamente il Regime provvede ai boschi e ai pascoli, per rimediare all'incuria e alla rapina del passato, restituire all'Italia la sua ricchezza boschiva, frenare le alluvioni, ricondurre la vita sulle montagne che andavano spopolandosi. La Milizia forestale, con la sua diuturna abnegazione, è il nerbo di questa battaglia, alla quale spesso contribuiscono la G. I. L. e l'O. N. D., i cui iscritti danno mano, volenterosi, al rimboschimento.

L'esistenza fuori delle città non è più quella di una volta. Nella famiglia dell'agricoltore entra gradatamente il benessere, si diffondono nelle campagne le pratiche igieniche, l'Italia rurale è fiera di sé e del culto di cui le nuove generazioni la circondano. I nostri contadini, già costretti a ramingare per il mondo, a dissodare le altrui terre, lavorano i campi degli avi. Con le migrazioni interne, di cui abbiamo fatto cenno, nuclei di popolazione agricola si spostano da una provincia all'altra d'Italia, trovando la casa, il podere, una larga assistenza. Il Regime, che premia, per mano del Duce, i fedeli alla terra, ossia i capi delle famiglie che per maggior numero di anni sono rimaste contadine, coltivando di generazione in generazione gli stessi campi, vuole che i rurali siano assistiti e godano i doni effettivi della civiltà: con la scuola rurale, con il dopolavoro rurale, con l'allargamento dei servizi pubblici — acqua potabile, telegrafo, telefono, radiofonia — con le facili comunicazioni ferroviarie, tranviarie, automobilistiche, con l'intensità, della vita fascista nel suo complesso, che porta anche le masse agricole a partecipare alle manifestazioni della vita nazionale, il Regime sorregge l'agricoltore, lo avvia al progresso spirituale, sociale, economico e gli fa sentire la gratitudine della Nazione intera.

Dal Discorso del 16 dicembre 1934-XIII.

È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende. E il vomere e la lama sono entrambi di acciaio temprato come la fede dei nostri cuori.

Dal Discorso del 26 ottobre

Ora vi voglio raccontare un fatto. Stasera, quando tornerete alle vostre case, lo racconterete alla vostra moglie, ai vostri bambini, poi ai parenti, poi agli amici perché lo sappiano: dovete dunque sapere che degli individui i quali vanno sempre a frugare fra le vecchie carte, credevano di farmi un grande piacere scoprendo che fra i miei lontani nonni, bisnonni e arcibisnonni ci sarebbero stati dei nobili. Allora io ho detto: finitela ! Tutti i miei nonni, bisnonni, arcibisnonni erano dei lavoratori della terra ! E perché non ci fosse più alcun dubbio al riguardo, ho piantato una lapide sulla casa colonica dalla quale risulta che tutte le generazioni dei Mussolini precedenti la mia hanno sempre lavorato con le loro proprie mani la terra.

Mussolini

Dal Discorso del 27 ottobre 1937-XV .

....soprattutto il contadino deve rimanere fedele alla terra, dev'essere orgoglioso di essere contadino, fiero di lavorare il suo campo, né cercare altrove una vita più facile, perché una vita più facile non esiste. La vita nelle città è più difficile. Tremila anni di storia insegnano che tutti i popoli che hanno abbandonato la terra sono diventati schiavi di altri popoli. I contadini che rimangono fedeli alla terra servono gli interessi del Regime, gli interessi della Nazione, gli interessi del popolo italiano.

Mussolini

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