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Una serata
d'Agosto, a Castelnuovo a Volturno: l'aria 蠤olce, nonostante l'estate
stia gi࠰er rifugiarsi laggi?tro la Montagna. Quella montagna che
ha partorito leggende e miti, come Charles Moulin,
come la pantomima del Cervo, come il Canto della
Montagna Rosa, sceneggiato della RAI che ha riecheggiato atmosfere
antiche e magiche. Castelnuovo a Volturno, una frazione con tanta
vitalitຠ蠲aro trovare nel Molise un simile esempio di fantasia,
genialitଠintraprendenza. Quella sera d'agosto ho visto nascere il
Premio intitolato al "Cervo", una iniziativa dell'Associazione
Culturale "Il Cervo" che mi ha concesso l'onore di essere
il padrino della serata. Una serata che mi 蠲imasta nel
cuore come la cordialitࠤegli amici dell'Associazione; i volti dei
premiati mi sfilano davanti non con la solennitࠤelle cerimonie
sfarzose, ma con il sorriso di chi ha ricevuto un
segno di amicizia. La statuetta del Cervo, plasmata da Michele
Peri, artista dei poveri ricco di umanitଠ蠩l segno di un
legame indissolubile che Castelnuovo vuol creare tra le sue tradizioni, i
suoi riti ed i suoi amici (politici, giornalista, ma anche gente
innamorata dei luoghi), che stanno diventando tanti, perch頴anta 蠬a
suggestione che attira quass? le Mainarde. Ricordo la prima volta che
giunsi fino al "rifugio" di Moulin, a bordo di una Campagnola
della RAI, spintovi dall'entusiasmo dell'amico Pier Luigi Giorgio, il
"cantore" delle meraviglie di questa affascinante montagna, di
questa contrada del Molise che si specchia nei suoi boschi e nel lago
di Castel S. Vincenzo, facendo spaziare lo sguardo dall'Adriatico
al Tirreno. Fu lass? silenzio, che 蠮ato il mio amore per
Castelnuovo e la sua gente. E da lass?ora una volta scende il Cervo a
scrutare nelle nostre paure, nelle nostre miserie. E a darci nuovo vigore
per affrontare il mistero della vita.
Mauro Carafa (Giornalista RAI Regione)
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Zio
Salvatore (Salvatore Miniscalco,
classe 1905) 蠵n vecchio e simpatico contadino di
novantanove anni. Passa ogni giorno almeno quattro volte per la piazza;
pioggia o sole, freddo o caldo, va con passo lento e sicuro da casa alla
"masseria" sopra la "Cappella", dove c'蠩l suo pezzo
di terra preferito, a coltivare, pi? qualcosa, i suoi ricordi.
Ha
il volto scolpito dal tempo, con due occhi ancora vivi e la mente lucida e
pronta. Non si fa in tempo a salutarlo che subito risponde chiamandoti per
nome. La sua figura, la sua andatura, i suoi modi di fare e di parlare
sono tutt'uno col paesaggio. Zio Salvatore 謠ormai, un'istituzione che
suscita interesse, curiositଠammirazione e rispetto. Nella sua lunga
vita 蠰assata la guerra: il rastrellamento, la fuga, la deportazione in
Germania.
Tra
le vicende che ha vissuto perna ha preso il sopravvento sulle altre:
un sogno, il sogno che gli salv vita insieme a due compagni. Era
riuscito a sfuggire, insieme al fratello ed a Giuseppe
Di Silvestro, dal campo di raccolta di Picinisco. Da qui,
riattraversate le montagne per tornare a Castelnuovo, il 12 novembre 1943,
giunsero di sera alle "Campate", dov'era un capanno di pastori,
giccupato da altre 7 persone, di Scapoli e di Rocchetta. Si
conoscevano tutti e trascorsero la serata, fino a notte inoltrata,
raccontandosi le vicende di cui ciascuno era stato protagonista.
"Ci
addormentammo molto tardi" ricorda Zio
Salvatore "ed il mio sonno fu particolarmente agitato.
Forse non era proprio sonno ma una specie di torpore profondo. In quello
stato particolare mi parve di sentire una voce dal profondo che mi diceva
di andare via, di allontanarmi da quel posto, ch頣i avrebbero ammazzati.
Mi svegliai di soprassalto, agitato. Trattenni il respiro, cercai di
captare qualsiasi rumore: niente, solo il respiro dei miei compagni che
ancora dormivano. Rimasi immobile ad aspettare ma nella mente quella voce
e quelle parole risuonavano continuamente, sempre pi?ti. Svegliai
tutti e raccontai loro quello che mi era successo. Mi risposero che era
solo un sogno, magari frutto dell'agitazione e della paura. Albeggiava e
qualcuno riprese a dormire. Pioveva.
Era
ormai giorno quando tutti i miei compagni si svegliarono. Raccontai di
nuovo il sogno fatto che, per me, era come un presentimento. Dissi loro di
allontanarci, li pregai. Mi risposero che non era il caso di agitarsi
tanto, che se anche fossero arrivati i tedeschi non avrebbero fatto nulla
perch鬠in fondo, non eravamo soldati. Ma io ero troppo agitato, quella
voce mi ripeteva di andare via; e cos젦eci. Con me vennero mio fratello
e Giuseppe Di Silvestro.
Ci
rifugiammo sotto un enorme masso, a circa 200 metri dal capanno che
continuavamo a vedere. Ad un tratto scorgemmo una pattuglia tedesca, di
quattro soldati, che si dirigeva verso il capanno. Si avvicinarono decisi:
due si fermarono all'ingresso e due si appostarono sul retro, con i mitra
spianati.
Eravamo
paralizzati nel guardare la scena. Li vedemmo agitarsi, forse urlavano
qualcosa; poi incominciarono ad uscire i nostri compagni e, man mano che
uscivano, venivano mitragliati. Uno soltanto si salvngendosi colpito,
incomincirotolarsi lungo il costone fino a sparire dalla vista dei
tedeschi".
Quel
sogno ed il ricordo di quell'avvenimento hanno segnato la vita di Zio
Salvatore e dei suoi due compagni. Sfuggiti alla morte, riattraversarono
le montagne fino a Sora dove furono ripresi e deportati al Nord.
A
loro il destino aveva, tra l'altro, riservato il compito di testimoniare e
ricordare come si comp젦#060;font color="#0000FF">l'eccidio delle Mainarde,
in cui sette persone furono trucidate, pagando con la vita il tributo pi? ingiusto ed assurdo che l'uomo abbia mai inventato. Quella mattina del 14
Novembre 1943: Vincenzo Di Paolo, Paolino Di
Tomaso, Palmerino Tartaglia, Silvio Di Paolo (di Scapoli), Giannini
Giacomo, Giannini Giuseppe, Giannini Antonio (di Rocchetta),
caddero riversi al suolo, sotto una pioggia insistente, il loro sangue
"ripreso" dalla terra. Senza sapere perch鮦#060;/font>
Giuseppe
Tomassone |
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