Parco Nazionale d'Abruzzo
Costituito con R.D.L. 11/01/1923 (18.000 ha); ampliamento R.D. 31/12/1925 (+10.000 ha); ampliamento R.D. 16/12/1926 (+2.000 ha); ampliamento D.P.R. 22/11/1976 (+10.000 ha); ampliamento D.M. 10/01/1990 (+4.400 ha)

Denominazione: Parco Nazionale d’Abruzzo

Presidenza e Sede centrale: Via Tito Livio 12 - 00136 Roma Tel. 06/35403331

Ufficio operativo: Via S. Lucia - 67032 Pescasseroli (AQ) Tel. 0863/912132

Centro visite ed informazioni turistiche:

Ufficio di zona di Pescasseroli (0863/91955)

Ufficio di zona, Museo del Lupo, Area faunistica del Lupo e della Lince di Civitella Alfedena (0864/890141)

Ufficio di zona di Villavallelonga e laboratorio ecologico area faunistica e museo del Cervo (0863/949261)

Ufficio di settore Mainarde e museo dell'Orso di Pizzone (0865/951435)

Comuni del Parco: Alfedena, Barrea, Bisegna, Civitella Alfedena, Gioia dei Marsi, Lecce dei Marsi, Opi, Pescasseroli, Scanno, Villavallelonga, Villetta Barrea, Alvito (Lazio), Campoli Appennino (Lazio), Picinisco (Lazio), San Biagio Saracinisco (Lazio), San Donato Val Comino (Lazio), Settefrati (Lazio), Castel San Vincenzo (Molise), Filignano (Molise), Pizzone (Molise), Rocchetta al Volturno (Molise), Scapoli (Molise)

Province del Parco: L'Aquila, Frosinone, Isernia


Il territorio 蠍 costituito dalle vette calcaree, che chiudono a nord l’alta valle del fiume Sangro in Abruzzo e che a occidente e meridione formano una bastionata continua sulla Val Comino nel Lazio e su quella del Volturno nel Molise. Il Parco Nazionale d'Abruzzo 謠con i suoi 44.400 ettari di superficie cui vanno aggiunti altri 60.000 ettari di area di protezione esterna, il pi?ico e forse il pi?ortante Parco Nazionale d’Italia.

In esso sono concentrati tutti o quasi i caratteri che contraddistinguono I'Appennino centrale, compresi elementi di flora e di fauna unici al mondo o ormai scomparsi nel resto della catena. Dal punto di vista geologico e tettonico ci troviamo qui nel cuore di una grande zona calcarea, che dai monti Sibillini nelle Marche scende con rare soluzioni di continuitࠍ fino al massiccio del Pollino, longitudinalmente alla penisola. Grandi gruppi montuosi dal dolce profilo e valloni aperti, precipizi e gole impervie come quella della Foce di Barrea, anfiteatri rupestri di intenso fascino come quello della Camosciara, pianori erbosi circondati da pendici selvose come quelli delle Forme e dei Campitelli, estesi ghiaioni sonori e incoerenti, rocce chiare e stratificate su cui si abbarbicano esemplari imponenti e drammatici di pino nero. Ruscelli e fiumiciattoli, cos젲ari in genere nelle aride zone calcaree, scorrono tra massi candidi e austere faggete. Un grande lago artificiale, quello di Barrea, ormai perfettamente inserito nel paesaggio, completa, verso oriente, la serie degli ambienti di tale parco. Su questo scheletro ossuto e tenace, la vegetazione si sussegue in fasce parallele dai fondovalle alle vette e, anche qui, il mosaico classico delle montagne appenniniche si presenta al gran completo.

Nei settori pi?si e assolati, vegeta una boscaglia composta da aceri campestri, ornielli, carpini, roverelle e, nelle zone pi?eggiate e rocciose, lecci dalla chioma sempreverde su un sottobosco di terebinti, pruni, biancospini, aceri minori, rose selvatiche, rovi. Al livello del suolo, ellebori fetidi, ciclamini, pungitopi, scille bifolie, anemoni, digitali e tante altre specie formano un tappeto interrotto qua e lࠤa emergenze pietrose. Pi?alto si trova il cerro.

Questa imponente quercia, dal portamento slanciato e dalle ghiande in parte ricoperte da una cupola irta di "peli", forma una grande vegetazione unitamente ad aceri campestri e minori, carpini, meli selvatici, sorbi e altre caducifoglie di mezza montagna. E' in questa fascia di foresta mista che i colori autunnali esplodono in tutta la loro fastosa gamma: il porpora-violetto degli ornielli, il rosso fuoco degli aceri montani, l'arancio brillante degli aceri minori, l'oro dei pioppi, lo scarlatto dei ciliegi e dei peri selvatici, il vermiglio degli evonimi... A novembre si osserva un mantello di compatto rame polito con cui la faggeta, che impera dagli 800 metri in su, riveste le pendici fin quasi sulle vette.

Come 蠮orma generale su queste montagne, dai 1800/2000 metri a salire, la faggeta cede il passo a bassi cespugli pulvinati di ginepro e di pino mugo che, a loro volta, si dissolvono nella prateria montana che ricopre, serena e verde, le alte pendici e i crinali nei luoghi ove le rupi e i brecciai non la fanno da padroni. Ma, in alcuni siti dell'alta Valle del Sangro, alla signoria del faggio, a mala pena contrastata da rari e dispersi aceri di monte e gruppi asserragliati di betulle, si contrappone, aromatica e folta, la schiera dei pini neri. Il pino nero di Villetta, oltre ad avvolgere le pendici dei monti con le sue fronde scure in contrasto con quelle chiare delle latifoglie, svetta, tragico e adusto, tarchiato e solenne, sulle falesie grigiastre e aspre della Camosciara, riproponendo i paesaggi romantici delle stampe giapponesi. Lungo i fiumi (e di fiumi non c’蠣erto carenza in questo territorio benedetto da Dio) infuria la selva riparia: ontani e tigli, salici e pioppi, frassini e sanguinelli accompagnano con le loro schiere esili e folte lo scorrere delle acque del Sangro, del Fondillo, dello Scerto, del Melfa, del Giovenco. Sotto l'ombra scura della faggeta estiva poche specie possono sopravvivere, private come sono dell'apporto vivificante del sole. Ma quando, nella primavera nascente, le fragili gemme che emergono dai rami violetti non riescono a contrastare i raggi solari, ecco spuntare le stelline odorose, le dentarie dai fiori giallognoli, gli anemoni celesti e bianchi mentre pi?di, nelle zone umide e nascoste, ecco aprirsi le corolle vistose, porpora e gialle, delle rarissime orchidee scarpette di Venere che, in tutta la catena appenninica, fioriscono solo qui e sulla Majella.

 Ma le fioriture pi?endide si hanno sui prati e nelle radure: orgogliosa del fatto di poter ostentare quasi 2000 specie di piante diverse, la flora del Parco espone in marzo i tappeti rosa-violetti dei crochi e delle scille, in aprile le torme purpuree delle orchidee selvatiche, in maggio i serti dorati dei maggiociondoli, in giugno le corolle fiammanti dei gigli di San Giovanni e gli arabeschi azzurri delle genzianelle, in luglio le spighe carminio degli epilobi, in agosto i tappeti fioriti delle alte quote, in settembre le violette geometrie dei cardi ametistini, in ottobre le corolle gialle dello zafferanastro... e, naturalmente, quella festa rutilante delle chiome sotto le sferze della tramontana, di cui si 蠧i࠰arlato. La biodiversitࠨnuovo termine che da qualche tempo ha soppiantato quello, pi?enuo, di "natura") del Parco Nazionale d'Abruzzo, cos젲icca e varia per quanto riguarda il regno vegetale, non lo 蠤a meno nel campo della vita animale. Lasciamo pure da parte le quasi 6000 specie diverse di insetti che ne popolano il territorio, che rappresentano un record nella fauna entomologica italiana e che comprendono coleotteri bellissimi come la Rosalia alpina o la Chrysochloa sipari, molto rare e localizzate, e parliamo degli animali pi?ndi e vistosi. Quelli, per intendersi, che hanno reso famoso nel mondo questo parco nazionale. Iniziamo, naturalmente, con l’orso. Scampato a ere di caccia, bracconaggio, incendi, tagli, guerre, speculazione edilizia, persecuzioni, questo magnifico plantigrado, appartenente ad una sottospecie unica, sopravvive miracolosamente in circa 100 esemplari entro i confini del Parco e nella sua zona di protezione esterna. Vaga con dinoccolata disinvoltura nei recessi del bosco, pascola tranquillo nelle radure, pilucca fragole e uvaspina, lamponi e mele selvatiche. Trascorre i mesi pi?ddi in comode e calde tane ove le femmine mettono al mondo i cuccioli e rappresenta il simbolo del pi?ico parco nazionale d'Italia. Grazie al suo recente aumento numerico, si 蠰reso la libertࠤi andare a colonizzare altri territori, come la Majella, il Gran Sasso, il Sirente-Velino. E si va facendo sempre pi?fidente e visibile, tanto che, da qualche anno, un incontro con lui non 蠰i? eccezione. Il secondo protagonista della fauna marsicana 蠩l camoscio d’Abruzzo. Pare ormai quasi certo che per la mole, la grandezza delle corna e la colorazione del mantello, il camoscio abruzzese possa essere considerato una specie a s讠Lo zoologo Oskar Neumann, che lo descrisse, lo defin젰er le sue caratteristiche, "il camoscio pi?lo del mondo" affibbiandogli un nome scientifico che 蠴utto un programma: Rupicapra ornata. E veramente, a vederlo pascolare sulle balze del Monte Amaro o della Meta, questo ungulato d࠶eramente un'impressione di bellezza e di potenza. La sua popolazione, nel Parco, assomma a circa 500 esemplari concentrati sul massiccio della Meta e delle Mainarde molisane. Il lupo appenninico, compatto, robusto e dalle caratteristiche orecchie rossicce, vive oggi in circa 50 esemplari all'interno del Parco. La sua presenza, schiva e riservata, contribuisce a mantenere in buona salute la popolazione di erbivori che, crescendo troppo, potrebbe diventare nociva alla vegetazione: cos젩 cervi (che erano estinti ai primi del secolo e oggi, grazie a reintroduzioni eseguite una ventina di anni fa, sono circa 600) e i caprioli (estinti anch'essi negli anni '20 e oggi circa 400), pur crescendo di numero, non rappresentano un pericolo per la rinnovazione forestale. In ultimo, tra i grandi mammiferi, la lince. II massiccio ed elegante felino oggi popola, in 5-6 individui, le rupi e le selve dell'Alto Sangro. Se sia stato introdotto o se (come appare pi?babile) discenda dagli sparuti e dispersi esemplari di cui le cronache abruzzesi e molisane e le testimonianze dei pastori parlano da sempre non interessa eccessivamente: resta il fatto, ormai assodato, che il mitico "lupo cerviero" vive e si riproduce (sono stati addirittura avvistati dei piccoli) nel Parco e nelle sue vicinanze, arricchendo cos젵lteriormente la biodiversitࠤi questo magico luogo. Ma non basta. Tra i nuovi immigrati (oltre a lince, cervo e capriolo) possiamo ricordare il cinghiale. Questo irsuto suide, la cui presenza storica 蠴estimoniata da Orazio che parla di marsus aper (cinghiale marsicano), era estinto da secoli. E solo recentemente, a seguito di reintroduzioni effettuate dai cacciatori, si 蠤iffuso in tutta l'area. Ma fortunatamente, anche in questo caso, l'azione di controllo operata dai grandi carnivori ne riduce i danni alle cotiche erbose e al sottobosco a proporzioni accettabili. Nella gamma dei mammiferi di minori dimensioni, ma non per questo meno importanti, possiamo ricordare la lontra (avvistata sporadicamente nelle acque dei fiumi maggiori), il tasso, l'istrice (che popola i cespuglieti di bassa quota), il gatto selvatico (particolarmente abbondante), la martora. lo scoiattolo, la lepre, la volpe e la rara arvicola delle nevi, ospite dei pascoli d'alta quota. Gli uccelli, come di norma negli ambienti forestali e montani, non sono particolarmente visibili ed abbondanti. Pure, anche in questo settore, il Parco Nazionale d'Abruzzo non sfigura: all'interno dei suoi confini e nell'area di protezione esterna nidificano cinque coppie della maestosa aquila reale e forse una o due coppie di corvo imperiale. II falco pellegrino vi si riproduce e cos젬'astore e la poiana, il gheppio e lo sparviero. Tra gli uccelli tipici della foresta va segnalata la presenza del rarissimo picchio dorsobianco. Pi?ato ai recessi ombrosi e impervi 蠩l grande gufo reale, mentre i gracchi, quello alpino con il becco giallo e quello corallino col becco rosso fuoco, ravvivano le solitudini delle vette. Piuttosto frequenti anche le coturnici, il cui frullo metallico sorprende colui che si aggira nelle praterie altomontane. Nel Lago di Barrea, infine, nuotano e nidificano, da qualche anno, anche i nobili svassi maggiori, oltre ai germani reali e alle folaghe. Tra gli anfibi vale la pena di ricordare la salamandra giallo-nera, la saIamandrina dagli occhiali, l'ululone dal ventre giallo, considerati i pi?i e tipici elementi della fauna anfibia appenninica. Ma non 蠳olo alla ricchezza di biodiversitࠣhe la fama e la rinomanza del Parco Nazionale d'Abruzzo sono affidate. L'uomo, la specie pi?iva e meno in sintonia con la natura che abbia mai abitato la superficie del pianeta, da millenni modifica i vari ecosistemi di cui questo montano territorio 蠣omposto. Con asce di pietra e accette di ferro, aratri di legno e ruspe, motoseghe e roncole, archibugi e giavellotti, cazzuole e picconi, fiaccole e cani, greggi e fuoristrada, piani regolatori e debbi, perforatrici e falci, questo instancabile trasformatore ha raschiato, rivoltato, plasmato, denudato, alterato l'antica, solenne foresta primigenia. E oggi se ne vedono, ovunque, i segni: le vette depilate per far posto alle greggi d'un tempo, i valichi tagliati da strade, le sorgenti captate, il paesaggio striato di fili elettrici, le pianure suddivise, i boschi depauperati e banalizzati, le costruzioni improvvidamente situate nei luoghi pi?ani... Ma non solo nel male l'azione antropica si 蠥splicata. Pensate ad esempio al miracolo di tegole e pietre del villaggio di Opi, ai selciati sapienti e ai muri sensibili di Civitella Alfedena, al complicato centro storico di Barrea, ai palazzi patrizi di Villetta e di Pescasseroli, alla posizione ariosa di Villavallelonga, al sogno di pietra di Rocchetta al Volturno, ai ruderi dell'Abbazia di San Vincenzo nel Molise, alle sorprese candide del Casone del Medico nella Valle di Mezzo o del Casone Antonucci alla Camosciara, chiusi tra vette e selve, agli stazzi abbandonati sui ripiani montuosi del Marsicano... Oggi poi nel Parco Nazionale d'Abruzzo si sta verificando una condizione singolare: nel senso che, a pi? settant'anni dalla sua istituzione e a ventisei anni dal suo riscatto, dopo una ventata di speculazione edilizia e di abbandono di ogni norma e vincolo verificatasi negli anni '60, finalmente il binomio natura-sviluppo si sta realizzando. Nato come Riserva Reale di Caccia ai pi?i animali dell'Appennino (orso e camoscio) nel 1872, dopo varie vicissitudini il Parco Nazionale d'Abruzzo venne finalmente inaugurato il 9 settembre 1922. Successivi ampliamenti avvenuti nei vari anni (l'ultimo, nel 1990, riguarda 4.400 ettari nel versante molisano) portarono la superficie del territorio protetto agli attuali 44.000 ettari, dei quali parte si trova nella Regione Lazio e parte nel Molise. Dopo un avvio piuttosto confortante, il Parco d'Abruzzo conobbe momenti pi?ficili: nel 1933 il fascismo, per superare una politica di protezione che ostacolava i suoi progetti sul territorio, abol젬'Ente e affid򠩬 parco alle cure della Milizia Forestale che, in pochi anni, caus򠵮 notevole degrado, degrado che venne aggravato dall'ultimo conflitto mondiale, dato che la linea Gustav, organizzata dai tedeschi per ostacolare l'avanzata degli alleati, passava proprio per le vette del Parco. Nel 1950 l'Ente venne ricostituito ma, ai primi anni '60, una paurosa ondata di speculazione edilizia che port򠡬la costruzione di centinaia di ville e condomini, all’apertura di molti chilometri di strade e piste nei luoghi pi?ortanti della riserva, alla realizzazione di impianti sciistici, alla creazione di cave e di discariche, stava praticamente distruggendo il raro patrimonio che il Parco aveva fino a quel momento protetto. II direttore di allora, l'avvocato Francesco Saltarelli di Pescasseroli, fu scacciato e si nomin򠵮 commissario straordinario nella persona di un funzionario forestale che non fece altro che dar mano libera alle pi?minali devastazioni. La rivolta degli uomini di cultura e delle associazioni ambientaliste e i severi moniti internazionali provocarono infine una energica reazione. Gli organi direttivi dell’Ente furono ricostituiti e si arriv򠡬la nomina di un nuovo direttore nella persona di Franco Tassi. II quale, sostenuto soprattutto dal mondo ambientalista, mise mano al recupero: gli scempi vennero arrestati, la fauna ripopolata, le regole del Parco riaffermate. Segno tangibile del recupero fu la assegnazione al parco del Diploma Europeo per la Conservazione della Natura, che ebbe luogo il 21 maggio 1972. Negli anni successivi, le accorte e intelligenti iniziative del Parco, sotto forma di piccoli musei locali, aree faunistiche, sentieri, valorizzazione di siti e di tradizioni, aiuti alla piccola imprenditoria locale e assistenza alle cooperative di giovani, provocarono un cauto ma continuo miglioramento delle condizioni di chi entro il Parco abitava. Tanto che una ricerca commissionata dal WWF alla Nomisma di Bologna, l’istituto di ricerca socioeconomica diretto all’epoca da Romano Prodi, svel򠣨e per gli abitanti dei Comuni compresi nell’area protetta i parametri del benessere erano superiori a quelli degli abitanti dei centri posti ai suoi confini e di molto migliori di chi abitava in altre aree equivalenti poste sull’Appennino. In conseguenza di ci򠩮 Abruzzo sono stati recentemente creati altri due parchi nazionali (quello della Majella e quello del Gran Sasso-Laga) e un parco regionale (quello del Sirente-Velino), pi?erose aree protette minori. Una storia, come si vede, complessa e affascinante, come complessa e affascinante, varia e preziosa 蠬a natura di questo magnifico lembo di terra appenninica.


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