Il territorio 蠍
costituito dalle vette calcaree, che chiudono a nord l’alta valle del
fiume Sangro in Abruzzo e che a occidente e meridione formano una
bastionata continua sulla Val Comino nel Lazio e su quella del Volturno
nel Molise. Il Parco Nazionale d'Abruzzo 謠con i suoi 44.400 ettari di
superficie cui vanno aggiunti altri 60.000 ettari di area di
protezione esterna, il pi?ico e forse il pi?ortante Parco
Nazionale d’Italia.
In esso sono
concentrati tutti o quasi i caratteri che contraddistinguono I'Appennino
centrale, compresi elementi di flora e di fauna unici al mondo o ormai
scomparsi nel resto della catena. Dal punto di vista geologico e
tettonico ci troviamo qui nel cuore di una grande zona calcarea, che dai
monti Sibillini nelle Marche scende con rare soluzioni di continuitࠍ
fino al massiccio del Pollino, longitudinalmente alla penisola. Grandi
gruppi montuosi dal dolce profilo e valloni aperti, precipizi e gole
impervie come quella della Foce di Barrea, anfiteatri rupestri di
intenso fascino come quello della Camosciara, pianori erbosi circondati
da pendici selvose come quelli delle Forme e dei Campitelli, estesi
ghiaioni sonori e incoerenti, rocce chiare e stratificate su cui si
abbarbicano esemplari imponenti e drammatici di pino nero. Ruscelli e
fiumiciattoli, cos젲ari in genere nelle aride zone calcaree, scorrono
tra massi candidi e austere faggete. Un grande lago artificiale, quello
di Barrea, ormai perfettamente inserito nel paesaggio, completa, verso
oriente, la serie degli ambienti di tale parco. Su questo scheletro
ossuto e tenace, la vegetazione si sussegue in fasce parallele dai
fondovalle alle vette e, anche qui, il mosaico classico delle montagne
appenniniche si presenta al gran completo.
Nei settori pi?si e
assolati, vegeta una boscaglia composta da aceri campestri, ornielli,
carpini, roverelle e, nelle zone pi?eggiate e rocciose, lecci dalla
chioma sempreverde su un sottobosco di terebinti, pruni, biancospini,
aceri minori, rose selvatiche, rovi. Al livello del suolo, ellebori
fetidi, ciclamini, pungitopi, scille bifolie, anemoni, digitali e tante
altre specie formano un tappeto interrotto qua e lࠤa emergenze
pietrose. Pi?alto si trova il cerro.
Questa imponente
quercia, dal portamento slanciato e dalle ghiande in parte ricoperte da
una cupola irta di "peli", forma una grande vegetazione unitamente ad
aceri campestri e minori, carpini, meli selvatici, sorbi e altre caducifoglie di mezza montagna. E' in questa fascia di foresta mista che
i colori autunnali esplodono in tutta la loro fastosa gamma: il
porpora-violetto degli ornielli, il rosso fuoco degli aceri montani,
l'arancio brillante degli aceri minori, l'oro dei pioppi, lo scarlatto
dei ciliegi e dei peri selvatici, il vermiglio degli evonimi... A
novembre si osserva un mantello di compatto rame polito con cui la
faggeta, che impera dagli 800 metri in su, riveste le pendici fin quasi
sulle vette.
Come 蠮orma generale
su queste montagne, dai 1800/2000 metri a salire, la faggeta cede il
passo a bassi cespugli pulvinati di ginepro e di pino mugo che, a loro
volta, si dissolvono nella prateria montana che ricopre, serena e verde,
le alte pendici e i crinali nei luoghi ove le rupi e i brecciai non la
fanno da padroni. Ma, in alcuni siti dell'alta Valle del Sangro, alla
signoria del faggio, a mala pena contrastata da rari e dispersi aceri di
monte e gruppi asserragliati di betulle, si contrappone, aromatica e
folta, la schiera dei pini neri. Il pino nero di Villetta, oltre ad
avvolgere le pendici dei monti con le sue fronde scure in contrasto con
quelle chiare delle latifoglie, svetta, tragico e adusto, tarchiato e
solenne, sulle falesie grigiastre e aspre della Camosciara, riproponendo
i paesaggi romantici delle stampe giapponesi. Lungo i fiumi (e di fiumi
non c’蠣erto carenza in questo territorio benedetto da Dio) infuria la
selva riparia: ontani e tigli, salici e pioppi, frassini e sanguinelli
accompagnano con le loro schiere esili e folte lo scorrere delle acque
del Sangro, del Fondillo, dello Scerto, del Melfa, del Giovenco. Sotto
l'ombra scura della faggeta estiva poche specie possono sopravvivere,
private come sono dell'apporto vivificante del sole. Ma quando, nella
primavera nascente, le fragili gemme che emergono dai rami violetti non
riescono a contrastare i raggi solari, ecco spuntare le stelline
odorose, le dentarie dai fiori giallognoli, gli anemoni celesti e
bianchi mentre pi?di, nelle zone umide e nascoste, ecco aprirsi le
corolle vistose, porpora e gialle, delle rarissime orchidee scarpette di
Venere che, in tutta la catena appenninica, fioriscono solo qui e sulla
Majella.
Ma le fioriture
pi?endide si hanno sui prati e nelle radure: orgogliosa del fatto di
poter ostentare quasi 2000 specie di piante diverse, la flora del Parco
espone in marzo i tappeti rosa-violetti dei crochi e delle scille, in
aprile le torme purpuree delle orchidee selvatiche, in maggio i serti
dorati dei maggiociondoli, in giugno le corolle fiammanti dei gigli di
San Giovanni e gli arabeschi azzurri delle genzianelle, in luglio le
spighe carminio degli epilobi, in agosto i tappeti fioriti delle alte
quote, in settembre le violette geometrie dei cardi ametistini, in
ottobre le corolle gialle dello zafferanastro... e, naturalmente, quella
festa rutilante delle chiome sotto le sferze della tramontana, di cui si
蠧i࠰arlato. La biodiversitࠨnuovo termine che da qualche tempo ha
soppiantato quello, pi?enuo, di "natura") del Parco Nazionale
d'Abruzzo, cos젲icca e varia per quanto riguarda il regno vegetale, non
lo 蠤a meno nel campo della vita animale. Lasciamo pure da parte le
quasi 6000 specie diverse di insetti che ne popolano il territorio, che
rappresentano un record nella fauna entomologica italiana e che
comprendono coleotteri bellissimi come la Rosalia alpina o la
Chrysochloa sipari, molto rare e localizzate, e parliamo degli animali
pi?ndi e vistosi. Quelli, per intendersi, che hanno reso famoso nel
mondo questo parco nazionale. Iniziamo, naturalmente, con l’orso.
Scampato a ere di caccia, bracconaggio, incendi, tagli, guerre,
speculazione edilizia, persecuzioni, questo magnifico plantigrado,
appartenente ad una sottospecie unica, sopravvive miracolosamente in
circa 100 esemplari entro i confini del Parco e nella sua zona di
protezione esterna. Vaga con dinoccolata disinvoltura nei recessi del
bosco, pascola tranquillo nelle radure, pilucca fragole e uvaspina,
lamponi e mele selvatiche. Trascorre i mesi pi?ddi in comode e calde
tane ove le femmine mettono al mondo i cuccioli e rappresenta il simbolo
del pi?ico parco nazionale d'Italia. Grazie al suo recente aumento
numerico, si 蠰reso la libertࠤi andare a colonizzare altri territori,
come la Majella, il Gran Sasso, il Sirente-Velino. E si va facendo
sempre pi?fidente e visibile, tanto che, da qualche anno, un
incontro con lui non 蠰i? eccezione. Il secondo protagonista della
fauna marsicana 蠩l camoscio d’Abruzzo. Pare ormai quasi certo che per
la mole, la grandezza delle corna e la colorazione del mantello, il
camoscio abruzzese possa essere considerato una specie a s讠Lo zoologo
Oskar Neumann, che lo descrisse, lo defin젰er le sue caratteristiche,
"il camoscio pi?lo del mondo" affibbiandogli un nome scientifico che
蠴utto un programma: Rupicapra ornata. E veramente, a vederlo pascolare
sulle balze del Monte Amaro o della Meta, questo ungulato d࠶eramente
un'impressione di bellezza e di potenza. La sua popolazione, nel Parco,
assomma a circa 500 esemplari concentrati sul massiccio della Meta e
delle Mainarde molisane. Il lupo appenninico, compatto, robusto e dalle
caratteristiche orecchie rossicce, vive oggi in circa 50 esemplari
all'interno del Parco. La sua presenza, schiva e riservata, contribuisce
a mantenere in buona salute la popolazione di erbivori che, crescendo
troppo, potrebbe diventare nociva alla vegetazione: cos젩 cervi (che
erano estinti ai primi del secolo e oggi, grazie a reintroduzioni
eseguite una ventina di anni fa, sono circa 600) e i caprioli (estinti
anch'essi negli anni '20 e oggi circa 400), pur crescendo di numero, non
rappresentano un pericolo per la rinnovazione forestale. In ultimo, tra
i grandi mammiferi, la lince. II massiccio ed elegante felino oggi
popola, in 5-6 individui, le rupi e le selve dell'Alto Sangro. Se sia
stato introdotto o se (come appare pi?babile) discenda dagli sparuti
e dispersi esemplari di cui le cronache abruzzesi e molisane e le
testimonianze dei pastori parlano da sempre non interessa
eccessivamente: resta il fatto, ormai assodato, che il mitico "lupo
cerviero" vive e si riproduce (sono stati addirittura avvistati dei
piccoli) nel Parco e nelle sue vicinanze, arricchendo cos젵lteriormente
la biodiversitࠤi questo magico luogo. Ma non basta. Tra i nuovi
immigrati (oltre a lince, cervo e capriolo) possiamo ricordare il
cinghiale. Questo irsuto suide, la cui presenza storica 蠴estimoniata
da Orazio che parla di marsus aper (cinghiale marsicano), era estinto da
secoli. E solo recentemente, a seguito di reintroduzioni effettuate dai
cacciatori, si 蠤iffuso in tutta l'area. Ma fortunatamente, anche in
questo caso, l'azione di controllo operata dai grandi carnivori ne
riduce i danni alle cotiche erbose e al sottobosco a proporzioni
accettabili. Nella gamma dei mammiferi di minori dimensioni, ma non per
questo meno importanti, possiamo ricordare la lontra (avvistata
sporadicamente nelle acque dei fiumi maggiori), il tasso, l'istrice (che
popola i cespuglieti di bassa quota), il gatto selvatico
(particolarmente abbondante), la martora. lo scoiattolo, la lepre, la
volpe e la rara arvicola delle nevi, ospite dei pascoli d'alta quota.
Gli uccelli, come di norma negli ambienti forestali e montani, non sono
particolarmente visibili ed abbondanti. Pure, anche in questo settore,
il Parco Nazionale d'Abruzzo non sfigura: all'interno dei suoi confini e
nell'area di protezione esterna nidificano cinque coppie della maestosa
aquila reale e forse una o due coppie di corvo imperiale. II falco
pellegrino vi si riproduce e cos젬'astore e la poiana, il gheppio e lo
sparviero. Tra gli uccelli tipici della foresta va segnalata la presenza
del rarissimo picchio dorsobianco. Pi?ato ai recessi ombrosi e
impervi 蠩l grande gufo reale, mentre i gracchi, quello alpino con il
becco giallo e quello corallino col becco rosso fuoco, ravvivano le
solitudini delle vette. Piuttosto frequenti anche le coturnici, il cui
frullo metallico sorprende colui che si aggira nelle praterie
altomontane. Nel Lago di Barrea, infine, nuotano e nidificano, da
qualche anno, anche i nobili svassi maggiori, oltre ai germani reali e
alle folaghe. Tra gli anfibi vale la pena di ricordare la salamandra
giallo-nera, la saIamandrina dagli occhiali, l'ululone dal ventre
giallo, considerati i pi?i e tipici elementi della fauna anfibia
appenninica. Ma non 蠳olo alla ricchezza di biodiversitࠣhe la fama e
la rinomanza del Parco Nazionale d'Abruzzo sono affidate. L'uomo, la
specie pi?iva e meno in sintonia con la natura che abbia mai abitato
la superficie del pianeta, da millenni modifica i vari ecosistemi di cui
questo montano territorio 蠣omposto. Con asce di pietra e accette di
ferro, aratri di legno e ruspe, motoseghe e roncole, archibugi e
giavellotti, cazzuole e picconi, fiaccole e cani, greggi e fuoristrada,
piani regolatori e debbi, perforatrici e falci, questo instancabile
trasformatore ha raschiato, rivoltato, plasmato, denudato, alterato
l'antica, solenne foresta primigenia. E oggi se ne vedono, ovunque, i
segni: le vette depilate per far posto alle greggi d'un tempo, i valichi
tagliati da strade, le sorgenti captate, il paesaggio striato di fili
elettrici, le pianure suddivise, i boschi depauperati e banalizzati, le
costruzioni improvvidamente situate nei luoghi pi?ani... Ma non solo
nel male l'azione antropica si 蠥splicata. Pensate ad esempio al
miracolo di tegole e pietre del villaggio di Opi, ai selciati sapienti e
ai muri sensibili di Civitella Alfedena, al complicato centro storico di
Barrea, ai palazzi patrizi di Villetta e di Pescasseroli, alla posizione
ariosa di Villavallelonga, al sogno di pietra di Rocchetta al Volturno,
ai ruderi dell'Abbazia di San Vincenzo nel Molise, alle sorprese candide
del Casone del Medico nella Valle di Mezzo o del Casone Antonucci alla
Camosciara, chiusi tra vette e selve, agli stazzi abbandonati sui
ripiani montuosi del Marsicano... Oggi poi nel Parco Nazionale d'Abruzzo
si sta verificando una condizione singolare: nel senso che, a pi?
settant'anni dalla sua istituzione e a ventisei anni dal suo riscatto,
dopo una ventata di speculazione edilizia e di abbandono di ogni norma e
vincolo verificatasi negli anni '60, finalmente il binomio
natura-sviluppo si sta realizzando. Nato come Riserva Reale di Caccia ai
pi?i animali dell'Appennino (orso e camoscio) nel 1872, dopo varie
vicissitudini il Parco Nazionale d'Abruzzo venne finalmente inaugurato
il 9 settembre 1922. Successivi ampliamenti avvenuti nei vari anni
(l'ultimo, nel 1990, riguarda 4.400 ettari nel versante molisano)
portarono la superficie del territorio protetto agli attuali 44.000
ettari, dei quali parte si trova nella Regione Lazio e parte nel Molise.
Dopo un avvio piuttosto confortante, il Parco d'Abruzzo conobbe momenti
pi?ficili: nel 1933 il fascismo, per superare una politica di
protezione che ostacolava i suoi progetti sul territorio, abol젬'Ente e
affid parco alle cure della Milizia Forestale che, in pochi anni,
caus notevole degrado, degrado che venne aggravato dall'ultimo
conflitto mondiale, dato che la linea Gustav, organizzata dai tedeschi
per ostacolare l'avanzata degli alleati, passava proprio per le vette
del Parco. Nel 1950 l'Ente venne ricostituito ma, ai primi anni '60, una
paurosa ondata di speculazione edilizia che portla costruzione di
centinaia di ville e condomini, all’apertura di molti chilometri di
strade e piste nei luoghi pi?ortanti della riserva, alla
realizzazione di impianti sciistici, alla creazione di cave e di
discariche, stava praticamente distruggendo il raro patrimonio che il
Parco aveva fino a quel momento protetto. II direttore di allora,
l'avvocato Francesco Saltarelli di Pescasseroli, fu scacciato e si
nomin commissario straordinario nella persona di un funzionario
forestale che non fece altro che dar mano libera alle pi?minali
devastazioni. La rivolta degli uomini di cultura e delle associazioni
ambientaliste e i severi moniti internazionali provocarono infine una
energica reazione. Gli organi direttivi dell’Ente furono ricostituiti e
si arrivla nomina di un nuovo direttore nella persona di Franco
Tassi. II quale, sostenuto soprattutto dal mondo ambientalista, mise
mano al recupero: gli scempi vennero arrestati, la fauna ripopolata, le
regole del Parco riaffermate. Segno tangibile del recupero fu la
assegnazione al parco del Diploma Europeo per la Conservazione della
Natura, che ebbe luogo il 21 maggio 1972. Negli anni successivi, le
accorte e intelligenti iniziative del Parco, sotto forma di piccoli
musei locali, aree faunistiche, sentieri, valorizzazione di siti e di
tradizioni, aiuti alla piccola imprenditoria locale e assistenza alle
cooperative di giovani, provocarono un cauto ma continuo miglioramento
delle condizioni di chi entro il Parco abitava. Tanto che una ricerca
commissionata dal WWF alla Nomisma di Bologna, l’istituto di ricerca
socioeconomica diretto all’epoca da Romano Prodi, svele per gli
abitanti dei Comuni compresi nell’area protetta i parametri del
benessere erano superiori a quelli degli abitanti dei centri posti ai
suoi confini e di molto migliori di chi abitava in altre aree
equivalenti poste sull’Appennino. In conseguenza di ci Abruzzo sono
stati recentemente creati altri due parchi nazionali (quello della
Majella e quello del Gran Sasso-Laga) e un parco regionale (quello del
Sirente-Velino), pi?erose aree protette minori. Una storia, come si
vede, complessa e affascinante, come complessa e affascinante, varia e
preziosa 蠬a natura di questo magnifico lembo di terra appenninica.
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