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John Duns Scoto

(Duns-Scozia? 1266?-Colonia 1308) francescano, insegnò a Oxford (agostinismo  francescano)e Parigi : ingenium subtilissimum, Doctor subtilis

Opere: De primo principio, Questiones in Metaphisicam, Opus Oxoniense, Reportata Parisiensia, Quodlibetum.

In opposizione al tomismo imperante, sostiene (altrettanto dogmaticamente) che la via razionale all'esistenza di Dio non è soddisfacente, neanche da un punto di vista filosofico.

Duns Scoto  dipinto da Raffaello nella Disputa del Sacramento

La dimostrazione tomistica dei dogmi attraverso procedimenti analogici o indiretti non arriva al cuore del tema teologico, che è per sua  extra-razionale. Scoto parte dagli strumenti logici tomisti: dimostrazione a posteriori (dall'effetto alla causa) e a priori (dalla causa all'effetto) ma critica entrambi i procedimenti giustificativi dell'esistenza di dio (sia quelli ontologici di Anselmo che quelli a posteriori di Tommaso). Per pensare Dio ci serviamo delle creature, ma NON secondo il principio di causalità, bensì per l'affermazione dell'ente univoco (Opus Oxoniense, I, q.I); caso mai si dovesse affrontare il discorso delle cause, l'unica dimostrazione possibile, vera, sarebbe quella  a priori: solo questa ci consente una certa conoscenza positiva di Dio. Pensare l'ens univocum  significa che è il soggetto che lo pone, e lo pone in quanto lo astrae dal concreto, dal finito. Per i teologi precedenti, astratte significava produrre (e dimostrare) gli attributi di Dio. Ma S. distingue tra attributi razionalmente dimostrabili (ratione naturali aliqualiter concluderentur: Dio come causa, fine, perfezione, trascendenza ecc.) e attributi indimostrabili ma credibili (credibilia: Dio come  provvidenza, misericordia, giustizia, onnipresenza, onnipotenza). Né la provvidenza né l'immmortabilità dell'anima partono ex evidentia rei, e quindi non sono dimostrabili. Questo non significa sfiducia assoluta nella teologia (che è anzi certissima, in quanto   ha per oggetto ciò che ha principio certissimo), ma solo che l'esistenza di Dio non è oggetto di possibili dimostrazioni a priori o a posteriori. Gli argomenti di premi-pene, dell'esistenza di un giudice supremo, del desiderio di immortalità e della resurrezione, della paura della morte - aspetto per altro che abbiamo in comune con gli animali -  non possono provare ma solo ipotizzare, porre probabilità. Solo la fede può parlarci del nostro ultimo destino diceva Averroè, e Scoto lo deve ammettere. Non solo, ma l'oggetto della fede non è analizzabile razionalmente, per  cui Fede e ragione sono separate nettamente. Noi arriviamo a Dio perché ragione e volontà tendono all'infinito (e l'infinità è un'infinità di intelligibili, dunque somma intelligenza), alla verità assoluta, al bene assoluto. Non possiamo dire niente sulle azioni di Dio (p.e. sulla creazione) perché DIO è libertà infinita (limitata solo dal principio di non contraddizione), ma  l'unica fonte o causa delle cose è la VOLONTA' di Dio. Anche  il bene non è che una creazione della volontà divina.Dio può fondare anche altre leggi morali oltre quelle rivelate: il valore della legge è quindi la spiritualità, l'interiorità creatrice di Dio.

Ecco allora delinearsi in pieno la critica (o meglio la complementarietà) della posizione scotista rispetto alla tomista: non è sull'oggetto esterno che si può fondare la teologia, ma sull'interiorità, quindi sull'individualità: questa è l'ultima realitas. E' l'esistente che costituisce la perfezione, perché l'essenza universale (quidditas) è compiuta solo nella natura individuata (haecceitas) la quale costituirà il principium individuationis. Ma l'universale non è semplice prodotto dell'intelletto [ (se così fosse si dovrebbe chiudere tutta la filosofia nell'unità metafisica-logica, anzi nell'identità logica-scienza) Cosa dice Hegel di Scoto? Quest'ultimo pare già prendere in anticipo le precauzioni contro la presunta completezza dell'hegelismo].
immagine tratta da: TASSINARI, St. della filosofia occid., I, FI:Bulgarini, 1994)

 La realtà è virtualmente l'universale e il particolare, ma è indifferente all'uno e all'altro. Contrariamente a quanto sosteneva Tommaso, non è la materia signata (accidente, imperfezione, materia) il principium individuationis, ma è la forma (perfezione, compiutezza) che porta dentro di sé il principio dell'individuazione. L'individuo è originalità, affermazione di sé, libertà. L'intelletto è conoscenza, mentre la volontà è azione. Le operazioni del primo non avrebbero nessun effetto senza la seconda. E' vero che l'intelletto è causa della volontà, ma solo come causa occasionale, mentre quando la volontà comanda all'intelletto si può ben dire causa di questo (Op. Oxon., IV, d.49, n.16).La Volontà è causa totale. E' ratio costituendi, vale a dire che non è solamente recettiva (come lo è l'appetito), ma è libertà piena. Dio-Volontà appare come infinito creatore di essenze (non ha senso quindi definire i modelli universali, come imponeva la teoria platonica e l'ellenismo ingenerale). L'essenza di Dio sta nel volere essenze. Non è ingabbiabile in canoni razionali. QUI finisce l'influsso ellenistico sul cristianesimo. Penso che Scoto tagli nettamente i ponti con la filosofia antica. Nello stesso tempo si mette al riparo anche da razionalismo, criticismo e idealismo moderni, in quanto  il nucleo della speculazione viene post nella Volontà e non nella conoscenza.

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