PRIVATA, PUBBLICA O EFFICIENTE?

di Eros Capostagno

Lo sfascio dei servizi statali in Italia è tale che si resta sbalorditi di come si possa ancora cercare di ostacolare non solo lo sviluppo ma addirittura la sopravvivenza dell'istruzione privata. E' grottesco che gli Italiani debbano veder compromesso il futuro dei loro figli per mano di gente che, sconfessata dalla Storia, continua a ragionare in termini di uno statalismo che sembra rifarsi alle mitiche "collettivizzazioni", ai "piani quinquennali" e ai "grandi balzi in avanti". E che spinge gli studenti delle scuole statali a manifestare contro quelli delle scuole private, per creare forse delle artificiose divisioni della società in "classi", le cui lotte dovrebbero costituire il motore della Storia, secondo i celebri e mai rinnegati maestri.

Ora, questa sorta di guerra ideologica, condotta da improvvisati paladini del laicismo contro le istituzioni cattoliche, si rivela del tutto anacronistica in quanto focalizza l'attenzione su "chi" deve insegnare, facendo credere che in questo si riassumano i problemi della scuola italiana.

Così non è. L'inadeguatezza della scuola italiana a preparare al mercato mondiale del lavoro, con le tragiche conseguenze in termini di fallimenti scolastici o di disoccupazione giovanile, dipende da "cosa" e da "come" si insegna, indipendentemente da "chi" lo faccia.

Limitarsi a discutere su chi debba avere il diritto di insegnare col sostegno dello Stato, oltre ad essere manifestazione di puro e semplice settarismo, è anche manifestazione di incapacità a concepire modifiche intelligenti (e urgenti) da introdurre nell'ordinamento scolastico italiano.

Abbiamo già rilevato in un precedente commento (v. Dossier Scuola 2: la Congruenza nel numero 19 di questa rivista) come sia insulso prendere a modello singoli aspetti di ordinamenti scolastici stranieri, per introdurli nell'ordinamento italiano. Laddove questi elementi fanno parte di un sistema congruente in sé e congruente con il mercato del lavoro e la struttura della società, essi si rivelano inutili, se non dannosi, una volta trapiantati nel sistema italiano, già sufficientemente confuso di per sé.

Si abbia dunque il coraggio di proporre qualcosa di drastico e ci si batta per quello.

Cominciamo dall'alto. Rendiamoci conto che l'umanità di questo fine millennio ha dato vita ad una quantità di attività diverse e nuove, quante probabilmente mai esistite nel corso della Storia, e potenzialmente in grado di dare soddisfazione, non solo materiale, agli individui più diversi.

Diversità dunque. Punto essenziale: si faccia in modo da creare la diversità. Come? Abolendo il valore legale della laurea (prima conseguenza).

Lo aveva già proposto il Partito Liberale negli anni 60, ma i tempi non erano maturi e la cosa finì nel dimenticatoio. Oggi si può riproporre: conseguire un titolo che abbia valore in sé, indipendentemente dal suo contenuto, dal come e dal dove lo si abbia conseguito non serve più. Peggio, la tendenza a tenere sostanzialmente uniformati i piani di studio delle stesse Facoltà in Università diverse, per conformarsi ad uno standard medio del titolo, non può che limitare la creatività e l'impegno all'innovazione delle autorità accademiche, dei ricercatori e degli stessi studenti, in altre parole ostacola la diversificazione.

Dovrà essere lo studente a scegliere l'Università e la Facoltà con i piani di studio più congruenti con i suoi obiettivi per la futura vita lavorativa.

Come realizzare questa diversificazione ed ampliare le possibilità di scelta dello studente? Privatizzando (di fatto e/o di diritto) le Università (seconda conseguenza).

Privatizzare di fatto significa far gestire anche le Università statali con criteri privatistici, consentendo di porre condizioni di accesso funzione del curriculum scolastico precedente dello studente, ma soprattutto nella più completa indipendenza economica e gestionale.
Indipendenza economica significa che il Consiglio di Amministrazione dell'Università dovrà cercare autonomamente i mezzi finanziari per autoalimentarsi, senza gravare totalmente sullo Stato.

Come fare? Cercando di stipulare contratti remunerativi con l'industria, con Fondazioni,..., e incentivando i propri ricercatori scientifici a depositare brevetti, quale risultanza delle proprie ricerche (terza conseguenza). Esattamente il contrario di quello che avviene oggi.

E' raccapricciante l'aver sentito quest'anno commemorare con le lacrime agli occhi il trentennale del "sessantotto", e sentir spiegare alle giovani generazioni quali ideali lo promossero: "...In Francia, nel 1968, la protesta si trasformò in rivolta contro lo Stato. Il Ministero della Pubblica Istruzione voleva limitare il numero degli studenti universitari con una rigida selezione e utilizzare la ricerca universitaria per risolvere i problemi dell'industria...". Ideali riassunti in Italia nel concetto che l'Università non doveva "lavorare per i padroni" e che la ricerca doveva rimanere pura ed incontaminata dal profitto!

Ebbene, si abbia il coraggio di chiamare per il loro nome coloro che continuano a propinare simili idiozie e si cerchi di riportare l'Italia ai livelli di competitività tecnologica cui essa ha abdicato alla fine degli anni 60.

Indipendenza economica significa necessariamente anche pagamento di una retta d'iscrizione. Come garantire a tutti la possibilità di pagare tale retta? Con un finanziamento pubblico (statale) o privato (Fondazioni, Borse di studio), strettamente legato al rendimento dello studente ed eventualmente rimborsabile a rate una volta lo studente entrato nel mondo del lavoro, una sorta di prestito d'onore o di mutuo insomma (quinta conseguenza).

Questa soluzione porta un corollario: sarà interesse dell'Università offrire corsi migliori a prezzi più bassi, onde assicurarsi un buon numero di studenti, favorendo quindi la competizione ed il miglioramento della qualità degli studi, nonché l'efficienza amministrativa e l'alleggerimento degli oneri per lo Stato. Non si tratta di inventare qualcosa di totalmente nuovo, si tratta di elementi già esistenti in altri Paesi (Stati Uniti, Olanda,...).

Così concepita l'Università, si tratta di rendere congruente anche l'insegnamento secondario (quinta conseguenza).

Renderlo congruente significa ricreare la diversificazione degli indirizzi che il populismo e le ideologie massificanti degli ultimi trent'anni hanno fortemente ridotto. Fermo restando l'innalzamento dell'età limite della scuola dell'obbligo, nessun comandamento divino ha imposto che gli studenti debbano studiare tutti le stesse cose, in maniera identica e ad un livello qualitativamente limitato, se non scadente. Non vi è alcun motivo perché ciò avvenga, se non l'imbecillità dei mediocri che preferiscono sempre e comunque un livellamento generalizzato in basso al rischio di vedersi distanziare da spiriti più brillanti.

Come fare? Semplice. Esattamente come per l'Università, eliminando di fatto il dualismo fuorviante statale/privato, ed introducendo l'autonomia gestionale e didattica (fatti salvi alcuni principi di base ovviamente) degli istituti scolastici, indipendentemente dal loro stato giuridico (sesta conseguenza).

L'autonomia gestionale si può realizzare dotando ogni studente di un "buono" di valore prefissato, pari ad es. al costo medio sopportato annualmente dallo Stato per uno studente, da accreditare all'istituto scolastico prescelto.

Come già per l'università, sarà interesse del singolo Istituto offrire i migliori servizi (professori, aule, programmi, sport) ai prezzi più bassi, onde attirare più studenti e quindi disporre di un budget di "buoni" più elevato. La concorrenza non potrà che stimolare tutta l'équipe della scuola a prestazioni di elevata qualità. Il tutto senza favoritismi o penalizzazioni di censo.

Come già detto nell'articolo sopra ricordato, non pretendiamo di scoprire l'acqua calda. Questo tipo di ordinamento scolastico era stato ampiamento prefigurato nel 1983 dal prof. Sorman, della Sorbona, nel saggio "La Solution Libérale (Fayard)", si tratta solo, finalmente, di metterlo in pratica.

Questa riforma congiunta dell'università e dell'istruzione media e secondaria (applicabile peraltro anche all'istruzione primaria), avrebbe oltretutto il vantaggio di ridurre l'aberrante fenomeno dei laureati che, conseguita una laurea qualsiasi, trovandosi senza lavoro e, di solito, senza obiettivi precisi, si rivolgono all'insegnamento quale soluzione di ripiego, buona per tutti gli usi, benché privi di adeguata preparazione e di adeguato entusiasmo (settima conseguenza). Cosa che porta attualmente ad inventarsi tre insegnanti per ogni classe elementare!

Tanto per valutare la differenza: nell'Olanda del 1998 è quasi impossibile trovare un insegnante di "olandese" per supplire ad un titolare che si ammali: le prospettive di lavoro scarsamente attraenti rispetto a settori più vitali, avevano infatti fatto crollare negli ultimi anni le iscrizioni alle Facoltà di Lettere, a favore di altre Facoltà!

Ci sembra che queste sette conseguenze diano la misura di quanto sia fuorviante stare a discutere di scuola statale o di scuola privata, essendo questo un aspetto insignificante in un ordinamento scolastico efficiente.

Ci auguriamo che il Polo delle Libertà tenga pronto uno schema del genere onde metterlo immediatamente in atto appena tutti questi grandi statisti che si battono ora per togliere 340 miliardi l'anno alle scuole private, saranno stati spazzati via.

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