DOSSIER SCUOLA 2: LA CONGRUENZA

di Eros Capostagno

Che il Governo dell'Ulivo improntasse la sua attività allo stile dell' autoritarismo, era abbastanza facile prevederlo, vista la formazione culturale totalitaria dei suoi maggiori esponenti, e non si è mancato di farlo notare su questa rivista (v. ad esempio Il Regime nel N.5).

Tra i vari esempi vi è lo spaventoso numero di "circolari" con cui il PDS, tramite il Ministro della Pubblica Istruzione L. Berlinguer, sta tentando di stravolgere l'ordinamento scolastico italiano a colpi di direttive, senza una qualsivoglia discussione né in Parlamento né con le "forze sociali", in questo caso il mondo della scuola.

Proprio l'ultima delle circolari del Ministro Berlinguer ci spinge a tornare sul tema della Scuola, visto l'uso improprio che, per ignoranza o malafede, è stato fatto di un raffronto con altri ordinamenti scolastici europei per giustificarla.

Si tratta della circolare in base alla quale il "5", pur restando insufficienza, consentirebbe la promozione all'anno successivo, senza necessità di esami di riparazione o corsi di recupero.

In uno dei primi numeri della rivista abbiamo già analizzato alcuni sistemi scolastici europei di cui abbiamo esperienza (in quanto i nostri figli ne sono diretti utilizzatori), suggerendo in conclusione di andarci piano col voler a tutti i costi "adeguarsi all'Europa". Non torneremo dunque sugli argomenti già trattati, rimandando al Dossier Scuola - Adeguarsi all'Europa? pubblicato nel N.4 per gli argomenti di base.

Per rispondere alle critiche avanzate su questa circolare, il Ministro ha fatto sapere che la sua decisione è confortata dall'analoga situazione esistente in altri Paesi, dove il voto non costituisce uno sbarramento, ma solo un'attestazione del livello di apprendimento dello studente.

Perfetto. In effetti il Ministro non ha mentito, ha semplice omesso di aggiungere il resto della "verità". Verità che, una volta detta tutta, smaschera l'assurdità di un tale provvedimento.

L'uso del voto (o giudizio) come semplice indicatore della preparazione dell'allievo, e non come indicatore della idoneità a passare ad un corso di studi superiore, è infatti il sistema attualmente in vigore solamente nell'ordinamento delle scuole statali inglesi, con il metodo della bocciatura che resta invece ben presente in altre scuole e negli ordinamenti di altri Paesi.

Vediamo dunque come funziona questo tipo di sistema.

Come spiegato più in dettaglio nell'articolo citato, gli allievi che iniziano all'età di cinque anni il loro curriculum scolastico, proseguono indisturbati sino all'età di 16 anni (compiendo un ciclo di studi equivalente grosso modo alle nostre elementari, alle medie e ai primi due anni di Liceo) indipendentemente dalle capacità manifestate, dall'impegno profuso e dai risultati ottenuti nel corso degli anni. A quel punto sosterranno un esame, che sancirà la fine della scuola dell'obbligo.

Per tener conto delle differenti capacità che la natura, in barba ad ogni teoria egualitarista, ha concesso ad ognuno, gli allievi sono però informalmente ripartiti in gruppi di livello, all'interno della stessa classe, e l'insegnante svolge programmi differenziati: più intensi per il gruppo dei più dotati (in quella materia), meno intensi per gli altri gruppi.

Il risultato di questa metodologia è che il divario tra gli allievi più bravi e quelli meno bravi (in quella specifica materia) cresce con il tempo. Se questo approccio sia più ragionevole di quello "nostrano", in cui si cerca di portare l'insieme della classe ad un unico livello medio, è discutibile, ma va al di là dei propositi di queste brevi note.

Quello che è importante notare è che tutto il sistema di studi è congruente con l'impostazione suddetta. Infatti, alla fine delle "medie", gli studenti sono obbligati a scegliere sei materie (il minimo consentito) da portare all'esame finale, scelta che deve essere approvata dagli insegnanti delle singole materie, e che è subordinata al rendimento dell'allievo in quella materia.

In altre parole, se il voto degli insegnanti non ha pregiudicato sino a quel momento una "promozione" all'anno successivo, esso interviene ora in maniera decisiva nell'impostare le scelte per l'esame finale della scuola dell'obbligo e gli eventuali studi successivi.

Questo esame fornisce una certificazione del livello dello studente in quelle materie: solo se il livello complessivo è superiore ad una determinata soglia, questi è autorizzato a proseguire gli studi per altri due anni sino all'equivalente della nostra Maturità. In caso contrario lo studente si avvierà al mondo del lavoro o a corsi professionali.

Per i due anni successivi che li condurranno alla Maturità, gli studenti devono scegliere almeno tre materie (il minimo consentito) che saranno appunto oggetto dell'esame di Maturità. Ancora una volta, i risultati conseguiti all'esame finale della scuola dell'obbligo diventano condizionanti nella scelta di queste tre materie. In buona parte dei casi, gli studenti si limitano alla materia in cui sono riusciti meglio, aggiungendo due materie magari meno impegnative (tipo Arte e Musica).

Pur esulando dagli scopi di queste note, non possiamo fare a meno di sottolineare come la progressiva riduzione del numero di materie oggetto di studio e la conseguente "specializzazione" in una di queste porti come necessaria conseguenza ad una carenza di quella "cultura" generalizzata (dalla letteratura alla storia alla geografia alla filosofia...) che costituisce ancora oggi patrimonio delle scuole pubbliche dei Paesi latini.

Non è un caso se Tony Blair, il giorno della sua elezione a Premier, ha indicato due soli punti essenziali del suo programma di Governo: l'avvicinamento all'Europa e una riforma in senso tradizionale delle carenti scuole statali inglesi.

Comunque, una volta impostato il sistema, il sistema continua ad essere congruente: la scelta dell'Università non è infatti libera, ma condizionata dalle materie oggetto dell'esame di Maturità e dai risultati ivi conseguiti. Una scelta errata delle materie di studio all'età di 13 o 15 anni, o uno scarso profitto in alcune di esse, non consentono quindi tardivi recuperi o ripensamenti: non si potrà più iscriversi alla Facoltà di Medicina, se Chimica non era stata inclusa nel proprio piano di studi al Liceo, o se il voto riportato in Chimica alla Maturità non è adeguato, tanto per rendere l'idea.

Ogni Università in sostanza è libera di decidere l'ammissione o meno di uno studente, in base al curriculum di studi da questi seguito. Il Diploma di Maturità infatti, non rappresenta di per sé un titolo di Stato, che dà diritto ad accedere all'Università, ma rappresenta, ancora una volta, una certificazione del livello di preparazione dello studente.

Non esiste, in altre parole, quel valore legale che viene riconosciuto in Italia al titolo di studio, e che è indipendente dal corso di studi seguito, come non esiste il libero ed indiscriminato accesso a tutte le Facoltà universitarie.

Con questo sistema di progressiva specializzazione, anche la cosiddetta Laurea Breve di tre anni, diventa del tutto comprensibile, in quanto essa è sufficiente a creare un laureato tecnicamente valido in quella determinata materia ed in grado quindi di inserirsi subito nel mondo del lavoro. Certo, magari farà ancora errori di spelling e avrà difficoltà a parlare di Shakespeare, ma intanto...

...ma intanto tutto resta congruente con il sistema sociale esistente dove, ad es., al laureato tecnico si chiede solo di fare il tecnico e non il "dottore in..." con pretesa di una "carriera di concetto", ad altre professioni essendo destinati giovani provenienti da altri tipi di scuole.

Peraltro il criterio di differenziare e orientare gli studi già dalle scuole secondarie, esiste praticamente in tutti i Paesi europei, che però mantengono il criterio del voto selettivo, a volte anche in maniera eccessivamente spinta come in Francia.

In conclusione, tutti i cicli scolastici e l'avvio al mondo del lavoro sono organizzati secondo criteri di reciproca coerenza.

Viceversa, le riforme del passato hanno creato in Italia una scuola secondaria praticamente indifferenziata, la quale, accanto ad una preparazione media che noi continuiamo a ritenere buona malgrado i luoghi comuni che esistono al riguardo, fornisce una scarsa specializzazione e consente l'accesso a qualsiasi Facoltà universitaria.

In questo contesto, il Ministro Berlinguer decreta ora in pratica che si debba arrivare alla Maturità non solo senza selezione, che ormai non esiste più da anni, ma anche senza imporre un livello minimo di apprendimento. Naturalmente mantenendo il valore legale del Titolo di Studio (è sconsolante pensare alla lungimiranza del fu Partito Liberale che, trent'anni fa già ne proponeva l'abolizione) ed il libero accesso all'Università, con la conseguenza di dequalificare ancora di più il livello degli studi universitari. Con il risultato che l'Università continuerà ad essere un semplice parcheggio per disoccupati, visto che sì e no il 10% degli iscritti arriva alla Laurea, e parallelamente un trampolino di lancio verso la disoccupazione o la sottoccupazione per quelli che si laureano, malgrado i cinque o più anni di studio.

Così, sul mercato del lavoro europeo, il giovane neolaureato italiano di 25 (minimo) anni senza alcuna esperienza pratica e con una specializzazione discutibile, si troverà a competere con il neolaureato inglese di 21 anni immediatamente produttivo. Né d'altro canto vi sarà in Italia una classe dirigente adeguata, visto che non vi sono più, né vi saranno, scuole in grado di produrla.

Tanto per cambiare, annebbiati dalle ideologie, dalle frustrazioni personali e da quelle imposte dalla Storia, dall'arroganza e forse anche dall'ignoranza, ci lanciamo a scimmiottare gli stranieri, prendendo solo parti del tutto e tralasciando la congruenza dell'insieme.

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