Parte prima: Combinatoria e dintorni

3. Macrocombinatoria

3. Il lullismo

Dalla metà del Quattrocento la combinatoria riprende vigore, ma solo per una riscoperta dell'opera di Lullo, che viene a diffondersi in Europa tramite i commenti di Cusano, Bessarione, Pico, Lefèvre d'Etaples, Bovillus e poi Lavinheta, Agrippa e Bruno (1). Nell'intersecarsi d'interessi diversi che vengono a confluire in quest'improvviso fermento è arduo discernere linee di sviluppo coerenti o perlomeno abbastanza definite da proporsi come criteri di classificazione; tuttavia si può ricorrere in via approssimata alla vetusta distinzione tra una corrente "razionalistica" ed una "magica" del lullismo, entrambe operanti sul doppio versante delle connotazioni logico-simboliche e di quelle enciclopediche riferite al reale.

1) Le implicazioni cosmologiche dell'Ars cominciano ad essere interpretate in associazione ad un'esigenza enciclopedista con la quale viene a confrontarsi sempre più diffusamente il pensiero filosofico tra Cinque e Seicento:

Ad una adesione, o quanto meno ad una spiccata simpatia per il lullismo, corrisponde l'idea di un rapporto necessario fra la costruzione di un'arte indifferentemente applicabile a tutti i rami del sapere e la delineazione di un'immagine gerarchica e unitaria dell'universo.

[...] L'immagine lulliana dell'albero delle scienze, che verrà ripresa da Bacone e da Cartesio, sarà particolarmente fortunata , ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l'aspirazione lulliana verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. (2)

Ma alle restrizioni operate dall'universo chiuso della teologia lulliana si comincia a sostituire una concezione sempre più aperta della combinatoria, che ne restituisce la capacità inventiva consentendo finalmente un libero sviluppo degli elementi:

E' con Agrippa che si intravede la prima possibilità di mutuare dalla Cabbala e dal lullismo congiunti la pura tecnica combinatoria delle lettere, e servirsene per costruire un'enciclopedia che fosse immagine non del cosmo finito medievale ma di un cosmo aperto e in espansione, o di diversi mondi possibili. (3)

Sullo stesso piano della restituzione alla combinatoria delle sue proprietà naturali si situa Valerio de Valeriis, per il quale l'ars insegna «a moltiplicare i concetti e gli argomenti quasi all'infinito... insegnando a mescolare le radici con le radici, le radici con le forme, gli alberi con gli alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi» (4).

Questa linea di sviluppo inciderà più profondamente nel Seicento, dove troverà sbocco nella ricerca leibniziana d'una characteristica universalis, che risolverà infine il dissidio tra la funzione logica e quella enciclopedica, tra convenzionalità e referenzialità dei simboli adoperati, che disgrega dall'interno queste forme combinatorie.

In quell'ideale pansofico che domina tutta la cultura del Seicento si insisterà da un lato sul necessario possesso dell'intero orbe intellettuale e dall'altro sulla conoscenza di una legge, di una chiave, di un linguaggio capace di permettere una diretta lettura dell'alfabeto impresso dal Creatore sulle cose. (5)

Proprio sulla funzione linguistica di alcuni sviluppi della combinatoria Eco si sofferma ampiamente, ad esempio analizzando l'influsso lulliano su Bruno (autore di un De lampade combinatoria lulliana (6) ed altri commenti all'ars), che nel De umbris idearum (1582) riprende in mano le ruote mobili dell'ars brevis utilizzandole per funzioni mnemotecniche: le lettere di ogni ruota concentrica sono associate ad immagini, in modo da produrre, ad esempio, attraverso la serie CROCITUS, l'immagine di Pilumno che avanza velocemente a dorso di un asino, con una benda al braccio e un pappagallo in testa (7).

2) Anche nella corrente magica i sentieri del lullismo si biforcano tra una direzione cabalistica, che privilegia la simbologia dell'ars, ed una direzione alchemica, che pretende di utilizzarne i principi come chiave per la trasmutazione delle proprietà fisiche dei metalli. In entrambe la dottrina originale lulliana viene deformata dalle intenzioni particolari dei suoi nuovi ermeneuti, piegata a letture improprie che ne travisano l'orizzonte teorico (cabalismo) o addirittura lo rovesciano, procedendo in ambiti esplicitamente negati dallo stesso Lullo (alchimia): se Lullo fosse stato ancora in vita avrebbe probabilmente affermato «io non sono lullista», plagiando anticipatamente Marx.

E' Pico della Mirandola ad innescare il nuovo culto lulliano, riconoscendo nella sua Apologia (1487) le analogie tra la temurah cabalistica (che egli chiama revolutio alphabetaria) e la combinatoria lulliana (ars combinandi), che distingue però in certa misura dalla magia naturale suprema. Ma il cabalismo cristiano dei decenni successivi estremizza tale suggerimento, moltiplicando gli sforzi per leggere direttamente in Lullo ciò che non c'era e non poteva esserci: ecco allora apparire testi lulliani apocrifi, come il De auditu kabbalistico, ovvero una trascrizione dell'Ars brevis con sapienti interpolazioni cabalistiche, inserita nell'edizione Zetzner delle opere lulliane (1598), che probabilmente già circolava nel tardo Quattrocento e si ritrova nel 1518 a Venezia sotto il titolo di Opusculum Raimundicum (8); ancora nel 1621 Pierre Morestel la riprende sotto il titolo di Artis kabbalisticae, sive sapientae divinae academia.

Questo presunto cabalismo di Lullo si basava, oltre che sulle analogie dell'ars con le tre procedure della Cabbala dei Nomi, sulla possibile identificazione delle sue nove lettere con lettere dell'alfabeto ebraico che significavano per i cabalisti nomi angelici e attributi divini. Adamo aveva nominato in origine le singole cose (in ebraico) tenendo conto degli influssi divini che si combinavano nelle loro proprietà, quindi «questi nomi contengono in sé le forze mirabili delle cose significate» (9): alle parole ebraiche viene quindi attribuita nella tradizione cabalistica una forza capace di influire sugli eventi, e l'ars lulliana, in quanto regola di combinazione delle impronte divine nelle parole, può essere adattata allo scopo di rinvenire queste potenze occulte del linguaggio.

Probabilmente queste generiche consonanze teoriche possono essere integrate da motivazioni di carattere storico: il cabalismo cristiano, originato dalla diffusione in Europa degli ebrei in seguito alla loro espulsione dalla Spagna, restituita nel 1492 alla cristianità, manifesta spesso l'esigenza di "rivedere" la tradizione cabalistica di origine araba, anche mediante interpolazioni nei testi, in maniera da riscontrare in essi un supposto riconoscimento della divinità di Cristo: il ricorso all'ars lulliana, di origine cristiana, poteva allora significare per i cabalisti un'esenzione da questa manipolazione trans-teologica, la disponibilità di una macchina cabalistica già uniformata alla visione cristiana del mondo, ma contemporaneamente in grado di accogliere molte suggestioni extra-cristiane, come era effettivamente intenzione di Lullo (10).

Ancora più solida è l'incompatibilità dell'ars con i tentativi alchemici, corroborata dal deciso scetticismo che Lullo stesso manifestò verso la possibilità del rinvenimento d'una Pietra Filosofale. Tuttavia l'alchimia pseudo-lulliana (11) poteva comunque usufruire secondo la Yates di numerose maniglie nelle teorie del mistico catalano:

There is no doubt that Lull did not believe in the possibility of the transmutation of metals. He states this repeatedly in his works, and notably in the long and important passage on generation and corruption of metals in the Liber principiorum medicinae which shows that he had examined specimens of the alchemist's art. That he did not write works on alchemy as he did on astrological medicine may well have been because he thought it a vain science, and not ethically important like medicine. Nevertheless the "pseudo-Lullian" alchemists - it may now be suggested - were not wrong in supposing that the Lullian notations and figures could be used for calculating elemental combinations. (12)

Per la Yates l'uso dei colori che Lullo adotta per designare gli elementi (riscontrabile nell'edizione Mainz delle opere lulliane) può avere stimolato il simbolismo alchemico, ma anche nel Tractatus novus de astronomia la combinatoria astrologica adottata riscontra in particolari congiunzioni degli astri una singolare «fortuna» accordata a questo tipo di attività. A prescindere da questi minuscoli appigli testuali, non stupisce che la pretesa dell'ars di evidenziare le connessioni tra le cose esistenti possa essere stata letta in chiave alchemica, dati anche i caratteri quasi sperimentali di proto-chimica che questa disciplina assume nel Rinascimento, ormai svuotata di gran parte delle originali connotazioni mistico-esoteriche.

 

4. Caratteristiche reali

Fin dall'inizio il campo di attuazione d'una combinatoria degli elementi primi del reale è stato identificato nel linguaggio, scelto come luogo rituale d'un accoppiamento originario tra le parole e le cose che confonde i limiti logici della combinatoria con quelli ontologici: il motivo non discende solo dalla costituzione metafisica, trascendente di questi primitivi, dal ricorso a princìpi teologici, quindi di natura linguistica, come forze di produzione ontologica; questo dualismo è infatti inerente alla stessa civiltà filosofica pre-secentesca, in cui il linguaggio non è ancora cosciente delle meccaniche della sua significatività, non ha ancora vissuto la scissione tra le parole e le cose di cui parla Foucault:

Nel suo essere grezzo e storico durante il XVI secolo il linguaggio non è un sistema arbitrario; è depositato nel mondo e nello stesso tempo ne fa parte poiché le cose stesse celano e manifestano il loro enigma sotto forma di linguaggio, e perché le parole si propongono agli uomini come cose da decifrare. La grande metafora del libro che viene aperto, compitato, e letto per conoscere la natura non costituisce che il rovescio visibile d'un'ulteriore traslazione, assai più profonda, la quale costringe il linguaggio a risiedere dalla parte del mondo, tra le piante, le erbe, le pietre, gli animali. (13)

Nella combinatoria la «indistinzione tra ciò che è veduto e ciò che è letto» (14) si manifesta invariabilmente, da Lullo in poi, come principio di contraddizione di ogni sistema combinatorio, oscillante di volta in volta tra le forme irriducibili della struttura del mondo e della struttura del linguaggio (15), modelli rispetto ai quali si pone come strumento neutro. A metà del Seicento il conflitto tra lo strumento combinatorio ed i singoli apparati teorici su cui si tenta inutilmente di applicarlo giunge ad una svolta, determinatasi proprio dal centro vivo dell'interesse linguistico per la combinatoria: poichè essa non sembra poter essere vestita da alcuna lingua precedente, sacra o adamitica, si pensa bene di cucirle addosso un abito filosofico che ne ricopra perfettamente le potenzialità; si tratta, fuor di metafora, della nuova ricerca di una lingua artificiale, adatta a realizzare un accordo totale tra espressione e contenuto (al contrario delle lingue naturali). Ciò dovrebbe realizzarsi tramite la costruzione d'una caratteristica reale: ogni parola di questa lingua dovrebbe essere non più un segno arbitrario che rinvia ad un referente definito da certe proprietà e caratteristiche, ma esprimere direttamente queste ultime, contenere già nel significante tutti i significati a cui rinvia per composizionalità mediante tratti primitivi. Leggere una parola significherebbe già entrare in possesso di tutte le nozioni che compongono l'oggetto a cui si riferisce. E' ovvio che la costruzione di tale lingua presuppone una precedente descrizione esaustiva del mondo, sul doppio piano di una "grammatica delle idee" (articolata in una lista delle nozioni prime, irriducibili, e in una mappa delle sue articolazioni combinatorie in tutte le nozioni più complesse) e d'una enciclopedia del reale (una costruzione gerarchica del sapere, che ordini le cose in base alle loro proprietà).

In un brevissimo arco di tempo appaiono tre diversi tentativi di dare corpo ad una lingua così concepita: l'Ars signorum di George Dalgarno (1661), la Dissertatio de arte combinatoria di Leibniz (1666), l'Essay towards a Real Character, and a Philosophical Language di John Wilkins (1668). Se Wilkins riprende e sviluppa il programma di Dalgarno, successivo al 1670 è il suo rapporto con Leibniz, che aveva sviluppato del tutto autonomamente il suo progetto di ars combinatoria, che costituisce l'apice storico dello sviluppo teorico dei sistemi combinatori, e contemporaneamente ne determina l'impossibilità finale. Non ci soffermeremo su Dalgarno e Wilkins se non per evidenziare il modello combinatorio che sottostà ad entrambe le concezioni: quello della struttura ad albero, che Lullo aveva già prefigurato ma non realmente svolto. In realtà il loro progetto classificatorio preliminare si rifà più da vicino al modello medievale noto come "albero di Porfirio" (dall'Isagoge del neoplatonico Porfirio, II-III sec.): una classificazione per disgiunzioni binarie regolate da differenze che definiscono le derivazioni delle specie dai singoli generi. Ad esempio, rappresentando con le maiuscole i generi e le specie e con le minuscole le differenze:

porfirio.gif (3906 byte)

I tratti composizionali che definiscono l'Uomo sono così «animale razionale mortale» (16); Dalgarno e soprattutto Wilkins predispongono centinaia di tavole classificatorie, che rintracciano in tali differenze gli elementi primitivi di cui organizzano successivamente una Grammatica composizionale ed un sistema di pronuncia: ma essi sono semplici elementi tassonomici, non definiscono affatto le cose, ma le sistemano gerarchicamente in un albero di derivazioni; ovvero, nei termini di Eco, il piano designativo dei taxa non coincide con quello diagnostico (trasparente, autodefinitorio) della totalità dei tratti semantici d'un oggetto, che questi «progettisti di lingue a priori» si proponevano di inscrivere nei loro caratteri reali.

Il progetto di Wilkins, più completo ed interessante di quello dalgarniano, presta comunque il fianco a diverse perplessità: innanzitutto la struttura dicotomica è tradita in più parti; ma più grave appare la flessibilità dei tipi di opposizione che l'autore adotta per stabilire le differenze, censiti da Eco ed in definitiva risultanti da criteri empirici, che spesso mortificano le ragioni della natura per esigenze di simmetria, o all'opposto sbilanciano la quantità di ramificazioni localizzando generi corrispondenti a profondità molto diverse nello schema classificatorio.

In definitiva la forma enciclopedica presentata da questi sistemi depotenzia ancora una volta il libero sviluppo della combinatoria: la costruzione ad albero assume i caratteri di una gerarchia fissata dall'esterno, che seleziona e fissa ad hoc in ciascun caso i criteri che regolano le successioni delle ramificazioni, commisurandole ad una conoscenza esterna del mondo (prefigurata ed instabile, come hanno il coraggio di riconoscere gli autori).

Ma il discrimine che divarica definitivamente la combinatoria da ogni tipo di struttura ad albero è la necessità che sempre si riscontra in quest'ultima di ripetere una data differenza in ramificazioni diverse, dove appare sotto altre connotazioni; così viene meno il postulato di partenza che identificava un oggetto composto con la posizione fissa e immutabile nello schema enciclopedico: i concetti non sono unidimensionali così come li pretende la definizione tassonomica, ma proprio in quanto composti da tratti semantici diversi si riorganizzano in modo trasversale a seconda del criterio classificatorio che di volta in volta si sceglie. Eco nota perfettamente l'ipertestualità implicita del sistema wilkinsiano, dove l'arbitrarietà evidente dei criteri tassonomici sembra dover rinviare necessariamente alla pluralità delle classificazioni possibili, rappresentabile sullo schema delle derivazioni con un inestricabile reticolo di rimandi trasversali tra i concetti: è questa forma reticolare a rappresentare idealmente le possibilità di una combinatoria totale.

 

5. Leibniz

L'ars combinatoria leibniziana viene concepita inizialmente come "lingua universale", ma con un'evidente accentuazione dei caratteri logici: si tratta di un linguaggio matematizzato modellato sulla stessa struttura del pensiero (characteristica universalis) che dovrebbe poter ridurre ogni disputa filosofica a un semplice calcolo del valore di verità di un enunciato, in modo da dimostrare le verità acquisite (ars demonstrandi) ma anche di scoprirne di nuove (ars inveniendi). Come in Wilkins, il progetto richiede una preventiva ricerca dei primitivi, che Leibniz però intende in senso logico, non tassonomico, e quindi coincidente con la scomposizione delle idee complesse in idee semplici a prescindere dalla loro portata enciclopedica. Conviene intanto riportare per esteso la precisa e sintetica esposizione della tecnica combinatoria leibniziana operata da Paolo Rossi:

Il problema fondamentale della logica inventiva, quale viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello di trovare tutti i possibili predicati di un dato soggetto e, dato un predicato, trovare tutti i suoi possibili soggetti. [...] è necessario individuare le idee semplici e primitive che possono essere indicate con un segno convenzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini della prima classe: 1) il punto; 2) lo spazio; 3) l'interposto fra; 4) il contiguo; 5) il distante; (...) 9) la parte; 10) il tutto; 11) lo stesso; 12) il diverso; 13) l'uno; 14) il numero; 15) la pluralità; 16) la distanza; 17) il possibile, ecc. Combinando a due a due i termini della prima classe (com2natio) si ottengono i termini della seconda classe. Per esempio la quantità (il numero delle parti) sarà rappresentata dalla formula: 14t w n 9 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre (com3natio) si otterranno i termini della terza classe: per es. intervallum è 2.3.10, vale a dire che l'intervallo è lo spazio (2) preso in (3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per com4natio, com5natio, ecc. Per trovare i predicati di un determinato soggetto basterà suddividere un termine nei suoi fattori primi determinando poi le possibili combinazioni di questi fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l'intersituazione (3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio intersituato (2.3), lo spazio totale (2.10), l'intersituazione nello spazio (3.10); infine, per com3natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di intervallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predicato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni contengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da questi fattori apparterranno necessariamente alla classe delle nozioni complesse di ordine superiore alla classe cui appartiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La linea, che è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro termini primitivi: 2,3,10 e 1 (il punto). Dati n termini semplici e indicando con k (n>k) il numero dei fattori primi costituenti un predicato si daranno 2n-k soggetti possibili. (17)

Naturalmente il progetto necessita di una Grammatica Razionale che regoli la sintassi di questi caratteri reali e di un sistema fonologico per la pronuncia, piani successivi che tralasceremo, in quanto estranei alle dinamiche macrocombinatorie, e non particolarmente innovati dagli apporti leibniziani (18).

La Dissertatio fu pubblicata da Leibniz all'età di vent'anni, ma il demone della combinatoria lo accompagnerà per tutta la durata del suo percorso filosofico, le cui dinamiche non presentano grossi punti di discontinuità, pur non trovando l'occasione di una sistemazione finale. Nel 1678 gli sviluppi dell'ars in Elementa characteristicae universalis perfezionano le finalità di calcolo filosofico del sistema, assegnando alle nozioni primitive la serie dei numeri primi, di modo che il calcolo dei predicati assuma la forma algebrica di una scomposizione in fattori primi.

[...] quando sorgeranno delle controversie, non ci sarà maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne sia tra due calcolatori. Sarà sufficiente infatti che essi prendano la penna in mano, si siedano a un tavolino, e si dicano reciprocamente (chiamato, se loro piace, un amico): calcoliamo. (19)

La struttura ad albero ricavabile dalla successione delle combinazioni non è più strumento immanente alla combinatoria e dispiegato una volta per tutte come un planisfero (alla maniera wilkinsiana), ma è itinerario tracciabile di volta in volta, schema di sviluppo implicito della combinatoria, virtualità realizzabile se solo si volessero esplicitare tutte le derivazioni, il che non occorre perché all'arbitrarietà delle differenze nello schema wilkinsiano Leibniz oppone una reale proliferazione combinatoria costruita su un processo ricorsivo: la potenziale riapplicazione di tutti gli elementi su ogni termine composto (secondo le procedure che già avevamo indicato come assenti nell'arbor scientiae di Lullo, di modo che ogni singola operazione può concepirsi come "apertura" di un ramo della combinatoria, non ricerca di un oggetto nella foresta pietrificata della tassonomia. Gli esiti della combinatoria sono da Leibniz giustamente riconosciuti come incalcolabili, così da non poter essere ricostituiti da una totalità in praesentia, da una mappa enciclopedica fissabile una volta per tutte, ma da operazioni che di volta in volta "costruiscono" il proprio ramo come sguardo su una possibile combinazione di elementi.

La superiorità della combinatoria leibniziana su tutte le precedenti deriva da una sua fondamentale peculiarità: le classi leibniziane non sono vincolate ad un contenuto enciclopedico (generi, specie), ma sono ordini di natura specificamente combinatoria individuati esclusivamente dal numero di elementi presenti in un soggetto o in un predicato. L' "albero invisibile" della combinatoria apre il ventaglio della totalità delle combinazioni (a differenza della gerarchia wilkinsiana che si snoda su singoli tratti tassonomici), ed è così in grado di gestire la pluralità semantica dei concetti. Ma fino a che punto? E' indubbio che nella concezione iniziale di Leibniz le combinazioni dei concetti primi dovessero estendere l'astrazione di questi fino alla descrizione di tutte le cose, di unità semantiche "piene", e che quindi il piano logico dovesse ad una determinata profondità della combinatoria trasfondersi in un piano enciclopedico, descrittivo di oggetti fisicamente reali e di generi empirici. Ma nel corso degli anni Leibniz procede a dissipare finalmente la nebbia che avvolge l'ambizione macrocombinatoria, e che impedì fin da Lullo di riconoscere che per tratti semantici così astratti come quelli definibili da questo strumento non si possono comporre oggetti complessi come uomo, o generi a differenziazione biologica, come ornitorinco, la cui costituzione non risale ad una combinatoria di concetti; l'apparente empiricità delle differenze tracciabili in sede classificatoria tra questi enti biologici è forse descrivibile esattamente in termini combinatori, ma ad un livello più profondo ed inaccessibile alla conoscenza prima del nostro secolo: la combinatoria di nucleotidi che determina nel DNA l'identità genetica d'una specie (20). Ma, anche qui, si tratta di una combinatoria "genetica" appunto, che nulla contiene delle qualità superiori, fenomeniche e culturali dei suoi prodotti, quindi non dà corso ad una descrizione enciclopedica dell'oggetto che designa.

Ma è la stessa possibilità del reperimento di primitivi ad essere negata in fondo da Leibniz, per l'infinita scomponibilità di ogni corpo, a differenza delle entità metafisiche delle monadi:

Non c'è l'atomo, anzi nessun corpo è tanto piccolo da non essere suddiviso in atto [...]. Ne consegue che in ogni particella dell'universo è contenuto un mondo di infinite creature [...]. Non c'è alcuna figura determinata nelle cose, perché nessuna figura può soddisfare alle infinite impressioni. (21)

E' il riconoscimento di quest'impossibilità che spingerà Leibniz verso le dinamiche del "pensiero cieco" nello sviluppo della sua combinatoria, come evidenziato da Eco:

Per pensiero cieco si intende la possibilità di condurre calcoli, pervenendo a risultati esatti, su simboli di cui non si conosce necessariamente il significato, o del cui significato non si riesce ad avere una idea chiara e distinta. (22)

Poiché la ricerca dei primitivi è per Leibniz ancora lontana da una realizzazione accettabile, e forse in definitiva impossibile, egli è il primo a riconoscere la funzionalità puramente sintattica dello strumento combinatorio, fuori da ogni successiva determinazione semantica:

Fingo pertanto che questi numero caratteristici tanto mirabili siano già dati, e osservata una certa loro proprietà generale, assumo frattanto numeri qualsiasi che siano congruenti con quella loro proprietà, e mediante il loro impiego provo tutte le regole logiche con un ordine mirabile, e mostro in qual modo si possa riconoscere se talune argomentazioni siano valide per la loro forma. (23)

Da questo momento lo strumento combinatorio si indirizzerà decisamente verso la costituzione contemporanea dei sistemi logico-formali, deponendo l'utopia macrocombinatoria negli spazi moltiplicati della scienza sperimentale da una parte, nelle formalizzazioni logico-matematiche dall'altra.


Note

(1) Cfr. l'analisi di questi apporti operata da Paolo Rossi, op. cit., pp. 63-102.

(2) id. , p. 71, p. 75.

(3) Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta..., op. cit. p. 143.

(3) Valerio De Valeriis, Opus aureum..., in Ramon Lull, Opera..., Strasburgo, op. cit., p. 971 (trad. cit. da Paolo Rossi, op. cit., p. 82).

(5) Paolo Rossi, op. cit., p. 75.

(6) Vedi in Ramon Lull, Opera..., Strasburgo, op. cit., pp. 681-734.

(7) L'interpretazione mnemotecnica (per cui la combinatoria delle immagini servirebbe a memorizzare serie di lettere) è di Rita Sturlese (Cfr. la sua Introduzione a Giordano Bruno, De umbris idearum, Firenze, Olschki, 1991), che si oppone a quella della Yates, per cui la combinatoria delle lettere servirebbe a memorizzare immagini da usare a scopi magici (Cfr. Frances Yates, L'illuminismo dei Rosa-Croce, Torino, Einaudi, 1982).

(8) Cfr. Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta..., op. cit., pp. 141-42.

(9) Cornelio Agrippa, De occulta philosophia (1510), I, 70.

(10) Sulle influenze arabe su Lullo cfr. la Yates, Lull and Bruno, op. cit., pp. 59-66.

(11) Sull'alchimia pseudo-lulliana tra XIV e XV secolo vedi F. Sherwood Taylor, The Alchemists, London, 1951.

(12) Frances Yates, Lull and Bruno, op. cit., p. 29.

(13) Michel Foucault, Le parole e le cose, op. cit., p. 49 (miei i corsivi).

(14) id. , p. 53.

(15) Per Leibniz esisteva un'analogia tra l'ordine del mondo e quello dei simboli del linguaggio, concezione che, più che rinviare a precedenti sistemi teologici, sembra invece telescopicamente rapportabile alla posizione del primo Wittgenstein (Cfr. Tractatus 2.2 e 4.121), come spesso è stato notato.

(16) L'esempio è tratto da U. Eco, La ricerca della lingua perfetta..., op. cit., p. 243.

(17) Paolo Rossi, Clavis Universalis, op. cit., pp. 262-3.

(18) Vedi la leibniziana Lingua Generalis in Louis Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Alcan, 1903.

(19) Accessio ad arithmeticam infinitorum (1672), in Carl I. Gerhardt, a cura di, Die philosophischen Schriften von G. W. Leibniz (1875-90), Berlin, Weidmann, vol. VII, p. 198 (trad. cit. da U. Eco, La ricerca della lingua perfetta..., op. cit., p. 302).

(20) «Watson e Crick ci hanno dimostrato come la trasmissione dei caratteri della specie consista nella duplicazione d'un certo numero di molecole a forma di spirale formate da un certo numero di acidi e di basi: la sterminata varietà delle forme vitali si può ridurre alla combinazione di certe quantità finite» (Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio) (1967), S 211.

(21) Verità prime, saggio senza titolo in Louis Couturat, op. cit., pp. 518-23 (trad. it. in Gottfried W. Leibniz, Scritti di logica, a cura di Francesco Barone, Bologna, Zanichelli, 1968, p. 251).

(22) Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta..., op. cit., p. 300.

(23) Historia et commendatio linguae characteristicae, in Carl I. Gerhardt, a cura di, op. cit., pp. 184-89 (trad. it. in Gottfried W. Leibniz, Scritti di logica, op. cit., pp. 214-15).

 

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