La luce della Verità splende nel Tempio.
Due giorni di studi sull'opera «mirabile» dell'Alberti

Archivio 2019. "il Rimino" n. 71. Settembre 2001 - il Ponte, Rimini, 30 settembre 2001
In un saggio di quarant'anni fa, Ezio Raimondi ricordava un passo di Leon Battista Alberti: l'uomo è chiamato a riconoscere un primo e vero principio delle cose, ove si vegga tanta varietà, tanta dissimilitudine, bellezza e multitudine d'animali», ed a lodare quindi «Iddio insieme con tutta l'universa natura, vedendo tante e sì differenziate e così consonanti armonie di voci, versi e canti in ciascuno animante concinni e soavi». Concinni è parola che oggi non usiamo più. Indica non soltanto l'armonia realizzata nella natura, ma anche il principio che ha presieduto alla sua creazione. E' la stessa armonia che Alberti, come artista, vuole proiettare nel suo Tempio «mirabile».
Il Malatestiano è stato il tema di un Convegno di studi svoltosi il 21 e 22 settembre a palazzo Buonadrata, sede della Fondazione Carim che l'ha organizzato, a conclusione del lungo restauro del Duomo riminese.
Ezio Raimondi (come presidente dell'Istituto Beni Culturali regionale), ha introdotto i lavori richiamando questo ideale albertiano della bellezza come composizione armoniosa di tutte le parti di un'opera: niente deve stonare, per trasferire nella materia della pietra l'ideale perfezione del creato.
Raimondi ha esaminato gli aspetti fondanti della cultura del Quattrocento, legata all'ideale di «humanitas» che voleva rendere gli uomini più colti, conoscitori delle cose per scoprire loro stessi.
Dalla lezione del famoso italianista bolognese, è facile ricavare un'importante conseguenza: il 'segreto' del Tempio non è inaccessibile, anzi si rivela sotto gli occhi di tutti. La critica letteraria e la storia dell'arte, unite all'indagine sul pensiero dell'Umanesimo, permettono di conoscere quello che non è un misterioso codice di simbologie per iniziati, ma un complesso sistema di riferimenti, ai quali occorre avvicinarsi con il desiderio più di domandare che di rispondere da soli alle nostre curiosità.
Ricordando i nuovi sviluppi degli studi sull'Alberti, Raimondi ha spiegato che essi portano in primo piano «una nuova interrogazione di un universo mentale consegnato al mondo delle parole e delle pietre». Questo «universo mentale» è qualcosa di «problematico, enigmatico e sfuggente, che sembra avvicinarsi a noi», con la sua consapevolezza che la condizione dell'uomo non è soltanto «dignitas» ma anche miseria.
Per Alberti, costruire vuol dire rifare, emendare, legarsi al passato per emularlo, ma non imitarlo, cogliere un elemento di contemporaneità. Per questo motivo, possiamo trovare nella facciata del Tempio la citazione dell'Arco d'Augusto.
Ogni monumento, ha detto infine Raimondi, oltre che una finestra sul tempo che lo ha creato, è pure l'espressione di un territorio e della gente che ci vive. A questo proposito egli ha ricordato che Alberto Melucci (vedi «Ponte», 23.9.2001) aveva inserito in «Zenta» una poesia che descrive il Tempio: entrandovi, «sei già in paradiso e non paghi neanche il biglietto» («t si zà in paradìs / ta n pègh gnènca e' biièt»).
A Raimondi si è richiamato sabato 22 mattina Piergiorgio Grassi (docente di Filosofia della Religione ad Urbino) presentando la sezione dedicata alla «dimensione religiosa», per analizzare gli aspetti generali della società rinascimentale e quelli particolari di Leon Battista Alberti nei confronti della religione («il suo Dio è un Dio di cui si parla, non un Dio con cui si parla»).
Non potendo qui, per ovvi motivi, dare un cenno di tutte le relazioni della sezione aperta da Grassi (uscirà tra qualche tempo un volume di «Atti» del Convegno che soddisferanno il desiderio di saperne di più), mi soffermo infine su quella del padre Paul Gilbert (docente di Filosofia teoretica all'Università Gregoriana di Roma ed a Parigi).
Padre Gilbert si è dedicato ad un itinerario di lettura dell'interno del Tempio che ha definito «stranamente nostro contemporaneo». Nella modernità, ha precisato, «tutto è ambiguo» proprio come il Tempio, dove si rispecchia il conflitto tipico dell'uomo rinascimentale, proiettato verso un futuro che è l'aldilà, il trascendente, ma pure attento alla ricerca scientifica che si basa soltanto su stessa.
Nell''esaminare come in esso si riassumano la cultura antica e quella rinascimentale, padre Gilbert ha trovato un altro aggancio con la vita dei nostri giorni: sia nel Tempio sia nella vita di oggi, si vuole uscire dagli schemi delle Religioni.
E' una tesi intellettualmente ardita che mira sia a contestare la condanna di Pio II (che considerava l'edificio come espressione pagana), sia a renderci consapevoli che il Tempio non è soltanto il rivestimento e l'abbellimento di una vecchia chiesa. Padre Gilbert spiega che i simboli pagani non riducono la chiesa a tempio pagano, perché la fede è capace di raccogliere il paganesimo, di elevarlo alla dignità di un monumento sacro.
E' stata, la sua, una lezione particolareggiata sui rimandi interni che esistono nel Tempio, fra le singole 'illustrazioni' che s'ispirano, da una parte, alla tradizione religiosa e, dall'altra, alla nuova cultura che annuncia il Rinascimento.
Come sintesi di questo itinerario malatestiano delineato da padre Gilbert, potremmo prendere le sue parole sugli Angeli e sui Puttini che si fronteggiano da due cappelle del Tempio. I Puttini rappresentano l'innocenza perfetta, e gli Angeli, sono segno della misericordia divina: ci guidano verso la prospettiva dell'Eterno, dando tranquillità alle nostre paure e mostrando che l'uomo è fatto per un'Eternità da vivere nella luce della Resurrezione che riguarda anima e corpo, entrambi destinati a Dio.
Antonio Montanari
il Ponte, Rimini, 30 settembre 2001
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