Counter Introduzione dell’Autore

Introduzione dell’Autore

 

Cara Lettrice, caro Lettore,

questo libro raccoglie svariati spezzoni di lettere (e non solo) ricevute direttamente dal carcere. Forse qualcuno potrà chiedersi come ne sono venuto in possesso, domanda più che legittima.

Alla fine del Dicembre 1995, mi venne l’idea di scrivere ad un detenuto che chiedeva un po’ di compagnia e conforto morale (per la solitudine in cui si trovava) e la cui lettera era stata letta, per sensibilizzare gli ascoltatori sulle tematiche carcerarie, a Radio Maria nell’apposito spazio che l’emittente cattolica dedica da parecchi anni al mondo del carcere: ovvero il sabato sera, 20 minuti prima delle 24, e alle 0.40 ca. dopo la preghiera del S. Rosario; inoltre, ogni terzo lunedì del mese dalle 22.45 in poi. Mentre stavo scrivendo a getto, come se l'avessi fatto da sempre e come se conoscessi da una vita quella persona reclusa, pensai che la stessa cosa poteva essere fatta anche da altre persone [a dire il vero, migliaia di persone lo avevano già fatto e lo stavano facendo da anni e anni, ben prima di me (per fortuna!)].

Pensai, al tempo stesso, di creare e organizzare appositamente un gruppo di "scrittori di lettere": volevo a tutti i costi cercare di trovare qui in zona e poi in tutta Italia delle persone disponibili a scrivere a chi sta in carcere: volontariato penitenziario tramite corrispondenza.

Ma come fare? Con il passaparola, con le inserzioni nei giornalini di annunci gratuiti.

Detto, fatto: grazie a Dio…

Nacque così in breve tempo "AMI.CA. (Associazione Amici dei Carcerati)": attualmente siamo circa 80 soci/e sparsi in tutta Italia (persone eccezionali che desidero ringraziare pubblicamente per la loro indefessa costanza, generosità e altruismo), con circa 140 Fratelli e Sorelle che vivono la dura esperienza del carcere e che tramite lo scambio epistolare ricevono, e ci offrono in larghissima misura, una ventata di Amicizia, compartecipazione e a volte anche buon umore (sembrerebbe un paradosso ma è così), certamente anche denunciando immani e disastrosi sconforti personali e strutturali.

Nella nostra cultura edonistica e consumistica, tipicamente occidentale, il "pianeta carcere" è un mondo che abbiamo imparato a non considerare e a ghettizzare. Non ci si pensa proprio. Anzi, alcuni se potessero ci metterebbero una bella e grande pietra sopra!

Come avveniva una volta per coloro che erano affetti da lebbra: venivano cacciati fuori dalle città o villaggi, gettati in fosse già predisposte e rinchiusi sotto sbarre.

E là dimenticati per sempre.

E questo è quello che succede, grosso modo, per il mondo del carcere, quindi per i detenuti: qualcuno dirà a buona ragione che i lebbrosi non se lo meritavano di certo mentre chi sta in carcere se lo "merita" senza dubbio…

Tuttavia questo è vero solo in parte. Ecco che qui, innanzitutto, c’è tanta disinformazione: il 47% di chi sta in carcere è ancora in attesa di una sentenza di primo grado! La popolazione detenuta italiana è formata da circa 57.000 persone: 26.800 ca. di queste stanno ancora aspettando che un giudice le dichiari colpevoli o innocenti! Prima si viene arrestati e scaraventati in prima pagina, a volte anche come "ipotetici mostri o brutali assassini" (ma intanto tutti ci credono), poi si comincia ad aspettare che qualche giudice inizi il lungo iter del processo.

E intanto si attende, si attende e si attende ancora: in carcere.

E quanti, quanti purtroppo, sono risultati poi innocenti "regalando" allo Stato anni e anni della propria vita: in cambio di cosa (ammettendo per l'assurdo degli assurdi, e contro natura umana, che si possa barattare la propria libertà violentata, in quanto risultati poi innocenti, con una manciata di soldi)? In cambio di qualche milione di vecchie lire per ogni anno passato dietro le sbarre da innocenti, lontani e strappati dagli affetti, dalla moglie o dal marito, dai figli, dai parenti, dal lavoro quasi sempre perso a causa della detenzione? E non continuiamo per decenza umana questa penosa lista (poi qualcuno si meraviglia anche per il tasso così elevato dei suicidi in carcere)…

Leggerete nelle pagine a venire alcuni di questi agghiaccianti casi: no, non ci si trova sul set di un macabro film, qui parliamo di vita reale. Com'è capitato a tanti di loro per scellerato ed aberrante errore giudiziario, potrebbe capitare anche a me, o a voi… (per carità, non lo auguriamo a nessuno! Dio ce ne scampi!): quindi è ben facile puntare il dito, mentre è molto più difficile farlo con cognizione di causa (analizzando caso per caso, cosa peraltro impossibile), senza cadere nei soliti tranelli della amorale (a volte) di massa. So bene che questo discorso potrebbe attirarmi molti mugugni e qualche antipatia ma sinceramente preferisco proseguire il più lealmente possibile su questa strada: tutti noi sappiamo bene che per scagliare la prima pietra dobbiamo innanzitutto guardare dentro noi stessi e poi girare i tacchi.

E comunque essere informati su quello che si sostiene essere il vero, mentre magari non è altro che un "dagli all'untore" massificato e ben pompato (a regia) dai mass media sensazionalistici a caccia di strani esseri lombrosiani da schiaffeggiare in prima pagina anche se la nostra Costituzione Repubblicana ordina la presunzione di innocenza fino al termine del processo di primo grado: ma intanto sono ben capaci lo stesso di rovinare l'esistenza a certi poveri cristi, vittime delle maglie di una giustizia che fa acqua dappertutto come uno scolapasta (parola d'ordine: munirsi sempre di ampio ombrello, non si sa mai…).

Un banalissimo esempio, ma reale, accaduto? Due persone senza lavoro rubano per procurare qualcosa da mangiare in famiglia: uno ruba dell'oro in una gioielleria con una rapina a mano armata; l'altro ruba verdura e frutta da un ambulante dandosela a gambe tra la folla mezza inferocita. Entrambi colpevoli: rubare è un reato. Non ci piove. Ma in questi due casi chi sarà "più colpevole" in senso lato? Rubare oro e rubare insalata e cetrioli hanno la stessa valenza (a prescindere in teoria dalle modalità e dalle pene inflitte)?

Eppure entrambi acquisiscono lo "status" di detenuti: entrambi finiscono in galera come ladri.

Vai tu ora a spiegare ad un datore di lavoro, al fine pena, come sono andate le cose veramente. Comunque sia, tu sei e resti, nel pregiudizio collettivo, un ladro.

Che forse potrebbe ancora rubare: quindi non ti assumo, non ti do fiducia, e tu rimani per strada di nuovo, senza soldi e senza lavoro. Tragico…

Che siano tutti "angeli" allora? Ma neanche per sogno: nessuno ha mai detto questo.

Forse riuscirò a spiegarmi un po’ meglio nelle righe a venire, se avrete la pazienza e la bontà di spingervi sino alla fine di questa mia introduzione.

Certo che sarebbe anche interessante capire (ma non ci vuole molto…) perché i mass media ci propinano sempre e solo fattacci di ex detenuti e/o detenuti in semilibertà che commettono reati (così gran parte della gente digrigna ancor più i denti verso "la categoria" in generale e magari li vorrebbe vedere anche appesi a testa in giù e forse anche fucilati all'istante…) quando le statistiche parlano chiaro: solo lo 0,1% di chi esce dal carcere vi ritorna come recidivo.

Lo 0,1%: non l’1% o il 10%. No, non è un errore di battitura: è lo 0,1%!

Lo sapevate?

La nostra Costituzione all'art. 27, II° comma, inoltre, prevede la "rieducazione" del condannato: come? Quando?

Pare un'assurda barzelletta (anzi lo è).

Qualcuno abbia la bontà di spiegarci come si fa a "rieducare" un detenuto facendolo vivere con altre 5/6 persone in una cella costruita per 2 (vedi "San Vittore" a Milano, costruito per 1.500 detenuti ed affollato da 2.400 persone, o "Santa Bona" a Treviso, costruito per ospitare 150 detenuti e attualmente "abitato" da circa 250)? Un nostro corrispondente mi ha raccontato, faccia a faccia, che vive in una cella mignon con un letto a "tricastello" tant'è che quando uno sta in piedi gli altri due devono restare a letto per mancanza di spazio vivibile: ovviamente con bagno turco compreso in cella, così quando il fortunato di turno che sta in piedi deve "andare" anche in bagno (basta che sposti solo qualche piede) gli altri due devono o possono "assistere" in diretta all'avvenimento…il "Grande Fratello" in confronto è uno spettacolino da principianti (e qui non servono neanche una televisione nè mille telecamere)…amara, e quanto amara, ironia…"Rieducazione" del condannato?!

È forse "rieducazione" che certi magistrati di sorveglianza rigettino continuamente permessi di libera uscita quando i pareri scritti dei sorveglianti e/o degli educatori (sulla affidabilità e la buona condotta del detenuto) sono più che favorevoli?

È forse "rieducazione", in alcuni carceri, potersi fare la doccia solo una volta alla settimana (specie d'estate)?

È forse "rieducazione", in quasi tutte le carceri, non avere la possibilità di lavorare, di guadagnarsi qualcosa per non gravare sulle spalle dei contribuenti e prima ancora (se c'è e se non è già frantumata) della propria famiglia? È forse "rieducazione" star male e sentirsi rifiutare in tantissimi casi i farmaci ad hoc perché ci sono sempre i classici tagli annuali alla Sanità e i primi a pagarne il prezzo, oltre agli anziani, sono sempre i detenuti, visto che le dispense delle infermerie di certe carceri hanno buchi da far paura?

Non parliamo poi dei farmaci salvavita…

È forse "rieducazione" che in tantissimi carceri ci siano solo un educatore ed uno psicologo ogni 200/250 detenuti?

Si parla comunemente anche di "reinserimento" nella società, una volta scontata la pena: più di un detenuto ci ha confessato di avere il terrore di uscire (al fine pena) per non sapere dove andare a dormire, dove cercare un lavoro, dove procurarsi dei soldi per mangiare, per vivere, per spostarsi… Ci sono, come sempre, alcune comunità cattoliche e/o laiche che si occupano anche degli ex detenuti, ma a ben vedere, sono veramente poche, mosche bianche. Se una persona è tossicodipendente, alcolista, malata di AIDS ecc. trova quasi sempre un aiuto (per fortuna, grazie a Dio).

Ma credete, chi esce dal carcere e va in cerca di un lavoro col "marchio" di essere un ex carcerato, purtroppo resta tantissime volte a piedi e deve sottoporsi a delle peregrinazioni indicibili per poter ricominciare una vita seriamente onesta a tutti gli effetti. E si porta così dietro una seconda condanna, tatuata a fuoco, dopo aver pagato la prima (e a che prezzo!): quella dell'indifferenza e dalla ghettizzazione della nostra società. Cambia l’uomo ma troppo spesso non cambia la società.

Ben diceva uno scrittore, in una frase celeberrima: "Fa più rumore un albero che cade rispetto ad una foresta che cresce in silenzio".

E per citare anche Raoul Follereau: "Rifiutate di mettere la vostra vita su un binario morto. Ma rifiutate anche l'avventura in cui la parte dell'orgoglio è più grande di quella del servizio. Denunciate, ma per esaltare. Contestate, ma per costruire. Che perfino la vostra rivolta stessa e la sua collera, siano amore!".

Ecco, in questo libro lasceremo un po’ di spazio a chi spazio non l’ha mai avuto. Cercheremo di aprire un piccolo barlume di luce con la speranza che questo porti ad un sincero sforzo di comprensione, se si vuole anche caritatevole, denudata dai soliti pregiudizi di massa che nullificano l'Uomo.

Vedremo tanti flash di una foresta che cresce in silenzio: che vuol farsi conoscere.

"Voci da Galera" è qui per questo, pur con tutte le sue immense limitatezze.

Proveremo ad ascoltare: per conoscere di più e meglio.

Affinché i Lettori conoscano, siano informati su questo "pianeta" che probabilmente non sappiamo neanche che esista nella costellazione della nostra vita.

C.M.




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