Storia del travestitismo di sinistra
e del falso storico ed ideologico.
Dai “padri costituenti” al Partito Democratico.


Gran parte delle documentazioni qui esposte in ordine alfabetico sono state pubblicate su internet o digitate per la prima volta sul forum di annozero, nel 2007, per essere rese accessibili sulla rete, suscitando scandalo e reazioni staliniste con insulti e linguaggi tipici da piccisti degli Anni ’50…

Quando scoppiò lo scandalo Bobbio… internet era un po’ agli albori, ma oggi si trovano molte cose. Anche facendo indagini sull’Archivio Storico di Angelo Tasca si scopre un universo di guerre e cose sporche.

Per chi ama ricercare cose rare in biblioteca, in alcune biblioteche, forse… vi è ancora l’opera di Nino Tripodi – Intellettuali sotto due bandiere, fatto da un ex fascista che fu massacrato da altri ex fascisti… e per vendicarsi ricorse alla copertura di Ciarrapico per pubblicare un dossier terremoto… messo subito a tacere. Enrico Mattei definì al tempo tutto questo: “La danza dei fascicoli riservati” e lui sapeva come usarli. Per quanto riguarda le cose recenti, la commissione di indagine parlamentare sull’Armadio della vergogna… c’è da ridere…

si legga qua: Ex fascisti in Commissione. Uno per uno, ecco gli ex fascisti della commissione parlamentare d’inchiesta sui crimini del nazifascismo. Giuseppe Scaliati – La Voce della Campania – 25/10/2005

GLI EX MISSINI indagano sui crimini della Repubblica di Salò, per poi riabilitare gli autori di quelli eccidi. Proprio così. Da due anni è stata istituita infatti alla Camera dei deputati una commissione d’inchiesta sui crimini nazifascisti del dopoguerra, avvenuti durante la breve esperienza della Repubblica sociale italiana. Fra i membri, alcuni deputati dichiara fama neo o post fascista. La “commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti” è stata istituita con una apposita legge il 15 maggio 2003 col compito di indagare sulle anomale archiviazioni “provvisorie” (come da timbro del 1960) e le cause dell’occultamento dei 695 fascicoli ritrovati nel 1994 a Palazzo Cesi, sede della Procura generale militare.

I fascicoli di quello che è poi diventato “l’armadio della vergogna ” , contenevano le prove sulle pesanti responsabilità dei militari della repubblica di Salò, complici di tanti eccidi consumati dalla Wemarcht e dalle SS naziste nel corso della seconda guerra mondiale nei confronti di circa 15 mila vittime.

Almeno diecimila civili e 580 bambini, come calcola lo storico Gherard Schreiber. Infatti, durante il periodo della Repubblica di Salò, nazisti e fascisti, SS e repubblichini, causarono decine di migliaia di morti, uccidendo «gente senz’armi, civili in fuga dalla guerra», come ampiamente documentato da L’ arrmadio della vergogna, lo sconvolgente libro di Franco Giustolisi edito da Nutrimenti.

«Le vittime – si legge nel volume – furono per lo più donne, vecchi, bambini. Piccoli ancora in fasce. Altri mai nati. Li cavarono dal ventre delle madri con le loro baionette e ne fecero bersaglio delle loro armi». Finita la guerra, i fascicoli delle prime indagini sui colpevoli di quegli eccidi erano presenti nella sede della Procura generale militare di Roma, ma improvvisamente tutto fu insabbiato.

A questo indirizzo è possibile trovare anche NOME E COGNOME dei membri incaricati di lavorare di forbice
http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2812&Class_ID=1004
http://www.osservatoriodemocratico.org

A
come Argan Giulio Carlo

ARGAN Giulio Carlo, politico-sindaco comunista di Roma - Collaboratore di Bottai -Ministro Educazione…. Collaboratore della rivista “PRIMATO FASCISTA” del ministro Bottai ..Iscritto al PNF…segretario di redaz. della rivista fascista Le Arti….


B
come…

BARTOLI DOMENICO
Notissimo giornalista anti-fascista, grande estimatore (e grande protetto) di Ugo La Malfa, ha elaborato la teoria seconda la quale chi si schierò con la RSI non dovrebbe avere la cittadinanza italiana.
Durante il Ventennio fu uno zelantissimo apologeta del Fascismo, tanto che nel 1935 scrisse sulla rivista “Saggiatore”: “E’ evidente che per il nostro lavoro abbiamo un punto fermo: il nucleo centrale della dottrina fascista, così come lo ha precisato Mussolini”. Precedentemente, nel 1933, aveva pubblicato il libro “Il volontarismo delle Camicie Nere”, nel quale aveva scritto: “La Rivoluzione delle Camicie Nere che segna la rinascita di tutta la vita italiana, mentre da un canto ha impresso alla Nazione un nuovo slancio verso il futuro, l’ha d’altra parte ricollegata alle sue tradizioni più alte.”

BIAGI Enzo
Collaboratore della rivista “PRIMATO FASCISTA” del ministro Bottai -Partecipa ai Littoriali del 1935

BINNI Walter
Deputato socialista Costituente- Partecipa, si classifica Littoriali,nel ‘39 collabora a Civiltà Fascista, fino al ‘42 scrive su “Primato Fascista”,aderisce alla campagna del PNF contro il “lei”. Partecipa, e vince ai Littoriali, ,quale rappresentante dei GUF (Gruppi universitari fascisti).

BO Carlo
Docente universitario. Partecipa e si classifica ai Littoriali della Cultura. Collabora alla stampa del Ventennio. Sarà poi riverito cattolico di sinistra…

Ancora B
come Bobbio Norberto

BOBBIO Norberto
Che dovette ammettere a malincuore di aver avuto un trascorso fascista SOLO quando prove e testimonianze sono divenute di DOMINIO PUBBLICO.
Nel Paese che dimentica tutto e in fretta l’intellettuale “di sinistra” se la cavò con un “È stata una triste parentesi…”.

Bobbio, che di essi era il grande vecchio, servì il Fascismo fin dalla gioventù. Iscritto al PNF dal 1928 percorse una rapida carriera universitaria in camicia nera. Scrisse e fece scrivere al Duce ripetute lettere di appassionata fedeltà, alcune delle quali sono riuscite a vedere la luce in epoca recente.

Giurò fedeltà al Duce anche un anno dopo le leggi razziali, esattamente il 3 marzo 1939, per poter ottenere una cattedra all’Università di Siena.

Rigiurò fedeltà al Duce ancora nel 1940, a guerra dichiarata, per insediarsi a Padova nella cattedra del professor Adolfo Ravà, che era stato allontanato perché ebreo Su oltre 1.200 docenti universitari dell’epoca, solo dodici rifiutarono di prestare quel giuramento: Bobbio decise di stare non con i 12 ma con i 1188″.

Ancora B
come  Bocca Giorgio


BOCCA Giorgio
Scrittore, giornalista; addetto al CINEGUF di Cuneo. Fra gli scritti che sostennero la propaganda razzista in Italia,la Mostra elenca quelli di Giorgio Bocca, Scrive, nel 1942,sul giornale della Federazione fascista di Cuneo .” …sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, come ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di portarla in stato di schiavitù”.

Come già citato sopra, in La Provincia Granda, 4 Agosto 1942, Giorgio Bocca, scrive :

“Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza, infatti, sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in un tempo non lontano, essere lo schiavo degli ebrei?”

Giorgio Bocca a 18 anni ottiene la tessera del PNF (Partito nazionale fascista), sottoscrive il Manifesto in difesa della razza italiana, fortemente voluto da Benito Mussolini per compiacere l’alleato tedesco.

Ancora ad agosto del 1942, giovane giornalista fascista, scrive un notabile articolo in cui imputa il disastro della Guerra alla congiura ebraica.

Il 5 gennaio 1943 denuncia alla polizia fascista l’industriale Paolo Berardi che, in un treno, ha l’infelice idea di dire ad alcuni reduci dal fronte russo e dalla Francia “che la guerra è ormai perduta”.

Dopo l’8 settembre 1943 passa alla Resistenza. (ma dai???)
 

BUFALINI PAOLO
Dirigente del PCI, per molti anni senatore, aveva pubblicato su “Roma fascista” del 22.2.1936 un bell’articolo dedicato alla libertà di stampa, nel quale spiegava che il Fascismo è un impegno di vita e che solo il Fascismo poteva stabilire che cosa fosse la libertà di stampa e quindi quali ne fossero i limiti.

BUZZATI Dino
Collaboratore della rivista “PRIMATO FASCISTA” del ministro Bottai, è fra i giornalisti e scrittori che aderirono alla RSI .
Per arricchire la lettera B, bisognerebbe rivendicare la VERA pubblicazione di tutto il contenuto dell’armadio della Vergogna, a cui i soliti intellettuali e “storici-democratici” viene delegato il compito del lavoro di forbice e della più sporca delle pulizie.

C
come...

CAGLI Corrado
Artista, poi pittore “comunista”. Autore di un immenso quadro apologetico della Marcia su Roma.

CALAMANDREI Franco
Picì, capo dei GAP romani, implicato nell’attentato di Via Rasella.Partecipa col GUF di Firenze e vince i Littoriali della Cultura del 1935 .

CARETTONI Tullia
Deputata picì e V. Pres.Senato. Dirigente GUF di Roma , collabora a Roma Fascista fino al ‘43.

COMENCINI Mario
Regista. Partecipò, quale rappresentante di Milano, ai Littoriali del1935 e del 1936 .

CALLEGARI GIANPAOLO
Scrittore, giornalista. Collaboratore della Stampa Fascista con articoli impegnatissimi, specie a sostegno della valorizzazione dei giovani da parte del regime.

Nel 1942 è perfin ottimista e ritiene in ripresa la “produzione dell’autentica letteratura” (quella fascista) e annovera la “moralizzazione del gusto” come aspetto caratterizzante della guerra.
Persa la guerra passa alla sinistra.

CANONICA Pietro
Scultore. Elevato da Mussolini alla dignità di ACCADEMICO d’ITALIA. Elevato poi dall’Italia antifascista alla dignità di SENATORE A VITA….

CARETTONI TULLIA
Attiva dirigente del GUF di Roma e collaboratrice di Roma Fascista fino al 1943. Persa la guerra diviene parlamentare eletta nelle liste di Togliatti e vicepresidente del Senato.

CARLI Guido

Collabora a Critica Fascista e a Civiltà Fascista con articoli e saggi sulla politica economica nell'”Italia Corporativa” e nella Germania Nazista.

Dopo la guerra passa alla Democrazia Cristiana, diviene GOVERNATORE della Banca d’Italia e successivamente in quanto “uomo di fiducia di Casa Agnelli” diviene Presidente della Confederazione degli Industriali.

Esce indenne da tutte le operazioni di saccheggio del denaro pubblico finalizzate alle “opere pubbliche”.

CASSOLA Carlo
Scrittore. Collabora alla stampa del ventennio. Scrive su Anno XIII, rivista diretta da Vittorio Mussolini. Sarà poi intellettuale di sinistra…

CECCHI Emilio
Critico letterario, scrittore. Nonostante avesse firmato nel 1925 il Manifesto Antifascista di Croce, accettò un Premio Mussolini e nel 1940 la nomina ad accademico d’Italia.

Fu al seguito di Mussolini durante il noto viaggio in LIBIA e ne scrisse le LODI. Di altre Lodi parlò Goffredo Bellonci sul Giornale d’Italia del 23 ottobre 1942: “Cecchi, ha in alcune prose esaltato la figura del Duce e analizzato criticamente il suo stile per mostrarne la forza”.

Nel Dopoguerra, considerato il suo rapido inserimento nella cultura democratica e “antifascista”, non mancarono a suo carico le accuse di trasloco da una politica culturale all’altra diametralmente opposta. Carlo Ragghianti (cfr. Il Giornale, 24,9,1976), scrisse che, data l’intelligenza e la cultura di Cecchi, di lui “si leggevano con disgusto mescolato a dolore articoli e corrispondenze cortigiane”.

ancora C
come CHILANTE Felice

CHILANTE Felice
Scrittore, giornalista… Con ZANGRANDI e LAJOLO, oppure Natta ed Ingrao, potrebbe completare la più rappresentativa triade del trasformismo dalla MILIZIA FASCISTA all’impegno nel PCI di Togliatti.

Occorrerebbe un volume-mattone per raccogliere gli scritti di CHILANTI durante il regime.
Non ci fu istituto o iniziativa del fascismo senza una sua pagina laudativa.

Il fascismo era per CHILANTI “una rivoluzione continua, una marcia che le generazioni si assumeranno il compito di continuare verso gli orizzonti che sono stati precisati dal capo”.

Il diapason del suo attivismo littorio fu toccato nel 1938 quando mise la penna a disposizione della campagna razziale contro gli ebrei. Ne scrisse dovunque e con virile virulenza.

Il volume di Paolo Orano, Inchiesta sulla razza, contiene un suo capitolo:
La RAZZA italiana esiste, è viva, gagliarda, pura: la RAZZA italiana ha una missione da compiere nel mondo, e la compirà. Questa nuova RAZZA ritrova se stessa nel Fascismo che ha liquidato la democrazia e ha tracciato le nuove strade della civiltà nel mondo.

E ancora:

“Il Fascismo è nato e si rivolge come rivoluzione sul piano universale dell’Impero, realtà dominante perché è un prodigio della razza italiana come già lo furono Roma e il Rinascimento”.

Coinvolto nella congiura “superfascista” del 1942, fu mandato al confino a Lipari. Dopo la guerra fu accolto anche lui nel Picì di Togliatti e di Longo… abbracciando la “militanza comunista” con impegno pari a quello speso durante il fascismo.

Ma il passato gli rimase come un peso sulla coscienza. Cercò di farne ammenda con una trilogia autobiografica di lunghi racconti-confessione intitolati Ponte di Zarathustra (1965), il colpevole (1967), Ex (1968), infarciti di manipolazioni suggerite dal bisogno di farsi assolvere e dal bisogno di troppi, tanti, colleghi di partito che preferirono non essere coinvolti dissociandosi dalla sua iniziativa.

CHIARELLI Giuseppe
Docente universitario.

È uno dei maestri del Diritto Corporativo Fascista, sul quale scrive parecchi libri sostenendone i pregi in contrapposizione alle teorie e ai sistemi sia liberisti che “collettivisti”.

Assorbito dopo la Guerra dalla Democrazia…, godrà la prestigiosa investitura di presidente della Corte Costituzionale.

CIAMPI Antonio.
Scrittore.

Attivo collaboratore della stampa del ventennio con articoli Apologetici, fu condirettore di Legioni e Falangi, addetto stampa del Ministero della Cultura Popolare, volontario in A.O.I.

Dopo la guerra, riesce ad inserirsi nel nuovo ordine democratico. Fu dapprima direttore e poi presidente della SIAE.

CIASCA Raffaele.
Docente universitario. Firmatario del manfesto di Croce del 1925, passò poi al Fascismo… pubblicando libri apologetici sul colonialismo del duce.

Collaboratore di Primato, tra il 1940 ed il 1943, scrisse articoli in DIFESA delle Potenze dell’ASSE e contro gli alleati occidentali. Subito dopo la guerra passò alla DC e fu eletto senatore nelle liste democristiane.

CODACCI PISANELLI Giuseppe.
Docente universitario, uomo politico. Partecipa ai Littoriali della Cultura nel convegno di Dottrina del Fascismo, classificandosi con onore.

Nel 1940 fa domanda di iscrizione al centro di preparazione politica dei giovani. Persa la guerra diviene solerte seguace della Democrazia Cristiana, quindi deputato per molte legislature e più volte ministro.

COLITTO Francesco.
Uomo politico. Durante il Fascismo è attento studioso del diritto del lavoro e delle istituzioni corporative.

Pubblica libri ed articoli sugli ordinamenti sindacali e corporativi mussoliniani, lodandone le “innovazioni” ed esaltando il duce.

Dopo la guerra lo troviamo nel PLI per il quale sarà deputato e sottosegretario di Stato.

CRESPI Mario.
Industriale, nominato senatore nel 1934 su proposta di Mussolini, proprietario del Corriere della Sera, attivo esponente della società fascista, promotore e finanziatore dei famosi “Premi Mussolini”, annualmente distribuiti dall’Accademia d’Italia ai migliori intellettuali della nazione.

Subito dopo il 25 luglio passa all’antifascismo. Sarà lu ad aprire prospettive di alleanza tra il Corriere della Sera ed il PCI.

D
come DE ROSA Gabriele

DE ROSA Gabriele
Docente Universitario Milita attivamente negli organi universitari del regime.
Nel 1939 pubblica un volumetto intitolato “La rivincita di Ario”, a cura del GUF di Alessandria, duramente razzista ed anti-giudaico, inteso a provare “le influenze deleterie dell’ebraismo con la conseguente necessità di purgare l’Italia dalla piovra giudaica”.

Sostiene altresì l’ideologia del “cattolicità e fascismo”, dove fascismo significa “agire per fini universali interiormente religiosi e sacri“, e che i giovani “debbono diffondere per l’Italia il fuoco e la vitalità del loro animo cattolico e razzista“.

Dopo la guerra, il De Rosa diventa uno dei tanti “artefici” della resistenza e passa al PCI, successivamente salta dal PCI alla Democrazia Cristiana.

La “sua” ricostruzione della Storia finisce sui banchi delle scuole e delle università.

Nel 1977, immemore di quella equazione (cattolicità=fascismo), pubblica un’ampia ricostruzione storica e biografica di don Luigi Sturzo, il prete siciliano fondatore del partito popolare e ne loda l’emblematica contrapposizione del mondo cattolico al fascismo…

Robe da matti:))))
 

DE FEO Sandro.
Giornalista… Durante il fascismo fu critico cinematografico del Messaggero.

Quale collaboratore di Critica Fascista apologizzò il regime fino a scrivere che “il senso dello squadrismo è veramente immortale”.
Dopo la guerra fece professione di fede liberale e imputò a Mussolini le sue tare miserande e il “suo misero destino”.

DE GIORGI Elsa.
Attrice. È di casa nel gran mondo della cinematografia gestito dal fascismo, frequentatrice degli ambienti più mondani del Ventennio. Corteggiata da Galeazzo Ciano, fotografata col ministro della cultura popolare Alfieri, interprete di film patriottici come Teresa Confalonieri nel 1934.

Fieramente antifascista dopo la guerra, scrive libri autobiografici (I coetanei, 1955) rinnegando le antiche amicizie e spargendo scherno e disprezzo sugli ambienti fascisti che aveva a lungo sfruttato.

DE GRADA Raffaello.
Critico d’arte, giornalista.
Partecipa ai Littoriali della Cultura con Ottime Classifiche. Collabora alla stampa del ventennio. Indulge all’apologia del fascismo. Dopo la Guerra sarà deputato del PCI.

DE SICA Vittorio.
Attore. La sua carriera cinematografica si sviluppa durante il fascismo ed egli stesso è fascista, dimostrato dalle fotografie che lo ritraggono mentre recita col distintivo all’occhiello.

È vero che i suoi gusti scenici erano solo sentimentali e borghesi, ma è altrettanto vero che, calandosi nei tempi, scriveva sulla rivista Scenario del Luglio 1939:

“Certo è che, piuttosto che continuare a dar corpo a degli eroi della rassegnazione, della rinuncia, della modestia (tutte virtù che nessuno di noi sente più, che il tono dell’italiano nuovo è tutt’altro) io preferisco ritirarmi in buon ordine e aspettare il momento buono per rimettere il capo alla ribalta…. aspetto opere che si ncontrino col mio desiderio di battaglia”.

Codesto suo desiderio di battagliare, come si conviene a un “italiano nuovo”, si muoverà dopo qualche anno in senso letteralmente inverso. De Sica sarà regista di film polemicamente antifascisti come Roma Città aperta e Il Generale della Rovere.

DONATI Antigono
Docente universitario, uomo politico. Collaboratore della stampa del ventennio, di Bibliografia Fascista. Insegnante dell’Istituto di Studi Corporativi, fotografato in camicia nera. Poi socialista e deputato PSI al parlamento democratico:)

F
come FIRPO Luigi

FIRPO Luigi
Docente Universitario. Dal 1934 al 1940 partecipa a TUTTE le edizioni dei Littoriali della Cultura, classificandosi SEMPRE con ONORE...

È redattore capo del settimanale del GUF di TORINO: Il Lambello… (…).

È premiato da Galeazzo Ciano a Lucca tra “Poeti del Tempo di Mussolini” per una Lirica INNEGGIANTE alla “giovinezza scama, guerriera – scatenata sui continenti – come vento di primavera”.

Perduta la guerra, il Firpo diventa antifascista e scriverà a lungo su La Stampa articoli di integrale condanna del regime… servito in precedenza ai più alti livelli.

Accusato più volte da poco coraggiose “insinuazioni” sul suo passato sarà sempre difeso da “colleghi” intellettuali di sinistra e dai clienti dei salotti-bene della FIAT: gruppo politico-culturale dominante torinese e azionista che per mezzo secolo con le risorse finanziarie della Fiat, l’appoggio di qualche loggia massonica francese e del Partito comunista italiano ha falsificato la storia del Paese con la copertura dei potentati economici a cui ha sempre leccato i piedi.

FAZZINI Pericle.
Scultore. Sotto il fascismo scolpisce bassorilievi per celebrare le “imprese” d’Etiopia.

Persa la guerra si appresta allo studio di monumenti al partigiano.


G
come GIANNINI Massimo Severo

GIANNINI Massimo Severo
Docente Universitario. Collaboratore durante il ventennio dell’Archivio di Studi Corporativi e di altre riviste di diritto pubblico fascista con saggi inseriti nel sistema.

Passa dopo la guerra all’antifascismo, poi liberal democratico, poi liberal anglosassone.

GOTTA Salvatore
Scrittore. Aderisce fin dal 1922 al fascismo, ne sostiene le idee e gli istituti in libri ed articoli, allestisce i versi di “Giovinezza” e di altri inni fascisti, vince premi e si assicura onori e prebende di regime. Dopo la guerra passa all’antifascismo.

GOZZINI Guido
Scrittore, uomo politico poi.
Per valutarne la milizia fascista basta leggere l’articolo che pubblicò nell’Aprile 1939 su Critica Fascista. È un appello alla poesia perché canti “in armonia con lo spirito della romanità e del fascismo”, essendo il fascismo “un grande movimento non soltanto politico ma anche spirituale”, al quale perciò “non può mancare una sua propria glorificazione poetica”.

Gozzini concluse: “Ci muova un amore: la Poesia; ci esalti una Fede: l’Italia Fascista”.

È lo stesso Gozzini che negli anni sessanta si farà promotore dell’intesa tra cattolicesimo e comunismo e che, messo il “dialogo alla prova” sarà eletto nel 1976 senatore nelle liste del PCI.

 

ancora G
come GELLI LICIO

GELLI Licio
Nel 1984 viene dato alle stampe un corposo volume degli atti parlamentari con intestazione della CAMERA DEI DEPUTATI – Senato della Repubblica – IX Legislatura – Doc. XXII n.2-bis/1.

Dal titolo:

Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2 (Legge 23 settembre 1981, n. 527) – Relazione di minoranza dell’onorevole Massimo Teodori.

Ciascuna delle centinaia di pagine reca l’intestazione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
I vari capitoli riportano le testimonianze dei principali uomini politici del tempo che hanno dovuto presentarsi all’audizione, documenti ed ovviamente la ricostruzione nel tempo dell’attività del Gelli secondo l’onorevole Teodori.

A differenza della maggioranza della commissione l’onorevole Teodori volle dedicare attenzione anche al periodo precedente la P2 ed alle realazioni tra Gelli e PCI, ma vista l’opposizione degli altri partiti questa può essere la ragione principale per cui la Commissione d’inchiesta non ne uscì con una relazione unitaria.

Prima ancora, quindi, di occuparsi delle vicende degli anni 60 e ’70 fino all’esplosione dello scandalo in cronaca, Teodori dedica i primi capitoli al passato di Gelli con il capitolo n.2 dal titolo:
I Rapporti col PCI: lo scheletro nell’armadio di Gelli (*)
(*= precisa nella nota lo stesso Teodori: Tutti i riferimenti documentali di questo capitolo sono pubblicati nel primo volume di documenti a cura della Commissione)

Segue il sottotitolo: Il dopoguerra di Gelli.

Nessuna indagine della Commissione. Il passaggio a Cattaro. I contatti con il CLN e i rapporti Gelli-PCI. La consegna della lista dei collaborazionisti.

Scrive Teodori:

La Commissione non ha voluto svolgere nessuna indagine diretta sul Gelli degli anni ’43 – ’47, cioé gli anni in cui nizia il doppio gioco multiplo del Gelli collaboratore di partiti e di poteri occulti, intermediario tra gli opposti scheramenti e abile manovratore nell’area particolare delle informazioni importanti e riservate, cioé nei servizi segreti.

Vi è stata un’inspiegabile reticenza da parte della gran maggioranza della Commissione e della Presidente On. Tina Anselmi nell’accertamento della verità dei fatti di quel periodo. Quando la Commissione ha iniziato i lavori, era possibile, se lo si fosse voluto, interrogare alcuni diretti protagonisti delle vicende e dei coinvolgimenti del Gelli primissima maniera.”

Naturalmente Teodori intendeva protestare e quindi dichiara di proseguire da solo la sua inchiesta ricorrendo, come egli stesso precisa, alle inchieste giornalistiche di Gianfranco Piazzesi ed anche ottenendo, IN ANTEPRIMA, la possibilità di consultare i manoscritti di un’opera al tempo in corso di pubblicazione presso gli Editori Riuniti: La Storia dei Servizi Segreti italiani di Giuseppe De Lutiis.

Così prosegue Teodori:

Nel 1943, a soli 24 anni, Licio Gelli che aveva combattuto nel campo fascista la guerra di Spagna e successivamente la guerra in Dalmazia, torna nella sua città natale, Pistoia, come ufficiale di collegamento tra Wermacht e i militi della Repubblica Sociale.

Sono i mesi dell’agonia nazi-fascista che preludono al successo della Resistenza ed alla liberazione degli alleati. Tramite familiari Gelli (una sorella era militante comunista) si mette in contatto con i rappresentanti locali del CLN offrendo la propria collaborazione ed i propri servizi in forza della posizione da lui occupata nel campo repubblichino e tedesco.

Fornisce in tal modo informazioni ad esponenti comunisti del Locale Comitato di Liberazione e partecipa anche ad alcune operazioni partigane, pur se costantemente ispirato da ambiguità di comportamenti.

Con la liberazione della Toscana e la fine delle ostilità Gelli richiede ed ottiene la protezione dei comunisti del Comitato di Liberazione, un lasciapassare e documenti personali.

Riesce in tal modo a salvare la vita ed a fuggire a Roma e a Napoli e quindi in Sardegna, all’isola della Maddalena, dove, ricercato dalle forze dell’ordine, entra in contatto con i carabinieri.

Il capitolo su Gelli è forse il più importante poiché ancora strettamente legato alle vicende di oggi.

Ancora oggi vi è mercimonio e ricatto di fascicoli riservati.

Il famoso “armadio della Vergogna” riguarda vicende e disastri consumatisi proprio nelle terre dove il Gran Maestro ha operato dapprima come collaboratore repubblichino dei nazisti e successivamente come collaboratore dei CLN.

Quali nomi vi erano nelle scottanti collaborazioni che Gelli ha passato al PCI? Cosa ha portato il PCI di Togliatti a coprirlo tutto il tempo?

Gli atti parlamentari depositati dall’indagine di Teodori riportano Nomi, fatti, che vanno dalla collaborazione col PCI, fino ai passaporti diplomatici con le dittature sudamericane.

Nomi di partigiani che lo hanno scortato ed anche nomi di testimoni che lo hanno incontrato. Informative del Com. In. Form n. 15743, attestati e coperture.

Chiunque può partire da questi dati e verificare ed approfondire. E magari pretendere che tutto ciò che resta coperto da omissis venga scoperchiato una volta per tutte.
 

I
come INGRAO Pietro

INGRAO Pietro
Poeta e uomo politico.

Come poeta vinse a Lucca il “Premio poeti del tempo di Mussolini” con una lirica dal titolo Coro per la nascita di una città, con la quale celebrava la fondazione di Littoria e la mussoliniana bonifica delle paludi pontine.

Sempre secondo la ricostruzione pubblicata dal Tripodi vi sono altre cronache giornalistiche narrano che fu premiato da Galeazzo Ciano “in una cornice stupenda di popolo all’aperto adunati fascisti di tutta la zona”.

Come uomo politico militò prima nel Partito Nazionale Fascista (PNF), poi nel PCI.

Quando era fascista prese parte ai Littoriali della Cultura, misurandosi in più gare e classificandosi a Roma nel convegno dedicato all’organzzazione del PNF.

Dopo la guerra, eroe della resistenza antifascista dirige l’Unità ed entra in parlamento fin dalla prima legislatura.

Raggiunse tra mille compromessi e danze di fascicoli riservati, nel 1976, il vertice di presidente della Camera dei Deputati.

Il suo mutamento di bandiera fu spesso sottolineato in pubbliche polemiche di stampa.

Crollato il muro di Berlino, visto lo scarsissimo livello storico-teorico di dibattito e la confusione che unisce addirittura sedicenti trotskisti e stalinisti non poteva non finire nel prc (il "Partito della Rifondazione Comunista".
 

ancora I
come IOTTI Leonilde


IOTTI Leonilde
Leonilde Iotti, detta Nilde, prima di essere l’amica del “migliore”, al secolo Palmiro Togliatti e in seguito Presidente della Camera, era nel 1942 una Giovane Italiana della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) che, come tante altre, passò in quell’anno al P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) presso il Gruppo Rionale Fascista “A. Maramotti” di Reggio Emilia con la tessera n. 1105040 come risulta dal certificato rilasciato il 20 marzo del 1943 il XXI dell’Era Fascista.

Di Ella non abbiamo, per ora…, articoli ed odi firmate che esaltano la razza ariana, come abbiamo visto per molti galantuomini messi in ordine alfabetico.

Tuttavia la rete è ricca di bibliografie apologetiche della sua figura, eroina partigiana, si parla anche dei suoi tailleur… ma nessuno si azzarda a citare quel piccolo particolare dell’adesione al fascismo o che partecipò in divisa fascista alle riunioni del regime… Mentre contro altri invece sì…

 

Tutti hanno diritto a cambiare bandiera, ultimamente va anche di moda farlo decine di volte in pochissimo tempo. Ma dobbiamo rifiutare la sola idea che possano esistere gli Intoccabili.

Negli anni 90 scoppiò lo scandalo del suo passato fascista, come per tutte le cose fu ovviamente un’operazione di danneggiamento politico (come spesso accaduto in passato nella danza dei fascicoli riservati…) questa volta fatto condurre a Vittorio Sgarbi tramite i canali nazionali fininvest, come si conviene in queste circostanze lo Sgarbi fu avaro di fonti, bisogna dedurne che era in corso qualche contrattazione, per cui in questo caso alla fininvest devono saperne molto di più, ma per ragioni di mercato preferiscono il silenzio. Come da tradizione.

Invece, occorre aggiungere che a fine anni 80, primi mesi del 1989 o fine 1988, esplose una violenta polemica sulle Lobby…

Erano gli anni in cui un’intera classe politica stava per crollare di fronte alle inchieste della magistratura. Iotti, che al tempo era presidente della Camera si rese protagonista di un isterico intervento in difesa dell'”onorabilità” di quel parlamento… negando nella maniera più assoluta l’esistenza delle Lobbies… ed attaccando la stampa tutti quanti in quel periodo urlavano allo scandalo.

Questo episodio rivela da solo la forza ed il ruolo di questo personaggio.

L’episodio fu ripreso dai giornali il giorno seguente, la cosa è agli atti parlamentari ed a radio radicale dovrebbero tutt’ora essere in possesso delle bobine audio di quello storico evento parlamentare, in quanto al tempo si fregiavano di essere gli unici a trasmettere le dirette dalle Camere.

J
come JACOBBI Ruggero


JACOBBI Ruggero
Critico e scrittore. Partecipa ai Littoriali e si classifica tra i primi. Collabora attivamente alla stampa del Ventennio, compresa quella di partito, come Civiltà Fascista e Roma Fascista.

Caduto il fascismo passa a sinistra. Prima è nel PCI, ma per le elezioni amministrative del 1964 invita a votare PSI, firmando appelli di intellettuali socialisti.

JAEGER Nicola.
Docente universitario. Partecipa attivamente alla sistemazione giuridica dei principi e degli istituti del fascismo: nel 1932 è uno dei relatori generali del famoso convegno di Ferrara.

Nel 1939 pubblica un volume sui Principi di Diritto Corporativo, testo fondamentale per la conoscenza e lo studio del corporativismo fascista.

In epoca democratica sarà Giudice della Corte Costituzionale su segnalazione delle sinstre. Togliatti lo definirà membro attivo del movimento comunista.



L
come LATTUADA Alberto

Lattuada Alberto.
Regista e produttore cinematografico. Inizia la sua carriera durante il fascismo partecipando più volte ai Littoriali della Cultura e conquistando il titolo di Littore di critica cinematografica.

Collabora alla stampa del Ventennio in special modo a Libro e Moschetto del GUF di Milano.

Dopo la sconfitta dirige e produce “film di denuncia” delle aberrazioni fasciste e invita a votare socialista.


LUCIFREDI Roberto.
Docente universitario e uomo politico. Estensore di numerose voci del Dizionario di Politica edito dal PNF nel 1940 e specie di quelle riguardanti le innovazioni del regime nel campo del Diritto Pubblico.

Passato poi alla Democrazia Cristiana, sarà deputato in moltissime legislature repubblicane, ministro e vicepresidente della Camera dei Deputati.
 


M
come MACCARI Mino

MACCARI Mino.
Incisore, pittore, scrittore. Dopo il 25 Luglio 1943 aderisce all’antifascismo, milita nel Partito Socialista, dedica le sue indubbie qualità artistiche a disegnare manifesti e vignette antifasciste.

Durante il fascismo era stato invece squadrista, marciatore su Roma, segretario del Fascio di Colle Val D’Elsa, docente dell’Accademia di Belle Arti della capitale,senza concorso, per investitura diretta da parte di Bottai.

Direttore della rivista “Il Selvaggio” (1924-1943), ne fece foglio di aggressive polemiche a sostegno di un “fascismo integralista”, intollerante, manesco, strapaesano.

Contro ogni accenno della rivoluzione a normalizzarsi, andava in bestia brontolando e auspicando la riesumazione del manganello prima maniera.

Ecco alcuni versi della sua “Nostalgia dello squadrista”:

“Malinconico il tuo destino.
O squadrista dei giorni ardenti.
Una seggiola e un tavolino.
Giunta, sindaco e componenti.
Hai risposto.
Il cordone della squadraccia,
era bella mondo ruffiano,
tutta ardita quella vitaccia.
A tutte l’ore essere in ballo,
che il camion presto si trova,
la ragazza ci ha fatto il callo
e per cena un paio d’ova.

Altri versi da “Sveglia fuori ordinanza”:

Pende triste e mortificato
il tuo povero gagliardetto,
o squadrista tutto inc….ato,
meglio uscire o andarsene a letto.

E da “La marcia su Roma” si segnalano le seguenti quartine:

Quando l’uva bollì nei tini
e scarlatti si fecero i pampini
noi squadristi di Mussolini
ci riunimmo in neri manipoli.
Quando l’uva bollì nei tini
e le foglie si fecero pallide
noi squadristi di Mussolini
i gagliardetti sventolarono.

Allorché se un poeta scrive questi versi giacobini, non è affatto sostenibile la tesi che la Marcia su Roma l’abbia fatta solo “per non dire di no a un compaesano”.

Eppure lo sostenne, a cuore in mano, Enzo Biagi sul Corriere della Sera del 5 giugno 1977.
Tralasciamo infine per ragioni di buon gusto certi scritti pubblicati sempre ne “Il Selvaggio” dal Maccari che ironizzano sulla vedova Matteotti nell’estate del 1924.
Ecco quindi un altro eroe, padre antifascista della Repubblica….
 

ancora M
come MAFAI Mario

MAFAI Mario
Pittore. Dipinse durante il fascismo una “Testa di balilla” e una “Via dell’Impero” adeguandosi ai miti correnti dell’apologia artistica del fascismo.

Dopo la sconfitta di tale “via dell’impero”… diventa militante del PCI e scrisse su “Rinascita” che durante il Ventennio “gli artisti se ne stavano isolati e corrucciati” perché “non trovavano quel clima e quei tipi degni di essere rappresentati”.
 

MARANINI Giuseppe
Docente universitario. Prima giornalista, poi insegnante di Diritto Pubblico presso la Facoltà di Scienze Politiche di Perugia per incarico di Mussolini.

Un RISCONTRO della sua ORTODOSSIA è dato su Civiltà Fascista, da queste frasi:

“Il Regime: cioè il Partito Unico, lo Stato Forte, la coscienza vibrante della grande impresa nazionale cui tutti ci industriamo di collaborare”.

Nel 1937 pubblica a Firenze un volume di 350 pagine (c a z z o) dal titolo “La Rivoluzione Fascista nel Diritto e nell’Economia”, ad uso dei licei e degli istituti magistrali.

Collabora alla stampa fascista.

Ramperti lo definisce “fedelissimo” a Mussolini.

Dopo la guerra passa alla stampa “democratica ed antifascista”.

Nel 1946 scrive, sull’Arno di Firenze, che “la dittatura che agisce in Russia può essere storicamente giustificata, mentre quella di Mussolini non poteva esserlo; quella dittature lascerà forse alla Russia e al mondo una grande eredità, mentre quella di Mussolini ci ha lasciato in eredità un disastro”.

:))))))))))

Vincendo nel 1961 il “Premio Marzotto” dichiara che a suo tempo avava fatto anche lui il giornalista, ma che, nel 1924, aveva dovuto abbandonare quello “splendido mestiere” per “i nuovi e proibitivi fatti politici a tutti noti”.

 

MARINOTTI Franco
Industriale. Come tutti i grandi industriali prende le distanze dal regime a mano a mano che la guerra appare compromessa.

Dopo il 25 Luglio sarà addirittura sulla sponda antifascista.

Del suo originario fascismo fa fede l’adesione data nel 1939 all’iniziativa della rivista Circoli per la nomina di Mussolini a “Primo Cavaliere del Lavoro”.

L’investitura doveva essere promossa da tutti gli altri Cavalieri del Lavoro, da Fassini a Pirelli, Vaselli, Rizzoli, Lauro. La rivista ne pubblicava le adesioni.

Quella di Marinotti diceva:
“Plaudo alla Vostra iniziativa. Sarà un grande onore e un ambito premio avere con noi il più forte e temprato lavoratore del Nostro Paese: il Duce!”.

Ma l’adesione del Marinotti non si fermava alle qualità lavoratrici del Mussolini.

Era anche data ai suoi programmi bellici che sono occasione di guadagno per la parte più sporca di ogni Paese…

Nel 1941 scriveva: “L’entrata in Guerra dell’Italia suggella definitivamente la politica autarchica del regime. Chi comprese da subito in passato le mete autarchiche, ha oggi la soddisfazione di essere stato pioniere nella costruzione del potenziale bellico della Patria in Armi”.

Queste frasi, da buon imprenditore, sono contenute in un volume-guida pubblicato a Milano, col titolo “Guida all’Autarchia”; è un volume guida anche per quanti vogliono conoscere le molte LODI alla politica del fascismo e i tanti supporti economici offerti alla guerra dagli esponenti dell’alta e media industria italiana.
 

MARTINI Arturo
Scultore.
Alla “Terza Quadriennale Romana” espone, lodato dai critici, un bel torso dell’eroe Tito Minniti, aviatore seviziato dalle truppe etiopiche allo scoppio della Guerra per l’Africa Orientale Italiana… e un’altra, grande, statua seduta del “Legionario ferito”.

Per il Palazzo di Giustizia di Milano, Martini scolpisce un altorilievo avente per soggetto “La Giustizia Corporativa”.

Nel 1938-39 le riviste d’arte pubblicano i bozzetti di Arturo Martini per il costruendo Palazzo Littorio in Roma, complessivamente intitolati “Storia eroica del Fascismo”.

Molto di più, quindi, di una “vittoriella alta 30 centimetri e che mi fu rifiutata”, della qualle, minimizzando, scrive a Raffaello Levi nell’agosto del 1945 per negare di aver conferito al fascismo la propria arte.

La lettera a Levi non è consolante per la libertà della cultura.

Tra l’altro Martini si auto discrimina dagli impegni fascisti sostenendo “che questo è il mio mestiere, cioè tanto di servire il diavolo come il padreterno, e lo farò sempre, come Canova che fece Napoleone nel periodo della sua dominazione italiana, Beethoven, e mille altri casi che potrei citare. Lo scultore è come il calzolaio che fa le scarpe a chi le ordina”.

Commenta invece Fernando Tempesta (cfr. Arte dell’Italia Fascista, Feltrinelli, 1976, p. 168-169) che Martini aveva trasformato “il metallo indefinito e piuttosto vile del solito populismo fascista nell’oro puro della sua mitografia popolare, che non contraddice il regime, ma che lo arricchisce se mai di nuove forme”.

E conclude il Tempesta: “Francamente, davanti ad artisti come questi, certe perentorie tendenze a dire che ci fu un’arte fascista, ci appaiono piuttosto frettolose”.
 

MAZZACURATI Marino
Scultore. Durante il fascismo era noto “per i suoi bust littori” (Il Borghese, 1 marzo 1951).

Durante l’antifascismo indirizza lettere e appelli alla stampa di sinistra dichiarando di commuoversi “per i superstiti del Vajont, gli affamati dell’India, i prigionieri di Franco, gli infelici del Vietnam” (Paese Sera, 24 maggio 1966).
 

MARTINO Gaetano
Docente universitario, uomo politico.
Caduto il fascismo fu esponente di vertice del Partito Liberale, ministro degli esteri e della Pubblica Istruzione della Repubblica (democratica).

Durante il fascismo fu tesserato del PNF, collaboratore della stampa fascista, zelante proselite in camicia nera delle attività politiche e culturali della Federazione dei Fasci e dell’Università di Messina.


ancora M
come MONTANELLI INDRO

MONTANELLI INDRO
[fonte: CIVILTA' FASCISTA, GENNAIO 1936]

"Ci sono due razzismi: uno europeo - e questo lo lasciamo in monopolio ai capi biondi d'oltralpe;
e uno africano - e questo è un catechismo che, se non lo sappiamo, bisogna affrettarsi a impararlo e ad adottarlo.

Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può.

Non si deve.

Almeno finchè non si sia data loro una civiltà..... non cediamo a sentimentalismi...niente indulgenze, niente amorazzi. Si pensi che qui debbon venire famiglie, famiglie e famiglie nostre.

Il bianco comandi. Ogni languore che possa intiepidirci di dentro non deve trapelare al di fuori".

(Indro Montanelli. dicembre 1935. Da "Civiltà fascista" N.1, gennaio 1936)

Il resto del delirio di questo personaggio, sdoganato dalla sinistra più corrotta prima, e mitizzato dai seguaci di Travaglio, Saviano e Grillo.... potete leggerlo qui: http://cronologia.leonardo.it/document/doc1700.htm

 

Ancora M
come MORAVIA ALBERTO

 

Moravia Alberto.
[fonti: dagospia.com - Repubblica.it - Nello Ajello - Tripodi]
cmq pare che sia la scoperta dell’America ma mancava alla presente lista di mausolei per travestititi di rosso e usurai dell’ideologia.

Moravia e il Duce.

«Che Alberto Moravia non sia fascista non è un mistero per nessuno».
L´osservazione figura in una nota di polizia indirizzata il 20 gennaio 1934 alla Direzione Generale della Stampa Italiana. È solo un anticipo. Subito dopo, corpose informazioni, custodite all´Archivio Generale dello Stato, avranno per oggetto Moravia.
Ne emerge un ritratto, in forma inquisitoria, del romanziere di cui oggi cade il centenario della nascita. Ed è una lettura a suo modo appassionante.

«Amorfo», «arrivista», «scrittore mediocre» e «di carattere misterioso», «infido», «molto propenso all´intrigo» sono le definizioni correnti. Egli non è «un ammiratore del Regime».

La sua «mentalità speciale» ne fa un oppositore «caratteriale» del regime. «Una lunga degenza di sanatorio», ricorda un confidente, «influì nefastamente sul suo spirito assai sveglio». E così il suo carattere si orientò « verso un pessimismo per partito preso». «Non è fascista né antifascista», semplificano queste carte, «ma abulico – menefreghista».
È un «ammiratore del Croce», anche se non consta che gli sia legato in termini di «ideologia politica».

Un appunto redatto da Gherardo Casini – direttore generale della Stampa italiana – per il suo ministro contiene, nel luglio del ´36, un addebito più grave: Moravia e i suoi amici Paolo Milano e Mario Soldati, tutti e tre «di dubbi sentimenti fascisti», intrattengono «rapporti non chiari con alcuni noti fuorusciti antifascisti».
(…)
«Negatore di ogni valore umano»: così Arnaldo Mussolini definisce Moravia dopo averne letto il primo romanzo. Un giudizio non meno aspro il più illustre fratello affiderà a Yvon De Begnac, autore dei “Taccuini mussoliniani” (il Mulino, 1990). Il dittatore cita “Gli indifferenti” come «un romanzo oscenamente borghese e antiborghese».

Senonché, proprio a Benito Mussolini Moravia si rivolge, per lettera, il 26 marzo del ´35.

Gli chiede aiuto. L´onorevole Ermanno Amicucci, direttore della “Gazzetta del Popolo”, gli racconta, «mi ha comunicato ora è un mese, che i miei articoli per la Gazzetta non sarebbero più graditi». Della cosa egli si dice «assai stupito», «non avendo nulla» da rimproverarsi «sia dal punto di vista morale che da quello politico».

Se non si è iscritto al Pnf, incalza, è perché la malattia di cui soffrì da ragazzo lo aveva astratto «nonché dalla vita sociale e politica, dalla vita addirittura». Poi, prosegue, «la riapertura delle iscrizioni» lo «prese alla sprovvista». Ora, più maturo, sente «il bisogno» di chiarirsi con il Regime, del quale ammira «l´opera in ogni campo, e in particolare in quello delle lettere e della cultura».

«Debbo inoltre soggiungere», scrive, «che la personalità intellettuale e morale della Eccellenza Vostra mi ha sempre singolarmente colpito per la molteplicità delle attitudini e la forza dell´ispirazione, e soprattutto di aver nel giro di pochi anni saputo trasformare e improntare di sé la vita del Popolo italiano».

Moravia si professa, in chiusura, «un artista italiano il quale cerca di fare opera non indegna della grande tradizione e dell´immancabile avvenire del suo Paese».

Dagli articoli ai libri.

Nel giugno del 1935 il secondo romanzo di Moravia, “Le ambizioni sbagliate”, è «in lettura» presso gli organi della censura.

E a Galeazzo Ciano, sottosegretario per la stampa e propaganda, l´autore indirizza una lettera che – come la precedente, a Mussolini – è stata, nel tempo, variamente commentata.

Dopo aver tracciato un´ampia parabola della propria produzione narrativa, egli s´impegna a spiegarne «i motivi ispiratori», definendolo «tutt´altro che pessimistici e distruttivi, tutt´altro che antitetici ed estranei alla Rivoluzione Fascista». In particolare Le ambizioni sbagliate non «esorbitano dal clima» del regime. E perciò Moravia invoca «quel giudizio giusto e illuminato» che permetta di non vanificare «le speranze e il travaglio di molti anni di lavoro».
(…)

Porta la data del 18 agosto 1935 una sua seconda lettera a Ciano, promosso ministro della Cultura popolare.

Moravia gli chiede di potersi recare in Africa – sta per scoppiare la guerra d´Etiopia – per ricavarne un libro «dal vivo». Richiesta respinta.

Il tono «patriottico» adottato dallo scrittore non pare, in questa fase, attenuare l´animosità che lo circonda. Ne è consapevole l´editore Valentino Bompiani che, prima di pubblicare un volume di racconti di Moravia, “L´imbroglio”, chiede a Gherardo Casini di fargli sapere, «anche solo in via ufficiosa, se può esservi qualche obbiezione da parte del Ministero».

Stavolta il «nulla osta» arriva.

Lo scrittore, però, non si sente tranquillo. Il 9 luglio del ´36, rientrato da un lungo viaggio negli Stati Uniti, domanda per lettera a Mussolini che gli sia consentito di riprendere l´antica collaborazione alla “Gazzetta del Popolo”.

La sua firma riappare sul quotidiano torinese: Amicucci ha ricevuto un´autorizzazione dall´alto.
I tempi incalzano.

Si arriva al 1938. Anche la terza lettera di Moravia a Mussolini riflette difficoltà giornalistiche.

La campagna antisemita sta sfoltendo le redazioni, e il solito Amicucci sbarra le porte del suo giornale al «noto Pincherle». «Io ebreo non sono», fa presente quest´ultimo al dittatore, il 28 luglio, «se si tiene conto della religione. Sono cattolico fin dalla nascita e ho avuto da mia madre in famiglia educazione cattolica. È vero che mio padre è israelita; ma mia madre è di sangue puro e di religione cattolica; si chiama infatti Teresa De Marsanich ed è la sorella del Vostro sottosegretario alle comunicazioni. Per queste ragioni, Duce, io vi chiedo di non essere considerato ebreo».

L´invocazione moraviana ha effetto, la sua collaborazione alla “Gazzetta” può continuare. Alti e bassi. Intervengono nuove avversità editoriali.

Il terzo romanzo di Moravia, “La mascherata”, viene sequestrato, fresco di stampa, nel ´40.

Il 13 febbraio del ´41, una velina del Minculpop intima ai giornali: «Non occuparsi di Moravia e delle sue pubblicazioni».

Quarta lettera del romanziere a Mussolini:

«Mi permetto di rivolgerVi, Duce, la preghiera di poter riprendere la mia attività giornalistica dalla quale io traggo i mezzi per vivere. Anche perché tra poche settimane mi sposo».

Viene concesso a Moravia di scrivere sui giornali con pseudonimo. Glielo conferma, a voce, il direttore generale della Stampa italiana, Gherardo Casini, ricevendolo la mattina dell´11 aprile 1941. Qualche ora più tardi lo scrittore prega Casini di consentire che una novella esca con il suo «solito nome» nel prossimo numero della rivista Letteratura, già composto e stampato all´atto del divieto.
(…)
Risale al marzo del ´41 un appunto inviato al ministro Alessando Pavolini, successore di Ciano in cima al Minculpop, dal suo capo-gabinetto: il funzionario racconta di aver ricevuto nel suo ufficio Moravia, su preghiera dell´ormai proverbiale Amicucci. «Ho dovuto “sorbettarmelo” per un quarto d´ora con somma abilità», riferisce, e chiede al ministro di voler concedere un´udienza allo scrittore. In calce all´appunto si leggono due paroline a matita: «Grazie no».

L´8 settembre 1941 una circolare a firma Pavolini ordina ai prefetti: «Pregasi invitare direttori quotidiani e periodici a non più (dicesi non) pubblicare scritti di Alberto Moravia».
Di lì a poco, le sorti della guerra inclineranno alla tragedia e il regime alla ferocia.

In virtù di non si sa quale acrobazia o quale supplica, alcuni scritti dell´autore degli Indifferenti – nascosto sotto il nome d´arte di Pseudo – compaiono nella carta stampata fino al 1943.

Ma ormai per lui, come per tanti altri intellettuali, non si tratterà più di lottare – in ogni modo possibile, con molta pervicacia, con poche armi in mano – contro la censura, ma di salvare la libertà personal e, se non la vita. E quella è un´altra storia.

2 – LA LETTERA… La lettera, finora inedita, di Alberto Moravia a Galeazzo Ciano è dell´estate 1935.

La guerra d´Etiopia è in febbrile preparazione, Ciano si dispone a partire volontario, con il grado di capitano di Aviazione. Assumerà il comando della XV squadriglia bombardieri all´Asmara “La Disperata”, dal nome di una celebre unità dello squadrismo fiorentino. Da qui trae spunto la missiva di Moravia.

Eccola:
Forte dei Marmi Hotel Principe, 18 agosto 1935 XIII

Eccellenza, mi permetta di congratularmi con Lei per l´esempio che Lei dà a tutti gli scrittori e a tutta la gioventù italiana. Il suo esempio mi ha deciso a compiere un atto che è doveroso da parte mia.
Sono stato riformato recentemente al servizio di leva per anchilosi dell´anca destra, e non mi è possibile, perciò, di arruolarmi volontario, come avrei voluto, nel Corpo di Spedizione per l´Africa Orientale. Resta tuttavia vivissimo in me il desiderio di partecipare in qualche modo all´impresa africana.

Vengo dunque a domandarLe di poter passare qualche mese sull´altopiano Eritreo allo scopo di comporre un libro sulla guerra degli Italiani in Africa.
Avrei voluto chiedere di andare come corrispondente di un giornale, ma le note giornalistiche hanno sempre qualcosa di provvisorio e di frammentario: ora io vorrei scrivere un libro organico, il quale potesse rimanere documento e testimonianza dell´eroismo della gioventù fascista in guerra.
Non potrebbe Ella, Eccellenza, aiutarmi in qualche modo a realizzare questo mio desiderio?

Nella speranza che la mia proposta venga da Lei accettata e che io possa, nel caso, esporla a voce all´Eccellenza Vostra, Le esprimo i sensi della mia profonda e sincera devozione.

Alberto Moravia


La risposta porta la data del 24 agosto XIII.

A scriverla è il Direttore Generale per il Servizio della Stampa Italiana.

«Egregio Sig. Moravia, in relazione alla lettera da Lei inviata S. E. il Ministro, spiace doverLe comunicare che non è dato, almeno per il momento, di assecondare la sua richiesta.
Augurandomi che mi sia consentito in altra occasione di darLe migliore risposta, le porgo distinti saluti».

Ancora M
come MORO ALDO

[fonte: Articolo citato di Aldo Moro del 1943 citato in "Storia Illustrata", gennaio 1998, pag.45]

"La razza è l'elemento biologico che, creando particolari affinità, condiziona l'individuazione del settore particolare dell'esperienza sociale, che è il primo elemento discriminativo della particolarità dello stato".

Nella foto: La statua di Aldo Moro con l'Unità sotto braccio a Maglie.


N
come NATTA Alessandro


Natta Alessandro
Iniziamo con wikipedia, dove bisogna rivolgersi alla versione francese per trovare qualche nota stonata rispetto alla moltitudine di biografie apologetiche, di partito e ripetitive, esistenti su internet. Alla data del 17 settembre 2007 la pagina francese è sintetica e lapidaria:

Alessandro Natta (né le 7 janvier 1918 à Oneglia en Ligurie – mort le 23 mai 2001) était un homme politique italien qui fut l’avant dernier secrétaire général du parti communiste italien (PCI), de 1984 à 1988.
Les deux dernières années de son mandat ont été ternies par les révélations sur sa présidence des GUF (Groupes Universitaires fascistes) de Pise.
Stop.

Di Natta si è occupato quasi 30 anni prima anche Nino Tripodi, che nel suo libro scrive:

“Prende parte attiva alla vita dei Gruppi universitari fascisti. Si iscrive al PNF il 24 maggio 1937, provenendo dalle organizzazioni giovanili.

Nell’Aprile del 1941 entra a far parte del Direttorio del GUF di Pisa con la carica di “addetto alla cultura”. Fa parte del comitato di redazione de “Il Campano” organo ufficiale dei fascisti universitari dell’ateneo pisano”.

Le biografie corrotte dell’universo PCI ed ex -PCI ignorano a tutt'oggi questi riferimenti della di ESSI storia.

Di Natta si conosce solo la costrizione alla guerra e l’eroica detenzione nei campi di concentramento in Germania in quanto avrebbe rifiutato il ritorno in Italia per non collaborare alla Repubblica Sociale.

Ma Natta è stato anche al centro di polemiche per quanto riguarda gli italiani comunisti perseguitati da Stalin. Sarebbe stato tra i primi ad ammettere questi fatti, ma lo avrebbe fatto in modo troppo tardivo, equivoco, silenzioso e non certo chiarificatore. Altro capitolo a cui andrebbe dedicata una rivoluzione almeno in Italia.

Della vicenda di Natta si occupa anche il sito www.beppeniccolai.org, in quanto seppur tardivamente, metà degli anni 80, l’ennesima polemica della danza dei fascicoli riservati era stata innescata anche dalle destre tanto che dovette scendere in campo anche l’Unità.

Cane tira cane… nel giro di poco tempo si sono sentiti chiamati in causa anche personaggi di area democristiana, tanto che dovette intervenire anche Flaminio Piccoli. Il sito riassume con dovizia di particolari lo scontro di quei giorni:

Rubrica il rosso e nero:
E veniamo ora al caso Natta, segretario del PCI. Il suo caso ha fatto rumore in questi giorni.
Remigio Cavedon, vice direttore de “Il Popolo”, attingendo da notizie che “Il Secolo d’Italia” aveva riportato fin dal 13 aprile 1979 (cinque anni fa, e nessuno ci aveva fatto caso. Si vede che registrano e poi mettono, per ogni evenienza, nel cassetto), ha titolato il suo pezzo (6/11/84): “l’ex-fascista Natta vuol mettere le mani sul sistema”.
Scagliati cielo. È accaduto il finimondo. “l’Unità” ha prima replicato (7/11/84) con un corsivo dal titolo “Quando il Popolo impazzisce” («i comunisti non scenderanno mai a simili livelli: l’insulto personale, la rissa, la provocazione»); poi, il giorno dopo (8/11/84), con un lungo articolo, rispondendo alla provocazione, ci ha narrato una lunga storia che, simile ad una fiaba paesana, ha ricostruito Alessandro Natta, iscritto (con cariche) al PNF (Partito Nazionale Fascista) fin dal 1937, come l’antifascista più puro e più intemerato.

Ed allora qualche precisazione non guasta.

Scrive “l’Unità”, sotto il titolo “1937-1941: l’antifascismo di Natta, fine di una meschina provocazione”: «La verità è che il compagno Natta era stato educato, fin dall’adolescenza, all’antifascismo, che diverrà vera e propria milizia appena diciottenne lasciò Imperia per l’Università pisana».

Fermiamoci qui. “l’Unità” è inesatta.
Alessandro Natta non lasciò Imperia per l’Università pisana, ma per la prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa (la Scuola che dà Premi Nobel), allora diretta dal filosofo Giovanni Gentile.

«Educato, fin dall’adolescenza, all’antifascismo», scrive “l’Unità”.

Oh! Santa bugia!

I posti alla Scuola Normale Superiore, classe di Lettere, per il 1937, erano nove. Selezione, dunque, severissima, con concorso nazionale.
Ora, delle due l’una: o il regime fascista, nel 1937, cioè nel suo fulgore, non guardava alla tessera, ma premiava, grazie a Giovanni Gentile, i meritevoli; oppure, la selezione avveniva tenendo conto della tessera (fascista), che Alessandro Natta possedeva, fin dall’adolescenza («antifascista»). La scelta la lasciamo a “l’Unità”.

C’è qualcosa di più. Alessandro Natta, nel 1941 -quando già, secondo “l’Unità”, fondava, fascismo imperante, cellule comuniste in quel di Imperia-, annoverava nel PNF un doppio incarico: non uno, ma due.
Infatti, non si limitava a far parte del comitato di redazione della rivista “Il Campano”, organo del GUF (Gruppo Universitario Fascista), ma addirittura veniva chiamato a dirigere la cultura: cioè, responsabile del settore più delicato della organizzazione fascista, nell’ambito universitario.

La verità la dice, non “l’Unità”, ma Degl’Innocenti Danilo, allora addetto all’organizzazione e che, con Natta, faceva parte del direttorio del GUF pisano:

«Alessandro Natta era un ambizioso impenitente. Voleva arrivare. E, per arrivare, dava gomitate incredibili. Fascistissimo. Un primo della classe e, se non fosse stato così, come avrebbe potuto avere quegli incarichi?».

Non la giovane età (a 23 anni si è già maturi); non gli avvenimenti (Natta risulta iscritto alle organizzazioni giovanili fasciste, poi al GUF, poi al PNF); non fa registrare un suo sdegnoso appartarsi, ma ricopre cariche (e che cariche, le più delicate nei settori giovanili del partito): questo è il Natta edizione 1937-1941, attuale segretario del PCI, il partito di Palmiro Togliatti e di Enrico Berlinguer.

Perché dunque prendersela con Remigio Cavedon che, poverino, non ha fatto altro che riportare fatti certi e accaduti?

E, come sempre, la sbavatura DC, il partito della doppiezza: Remigio Cavedon viene rimproverato da Flaminio Piccoli. «È stato un grave errore» -ha detto Piccoli- «rimproverare a Natta il suo giovanile fascismo».
Ipocrita, per non dire di peggio.

Alla vigilia del referendum sul divorzio, Flaminio Piccoli, a chi gli chiedeva conto, alla TV, dell’accostamento, in quella campagna referendaria, con i «fascisti» del MSI, rispondeva che, per la DC, quei voti erano «colerici».
Anche per quelle parole, giovani meno che diciottenni, sono stati assassinati.
«Uccidere un fascista non è un reato». Allora, nessuna dichiarazione del presidente della DC, contro quella barbarie.

Oggi un ben diverso «colera» infetta (il partito di) Flaminio Piccoli. È nell’occhio del ciclone. E che fa?
Adotta un comportamento sperimentatissimo: quello di mettersi sotto la protezione comunista quando lo sporco ci sommerge. E tenta di salvare Alessandro Natta. Che ne viene fuori? Schizzi di fango.

«Personalmente ho sempre ritenuto che Giovanni Gentile, uno dei massimi responsabili del tradimento degli intellettuali, dovesse finire così». Così dice Alessandro Natta del suo Maestro, il 12 agosto 1984 (“L’Espresso”), appena eletto, tronfio di gloria, segretario nazionale del PCI.

(per chi non lo sapesse, Giovanni Gentile, filosofo e docente universitario, ministro della pubblica istruzione 1922/1924 e senatore, direttore della Normale di Pisa e dell’Istituto per l’Enciclopedia Italiana, presidente dell’Accademia d’Italia, fu vigliaccamente assassinato da una banda di partigiani comunisti, il 15 aprile 1944, a Firenze).

Novembre 1984: l’antifascismo di Natta si squaglia, come melma, al sole.

Appena tre mesi. Sufficienti però, per chi aveva tacciato Giovanni Gentile, il proprio maestro, di tradimento, per cadere nella m…..

Giuseppe Niccolai
L’articolo di Niccolai era corredato della riproduzione fotografica della nomina di Alessandro Natta al Direttorio del Gruppo Universitario Fascista pisano, tratta dalla rivista “Il Campano”, numero di marzo-aprile 1941.
Riporto qui per esteso il testo di tale nomina:
Nomina del Direttorio.

In data 18 marzo u.s., il Segretario Federale ha ratificato la nomina del Direttorio del GUF Pisano, che risulta pertanto così costituito:
– Nardi Pilade Osvaldo, laureato in Medicina e Chirurgia, iscritto al PNF dal 1° agosto 1922, volontario in AOI (Africa Orientale Italiana), tenente medico: Vice Segretario;
– Degl’Innocenti Danilo, laureando in Economia e Commercio, iscritto al PNF dal 23 marzo 1928, proveniente dalle Organizzazioni Giovanili, sottotenente di fanteria, pilota civile: Addetto all’Organizzazione;
– Natta Alessandro, laureato in Lettere, iscritto al PNF dal 24 maggio 1937, proveniente dalle Organizzazioni Giovanili: Addetto alla Cultura;
– Lucarelli Antonio, laureato in Legge, iscritto al PNF dal 24 maggio 1934, proveniente dalle Organizzazioni Giovanili, volontario in AOI, sottotenente di fanteria: Addetto allo Sport.

 

ancora M
come MAZZOCCHI Gianni

MAZZOCCHI Gianni
Editore. Con propositi dichiaratamente antifascisti, nel Dopoguerra, diede vita al settimanale L’Europeo facendolo dirigere da Arrigo Benedetti.

Altre pubblicazioni della sua casa editrice ebbero marca analoga.
Alla vigilia della guerra le sue attività editoriali avevano un timbro diverso.

Nel 1940 la sua rivista DOMUS pubblicava con rilievo questa notizia:

“Il Duce ha ricevuto il fascista, dott. Gianni Mazzocchi, editore della rivista “DOMUS”, “Casabella”, “Fili” e “Panorama”, che gli ha fatto omaggio del grande volume speciale di DOMUS “Fantasia degli italiani” e del ” Libro di casa 1940″.
“Il dottor MAZZOCCHI ha fatto una relazione dei dodici anni della proprio attività editoriale e ha esposto un programma di sviluppo delle sue riviste ed edizioni. Il Duce ha gradito l’omaggio ed ha eogiato l’attività editoriale del dott. Mazzocchi”.


MEDICI Giuseppe.
Docente universitario, uomo politico ripetute volte minstro democristiano in governi di centrosinistra.

A capo del dicastero della Pubblica Istruzione promosse l’inclusione della “storia della resistenza” nei libri di testo delle scuole medie.

Alberto Giovannini gli indirizzò allora una lettera aperta proponendogli che, per fare una storia “decente” dei venti mesi della guerra civile, si sarebbe dovuto innanzitutto dimostrare “che gli italiani che oggi comandano resistettero al fascismo”.

Evidentemente Giovannini conosceva il suo pollo.

Il ministro Medici era stato, a suo tempo, un fascista scrupoloso. Lo vediamo fotografato nel 1938 in orbace e camicia nera con una vistosa patacca gerarchica sul petto, circondato da camerati tedeschi in divisa.

La sua adesione culturale al regime è attestata dalla collaborazione al Dizionario di Politica, allestito nel 1940 dal Direttorio Nazionale del Partito Fascista, per il quale curò diverse voci attinenti il mondo agricolo.

Occupandosi della conduzione agricola familiare si premurò di ricordare che “da essa proviene il Duce e che, come Lui, sono i figli della terra faticosa che salgono le cime dell’ideale”.

 

N
come NENNI Pietro

Nenni Pietro.
Uomo politico. Giornalista.
La duttilità del suo pensiero fu oggetto di aspre polemiche fin da quando, esule in Francia, la rivista ufficiale del Partito Comunista “Stato Operaio”, nel 1927, lo accusò “di essere, prima che massimalista, reazionario e fascista”, e, nel 1928, di militare tra coloro “che una cosa pensano, una cosa dicono e l’altra fanno, e fra le tre cose passa lo stesso rapporto che passa tra ciò che Nenni ha fatto e detto nel 1919 come giornalista fascista, ciò che egli scrive oggi come segretario della Confederazione antifascista e ciò che egli prepara per domani”.

Nel 1935, Alberto Giannini, dall’opposto fronte dei fuoriusciti liberaldemocratici gli rimproverò un camaleontismo inguaribile:

Pietro Nenni è stato Repubblicano.
Poi interventista (voleva l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915-18). Poi fascista. Poi socialista ma filoliberale. Adesso è socialista filocomunista. E non ha che soli 45 anni!”.


Ma tanto in maturità quanto in vecchiaia le accuse che lo indispettirono di più furono quelle riguardanti la sua partecipazione al nascente fascismo (contribuire qundi alla nascita del fascismo).

Nel 1959 il giornalista Tripodi ebbe modo di pubblicare un documento inedito riguardante Nenni, attivo ed in giro per la Romagna qualche decennio prima…, indaffarato a FONDARE fasci di combattimento.

Nenni tremendamente indispettito gli indirizzò una lunga lettera che minimizzava i fatti, ma non li escludeva. (Basta leggere il Giornale del Mattino di Bologna diretto da Nenni nel 1919..).

Nella lettera indirizzata a Tripodi, Nenni comunque dichiarò che nel 1919 il suo “fu un errore”.

Tripodi nella risposta ne prese atto e concluse:

“Quando lei nel 1919 compì l’errore di stare al lato di Mussolini aveva se non sbaglio 28 anni. Io allora ne avevo appena otto.
A ventotto anni, nel 1939, ho compiuto l’errore di stargli a lato anch’io. Col Suo errore sul cartellino politico, pari al mio, lei nel 1945, come Alto Commissario per l’epurazione, mi sottopose ad una paradossale commissione per la repressione dei delitti fascisti.
Ci rimisi la libera docenza e fui interdetto dai diritti politici per alcuni anni. Quant’è antipatica la Storia quando fa pagare così diversamente gli errori”.

Nino Tripodi, giornalista, non deputato, non membro storico della Casta degli ex fascisti, fa autocritica, paga.
Altri senza pagare si fregeranno di essere padri FALSI dell’antifascismo con privilegi di ogni tipo e natura. Facendo anche danni.

Nel 1981 Nino Tripodi pubblica il libro Intellettuali sotto due bandiere – Antifascisti in camicia nera – sotto l’editore Ciarrapico. Sì proprio quello lì, che gli fornisce copertura… ma moralizzare su Ciarrapico lo lasciamo ai servi della famiglia Agnelli…

Nessuna denuncia o querela, ma neanche nessuna recensione che possa far cronaca.


P
come PANNUNZIO Mario

Pannunzio Mario.
Giornalista, scrittore. Fin dal 1936 fu collaboratore della rivista Cinema, diretta da Vittorio Mussolini.

Nel 1939 fondò il settimanale Oggi e lo diresse con Arrigo Benedetti fino al 1941, allorché il regime lo soppresse. Di questa soppressione menò vanto, come indicativa della fronda del periodico, quando, dopo la caduta del fascismo, fu direttore di Risorgimento Liberale e de Il Mondo.

Nel 1954 ebbe una dura polemica con Guglielmo Peirce, che gli aveva rimproverato di essersi spesso recato al ministero fascista della cultura popolare per prendere “ordini e cicchetti”.

Pannunzio negò la circostanza ma Peirce replicò:

“Il Pannunzio, come direttore di un giornale a grande tiratura pubblicato in periodo fascista, non poteva non essere fascista militante e tesserato. Egli non “spezzò” quindi la penna per non servire la tirannide, ma attese che la tirannide gliela togliesse di mano. Più che un martire, dunque, fu un infortunato sul lavoro. Meritevole di umana solidarietà, ma non di adorazione e tanto meno di quella funzione di “catone censore” dell’altrui democrazia e dell’altrui antifascismo ch’egli si è arrogata “a babbo morto”.

Nel dopoguerra, e negli ultimi decenni associazioni di massoni giornalisti e pseudo radicali si sono riempiti la bocca di citazionismo empirico resuscitando spesso le insipidità più ambigue degli scritti di Pannunzio.

Ancora oggi gli insipienti del pensiero radical “liberale” spolverano, gli scritti più ipocriti di questo personaggio per arricchire le già compromesse insipidità da opinionisti e mantenuti.

S
come SALVATORELLI Luigi

Salvatorelli Luigi.
Storico. Firmatario del Manifesto Croce. Mai iscritto al Partito Fascista.

In auge nel dopoguerra per “non essersi piegato al regime”. Pubblica nel 1956 una voluminosa opera sulla Storia d’Italia nel periodo fascista (Einaudi). E vi compendia i più negativi giudizi sulla rivoluzione mussoliniana.

C’È però da rilevare che, durante il fascismo, NON essendosi astenuto dalla produzione “culturale”, né essendogli stata inibita in quel che scrisse (e scrisse molto…) non mancò di calarsi nella realtà… e di valutarla benevolmente.

Per esempio, nel suo Pio XI e la sua eredità pontificale (Einaudi, 1939), non difettarono i giudizi positivi sui rapporti di Papa Ratti col Fascismo, come quando, a proposito di Mussolini, definito dal Pontefice “uomo della Provvidenza”, scrisse essersi trattato di “un alto elogio politicamente qualificato“;

o come quando svolse lusinghieri raffronti tra la “Quadrigesimo anno di Pio XI e i concetti ispèiratori della società fascista, al punto da raccontare che, correndo le migliori relazioni tra Chiesa e Fascismo, nel Gennaio 1938 sessanta vescovi e duemila parroci avevano manifestato, sfilando dinnanzi a Mussolini, “la più schietta adesione al regime”.

Le sue valutazioni storiche hanno sempre goduto dell’approvazione delle più alte cariche del regime.

Antifascista anni dopo, entrò a pieno titolo tra la schiera degli storici ufficiali a cui i figli della borghesia, neo comunisti, dovevano fare riferimento.


 

ancora S
come Scalfari Eugenio

Eugenio Scalfari.
Scalfari ha i titoli per parlare di qualunquismo e pericolo democratico:
ROMA FASCISTA (settimanale), 24 SETTEMBRE 1942 – EUGENIO SCALFARI:
“Gli imperi moderni quali siamo noi li concepiamo sono basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti”:

T
come TROMBADORI Antonello

Trombadori Antonello.
Critico d’arte, uomo politico. Prende parte attiva alla vita dei Gruppi Universitari Fascisti (GUF).

Partecipa ai Littoriali della Cultura di Napoli nel 1937 e a quelli di Bologna nel 1940, classificandosi con “onore”. Collabora a Roma Fascista con articoli nei quali pone in evidenza il positivo contributo delle mostre d’arte organizzate in occasione dei Prelittoriali dell’Urbe.

Militerà poi nel PCI del quale sarà prima consigliere comunale della capitale e poi deputato al Parlamento della prima repubblica.
 


V
come VALLETTA Vittorio

VALLETTA Vittorio.
Industriale, consigliere delegato e poi presidente della FIAT.

Osservante fascista, compendia il suo giudizio sul DUCE e sulla “rivoluzione” in queste frasi incluse nello sfarzoso volume pubblicato per il Decennale della Marcia su Roma (Pensieri d’italiani eminenti raccolti a cura di Paolo Orano, 1932, Editrice Pinciana):

“Ogni italiano che si volga a considerare il cammino compiuto dall’Italia dal 1922 ad oggi, non può non provare un vivido sentimento di riconoscenza ed orgoglio; riconoscenza al Duce; orgoglio di appartenenza ad una Nazione che in tempi universalmente tanto difficili dona al mondo le più generose idee di intelligenza politica e di solidarietà sociale…
Fiducia che in tutti gli Italiani consapevoli è oggi atto di fede nel Fascismo e nel suo Duce”.

È lui a sollecitare l’onore di presentare a Mussolini, in Villa Torlonia, il primo esemplare della “Balilla” come autovettura tipo del regime.

È lui a chiedere ed ottenere la fondazione straordinaria di una sezione del PNF dentro gli stabilimenti FIAT di Torino.

È lui ad indire la grandiosa manifestazione del maggio 1939 per la visita del dittatore alla Mirafiori, facendolo applaudire freneticamente dai cinquantamila operai ammassati di fronte ad una immensa incudine siglata dalla “M” fatidica.

Pochi anni dopo la “bufera” della guerra travolge tutto. Valletta cambia politica.

Quando andrà a deporre al processo Graziani racconterà ai giudici:

“La difesa degli impianti fu concreta e manovrata fra noi della direzione, le formazioni partigiane e i servizi segreti americano ed inglese.
Si fece in modo che gli operai fossero sempre occupati e che nel lavoro non producessero.
Per non produrre concertammo degli attacchi aerei da parte dell’aviazione americana e inglese per modo che si potesse avere il pretesto di portare altrove i macchinari.”
(cfr. Giornale d’Italia, 12 Gennaio 1949).
 

Alcuni anni dopo, il presidente della Repubblica Saragat (socialdemocratico) nominerà Valletta, anche per questi meriti, Senatore a Vita.

Uomo dotato della viva riconoscenza e stima della vecchia e nuova famiglia Agnelli; anche lui come troppi altri degno rappresentante della “Repubblica nata dalla Resistenza”.


V
come VITTORINI Elio

Vittorini Elio.
Scrittore Giornalista. La sua partecipazione al fascismo prima (passione durata 14 anni), al “comunismo” dopo, fu già oggetto di controversie.

L’accusa di eterodossia lo colpì tanto sotto Mussolini che sotto Togliatti.

Ma tanto per Mussolini quanto per Togliatti scrisse pagine che ne testimoniano l’indubbia militanza prima fascista e, poi, travestita di rosso, opportunista, quindi piccìsta.

Ovviamente, in epoca antifascista, furono esperiti tutti gli espedienti per sostenere che Vittorini portava fin dagli anni Trenta il fazzoletto rosso, che fu perseguitato dal regime, che libri ed articoli pubblicati durante il Ventennio debbano essere letti “in chiave di intolleranza e di fronda….

La realtà È diversa.

In Elio Vittorini covavano sollecitazione alla Malaparte, per una rivoluzione integrale che, sottola guida di Mussolini (“questo signore protetto da Dio”), avrebbe dovuto restaurare i caratteri storici e controriformistici degli italiani.

Quanto è poi ANCHE stato scritto da Claudio Quarantotto (“Il Fascista Vittorini”, edizioni del Borghese 1976) dimostra l’arbitrarietà di ogni tentativo di retrodatazione del sinistrismo dello scrittore o di cancellazione delle sue impronte fasciste.

Vittorini (il Togliattiano…) raggiunse invece il delirio con punte estremistiche di ultrafascismo.
Lo confermano le larghe collaborazioni alla stampa periodica del regime.

Vittorini considerava Mussolini “il Primo” tra gli scrittori italiani e “non più soltanto il Duce”.

Scrisse anche della propria concitata partecipazione alla Marcia su Roma… quando avrebbe pianto “lacrime di rabbia” pur di essere caricato, nonostante l’immatura età, sul convoglio di squadristi in partenza dalla Sicilia.

Sarà la lobby ex-fascista "di sinistra" ad imporre ed accostare il suo nome a quello di Cesare Pavese nella letteratura italiana, compiendo l’ennesimo sfregio alla cultura ed alla memoria.


Z
come ZAVATTINI Cesare


Zavattini Cesare.
Scrittore, giornalista, cineasta. Durante il fascismo, Zavattini NON è un escluso, né un resistente.

Collabora attivamente alla stampa del Ventennio.

Nel 1932 riceve in DENARO uno dei Premi Mussolini.

È direttore editoriale del Tempo mondadoriano, nell’epoca in cui il settimanale sfoggia un ALLINEAMENTO BOVINO ai miti, alle imprese, agli uomini del regime.

Restano di lui frasi esaltatrici del ministro della cultura popolare Alessandro Pavolini e del direttore della cinematografia Luigi Freddi.

Scrive su Primato Fascista di Bottai e su Cinema di Vittorio Mussolini fino agli ultimi anni della guerra.

Dalla cinematografia fascista pretende un forte impegno educativo:
“Il 1939 si è chiuso con un grande successo e con un altro grande successo si è aperto il 1940. Non sulla linea della retorica, ma secondo le leggi del mestiere dell’arte.
Il Cinema non è più un’avventura… nasce l’ordine! … Il centro sperimentale assolve il suo compito moralizzatore…”
.

Caduto il fascismo, cambiano i suoi toni apologetici. Diviene prima socialista, poi PCIsta, sostiene il populismo più demagogico e le sue falsità saranno anche imposte, nelle scuole, ai bambini. Ancora oggi fa "Kult"… a "sinistra".



MA C'È DI PIU'. MOLTO DI PIU':
 

Naturalmente tutta questa Storia, con la S maiuscola, perché trabordata dal confezionamento di pentole venute molto male.... acquisisce molto più senso (e gravità) se "contestualizzata" e direttamente condotta al passaggio che vi è stato tra fascismo e "post guerra".

E qui... per "contestualizzare" non si intende ciò che vorrebbero vigliaccamente fare gli orfanelli di mausolei e miti.

NON bisogna mai, MAI, dimenticare l'opera sovieto-atlantista e CORROTTA del PCI di togliattiana memoria.

Ruolo e funzione che ebbe Togliatti in quanto Ministro degli interni (e della "Giustizia") coi Governi Bonomi e De Gasperi e NON solo nella OSCURA e triste fase della "Costituente"... ma anche ben Prima: quando dalle colonne di "Lo Stato Operaio" (n. 8 ) nell'agosto del 1936 fu diffuso un documento sotto "mandamento" di Palmiro Togliatti firmato da ben 62 dirigenti politici tra cui lo stesso Palmiro Togliatti, Edoardo D’Onofrio, Ruggiero Grieco, Celeste Negarville, il macellaio assassino di comunisti antifascisti Pietro Secchia, Dozza... si faceva appello ai camerati fascisti in nome di una futura e secolare Tradizione dell'Inciucio.

Oggi potremmo chiamarla "La Madre di Tutte le Rossobrunate", forse solo "seconda" (per importanza) al "Patto Hitler-Stalin" (DUE anni di Alleanza Germano-Sovietica) del 1939:

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[***] Questa Documentazione resa pubblica in formato "digitale", diciamo per "internet", trovò per la prima volta larga diffusione (e polemiche) sul forum di "Anno Zero", nel 2007, area web della nota trasmissione televisiva della RAI. A diffonderla fu "Prometheo" ("Prometheo Ownerless"), pseudonimo che Massimo Greco ha utilizzato a partire dal 1998 e più diffusamente a partire dal 2001 su ECN.org e relativi dibattiti sulle di allora "mailing list".

Calata la cappa del silenzio su Anno Zero (che poi scomparve dalla Rete) l'intera documentazione fu poi ripresa da "Papillon", un blog degli spazi gratuiti offerti dal gruppo "L'Espresso- La repubblica" (poi dismessi e cancellati nel 2012), dal magazine online di satira pesante "NunVeReggaeCchiù" di cui ne sono ancora disponibili due volumi su Facebook (ma successivamente troncati dalle restrizioni di Facebook) ed un'altra versione copiata un po' malamente dal sito "Nuova Resistenza" ancora disponibile qui.

Un mondo sconosciuto…: una nuova generazione di idioti ed ignorantoni.

Durante la pubblicazione di questa lista su "annozero" numerosi sono stati gli interventi con reazioni reazionarie da bava alla bocca e con insulti, epiteti vari e tentativi di etichettare in qualche modo chi avesse "osato" mettere in discussione i mausolei della parte più sporca della storia italiana..., altri ipotizzavano o minacciavano addirittura querele (non si sa bene a nome di chi... ma è prassi di certi ambienti mafiosi)… per aver oltraggiato (o messo in discussione sacri miti… o credenze).
Altri insistevano con la richiesta di fonti (per altro già citate sin dall’inizio…) che la cecità fideistica portava ad ignorare.
Qualcun altro ancora snobbava con il vigliacchissimo “si sa già”: ma esternando un certo disappunto per aver introdotto la discussione…

Occorre ammettere che per la cultura del gregariato "di sinistra"... leggere, aprire certi armadi rappresenta un colpo nello stomaco a freddo.

Ma cosa bisogna fare… mettere delle avvertenze per gli IDIOTI?

Successivamente sono scattate le "barriere immunitarie" dell’idiozia, e quasi come a seguire fideisticamente una parola d’ordine… il visitatissimo Post sugli Armadi della vergogna è rimasto improvvisamente senza nuovi commenti: d’incanto… Come a voler dire: meglio se non se ne parla.

Cmq ad insulti e nervose “richieste” di RI-citare le fonti… la risposta di Prometheo è stata:

"Non credo sia utile, anche per i travestiti di rosso, fare del terrorismo contro di me.
Io mi limito a citare cose che dovrebbero, dovrebbero…, essere di dominio pubblico in quanto pubblicate o su internet… ma prima ancora sulla carta stampata o sotto autorevoli uomini di impresa… o “che fanno impresa”…. (li m o r t a c c i loro).
Molte delle cose qua pubblicate si trovano sul web, se qualcuno ha voglia trova tutte le fonti, che grazie al cielo diventano sempre più. Ciò che non è copiaincollabile l’ho preso da testi reperibili nelle biblioteche là dove rettori o direttori del fascismo dei travestiti di rosso hanno lavorato male e quindi certe cose sono sfuggite alle manipolazioni democratiche.

Nel 1959 il giornalista Tripodi ebbe modo di pubblicare un documento inedito riguardante Nenni, attivo ed in giro per la Romagna qualche decennio prima…, indaffarato a FONDARE fasci di combattimento.
Nenni tremendamente indispettito gli indirizzò una lunga lettera che minimizzava i fatti, ma non li escludeva. (Basta leggere il Giornale del Mattino di Bologna diretto da Nenni nel 1919..).
Nella lettera indirizzata a Tripodi, Nenni comunque dichiarò che nel 1919 il suo “fu un errore”. Tripodi nella risposta ne prese atto e concluse:

“Quando lei nel 1919 compì l’errore di stare al lato di Mussolini aveva se non sbaglio 28 anni. Io allora ne avevo appena otto.
A ventotto anni, nel 1939, ho compiuto l’errore di stargli a lato anch’io. Col Suo errore sul cartellino politico, pari al mio, lei nel 1945, come Alto Commissario per l’epurazione, mi sottopose ad una paradossale commissione per la repressione dei delitti fascisti.
Ci rimisi la libera docenza e fui interdetto dai diritti politici per alcuni anni. Quant’è antipatica la Storia quando fa pagare così diversamente gli errori”.

Nino Tripodi, giornalista, non deputato, non membro storico della Casta degli ex fascisti, fa autocritica, paga. Altri senza pagare si fregeranno di essere padri FALSI dell’antifascismo con privilegi di ogni tipo e natura. Facendo anche danni.
Nel 1981 Nino Tripodi pubblica il libro Intellettuali sotto due bandiere – Antifascisti in camicia nera – sotto l’editore Ciarrapico. Sì proprio quello lì, che gli fornisce copertura… moralizzare su Ciarrapico lo lascio ai servi della famiglia Agnelli…
Nessuna denuncia o querela, ma neanche nessuna recensione che possa far cronaca.
Ovvio.
Ho auspicato da sempre che qualcuno querelasse o denunciasse Tripodi o Ciarrapico… per tali testimonianze… ma… sono passati quasi trent’anni e la strategia resta la stessa: il silenzio omertoso.

Funziona meglio…. chissà quante ALTRE cose sono sfuggite al Tripodi :)))))))))



Sempre sui "Fascisti Rossi" e sulla storia in camicia nera del Partito dei Togliatti-Berlinguer è di fondamentale importanza la chiave di lettura offerta, nel 2010, in una corposa "nota" dal sito del
"Nucleo comunista internazionalista" :

“FASCISTI ROSSI”
E “NAZIONAL-COMUNISTI”:
PENOSO SMARRIRSI DEI CONFINI
TRA COMUNISMO E IDEOLOGIA BORGHESE

È utile soffermarsi sui fatti che Paolo Buchignani ha portato a conoscenza del più ampio pubblico con il testo “Fascisti rossi – Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica – 1943-1953”( Milano, Mondadori 1998), e in tre saggi apparsi sui numeri 1 e 3 del 1998 e sul 4 del 1999 della rivista “nuova Storia Contemporanea” (Roma, Luni Editrice).

In questi testi è documentata la vicenda dei cosiddetti “fascisti rossi” e dei loro rapporti politici con il Partito Comunista Italiano nell’immediato secondo dopoguerra.

La “storia ufficiale” del PCI – e della CGIL, per quanto ad essa compete – ha steso un discreto velo di silenzio sui passaggi storici che qui richiamiamo. Il che ci obbliga a soffermarci sui fatti, non sufficientemente noti nella loro esatta portata finanche a moltissimi compagni. Ciò non toglie che la nota che segue non è semplicemente una (utilissima) ricognizione di carattere storiografico, perché invece vuole essere ed è uno strumento di battaglia politica che guarda con attenzione al passato perché è direttamente rivolta al presente e al futuro.


Antefatto
 

Si facilita l’inquadramento storico-politico della questione richiamando un antefatto decisivo, citato velocemente da Buchignani e oggetto di approfondimento specifico nel libro di Pietro Neglie “Fratelli in camicia nera – Comunisti e fascisti dal corporativismo alla CGIL (1928-1948)” ( Bologna, Il Mulino 1996).

Il lavoro di Neglie illustra gli sviluppi che ebbero origine dalla cosiddetta “direttiva entrista” – approvata dal VI Congresso della Terza Internazionale del luglio-settembre del 1928 – contenente l’indicazione per i comunisti italiani di penetrare nelle organizzazioni di massa del fascismo (con essenziale riferimento al sindacato).

Il VI Congresso dell’Internazionale Comunista è notoriamente caratterizzato dalla linea che, in quella fase, individuava come compito prioritario quello di combattere come nemico principale la socialdemocrazia; mentre l’indicazione di infiltrare le organizzazioni fasciste appariva piuttosto come un corollario secondario rivolto agli italiani.

Se, però, la cosiddetta “teoria del socialfascismo” ebbe vita breve, prima di venire rigirata in pochi anni nell’opposta indicazione del popolar-frontismo senza limiti, l’indicazione di penetrare le organizzazioni fasciste conobbe invece un seguito durevole e significativo.

Ciò in quanto la sua concreta applicazione, di lì a breve e come conseguenza del generale corso degenerativo del movimento comunista internazionale, venne a manifestarsi con modalità e contenuti che contraddicono ogni reale politica comunista che in determinate fasi sia tenuta ad agire nell’ambito di organizzazioni di massa reazionarie.

Sicché si deve dire, con riferimento al “dialogo” tra “fascisti rossi” e PCI poi concretizzatosi nell’immediato dopoguerra, che sono stati per primi i “comunisti” del PCd’I di Togliatti a rivolgersi ai “fratelli in camicia nera”.
Stiamo parlando, beninteso, del PCd’I che sin dal congresso di Lione del gennaio del 1926, con il supporto autorevole dei deliberati dell’Internazionale in via di avanzante stalinizzazione, aveva messo fuori gioco la corrente di sinistra di Amadeo Bordiga, largamente maggioritaria nel partito sin dal congresso di fondazione di Livorno nel 1921.

Dunque parliamo di un PCd’I in via di mutazione del DNA delle origini e di involuzione verso quel “partito nuovo” che negli anni successivi avrebbe modificato sostanzialmente e apertamente il proprio programma (tra l’altro italianizzando in modo significativo il nome e introducendo il tricolore nel simbolo: il nome originario di Partito Comunista d’ Italia – Sezione della Internazionale Comunista fu trasformato in quello di Partito Comunista Italiano dopo il giugno del 1943, quando Stalin e compagnia approvarono lo scioglimento dell’Internazionale Comunista su richiesta e come omaggio e pegno di fedeltà ai neo-alleati governi statunitense e inglese).

Sul n. 8 dell’agosto 1936 di “Lo Stato Operaio”(rivista teorica del PCd’I) venne così pubblicato, in uno slancio di “entrismo”, un manifesto-appello “agli italiani”, dal titolo “Per la salvezza dell’Italia, riconciliazione del popolo italiano!”, firmato da tutti i principali dirigenti comunisti, con Togliatti primo firmatario.

Ne riportiamo di seguito i passaggi salienti:

“Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori, e vi diciamo: lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma...

Fascisti della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere insieme a voi ed a tutto il popolo italiano per la realizzazione del programma fascista del 1919, e per ogni rivendicazione che esprima un interesse immediato, particolare o generale, dei lavoratori e del popolo italiano.

Siamo disposti a lottare con chiunque voglia davvero battersi contro il pugno di parassiti che dissangua ed opprime la Nazione e contro quei gerarchi che li servono... Solo la unione fraterna del popolo italiano, raggiunta attraverso la riconciliazione tra fascisti e non fascisti, potrà abbattere la potenza dei pescicani nel nostro paese e potrà strappare le promesse che per molti anni sono state fatte alle masse popolari e che non sono state mantenute.

Sono questi grandi magnati del capitale che impediscono l’unione del nostro popolo, mettendo fascisti e antifascisti gli uni contro gli altri, per sfruttarci tutti con maggiore libertà.”

Al riguardo osserviamo che in questo appello la penetrazione nelle organizzazioni di massa del fascismo viene tradotta in solenne accettazione del suo programma politico e che ciò avviene in un contesto di ragionamento in cui gli interessi dei lavoratori da difendere vengono associati a quelli della nazione (con la n maiuscola) da liberare.

Vediamo ancora che i secondi inevitabilmente fanno del tutto premio sui primi, soprattutto se a tal fine i “comunisti” si dicono disposti non solo a “riconciliarsi” ma a lottare “con chiunque”.
Altri – allora e, chissà!, forse ancor oggi – potranno apprezzare la “penetrante saggezza tattica” di questo appello.

Noi vi vediamo invece il ribaltamento di una prospettiva e la confusione di ogni limite di demarcazione tra programmi nati per contrapporsi e combattersi, se i “comunisti” possono far proprio quello fascista del 1919!

Vi vediamo che nel nuovo programma dei “comunisti” è spuntata, alla data del 1936 e per l’Italia che – con la sanguinosa occupazione dell’ Etiopia – veleggia verso “l’Impero”, la questione della nazione da liberare da “parassiti e pescicani che la dissanguano e opprimono” (svilimento dei contenuti della reale e unica oppressione di classe con un linguaggio che ne sposta il merito sul tema della nazione e ciò in assenza di riferimenti a eventuali minacce straniere cui reagire – che, pur ci fossero, beninteso, non sposterebbero di un grammo il nostro asse comunista –).

Vi leggiamo che a tal fine viene dichiarata, accettata, offerta la disponibilità per ogni frontismo politico (dunque non mero e necessario entrismo dei comunisti nell’organizzazione sindacale fascista) e per qualsivoglia alleanza interclassista (“con chiunque!”).

Indubbiamente in questo appello c’è la difficoltà del PCd’I ad organizzare la propria azione politica in Italia, la ridottissima agibilità in tal senso e – proprio al massimo di ogni plausibile benevola considerazione...– la tenacia a non voler abbandonare il campo.

Ciò, però, non spiega e non giustifica l’evidente snaturamento di una prospettiva e di un programma che non sono più comunisti, se ci si rivolge ai fascisti, vecchi e giovani, in nome della nazione da salvare.

Una politica che, su queste basi, non ha (non ha più) un programma comunista proprio cui riferirsi, perché inalbera in modo penoso e ridicolo il programma fascista!
Invece l’insoddisfazione dei giovani che nelle organizzazioni del regime si mostravano sensibili ai temi sociali e ai proclami pseudo-rivoluzionari agitati dal fascismo – insoddisfazione che il vertice togliattiano del futuro PCI puntava ad intercettare, con mille ossequi ed attenzioni a non criticare troppo o a non criticare affatto direttamente il fascismo – avrebbero avuto bisogno di tutt’altro programma e del corrispondente linguaggio, posto che quelle inquietudini affondavano le radici in una fase storica di profonda crisi del capitalismo tuttora irrisolta, e soprattutto resa cupa alla data del 1936 dalla sconfitta – peraltro recente e dunque non ancora a quella data definitiva – della rivoluzione proletaria che aveva tentanto di uscirne a sinistra, con il conseguente incubarsi, in difetto del rilancio della prospettiva internazionalista di classe, di altre paurose guerre fratricide all’orizzonte.

Sennonché il PCd’I di Togliatti a quella data aveva già archiviato il programma e il linguaggio del comunismo e, alla vigilia della nuova immane guerra imperialista (di cui erano visibilissimi i prodromi nella guerra di Spagna esplosa proprio nell’estate del 1936), non si sognava minimamente di rilanciare la battaglia internazionalista di classe e di riorientare la barra in quella direzione.
In difetto di ciò l’appello “agli italiani” ad altro non poteva preludere che al lugubre richiamo a serrare i ranghi del “fronte patriottico” per il futuro intruppamento nazionale al carro della propria borghesia nella nuova carneficina imperialista, essendo circoscritto il merito della “battaglia politica” alla scelta della composizione del fronte borghese nazionale e della coalizione imperialista cui volersi e doversi unire.

Peraltro, secondo il copione ridicolo della continua auto-smentita di se stessi (già andato in scena sulla “teoria del socialfascismo” ed espressione anch’esso dell’avvilente smarrirsi dei confini tra comunismo e ideologia borghese, questa volta sul piano del metodo), i dirigenti “comunisti” mitigarono di lì a pochi mesi la formula della “riconciliazione nazionale” lanciata con tanta enfasi nell’agosto del 1936 e, dietro sollecitazione di Mosca, ne “corressero gli eccessi” in funzione della necessità di rinsaldare, ora, un “fronte comune antifascista”.

Nondimeno possiamo concordare con Neglie nel ritenere – per quanto ci riguarda a vergogna indelebile di quel vertice– che “le conseguenze di questa fase si coglieranno compiutamente in seguito... che allora il PCd’I costruì il primo abbozzo di una identità nazionalpopolare che recupererà poi nel periodo della Resistenza, e che, già prima di esso, il partito bolscevico aveva costruito in seguito all’aggressione nazista” (Neglie, op. cit. pag. 32).

In un articolo successivo sempre de “Lo Stato Operaio” di quel 1936 a firma Grieco si diceva che “popolo e nazione” sono “termini propri della rivoluzione proletaria, la quale vince solo in quanto popolare e nazionale”(se ne veda il riferimento a pag. 32 op. cit.).

Mentre nel rapporto redatto da Gennari sulla discussione del comitato centrale di quel periodo (vedi pag. 34 op. cit.) si legge ancora che il PCd’I “rappresenta la continuità delle migliori e più pure tradizioni italiane” e che “noi facciamo nostro il programma del ’19, che è un programma di democrazia” (vedremo in seguito quando e come sarà ripresa la formula per noi significativa della “riconciliazione – con il fascismo, n.n.– sul piano della democrazia”).

Dunque si può concordare con Neglie (salva la decisiva precisazione che faremo in seguito) nel ritenere che l’appello “ai fratelli in camicia nera” segnasse in qualche modo “la trasformazione del partito comunista... al punto che ci sembra difficile dire che quando questa linea sarà abbandonata, il partito ritroverà realmente intatta la proprio fisionomia rivoluzionaria...

Non è solo il richiamo all’unità con i fascisti in buona fede sotto la bandiera del Fronte popolare a determinare questa metamorfosi;

a ciò va aggiunta la riscoperta dei valori nazionali attraverso il richiamo all’Italia risorgimentale garibaldina...” (pag. 33 op. cit.).

Concludendo, la “direttiva entrista” del 1928 e l’ “appello ai fratelli in camicia nera” del 1936 sono il prodromo del dialogo tra “comunisti” e fascisti “di sinistra” che conobbe fiorente sviluppo nel mutato scenario del dopoguerra, e sin da allora ne segnano il terreno d’intesa nella comune professione dell’amor di patria, consono ai fascisti e di indelebile vergogna per pretesi “comunisti”.

Negli ultimi anni della seconda guerra e del fascismo il PCI riprese, dando seguito su queste corde, l’azione di propaganda rivolta in particolare ai giovani fascisti o comunque influenzati dal fascismo.

Fino alla liberazione ciò venne fatto attraverso “Radio Milano Libera” e quindi su “Rinascita” e su “L’Alba”(giornale dei prigionieri di guerra italiani nell’Unione Sovietica), e l’iniziativa di dialogo vide sempre impegnato direttamente il vertice del partito e in particolare Togliatti.

Ciò che accadde nel dopoguerra è una seconda puntata, che, se si avvalse dell’azione già promossa dal partito di Togliatti durante il ventennio, si svolse, però, ormai a parti invertite: nel dopoguerra furono i fascisti “di sinistra” a rivolgersi al PCI (“... eravamo noi che ne avevamo bisogno”: così in una testimonianza dello stesso Ruinas, che ora conosceremo attraverso la presentazione di Buchignani) e a voler penetrare l’organizzazione di massa del proletariato che andava (ri)costituendosi sotto le insegne di quel partito.

* * *

Fin qui l' "antefatto"... ma la ricca documentazione continua e potete conoscerla direttamente dalla fonte originale oppure dalla copia che ci siamo presi la libertà di riprodurre qui. per puro scongiuro rispetto alla censura e alla temporaneità di internet.

Togliatti Guardasigilli - Di Arturo Peregalli e Mirella Mingardo - COLIBRI Edizioni.
Documenti con la D Maiuscola. AI PRIMI PRESIDENTI ED AI PROCURATORI GENERALI DELLE CORTI DI APPELLO:

CIRCOLARE n. 3179 (versione completa)
Roma 29 Aprile 1946

Oggetto: Procedimenti penali per reati collettivi.

Non sarà sfuggito all’attenzione delle Signorie Loro Illustrissime che, specie in questi ultimi tempi, si sono verificate in molte province del Regno manifestazioni di protesta da parte di reduci e di disoccupati, culminate in gravissimi episodi di devastazione e di saccheggio a danno di Uffici pubblici e di depositi alimentari, nonché di violenze contro pubblici funzionari ed impiegati ritenuti, a torto, responsabili dell'attuale stato di disagio in cui versa l'intero Paese.

Tali manifestazioni che di regola, nelle intenzioni dei partecipanti, dovrebbero concretarsi in una forma moderata e ragionevole di protesta collettiva, tollerabile in regime democratico, degenerano purtroppo, sovente, nel vandalismo e nella violenza sovvertitrice, e ciò per l'opera nefasta di elementi provocatori e di delinquenti comuni che, mescolandosi ai dimostranti, li istigano alla distruzione, al saccheggio ed alla ribellione ai pubblici poteri, conseguendo in tal modo i loro criminosi intenti.

Il Ministero dell’Interno ha testé reso noto di aver impartito severe istruzioni ai Prefetti affinché disordini del genere siano energicamente repressi dalle forze di Polizia, che dovranno non solo procedere all'immediato arresto ed alla conseguente denuncia all'autorità giudiziaria degli autori dei saccheggi, delle devastazioni e degli incendi, ma altresì svolgere accurate indagini dirette ad assicurare alla Giustizia i suddetti agenti provocatori e volgari delinquenti sui quali, per l'opera di sobillazione svolta, ricadono, evidentemente, le maggiori responsabilità.

Pertanto questo Ministero, pienamente convinto dell’assoluta necessità che una energica azione intrapresa dalla polizia per il mantenimento dell’ordine pubblico debba essere validamente affiancata ed appoggiata dall'autorità giudiziaria, si rivolge alle signorie Loro invitandole a voler impartire ai dipendenti uffici le opportune direttive affinché contro le persone denunciate si proceda con la massima sollecitudine e con estremo rigore.

Le istruttorie ed i relativi giudizi dovranno essere esplicati con assoluta urgenza, onde assicurare una pronta ed esemplare repressione;
a tal uopo, ove il personale giudiziario destinato alla trattazione degli affari penali non sia ritenuto sufficiente a corrispondere a queste esigenze contingenti, si dovrà provvedere ad integrarlo con magistrati addetti al ramo civile, anche in pregiudizio della attività giurisdizionale civile e, se ciò non bastasse, i capi degli uffici giudiziari potranno segnalare la deficienza di personale a questo Ministero per gli opportuni provvedimenti.

Si raccomanda infine di procedere, in tutti i casi in cui la legge lo consenta, con istruzione sommaria o a giudizio per direttissima e di trasmettere gli atti all'autorità giudiziaria militare qualora ricorrano le condizioni previste nell’articolo 5 del Decreto legge 10 maggio 1944, n° 234.Si resta in attesa di urgente assicurazione.

Il Ministro di Grazia e Giustizia
Palmiro TOGLIATTI

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