A
come Argan Giulio Carlo
ARGAN Giulio Carlo,
politico-sindaco comunista di Roma - Collaboratore di Bottai
-Ministro Educazione…. Collaboratore della rivista “PRIMATO
FASCISTA” del ministro Bottai ..Iscritto al PNF…segretario
di redaz. della rivista fascista Le Arti….
B
come…
BARTOLI
DOMENICO
Notissimo giornalista anti-fascista, grande estimatore (e
grande protetto) di Ugo La Malfa, ha elaborato la teoria
seconda la quale chi si schierò con la RSI non dovrebbe
avere la cittadinanza italiana.
Durante il Ventennio fu uno zelantissimo apologeta del
Fascismo, tanto che nel 1935 scrisse sulla rivista
“Saggiatore”: “E’ evidente che per il nostro lavoro abbiamo
un punto fermo: il nucleo centrale della dottrina fascista,
così come lo ha precisato Mussolini”. Precedentemente, nel
1933, aveva pubblicato il libro “Il volontarismo delle
Camicie Nere”, nel quale aveva scritto: “La Rivoluzione
delle Camicie Nere che segna la rinascita di tutta la vita
italiana, mentre da un canto ha impresso alla Nazione un
nuovo slancio verso il futuro, l’ha d’altra parte
ricollegata alle sue tradizioni più alte.”
BIAGI
Enzo
Collaboratore della rivista “PRIMATO FASCISTA” del ministro
Bottai -Partecipa ai Littoriali del 1935
BINNI
Walter
Deputato socialista Costituente- Partecipa, si classifica
Littoriali,nel ‘39 collabora a Civiltà Fascista, fino al ‘42
scrive su “Primato Fascista”,aderisce alla campagna del PNF
contro il “lei”. Partecipa, e vince ai Littoriali, ,quale
rappresentante dei GUF (Gruppi universitari fascisti).
BO
Carlo
Docente universitario. Partecipa e si classifica ai
Littoriali della Cultura. Collabora alla stampa del
Ventennio. Sarà poi riverito cattolico di sinistra…
Ancora
B
come Bobbio Norberto
BOBBIO
Norberto
Che dovette ammettere a malincuore di aver avuto un
trascorso fascista SOLO quando prove e testimonianze sono
divenute di DOMINIO PUBBLICO.
Nel Paese che dimentica tutto e in fretta l’intellettuale
“di sinistra” se la cavò con un “È stata una triste
parentesi…”.
Bobbio, che di essi era
il grande vecchio, servì il Fascismo fin dalla gioventù.
Iscritto al PNF dal 1928 percorse una rapida carriera
universitaria in camicia nera. Scrisse e fece scrivere al
Duce ripetute lettere di appassionata fedeltà, alcune delle
quali sono riuscite a vedere la luce in epoca recente.
Giurò fedeltà al
Duce anche un anno dopo le leggi razziali,
esattamente il 3 marzo 1939, per poter ottenere una cattedra
all’Università di Siena.
Rigiurò fedeltà al
Duce ancora nel 1940, a guerra dichiarata, per
insediarsi a Padova nella cattedra del professor Adolfo Ravà,
che era stato allontanato perché ebreo Su oltre 1.200
docenti universitari dell’epoca, solo dodici rifiutarono di
prestare quel giuramento: Bobbio decise di stare non con i
12 ma con i 1188″.
Ancora
B
come Bocca Giorgio
BOCCA Giorgio
Scrittore, giornalista; addetto al CINEGUF di
Cuneo. Fra gli scritti che sostennero la propaganda razzista
in Italia,la Mostra elenca quelli di Giorgio Bocca, Scrive,
nel 1942,sul giornale della Federazione fascista di Cuneo .”
…sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono
pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, come
ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di
portarla in stato di schiavitù”.
Come già citato sopra, in
La Provincia Granda, 4 Agosto 1942, Giorgio Bocca, scrive :
“Questo odio degli
ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra
attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza,
infatti, sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano,
fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in
un tempo non lontano, essere lo schiavo degli ebrei?”
Giorgio Bocca a 18 anni
ottiene la tessera del PNF (Partito nazionale fascista),
sottoscrive il Manifesto in difesa della razza italiana,
fortemente voluto da Benito Mussolini per compiacere
l’alleato tedesco.
Ancora ad agosto del
1942, giovane giornalista fascista, scrive un notabile
articolo in cui imputa il disastro della Guerra alla
congiura ebraica.
Il 5 gennaio 1943
denuncia alla polizia fascista l’industriale Paolo Berardi
che, in un treno, ha l’infelice idea di dire ad alcuni
reduci dal fronte russo e dalla Francia “che la guerra è
ormai perduta”.
Dopo l’8 settembre 1943
passa alla Resistenza. (ma dai???)
BUFALINI PAOLO
Dirigente del PCI, per molti anni senatore, aveva pubblicato
su “Roma fascista” del 22.2.1936 un bell’articolo dedicato
alla libertà di stampa, nel quale spiegava che il Fascismo è
un impegno di vita e che solo il Fascismo poteva stabilire
che cosa fosse la libertà di stampa e quindi quali ne
fossero i limiti.
BUZZATI
Dino
Collaboratore della rivista “PRIMATO FASCISTA” del ministro
Bottai, è fra i giornalisti e scrittori che aderirono alla
RSI .
Per arricchire la lettera B, bisognerebbe rivendicare la
VERA pubblicazione di tutto il contenuto dell’armadio della
Vergogna, a cui i soliti intellettuali e
“storici-democratici” viene delegato il compito del lavoro
di forbice e della più sporca delle pulizie.
C
come...
CAGLI
Corrado
Artista, poi pittore “comunista”. Autore di un immenso
quadro apologetico della Marcia su Roma.
CALAMANDREI Franco
Picì, capo dei GAP romani, implicato nell’attentato di Via
Rasella.Partecipa col GUF di Firenze e vince i Littoriali
della Cultura del 1935 .
CARETTONI Tullia
Deputata picì e V. Pres.Senato. Dirigente GUF di Roma ,
collabora a Roma Fascista fino al ‘43.
COMENCINI Mario
Regista. Partecipò, quale rappresentante di Milano, ai
Littoriali del1935 e del 1936 .
CALLEGARI GIANPAOLO
Scrittore, giornalista. Collaboratore della Stampa Fascista
con articoli impegnatissimi, specie a sostegno della
valorizzazione dei giovani da parte del regime.
Nel 1942 è perfin
ottimista e ritiene in ripresa la “produzione dell’autentica
letteratura” (quella fascista) e annovera la “moralizzazione
del gusto” come aspetto caratterizzante della guerra.
Persa la guerra passa alla sinistra.
CANONICA Pietro
Scultore. Elevato da Mussolini alla dignità di ACCADEMICO
d’ITALIA. Elevato poi dall’Italia antifascista alla dignità
di SENATORE A VITA….
CARETTONI TULLIA
Attiva dirigente del GUF di Roma e collaboratrice di Roma
Fascista fino al 1943. Persa la guerra diviene parlamentare
eletta nelle liste di Togliatti e vicepresidente del Senato.
CARLI
Guido
Collabora a Critica
Fascista e a Civiltà Fascista con articoli e saggi sulla
politica economica nell'”Italia Corporativa” e nella
Germania Nazista.
Dopo la guerra passa alla
Democrazia Cristiana, diviene GOVERNATORE della Banca
d’Italia e successivamente in quanto “uomo di fiducia di
Casa Agnelli” diviene Presidente della Confederazione degli
Industriali.
Esce indenne da tutte le
operazioni di saccheggio del denaro pubblico finalizzate
alle “opere pubbliche”.
CASSOLA Carlo
Scrittore. Collabora alla stampa del ventennio. Scrive su
Anno XIII, rivista diretta da Vittorio Mussolini. Sarà poi
intellettuale di sinistra…
CECCHI Emilio
Critico letterario, scrittore. Nonostante avesse firmato nel
1925 il Manifesto Antifascista di Croce, accettò un Premio
Mussolini e nel 1940 la nomina ad accademico d’Italia.
Fu al seguito di
Mussolini durante il noto viaggio in LIBIA e ne scrisse le
LODI. Di altre Lodi parlò Goffredo Bellonci sul Giornale
d’Italia del 23 ottobre 1942: “Cecchi, ha in alcune prose
esaltato la figura del Duce e analizzato criticamente il suo
stile per mostrarne la forza”.
Nel Dopoguerra,
considerato il suo rapido inserimento nella cultura
democratica e “antifascista”, non mancarono a suo carico le
accuse di trasloco da una politica culturale all’altra
diametralmente opposta. Carlo Ragghianti (cfr. Il Giornale,
24,9,1976), scrisse che, data l’intelligenza e la cultura di
Cecchi, di lui “si leggevano con disgusto mescolato a dolore
articoli e corrispondenze cortigiane”.
ancora C
come CHILANTE Felice
CHILANTE Felice
Scrittore, giornalista… Con ZANGRANDI e LAJOLO, oppure Natta
ed Ingrao, potrebbe completare la più rappresentativa triade
del trasformismo dalla MILIZIA FASCISTA all’impegno nel PCI
di Togliatti.
Occorrerebbe un
volume-mattone per raccogliere gli scritti di CHILANTI
durante il regime.
Non ci fu istituto o iniziativa del fascismo senza una sua
pagina laudativa.
Il fascismo era per
CHILANTI “una rivoluzione continua, una marcia che le
generazioni si assumeranno il compito di continuare verso
gli orizzonti che sono stati precisati dal capo”.
Il diapason del suo
attivismo littorio fu toccato nel 1938 quando mise la penna
a disposizione della campagna razziale contro gli ebrei. Ne
scrisse dovunque e con virile virulenza.
Il volume di Paolo Orano,
Inchiesta sulla razza, contiene un suo capitolo:
“La RAZZA italiana esiste, è viva, gagliarda, pura: la
RAZZA italiana ha una missione da compiere nel mondo, e la
compirà. Questa nuova RAZZA ritrova se stessa nel Fascismo
che ha liquidato la democrazia e ha tracciato le nuove
strade della civiltà nel mondo.”
E ancora:
“Il Fascismo è nato e
si rivolge come rivoluzione sul piano universale
dell’Impero, realtà dominante perché è un prodigio della
razza italiana come già lo furono Roma e il Rinascimento”.
Coinvolto nella congiura
“superfascista” del 1942, fu mandato al confino a Lipari.
Dopo la guerra fu accolto anche lui nel Picì di Togliatti e
di Longo… abbracciando la “militanza comunista” con impegno
pari a quello speso durante il fascismo.
Ma il passato gli rimase
come un peso sulla coscienza. Cercò di farne ammenda con una
trilogia autobiografica di lunghi racconti-confessione
intitolati Ponte di Zarathustra (1965), il colpevole (1967),
Ex (1968), infarciti di manipolazioni suggerite dal bisogno
di farsi assolvere e dal bisogno di troppi, tanti, colleghi
di partito che preferirono non essere coinvolti
dissociandosi dalla sua iniziativa.
CHIARELLI Giuseppe
Docente universitario.
È uno dei maestri del
Diritto Corporativo Fascista, sul quale scrive parecchi
libri sostenendone i pregi in contrapposizione alle teorie e
ai sistemi sia liberisti che “collettivisti”.
Assorbito dopo la Guerra
dalla Democrazia…, godrà la prestigiosa investitura di
presidente della Corte Costituzionale.
CIAMPI
Antonio.
Scrittore.
Attivo collaboratore
della stampa del ventennio con articoli Apologetici, fu
condirettore di Legioni e Falangi, addetto stampa del
Ministero della Cultura Popolare, volontario in A.O.I.
Dopo la guerra, riesce ad
inserirsi nel nuovo ordine democratico. Fu dapprima
direttore e poi presidente della SIAE.
CIASCA
Raffaele.
Docente universitario. Firmatario del manfesto di Croce del
1925, passò poi al Fascismo… pubblicando libri apologetici
sul colonialismo del duce.
Collaboratore di Primato,
tra il 1940 ed il 1943, scrisse articoli in DIFESA delle
Potenze dell’ASSE e contro gli alleati occidentali. Subito
dopo la guerra passò alla DC e fu eletto senatore nelle
liste democristiane.
CODACCI
PISANELLI Giuseppe.
Docente universitario, uomo politico. Partecipa ai
Littoriali della Cultura nel convegno di Dottrina del
Fascismo, classificandosi con onore.
Nel 1940 fa domanda di
iscrizione al centro di preparazione politica dei giovani.
Persa la guerra diviene solerte seguace della Democrazia
Cristiana, quindi deputato per molte legislature e più volte
ministro.
COLITTO Francesco.
Uomo politico. Durante il Fascismo è attento studioso del
diritto del lavoro e delle istituzioni corporative.
Pubblica libri ed
articoli sugli ordinamenti sindacali e corporativi
mussoliniani, lodandone le “innovazioni” ed esaltando il
duce.
Dopo la guerra lo
troviamo nel PLI per il quale sarà deputato e
sottosegretario di Stato.
CRESPI
Mario.
Industriale, nominato senatore nel 1934 su proposta di
Mussolini, proprietario del Corriere della Sera, attivo
esponente della società fascista, promotore e finanziatore
dei famosi “Premi Mussolini”, annualmente distribuiti
dall’Accademia d’Italia ai migliori intellettuali della
nazione.
Subito dopo il 25 luglio
passa all’antifascismo. Sarà lu ad aprire prospettive di
alleanza tra il Corriere della Sera ed il PCI.
D
come DE ROSA Gabriele
DE ROSA
Gabriele
Docente Universitario Milita attivamente negli organi
universitari del regime.
Nel 1939 pubblica un volumetto intitolato “La rivincita di
Ario”, a cura del GUF di Alessandria, duramente razzista ed
anti-giudaico, inteso a provare “le influenze deleterie
dell’ebraismo con la conseguente necessità di purgare
l’Italia dalla piovra giudaica”.
Sostiene altresì
l’ideologia del “cattolicità e fascismo”, dove fascismo
significa “agire per fini universali interiormente
religiosi e sacri“, e che i giovani “debbono diffondere
per l’Italia il fuoco e la vitalità del loro animo cattolico
e razzista“.
Dopo la guerra, il De
Rosa diventa uno dei tanti “artefici” della resistenza e
passa al PCI, successivamente salta dal PCI alla Democrazia
Cristiana.
La “sua” ricostruzione
della Storia finisce sui banchi delle scuole e delle
università.
Nel 1977, immemore di
quella equazione (cattolicità=fascismo), pubblica un’ampia
ricostruzione storica e biografica di don Luigi Sturzo, il
prete siciliano fondatore del partito popolare e ne loda
l’emblematica contrapposizione del mondo cattolico al
fascismo…
Robe da matti:))))
DE FEO
Sandro.
Giornalista… Durante il fascismo fu critico cinematografico
del Messaggero.
Quale collaboratore di
Critica Fascista apologizzò il regime fino a scrivere che
“il senso dello squadrismo è veramente immortale”.
Dopo la guerra fece professione di fede liberale e imputò a
Mussolini le sue tare miserande e il “suo misero destino”.
DE
GIORGI Elsa.
Attrice. È di casa nel gran mondo della cinematografia
gestito dal fascismo, frequentatrice degli ambienti più
mondani del Ventennio. Corteggiata da Galeazzo Ciano,
fotografata col ministro della cultura popolare Alfieri,
interprete di film patriottici come Teresa Confalonieri nel
1934.
Fieramente antifascista
dopo la guerra, scrive libri autobiografici (I coetanei,
1955) rinnegando le antiche amicizie e spargendo scherno e
disprezzo sugli ambienti fascisti che aveva a lungo
sfruttato.
DE
GRADA Raffaello.
Critico d’arte, giornalista.
Partecipa ai Littoriali della Cultura con Ottime
Classifiche. Collabora alla stampa del ventennio. Indulge
all’apologia del fascismo. Dopo la Guerra sarà deputato del
PCI.
DE SICA
Vittorio.
Attore. La sua carriera cinematografica si sviluppa durante
il fascismo ed egli stesso è fascista, dimostrato dalle
fotografie che lo ritraggono mentre recita col distintivo
all’occhiello.
È vero che i suoi gusti
scenici erano solo sentimentali e borghesi, ma è altrettanto
vero che, calandosi nei tempi, scriveva sulla rivista
Scenario del Luglio 1939:
“Certo è che,
piuttosto che continuare a dar corpo a degli eroi della
rassegnazione, della rinuncia, della modestia (tutte virtù
che nessuno di noi sente più, che il tono dell’italiano
nuovo è tutt’altro) io preferisco ritirarmi in buon ordine e
aspettare il momento buono per rimettere il capo alla
ribalta…. aspetto opere che si ncontrino col mio desiderio
di battaglia”.
Codesto suo desiderio di
battagliare, come si conviene a un “italiano nuovo”, si
muoverà dopo qualche anno in senso letteralmente inverso. De
Sica sarà regista di film polemicamente antifascisti come
Roma Città aperta e Il Generale della Rovere.
DONATI
Antigono
Docente universitario, uomo politico. Collaboratore della
stampa del ventennio, di Bibliografia Fascista. Insegnante
dell’Istituto di Studi Corporativi, fotografato in camicia
nera. Poi socialista e deputato PSI al parlamento
democratico:)
F
come FIRPO Luigi
FIRPO
Luigi
Docente Universitario. Dal 1934 al 1940 partecipa a TUTTE le
edizioni dei Littoriali della Cultura, classificandosi
SEMPRE con ONORE...
È redattore capo del
settimanale del GUF di TORINO: Il Lambello… (…).
È premiato da Galeazzo
Ciano a Lucca tra “Poeti del Tempo di Mussolini” per una
Lirica INNEGGIANTE alla “giovinezza scama, guerriera –
scatenata sui continenti – come vento di primavera”.
Perduta la guerra, il
Firpo diventa antifascista e scriverà a lungo su La Stampa
articoli di integrale condanna del regime… servito in
precedenza ai più alti livelli.
Accusato più volte da
poco coraggiose “insinuazioni” sul suo passato sarà sempre
difeso da “colleghi” intellettuali di sinistra e dai clienti
dei salotti-bene della FIAT: gruppo politico-culturale
dominante torinese e azionista che per mezzo secolo con le
risorse finanziarie della Fiat, l’appoggio di qualche loggia
massonica francese e del Partito comunista italiano ha
falsificato la storia del Paese con la copertura dei
potentati economici a cui ha sempre leccato i piedi.
FAZZINI
Pericle.
Scultore. Sotto il fascismo scolpisce bassorilievi per
celebrare le “imprese” d’Etiopia.
Persa la guerra si
appresta allo studio di monumenti al partigiano.
G
come GIANNINI Massimo Severo
GIANNINI Massimo Severo
Docente Universitario. Collaboratore durante il ventennio
dell’Archivio di Studi Corporativi e di altre riviste di
diritto pubblico fascista con saggi inseriti nel sistema.
Passa dopo la guerra all’antifascismo, poi liberal
democratico, poi liberal anglosassone.
GOTTA Salvatore
Scrittore. Aderisce fin dal 1922 al fascismo, ne sostiene le
idee e gli istituti in libri ed articoli, allestisce i versi
di “Giovinezza” e di altri inni fascisti, vince premi e si
assicura onori e prebende di regime. Dopo la guerra passa
all’antifascismo.
GOZZINI Guido
Scrittore, uomo politico poi.
Per valutarne la milizia fascista basta leggere l’articolo
che pubblicò nell’Aprile 1939 su Critica Fascista. È un
appello alla poesia perché canti “in armonia con lo spirito
della romanità e del fascismo”, essendo il fascismo
“un
grande movimento non soltanto politico ma anche spirituale”,
al quale perciò “non può mancare una sua propria
glorificazione poetica”.
Gozzini concluse: “Ci muova un
amore: la Poesia; ci esalti una Fede: l’Italia Fascista”.
È lo stesso Gozzini che negli anni sessanta si farà
promotore dell’intesa tra cattolicesimo e comunismo e che,
messo il “dialogo alla prova” sarà eletto nel 1976 senatore
nelle liste del PCI.
ancora
G
come GELLI LICIO
GELLI Licio
Nel 1984 viene dato alle stampe un corposo volume degli atti
parlamentari con intestazione della CAMERA DEI DEPUTATI –
Senato della Repubblica – IX Legislatura – Doc. XXII
n.2-bis/1. Dal titolo:
Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla
loggia massonica P2 (Legge 23 settembre 1981, n. 527) –
Relazione di minoranza dell’onorevole Massimo Teodori.
Ciascuna delle centinaia di pagine reca l’intestazione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
I vari capitoli riportano le testimonianze dei principali
uomini politici del tempo che hanno dovuto presentarsi
all’audizione, documenti ed ovviamente la ricostruzione nel
tempo dell’attività del Gelli secondo l’onorevole Teodori.
A differenza della maggioranza della commissione l’onorevole
Teodori volle dedicare attenzione anche al periodo
precedente la P2 ed alle realazioni tra Gelli e PCI, ma
vista l’opposizione degli altri partiti questa può essere la
ragione principale per cui la Commissione d’inchiesta non ne
uscì con una relazione unitaria.
Prima ancora, quindi, di occuparsi delle vicende degli anni
60 e ’70 fino all’esplosione dello scandalo in cronaca,
Teodori dedica i primi capitoli al passato di Gelli con il
capitolo n.2 dal titolo:
I Rapporti col PCI: lo scheletro nell’armadio di Gelli (*)
(*= precisa nella nota lo stesso Teodori: Tutti i
riferimenti documentali di questo capitolo sono pubblicati
nel primo volume di documenti a cura della Commissione)
Segue il sottotitolo: Il dopoguerra di Gelli.
Nessuna indagine della Commissione.
Il passaggio a Cattaro. I contatti con il CLN e i rapporti
Gelli-PCI. La consegna della lista dei collaborazionisti.
Scrive Teodori:
“La Commissione non ha voluto svolgere
nessuna indagine diretta sul Gelli degli anni ’43 – ’47, cioé gli anni in cui nizia il doppio gioco multiplo del
Gelli collaboratore di partiti e di poteri occulti,
intermediario tra gli opposti scheramenti e abile
manovratore nell’area particolare delle informazioni
importanti e riservate, cioé nei servizi segreti.
Vi è stata un’inspiegabile reticenza da parte della gran
maggioranza della Commissione e della Presidente On. Tina
Anselmi nell’accertamento della verità dei fatti di quel
periodo. Quando la Commissione ha iniziato i lavori, era
possibile, se lo si fosse voluto, interrogare alcuni diretti
protagonisti delle vicende e dei coinvolgimenti del Gelli
primissima maniera.”
Naturalmente Teodori intendeva protestare e quindi dichiara
di proseguire da solo la sua inchiesta ricorrendo, come egli
stesso precisa, alle inchieste giornalistiche di Gianfranco
Piazzesi ed anche ottenendo, IN ANTEPRIMA, la possibilità di
consultare i manoscritti di un’opera al tempo in corso di
pubblicazione presso gli Editori Riuniti: La Storia dei
Servizi Segreti italiani di Giuseppe De Lutiis.
Così prosegue Teodori:
Nel 1943, a soli 24 anni, Licio Gelli che aveva combattuto
nel campo fascista la guerra di Spagna e successivamente la
guerra in Dalmazia, torna nella sua città natale, Pistoia,
come ufficiale di collegamento tra Wermacht e i militi della
Repubblica Sociale.
Sono i mesi dell’agonia nazi-fascista
che preludono al successo della Resistenza ed alla
liberazione degli alleati. Tramite familiari Gelli (una
sorella era militante comunista) si mette in contatto con i
rappresentanti locali del CLN offrendo la propria
collaborazione ed i propri servizi in forza della posizione
da lui occupata nel campo repubblichino e tedesco.
Fornisce
in tal modo informazioni ad esponenti comunisti del Locale
Comitato di Liberazione e partecipa anche ad alcune
operazioni partigane, pur se costantemente ispirato da
ambiguità di comportamenti.
Con la liberazione della Toscana e la fine delle ostilità
Gelli richiede ed ottiene la protezione dei comunisti del
Comitato di Liberazione, un lasciapassare e documenti
personali. Riesce in tal modo a salvare la vita ed a fuggire a Roma e a
Napoli e quindi in Sardegna, all’isola della Maddalena,
dove, ricercato dalle forze dell’ordine, entra in contatto
con i carabinieri. Il capitolo su Gelli è forse il più importante poiché ancora
strettamente legato alle vicende di oggi.
Ancora oggi vi è
mercimonio e ricatto di fascicoli riservati.
Il famoso
“armadio della Vergogna” riguarda vicende e disastri
consumatisi proprio nelle terre dove il Gran Maestro ha
operato dapprima come collaboratore repubblichino dei
nazisti e successivamente come collaboratore dei CLN.
Quali
nomi vi erano nelle scottanti collaborazioni che Gelli ha
passato al PCI? Cosa ha portato il PCI di Togliatti a
coprirlo tutto il tempo?
Gli atti parlamentari depositati dall’indagine di Teodori
riportano Nomi, fatti, che vanno dalla collaborazione col
PCI, fino ai passaporti diplomatici con le dittature
sudamericane.
Nomi di partigiani che lo hanno scortato ed
anche nomi di testimoni che lo hanno incontrato. Informative
del Com. In. Form n. 15743, attestati e coperture.
Chiunque
può partire da questi dati e verificare ed approfondire. E
magari pretendere che tutto ciò che resta coperto da omissis
venga scoperchiato una volta per tutte.
I
come INGRAO Pietro
INGRAO Pietro
Poeta e uomo politico.
Come poeta vinse a Lucca il “Premio
poeti del tempo di Mussolini” con una lirica dal titolo Coro
per la nascita di una città, con la quale celebrava la
fondazione di Littoria e la mussoliniana bonifica delle
paludi pontine.
Sempre secondo la ricostruzione pubblicata
dal Tripodi vi sono altre cronache giornalistiche narrano
che fu premiato da Galeazzo Ciano “in una cornice stupenda
di popolo all’aperto adunati fascisti di tutta la zona”.
Come uomo politico militò prima nel Partito Nazionale
Fascista (PNF), poi nel PCI.
Quando era fascista prese parte ai Littoriali della Cultura,
misurandosi in più gare e classificandosi a Roma nel
convegno dedicato all’organzzazione del PNF.
Dopo la guerra,
eroe della resistenza antifascista dirige l’Unità ed entra
in parlamento fin dalla prima legislatura.
Raggiunse tra
mille compromessi e danze di fascicoli riservati, nel 1976,
il vertice di presidente della Camera dei Deputati.
Il suo
mutamento di bandiera fu spesso sottolineato in pubbliche
polemiche di stampa.
Crollato il muro di Berlino, visto lo
scarsissimo livello storico-teorico di dibattito e la
confusione che unisce addirittura sedicenti trotskisti e
stalinisti non poteva non finire nel prc (il "Partito della
Rifondazione Comunista".
ancora
I
come IOTTI Leonilde
IOTTI Leonilde
Leonilde Iotti, detta Nilde, prima di essere l’amica del
“migliore”, al secolo Palmiro Togliatti e in
seguito
Presidente della Camera, era nel 1942 una Giovane Italiana
della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) che, come
tante altre, passò in quell’anno al P.N.F. (Partito
Nazionale Fascista) presso il Gruppo Rionale Fascista “A. Maramotti” di Reggio Emilia con la tessera n. 1105040 come
risulta dal certificato rilasciato il 20 marzo del 1943 il
XXI dell’Era Fascista.
Di Ella non abbiamo, per ora…, articoli ed odi firmate che
esaltano la razza ariana, come abbiamo visto per molti
galantuomini messi in ordine alfabetico.
Tuttavia la rete è
ricca di bibliografie apologetiche della sua figura, eroina
partigiana, si parla anche dei suoi tailleur… ma nessuno si
azzarda a citare quel piccolo particolare dell’adesione al
fascismo o che partecipò in divisa fascista alle riunioni
del regime… Mentre contro altri invece sì…
Tutti hanno diritto a cambiare bandiera, ultimamente va
anche di moda farlo decine di volte in pochissimo tempo. Ma
dobbiamo rifiutare la sola idea che possano esistere gli
Intoccabili. Negli anni 90 scoppiò lo scandalo del suo passato fascista,
come per tutte le cose fu ovviamente un’operazione di
danneggiamento politico (come spesso accaduto in passato
nella danza dei fascicoli riservati…) questa volta fatto
condurre a Vittorio Sgarbi tramite i canali nazionali
fininvest, come si conviene in queste circostanze lo Sgarbi
fu avaro di fonti, bisogna dedurne che era in corso qualche
contrattazione, per cui in questo caso alla fininvest devono
saperne molto di più, ma per ragioni di mercato preferiscono
il silenzio. Come da tradizione.
Invece, occorre aggiungere che a fine anni 80, primi mesi
del 1989 o fine 1988, esplose una violenta polemica sulle
Lobby…
Erano gli anni in cui un’intera classe politica stava
per crollare di fronte alle inchieste della magistratura. Iotti, che al tempo era presidente della Camera si rese
protagonista di un isterico intervento in difesa
dell'”onorabilità” di quel parlamento… negando nella maniera
più assoluta l’esistenza delle Lobbies… ed attaccando la
stampa tutti quanti in quel periodo urlavano allo scandalo.
Questo episodio rivela da solo la forza ed il ruolo di
questo personaggio.
L’episodio fu ripreso dai giornali il
giorno seguente, la cosa è agli atti parlamentari
ed a radio
radicale dovrebbero tutt’ora essere in possesso delle bobine
audio di quello storico evento parlamentare, in quanto al
tempo si fregiavano di essere gli unici a trasmettere le
dirette dalle Camere.
J
come JACOBBI Ruggero
JACOBBI Ruggero
Critico e scrittore. Partecipa ai Littoriali e si classifica
tra i primi. Collabora attivamente alla stampa del
Ventennio, compresa quella di partito, come Civiltà Fascista
e Roma Fascista.
Caduto il fascismo passa a sinistra. Prima
è nel PCI, ma per le elezioni amministrative del 1964 invita
a votare PSI, firmando appelli di intellettuali socialisti.
JAEGER Nicola.
Docente universitario. Partecipa attivamente alla
sistemazione giuridica dei principi e degli istituti del
fascismo: nel 1932 è uno dei relatori generali del famoso
convegno di Ferrara.
Nel 1939 pubblica un volume sui
Principi di Diritto Corporativo, testo fondamentale per la
conoscenza e lo studio del corporativismo fascista.
In epoca
democratica sarà Giudice della Corte Costituzionale su
segnalazione delle sinstre. Togliatti lo definirà membro
attivo del movimento comunista.
L
come LATTUADA Alberto
Lattuada Alberto.
Regista e produttore cinematografico. Inizia la sua carriera
durante il fascismo partecipando più volte ai Littoriali
della Cultura e conquistando il titolo di Littore di critica
cinematografica.
Collabora alla stampa del Ventennio in special modo a Libro e Moschetto del GUF di Milano.
Dopo la
sconfitta dirige e produce “film di denuncia” delle
aberrazioni fasciste e invita a votare socialista.
LUCIFREDI Roberto.
Docente universitario e uomo politico. Estensore di numerose
voci del Dizionario di Politica edito dal PNF nel 1940 e
specie di quelle riguardanti le innovazioni del regime nel
campo del Diritto Pubblico.
Passato poi alla Democrazia
Cristiana, sarà deputato in moltissime legislature
repubblicane, ministro e vicepresidente della Camera dei
Deputati.
M
come MACCARI Mino
MACCARI Mino.
Incisore, pittore, scrittore.
Dopo il 25 Luglio 1943 aderisce all’antifascismo, milita nel
Partito Socialista, dedica le sue indubbie qualità
artistiche a disegnare manifesti e vignette antifasciste.
Durante il fascismo era stato invece squadrista, marciatore
su Roma, segretario del Fascio di Colle Val D’Elsa, docente
dell’Accademia di Belle Arti della capitale,senza concorso,
per investitura diretta da parte di Bottai.
Direttore della
rivista “Il Selvaggio” (1924-1943), ne fece foglio di
aggressive polemiche a sostegno di un “fascismo
integralista”, intollerante, manesco, strapaesano.
Contro
ogni accenno della rivoluzione a normalizzarsi, andava in
bestia brontolando e auspicando la riesumazione del
manganello prima maniera.
Ecco alcuni versi della sua “Nostalgia dello squadrista”:
“Malinconico il tuo destino.
O squadrista dei giorni ardenti.
Una seggiola e un tavolino.
Giunta, sindaco e componenti.
Hai risposto.
Il cordone della squadraccia,
era bella mondo ruffiano,
tutta ardita quella vitaccia.
A tutte l’ore essere in ballo,
che il camion presto si trova,
la ragazza ci ha fatto il callo
e per cena un paio d’ova.”
Altri versi da “Sveglia fuori ordinanza”:
Pende triste e mortificato
il tuo povero gagliardetto,
o squadrista tutto inc….ato,
meglio uscire o andarsene a letto.
E da “La marcia su Roma” si segnalano le seguenti quartine:
Quando l’uva bollì nei tini
e scarlatti si fecero i pampini
noi squadristi di Mussolini
ci riunimmo in neri manipoli.
Quando l’uva bollì nei tini
e le foglie si fecero pallide
noi squadristi di Mussolini
i gagliardetti sventolarono.
Allorché se un poeta scrive questi versi giacobini, non è
affatto sostenibile la tesi che la Marcia su Roma l’abbia
fatta solo “per non dire di no a un compaesano”.
Eppure lo
sostenne, a cuore in mano, Enzo Biagi sul Corriere della
Sera del 5 giugno 1977.
Tralasciamo infine per ragioni di buon gusto certi scritti
pubblicati sempre ne “Il Selvaggio” dal Maccari che
ironizzano sulla vedova Matteotti nell’estate del 1924.
Ecco quindi un altro eroe, padre antifascista della
Repubblica….
ancora
M
come MAFAI Mario
MAFAI Mario
Pittore. Dipinse durante il fascismo una “Testa di balilla”
e una “Via dell’Impero” adeguandosi ai miti correnti
dell’apologia artistica del fascismo.
Dopo la sconfitta di
tale “via dell’impero”… diventa militante del PCI e scrisse
su “Rinascita” che durante il Ventennio “gli artisti se ne
stavano isolati e corrucciati” perché “non trovavano quel
clima e quei tipi degni di essere rappresentati”.
MARANINI Giuseppe
Docente universitario. Prima giornalista, poi insegnante di
Diritto Pubblico presso la Facoltà di Scienze Politiche di
Perugia per incarico di Mussolini.
Un RISCONTRO della sua
ORTODOSSIA è dato su Civiltà Fascista, da queste frasi:
“Il Regime: cioè il Partito Unico, lo Stato Forte, la
coscienza vibrante della grande impresa nazionale cui tutti
ci industriamo di collaborare”.
Nel 1937 pubblica a Firenze un volume di 350 pagine (c a z z
o) dal titolo “La Rivoluzione Fascista nel Diritto e
nell’Economia”, ad uso dei licei e degli istituti magistrali.
Collabora alla stampa fascista.
Ramperti lo definisce “fedelissimo” a Mussolini.
Dopo la guerra passa alla stampa “democratica ed
antifascista”.
Nel 1946 scrive, sull’Arno di Firenze, che “la dittatura che
agisce in Russia può essere storicamente giustificata,
mentre quella di Mussolini non poteva esserlo; quella
dittature lascerà forse alla Russia e al mondo una grande
eredità, mentre quella di Mussolini ci ha lasciato in
eredità un disastro”.
:))))))))))
Vincendo nel 1961 il “Premio Marzotto” dichiara che a suo
tempo avava fatto anche lui il giornalista, ma che, nel
1924, aveva dovuto abbandonare quello “splendido mestiere”
per “i nuovi e proibitivi fatti politici a tutti noti”.
…
MARINOTTI Franco
Industriale. Come tutti i grandi industriali prende le
distanze dal regime a mano a mano che la guerra appare
compromessa. Dopo il 25 Luglio sarà addirittura sulla sponda
antifascista. Del suo originario fascismo fa fede l’adesione data nel 1939
all’iniziativa della rivista Circoli per la nomina di
Mussolini a “Primo Cavaliere del Lavoro”.
L’investitura
doveva essere promossa da tutti gli altri Cavalieri del
Lavoro, da Fassini a Pirelli, Vaselli, Rizzoli, Lauro. La
rivista ne pubblicava le adesioni.
Quella di Marinotti diceva:
“Plaudo alla Vostra iniziativa. Sarà un grande onore e un
ambito premio avere con noi il più forte e temprato
lavoratore del Nostro Paese: il Duce!”.
Ma l’adesione del Marinotti non si fermava alle qualità
lavoratrici del Mussolini.
Era anche data ai suoi programmi
bellici che sono occasione di guadagno per la parte più
sporca di ogni Paese…
Nel 1941 scriveva: “L’entrata in Guerra dell’Italia suggella
definitivamente la politica autarchica del regime. Chi
comprese da subito in passato le mete autarchiche, ha oggi
la soddisfazione di essere stato pioniere nella costruzione
del potenziale bellico della Patria in Armi”.
Queste frasi, da buon imprenditore, sono contenute in un
volume-guida pubblicato a Milano, col titolo “Guida
all’Autarchia”; è un volume guida anche per quanti vogliono
conoscere le molte LODI alla politica del fascismo e i tanti
supporti economici offerti alla guerra dagli esponenti
dell’alta e media industria italiana.
MARTINI Arturo
Scultore.
Alla “Terza Quadriennale Romana” espone, lodato
dai critici, un bel torso dell’eroe Tito Minniti, aviatore
seviziato dalle truppe etiopiche allo scoppio della Guerra
per l’Africa Orientale Italiana… e un’altra, grande, statua
seduta del “Legionario ferito”.
Per il Palazzo di Giustizia di Milano, Martini scolpisce un
altorilievo avente per soggetto “La Giustizia Corporativa”.
Nel 1938-39 le riviste d’arte pubblicano i bozzetti di
Arturo Martini per il costruendo Palazzo Littorio in Roma,
complessivamente intitolati “Storia eroica del Fascismo”.
Molto di più, quindi, di una “vittoriella alta 30 centimetri
e che mi fu rifiutata”, della qualle, minimizzando, scrive a
Raffaello Levi nell’agosto del 1945 per negare di aver
conferito al fascismo la propria arte.
La lettera a Levi non è consolante per la libertà della
cultura.
Tra l’altro Martini si auto discrimina dagli
impegni fascisti sostenendo “che questo è il mio mestiere,
cioè tanto di servire il diavolo come il padreterno, e lo
farò sempre, come Canova che fece Napoleone nel periodo
della sua dominazione italiana, Beethoven, e mille altri
casi che potrei citare. Lo scultore è come il calzolaio che
fa le scarpe a chi le ordina”.
Commenta invece Fernando Tempesta (cfr. Arte dell’Italia
Fascista, Feltrinelli, 1976, p. 168-169) che Martini aveva
trasformato “il metallo indefinito e piuttosto vile del
solito populismo fascista nell’oro puro della sua mitografia
popolare, che non contraddice il regime, ma che lo
arricchisce se mai di nuove forme”.
E conclude il Tempesta:
“Francamente, davanti ad artisti come questi, certe
perentorie tendenze a dire che ci fu un’arte fascista, ci
appaiono piuttosto frettolose”.
MAZZACURATI Marino
Scultore. Durante il fascismo era noto “per i suoi bust
littori” (Il Borghese, 1 marzo 1951).
Durante l’antifascismo
indirizza lettere e appelli alla stampa di sinistra
dichiarando di commuoversi “per i superstiti del Vajont, gli
affamati dell’India, i prigionieri di Franco, gli infelici
del Vietnam” (Paese Sera, 24 maggio 1966).
MARTINO Gaetano
Docente universitario, uomo politico.
Caduto il fascismo fu esponente di vertice del Partito
Liberale, ministro degli esteri e della Pubblica Istruzione
della Repubblica (democratica).
Durante il fascismo fu tesserato del PNF, collaboratore
della stampa fascista, zelante proselite in camicia nera
delle attività politiche e culturali della Federazione dei
Fasci e dell’Università di Messina.
ancora
M
come MONTANELLI INDRO
MONTANELLI INDRO
[fonte: CIVILTA' FASCISTA, GENNAIO 1936]
"Ci sono due razzismi: uno europeo - e questo lo lasciamo in
monopolio ai capi biondi d'oltralpe;
e uno africano - e questo è un catechismo che, se non lo
sappiamo, bisogna affrettarsi a impararlo e ad adottarlo.
Non si sarà mai dei
dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra
fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si
può.
Non si deve.
Almeno finchè non si sia
data loro una civiltà..... non cediamo a
sentimentalismi...niente indulgenze, niente amorazzi. Si
pensi che qui debbon venire famiglie, famiglie e famiglie
nostre.
Il bianco comandi. Ogni
languore che possa intiepidirci di dentro non deve trapelare
al di fuori".
(Indro Montanelli. dicembre 1935. Da "Civiltà fascista" N.1,
gennaio 1936) Il
resto del delirio di questo personaggio, sdoganato dalla
sinistra più corrotta prima, e mitizzato dai seguaci di
Travaglio, Saviano e Grillo.... potete leggerlo qui:
http://cronologia.leonardo.it/document/doc1700.htm
Ancora
M
come MORAVIA ALBERTO
Moravia Alberto.
[fonti: dagospia.com - Repubblica.it - Nello Ajello -
Tripodi]
cmq pare che sia la scoperta dell’America ma mancava alla
presente lista di mausolei per travestititi di rosso e
usurai dell’ideologia.
Moravia e il Duce.
«Che Alberto Moravia non sia fascista non è un mistero per
nessuno».
L´osservazione figura in una nota di polizia
indirizzata il 20 gennaio 1934 alla Direzione Generale della
Stampa Italiana. È solo un anticipo. Subito dopo, corpose
informazioni, custodite all´Archivio Generale dello Stato,
avranno per oggetto Moravia.
Ne emerge un ritratto, in forma
inquisitoria, del romanziere di cui oggi cade il centenario
della nascita. Ed è una lettura a suo modo appassionante.
«Amorfo», «arrivista», «scrittore mediocre» e «di carattere
misterioso», «infido», «molto propenso all´intrigo» sono le
definizioni correnti. Egli non è «un ammiratore del Regime».
La sua «mentalità speciale» ne fa un oppositore
«caratteriale» del regime. «Una lunga degenza di sanatorio»,
ricorda un confidente, «influì nefastamente sul suo spirito
assai sveglio». E così il suo carattere si orientò « verso
un pessimismo per partito preso». «Non è fascista né
antifascista», semplificano queste carte, «ma abulico –
menefreghista».
È un «ammiratore del Croce», anche se non consta che gli sia
legato in termini di «ideologia politica».
Un appunto redatto da Gherardo Casini – direttore generale
della Stampa italiana – per il suo ministro contiene, nel
luglio del ´36, un addebito più grave: Moravia e i suoi
amici Paolo Milano e Mario Soldati, tutti e tre «di dubbi
sentimenti fascisti», intrattengono «rapporti non chiari con
alcuni noti fuorusciti antifascisti».
(…)
«Negatore di ogni valore umano»: così Arnaldo Mussolini
definisce Moravia dopo averne letto il primo romanzo. Un
giudizio non meno aspro il più illustre fratello affiderà a Yvon De Begnac, autore dei “Taccuini mussoliniani” (il
Mulino, 1990). Il dittatore cita “Gli indifferenti” come «un
romanzo oscenamente borghese e antiborghese».
Senonché, proprio a Benito Mussolini Moravia si rivolge, per
lettera, il 26 marzo del ´35.
Gli chiede aiuto. L´onorevole
Ermanno Amicucci, direttore della “Gazzetta del Popolo”, gli
racconta, «mi ha comunicato ora è un mese, che i miei
articoli per la Gazzetta non sarebbero più graditi». Della
cosa egli si dice «assai stupito», «non avendo nulla» da
rimproverarsi «sia dal punto di vista morale che da quello
politico». Se non si è iscritto al Pnf, incalza, è perché la malattia
di cui soffrì da ragazzo lo aveva astratto «nonché dalla
vita sociale e politica, dalla vita addirittura». Poi,
prosegue, «la riapertura delle iscrizioni» lo «prese alla
sprovvista». Ora, più maturo, sente «il bisogno» di
chiarirsi con il Regime, del quale ammira «l´opera in ogni
campo, e in particolare in quello delle lettere e della
cultura». «Debbo inoltre soggiungere», scrive, «che la personalità
intellettuale e morale della Eccellenza Vostra mi ha sempre
singolarmente colpito per la molteplicità delle attitudini e
la forza dell´ispirazione, e soprattutto di aver nel giro di
pochi anni saputo trasformare e improntare di sé la vita del
Popolo italiano». Moravia si professa, in chiusura, «un
artista italiano il quale cerca di fare opera non indegna
della grande tradizione e dell´immancabile avvenire del suo
Paese». Dagli articoli ai libri.
Nel giugno del 1935 il secondo
romanzo di Moravia, “Le ambizioni sbagliate”, è «in lettura»
presso gli organi della censura.
E a Galeazzo Ciano, sottosegretario per la stampa e
propaganda, l´autore indirizza una lettera che – come la
precedente, a Mussolini – è stata, nel tempo, variamente
commentata. Dopo aver tracciato un´ampia parabola della propria
produzione narrativa, egli s´impegna a spiegarne «i motivi
ispiratori», definendolo «tutt´altro che pessimistici e
distruttivi, tutt´altro che antitetici ed estranei alla
Rivoluzione Fascista». In particolare Le ambizioni sbagliate
non «esorbitano dal clima» del regime. E perciò Moravia
invoca «quel giudizio giusto e illuminato» che permetta di
non vanificare «le speranze e il travaglio di molti anni di
lavoro».
(…)
Porta la data del 18 agosto 1935 una sua seconda lettera
a Ciano, promosso ministro della Cultura popolare.
Moravia
gli chiede di potersi recare in Africa – sta per scoppiare
la guerra d´Etiopia – per ricavarne un libro «dal vivo».
Richiesta respinta.
Il tono «patriottico» adottato dallo
scrittore non pare, in questa fase, attenuare l´animosità
che lo circonda. Ne è consapevole l´editore Valentino
Bompiani che, prima di pubblicare un volume di racconti di
Moravia, “L´imbroglio”, chiede a Gherardo Casini di fargli
sapere, «anche solo in via ufficiosa, se può esservi qualche
obbiezione da parte del Ministero».
Stavolta il «nulla osta»
arriva. Lo scrittore, però, non si sente tranquillo. Il 9 luglio del
´36, rientrato da un lungo viaggio negli Stati Uniti,
domanda per lettera a Mussolini che gli sia consentito di
riprendere l´antica collaborazione alla “Gazzetta del
Popolo”. La sua firma riappare sul quotidiano torinese: Amicucci ha
ricevuto un´autorizzazione dall´alto.
I tempi incalzano.
Si arriva al 1938. Anche la terza lettera
di Moravia a Mussolini riflette difficoltà giornalistiche.
La campagna antisemita sta sfoltendo le redazioni, e il
solito Amicucci sbarra le porte del suo giornale al «noto
Pincherle». «Io ebreo non sono», fa presente quest´ultimo al
dittatore, il 28 luglio, «se si tiene conto della religione.
Sono cattolico fin dalla nascita e ho avuto da mia madre in
famiglia educazione cattolica. È vero che mio padre è
israelita; ma mia madre è di sangue puro e di religione
cattolica; si chiama infatti Teresa De Marsanich ed è la
sorella del Vostro sottosegretario alle comunicazioni. Per
queste ragioni, Duce, io vi chiedo di non essere considerato
ebreo». L´invocazione moraviana ha effetto, la sua collaborazione
alla “Gazzetta” può continuare. Alti e bassi. Intervengono
nuove avversità editoriali.
Il terzo romanzo di Moravia, “La
mascherata”, viene sequestrato, fresco di stampa, nel ´40.
Il 13 febbraio del ´41, una velina del Minculpop intima ai
giornali: «Non occuparsi di Moravia e delle sue
pubblicazioni».
Quarta lettera del romanziere a Mussolini:
«Mi permetto di rivolgerVi, Duce, la preghiera di poter
riprendere la mia attività giornalistica dalla quale io
traggo i mezzi per vivere. Anche perché tra poche settimane
mi sposo». Viene concesso a Moravia di scrivere sui giornali con
pseudonimo. Glielo conferma, a voce, il direttore generale
della Stampa italiana, Gherardo Casini, ricevendolo la
mattina dell´11 aprile 1941. Qualche ora più tardi lo
scrittore prega Casini di consentire che una novella esca
con il suo «solito nome» nel prossimo numero della rivista
Letteratura, già composto e stampato all´atto del divieto.
(…)
Risale al marzo del ´41 un appunto inviato al ministro Alessando Pavolini, successore di Ciano in cima al Minculpop,
dal suo capo-gabinetto: il funzionario racconta di aver
ricevuto nel suo ufficio Moravia, su preghiera dell´ormai
proverbiale Amicucci. «Ho dovuto “sorbettarmelo” per un
quarto d´ora con somma abilità», riferisce, e chiede al
ministro di voler concedere un´udienza allo scrittore. In
calce all´appunto si leggono due paroline a matita: «Grazie
no». L´8 settembre 1941 una circolare a firma Pavolini ordina ai
prefetti: «Pregasi invitare direttori quotidiani e periodici
a non più (dicesi non) pubblicare scritti di Alberto
Moravia».
Di lì a poco, le sorti della guerra inclineranno
alla tragedia e il regime alla ferocia.
In virtù di non si
sa quale acrobazia o quale supplica, alcuni scritti
dell´autore degli Indifferenti – nascosto sotto il nome
d´arte di Pseudo – compaiono nella carta stampata fino al
1943.
Ma ormai per lui, come per tanti altri intellettuali,
non si tratterà più di lottare – in ogni modo possibile, con
molta pervicacia, con poche armi in mano – contro la
censura, ma di salvare la libertà personal e, se non la
vita. E quella è un´altra storia.
2 – LA LETTERA… La lettera, finora inedita, di Alberto
Moravia a Galeazzo Ciano è dell´estate 1935.
La guerra
d´Etiopia è in febbrile preparazione, Ciano si dispone a
partire volontario, con il grado di capitano di Aviazione.
Assumerà il comando della XV squadriglia bombardieri
all´Asmara “La Disperata”, dal nome di una celebre unità
dello squadrismo fiorentino. Da qui trae spunto la missiva
di Moravia.
Eccola:
Forte dei Marmi Hotel Principe, 18 agosto 1935 XIII
Eccellenza, mi permetta di congratularmi con Lei per
l´esempio che Lei dà a tutti gli scrittori e a tutta la
gioventù italiana. Il suo esempio mi ha deciso a compiere un
atto che è doveroso da parte mia.
Sono stato riformato
recentemente al servizio di leva per anchilosi dell´anca
destra, e non mi è possibile, perciò, di arruolarmi
volontario, come avrei voluto, nel Corpo di Spedizione per
l´Africa Orientale. Resta tuttavia vivissimo in me il
desiderio di partecipare in qualche modo all´impresa
africana. Vengo dunque a domandarLe di poter passare qualche mese
sull´altopiano Eritreo allo scopo di comporre un libro sulla
guerra degli Italiani in Africa.
Avrei voluto chiedere di
andare come corrispondente di un giornale, ma le note
giornalistiche hanno sempre qualcosa di provvisorio e di
frammentario: ora io vorrei scrivere un libro organico, il
quale potesse rimanere documento e testimonianza
dell´eroismo della gioventù fascista in guerra.
Non potrebbe Ella, Eccellenza, aiutarmi in qualche modo a
realizzare questo mio desiderio?
Nella speranza che la mia
proposta venga da Lei accettata e che io possa, nel caso,
esporla a voce all´Eccellenza Vostra, Le esprimo i sensi
della mia profonda e sincera devozione.
Alberto Moravia
La risposta porta la data del 24 agosto XIII.
A scriverla è
il Direttore Generale per il Servizio della Stampa Italiana.
«Egregio Sig. Moravia, in relazione alla lettera da Lei
inviata S. E. il Ministro, spiace doverLe comunicare che non
è dato, almeno per il momento, di assecondare la sua
richiesta.
Augurandomi che mi sia consentito in altra occasione di
darLe migliore risposta, le porgo distinti saluti».
Ancora
M
come MORO ALDO
[fonte: Articolo citato di Aldo Moro del
1943 citato in "Storia Illustrata", gennaio 1998, pag.45]
"La razza è l'elemento biologico che,
creando particolari affinità, condiziona l'individuazione
del settore particolare dell'esperienza sociale, che è il
primo elemento discriminativo della particolarità dello
stato".
N
come NATTA Alessandro
Natta Alessandro
Iniziamo con wikipedia, dove bisogna rivolgersi alla versione
francese per trovare qualche nota stonata rispetto alla
moltitudine di biografie apologetiche, di partito e
ripetitive, esistenti su internet. Alla data del 17
settembre 2007 la pagina francese è sintetica e lapidaria:
Alessandro Natta (né le 7 janvier 1918 à Oneglia en Ligurie
– mort le 23 mai 2001) était un homme politique italien qui
fut l’avant dernier secrétaire général du parti communiste
italien (PCI), de 1984 à 1988.
Les deux dernières années de son mandat ont été ternies par
les révélations sur sa présidence des GUF (Groupes
Universitaires fascistes) de Pise.
Stop. Di Natta si è occupato quasi 30 anni prima anche Nino
Tripodi, che nel suo libro scrive:
“Prende parte attiva alla vita dei Gruppi universitari
fascisti. Si iscrive al PNF il 24 maggio 1937, provenendo
dalle organizzazioni giovanili.
Nell’Aprile del 1941 entra a
far parte del Direttorio del GUF di Pisa con la carica di
“addetto alla cultura”. Fa parte del comitato di redazione
de “Il Campano” organo ufficiale dei fascisti universitari
dell’ateneo pisano”.
Le biografie corrotte dell’universo PCI
ed ex -PCI ignorano a tutt'oggi questi riferimenti della di
ESSI storia. Di Natta si conosce solo la costrizione alla guerra e
l’eroica detenzione nei campi di concentramento in Germania
in quanto avrebbe rifiutato il ritorno in Italia per non
collaborare alla Repubblica Sociale.
Ma
Natta è stato anche al centro di polemiche per quanto
riguarda gli italiani comunisti perseguitati da Stalin.
Sarebbe stato tra i primi ad ammettere questi fatti, ma lo
avrebbe fatto in modo troppo tardivo, equivoco, silenzioso e
non certo chiarificatore. Altro capitolo a cui andrebbe
dedicata una rivoluzione almeno in Italia.
Della vicenda di Natta si occupa anche il sito
www.beppeniccolai.org, in quanto seppur tardivamente, metà
degli anni 80, l’ennesima polemica della danza dei fascicoli
riservati era stata innescata anche dalle destre tanto che
dovette scendere in campo anche l’Unità.
Cane tira cane… nel
giro di poco tempo si sono sentiti chiamati in causa anche
personaggi di area democristiana, tanto che dovette
intervenire anche Flaminio Piccoli. Il sito riassume con
dovizia di particolari lo scontro di quei giorni:
Rubrica il rosso e nero:
E veniamo ora al caso Natta, segretario del PCI. Il suo caso
ha fatto rumore in questi giorni.
Remigio Cavedon, vice direttore de “Il Popolo”, attingendo
da notizie che “Il Secolo d’Italia” aveva riportato fin dal
13 aprile 1979 (cinque anni fa, e nessuno ci aveva fatto
caso. Si vede che registrano e poi mettono, per ogni
evenienza, nel cassetto), ha titolato il suo pezzo
(6/11/84): “l’ex-fascista Natta vuol mettere le mani sul
sistema”.
Scagliati cielo. È accaduto il finimondo. “l’Unità” ha prima
replicato (7/11/84) con un corsivo dal titolo “Quando il
Popolo impazzisce” («i comunisti non scenderanno mai a
simili livelli: l’insulto personale, la rissa, la
provocazione»); poi, il giorno dopo (8/11/84), con un lungo
articolo, rispondendo alla provocazione, ci ha narrato una
lunga storia che, simile ad una fiaba paesana, ha
ricostruito Alessandro Natta, iscritto (con cariche) al PNF
(Partito Nazionale Fascista) fin dal 1937, come
l’antifascista più puro e più intemerato.
Ed allora qualche precisazione non guasta.
Scrive “l’Unità”, sotto il titolo “1937-1941: l’antifascismo
di Natta, fine di una meschina provocazione”: «La verità è
che il compagno Natta era stato educato, fin
dall’adolescenza, all’antifascismo, che diverrà vera e
propria milizia appena diciottenne lasciò Imperia per
l’Università pisana».
Fermiamoci qui. “l’Unità” è inesatta.
Alessandro Natta non
lasciò Imperia per l’Università pisana, ma per la
prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa (la Scuola che
dà Premi Nobel), allora diretta dal filosofo Giovanni
Gentile. «Educato, fin dall’adolescenza, all’antifascismo», scrive
“l’Unità”.
Oh! Santa bugia!
I posti alla Scuola Normale Superiore, classe di Lettere,
per il 1937, erano nove. Selezione, dunque, severissima, con
concorso nazionale.
Ora, delle due l’una: o il regime fascista, nel 1937, cioè
nel suo fulgore, non guardava alla tessera, ma premiava,
grazie a Giovanni Gentile, i meritevoli; oppure, la
selezione avveniva tenendo conto della tessera (fascista),
che Alessandro Natta possedeva, fin dall’adolescenza
(«antifascista»). La scelta la lasciamo a “l’Unità”.
C’è qualcosa di più. Alessandro Natta, nel 1941 -quando già,
secondo “l’Unità”, fondava, fascismo imperante, cellule
comuniste in quel di Imperia-, annoverava nel PNF un doppio
incarico: non uno, ma due.
Infatti, non si limitava a far parte del comitato di
redazione della rivista “Il Campano”, organo del GUF (Gruppo
Universitario Fascista), ma addirittura veniva chiamato a
dirigere la cultura: cioè, responsabile del settore più
delicato della organizzazione fascista, nell’ambito
universitario. La verità la dice, non “l’Unità”, ma Degl’Innocenti Danilo,
allora addetto all’organizzazione e che, con Natta, faceva
parte del direttorio del GUF pisano:
«Alessandro Natta era
un ambizioso impenitente. Voleva arrivare. E, per arrivare,
dava gomitate incredibili. Fascistissimo. Un primo della
classe e, se non fosse stato così, come avrebbe potuto avere
quegli incarichi?».
Non la giovane età (a 23 anni si è già maturi); non gli
avvenimenti (Natta risulta iscritto alle organizzazioni
giovanili fasciste, poi al GUF, poi al PNF); non fa
registrare un suo sdegnoso appartarsi, ma ricopre cariche (e
che cariche, le più delicate nei settori giovanili del
partito): questo è il Natta edizione 1937-1941, attuale
segretario del PCI, il partito di Palmiro Togliatti e di
Enrico Berlinguer. Perché dunque prendersela con Remigio Cavedon che, poverino,
non ha fatto altro che riportare fatti certi e accaduti?
E, come sempre, la sbavatura DC, il partito della doppiezza:
Remigio Cavedon viene rimproverato da Flaminio Piccoli. «È
stato un grave errore» -ha detto Piccoli- «rimproverare a
Natta il suo giovanile fascismo».
Ipocrita, per non dire di peggio.
Alla vigilia del referendum sul divorzio, Flaminio Piccoli,
a chi gli chiedeva conto, alla TV, dell’accostamento, in
quella campagna referendaria, con i «fascisti» del MSI,
rispondeva che, per la DC, quei voti erano «colerici».
Anche per quelle parole, giovani meno che diciottenni, sono
stati assassinati.
«Uccidere un fascista non è un reato». Allora, nessuna
dichiarazione del presidente della DC, contro quella
barbarie. Oggi un ben diverso «colera» infetta (il partito di)
Flaminio Piccoli. È nell’occhio del ciclone. E che fa?
Adotta un comportamento sperimentatissimo: quello di
mettersi sotto la protezione comunista quando lo sporco ci
sommerge. E tenta di salvare Alessandro Natta. Che ne viene
fuori? Schizzi di fango.
«Personalmente ho sempre ritenuto che Giovanni Gentile, uno
dei massimi responsabili del tradimento degli intellettuali,
dovesse finire così». Così dice Alessandro Natta del suo
Maestro, il 12 agosto 1984 (“L’Espresso”), appena eletto,
tronfio di gloria, segretario nazionale del PCI.
(per chi
non lo sapesse, Giovanni Gentile, filosofo e docente
universitario, ministro della pubblica istruzione 1922/1924
e senatore, direttore della Normale di Pisa e dell’Istituto
per l’Enciclopedia Italiana, presidente dell’Accademia
d’Italia, fu vigliaccamente assassinato da una banda di
partigiani comunisti, il 15 aprile 1944, a Firenze).
Novembre 1984: l’antifascismo di Natta si squaglia, come
melma, al sole.
Appena tre mesi. Sufficienti però, per chi
aveva tacciato Giovanni Gentile, il proprio maestro, di
tradimento, per cadere nella m…..
Giuseppe Niccolai
L’articolo di Niccolai era corredato della riproduzione
fotografica della nomina di Alessandro Natta al Direttorio
del Gruppo Universitario Fascista pisano, tratta dalla
rivista “Il Campano”, numero di marzo-aprile 1941.
Riporto qui per esteso il testo di tale nomina:
Nomina del Direttorio.
In data 18 marzo u.s., il Segretario Federale ha ratificato
la nomina del Direttorio del GUF Pisano, che risulta
pertanto così costituito:
– Nardi Pilade Osvaldo, laureato in Medicina e Chirurgia,
iscritto al PNF dal 1° agosto 1922, volontario in AOI
(Africa Orientale Italiana), tenente medico: Vice
Segretario;
– Degl’Innocenti Danilo, laureando in Economia e Commercio,
iscritto al PNF dal 23 marzo 1928, proveniente dalle
Organizzazioni Giovanili, sottotenente di fanteria, pilota
civile: Addetto all’Organizzazione;
– Natta Alessandro, laureato in Lettere, iscritto al PNF dal
24 maggio 1937, proveniente dalle Organizzazioni Giovanili:
Addetto alla Cultura;
– Lucarelli Antonio, laureato in Legge, iscritto al PNF dal
24 maggio 1934, proveniente dalle Organizzazioni Giovanili,
volontario in AOI, sottotenente di fanteria: Addetto allo
Sport.
ancora
M
come MAZZOCCHI Gianni
MAZZOCCHI Gianni
Editore. Con propositi dichiaratamente antifascisti, nel
Dopoguerra, diede vita al settimanale L’Europeo facendolo
dirigere da Arrigo Benedetti.
Altre pubblicazioni della sua casa editrice ebbero marca
analoga.
Alla vigilia della guerra le sue attività editoriali avevano
un timbro diverso.
Nel 1940 la sua rivista DOMUS pubblicava
con rilievo questa notizia:
“Il Duce ha ricevuto il fascista, dott. Gianni Mazzocchi,
editore della rivista “DOMUS”, “Casabella”, “Fili” e
“Panorama”, che gli ha fatto omaggio del grande volume
speciale di DOMUS “Fantasia degli italiani” e del ” Libro di
casa 1940″.
“Il dottor MAZZOCCHI ha fatto una relazione dei dodici anni
della proprio attività editoriale e ha esposto un programma
di sviluppo delle sue riviste ed edizioni. Il Duce ha
gradito l’omaggio ed ha eogiato l’attività editoriale del
dott. Mazzocchi”.
MEDICI Giuseppe.
Docente universitario, uomo politico ripetute volte minstro
democristiano in governi di centrosinistra.
A capo del
dicastero della Pubblica Istruzione promosse l’inclusione
della “storia della resistenza” nei libri di testo delle
scuole medie. Alberto Giovannini gli indirizzò allora una lettera aperta
proponendogli che, per fare una storia “decente” dei venti
mesi della guerra civile, si sarebbe dovuto innanzitutto
dimostrare “che gli italiani che oggi comandano resistettero
al fascismo”.
Evidentemente Giovannini conosceva il suo pollo.
Il ministro Medici era stato, a suo tempo, un fascista
scrupoloso. Lo vediamo fotografato nel 1938 in orbace e
camicia nera con una vistosa patacca gerarchica sul petto,
circondato da camerati tedeschi in divisa.
La sua adesione culturale al regime è attestata dalla
collaborazione al Dizionario di Politica, allestito nel 1940
dal Direttorio Nazionale del Partito Fascista, per il quale
curò diverse voci attinenti il mondo agricolo.
Occupandosi della conduzione agricola familiare si premurò
di ricordare che “da essa proviene il Duce e che, come Lui,
sono i figli della terra faticosa che salgono le cime
dell’ideale”.
N
come NENNI Pietro
Nenni Pietro.
Uomo politico. Giornalista.
La duttilità del suo pensiero fu oggetto di aspre polemiche
fin da quando, esule in Francia, la rivista ufficiale del
Partito Comunista “Stato Operaio”, nel 1927, lo accusò “di
essere, prima che massimalista, reazionario e fascista”, e,
nel 1928, di militare tra coloro “che una cosa pensano, una
cosa dicono e l’altra fanno, e fra le tre cose passa lo
stesso rapporto che passa tra ciò che Nenni ha fatto e detto
nel 1919 come giornalista fascista, ciò che egli scrive
oggi come segretario della Confederazione antifascista e ciò
che egli prepara per domani”.
Nel 1935, Alberto Giannini, dall’opposto fronte dei
fuoriusciti liberaldemocratici gli rimproverò un
camaleontismo inguaribile:
“Pietro Nenni è stato Repubblicano.
Poi interventista (voleva l’entrata in guerra dell’Italia
nel 1915-18). Poi fascista. Poi socialista ma filoliberale.
Adesso è socialista filocomunista. E non ha che soli 45
anni!”.
Ma tanto in maturità quanto in vecchiaia le accuse che lo
indispettirono di più furono quelle riguardanti la sua
partecipazione al nascente fascismo (contribuire qundi alla
nascita del fascismo).
Nel 1959 il giornalista Tripodi ebbe modo di pubblicare un
documento inedito riguardante Nenni, attivo ed in giro per
la Romagna qualche decennio prima…, indaffarato a FONDARE
fasci di combattimento.
Nenni tremendamente indispettito gli indirizzò una lunga
lettera che minimizzava i fatti, ma non li escludeva. (Basta
leggere il Giornale del Mattino di Bologna diretto da Nenni
nel 1919..). Nella lettera indirizzata a Tripodi, Nenni comunque dichiarò
che nel 1919 il suo “fu un errore”.
Tripodi nella risposta
ne prese atto e concluse:
“Quando lei nel 1919 compì l’errore di stare al lato di
Mussolini aveva se non sbaglio 28 anni. Io allora ne avevo
appena otto.
A ventotto anni, nel 1939, ho compiuto l’errore di stargli a
lato anch’io. Col Suo errore sul cartellino politico, pari
al mio, lei nel 1945, come Alto Commissario per
l’epurazione, mi sottopose ad una paradossale commissione
per la repressione dei delitti fascisti.
Ci rimisi la libera docenza e fui interdetto dai diritti
politici per alcuni anni. Quant’è antipatica la Storia
quando fa pagare così diversamente gli errori”.
Nino Tripodi, giornalista, non deputato, non membro storico
della Casta degli ex fascisti, fa autocritica, paga.
Altri
senza pagare si fregeranno di essere padri FALSI
dell’antifascismo con privilegi di ogni tipo e natura.
Facendo anche danni.
Nel 1981 Nino Tripodi pubblica il libro Intellettuali sotto
due bandiere – Antifascisti in camicia nera – sotto
l’editore Ciarrapico. Sì proprio quello lì, che gli fornisce
copertura… ma moralizzare su Ciarrapico lo lasciamo ai servi
della famiglia Agnelli…
Nessuna denuncia o querela, ma neanche nessuna recensione
che possa far cronaca.
P
come PANNUNZIO Mario
Pannunzio Mario.
Giornalista, scrittore. Fin dal 1936 fu collaboratore della
rivista Cinema, diretta da Vittorio Mussolini.
Nel 1939
fondò il settimanale Oggi e lo diresse con Arrigo Benedetti
fino al 1941, allorché il regime lo soppresse. Di questa
soppressione menò vanto, come indicativa della fronda del
periodico, quando, dopo la caduta del fascismo, fu direttore
di Risorgimento Liberale e de Il Mondo.
Nel 1954 ebbe una
dura polemica con Guglielmo Peirce, che gli aveva
rimproverato di essersi spesso recato al ministero fascista
della cultura popolare per prendere “ordini e cicchetti”.
Pannunzio negò la circostanza ma Peirce replicò:
“Il Pannunzio, come direttore di un giornale a grande
tiratura pubblicato in periodo fascista, non poteva non
essere fascista militante e tesserato. Egli non “spezzò”
quindi la penna per non servire la tirannide, ma attese che
la tirannide gliela togliesse di mano. Più che un martire,
dunque, fu un infortunato sul lavoro. Meritevole di umana
solidarietà, ma non di adorazione e tanto meno di quella
funzione di “catone censore” dell’altrui democrazia e
dell’altrui antifascismo ch’egli si è arrogata “a babbo
morto”. Nel dopoguerra, e negli ultimi decenni associazioni di
massoni giornalisti e pseudo radicali si sono riempiti la
bocca di citazionismo empirico resuscitando spesso le
insipidità più ambigue degli scritti di Pannunzio.
Ancora
oggi gli insipienti del pensiero radical “liberale”
spolverano, gli scritti più ipocriti di questo personaggio
per arricchire le già compromesse insipidità da opinionisti
e mantenuti.
S
come SALVATORELLI Luigi
Salvatorelli Luigi.
Storico. Firmatario del Manifesto Croce. Mai iscritto al
Partito Fascista.
In
auge nel dopoguerra per “non essersi piegato al regime”.
Pubblica nel 1956 una voluminosa opera sulla Storia d’Italia
nel periodo fascista (Einaudi). E vi compendia i più
negativi giudizi sulla rivoluzione mussoliniana.
C’È però da rilevare che, durante il
fascismo, NON essendosi astenuto dalla produzione
“culturale”, né essendogli stata inibita in quel che scrisse
(e scrisse molto…) non mancò di calarsi nella realtà… e di
valutarla benevolmente.
Per esempio, nel suo Pio XI e la sua eredità pontificale
(Einaudi, 1939), non difettarono i giudizi positivi sui
rapporti di Papa Ratti col Fascismo, come quando, a
proposito di Mussolini, definito dal Pontefice “uomo della
Provvidenza”, scrisse essersi trattato di “un alto elogio
politicamente qualificato“;
o come quando svolse
lusinghieri raffronti tra la “Quadrigesimo anno di Pio XI e
i concetti ispèiratori della società fascista, al punto da
raccontare che, correndo le migliori relazioni tra Chiesa e
Fascismo, nel Gennaio 1938 sessanta vescovi e duemila
parroci avevano manifestato, sfilando dinnanzi a Mussolini,
“la più schietta adesione al regime”.
Le sue valutazioni storiche hanno sempre goduto
dell’approvazione delle più alte cariche del regime.
Antifascista anni dopo,
entrò a pieno titolo tra la schiera degli storici ufficiali
a cui i figli della borghesia, neo comunisti, dovevano fare
riferimento.
ancora
S
come Scalfari Eugenio
Eugenio Scalfari.
Scalfari ha i titoli per parlare di qualunquismo e pericolo
democratico:
ROMA FASCISTA (settimanale), 24 SETTEMBRE 1942 – EUGENIO
SCALFARI:
“Gli imperi moderni quali siamo noi li concepiamo sono
basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto l’estensione
della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre
genti”:
T
come TROMBADORI Antonello
Trombadori Antonello.
Critico d’arte, uomo politico. Prende parte attiva alla vita
dei Gruppi Universitari Fascisti (GUF).
Partecipa ai Littoriali della Cultura di
Napoli nel 1937 e a quelli di Bologna nel 1940,
classificandosi con “onore”. Collabora a Roma Fascista con
articoli nei quali pone in evidenza il positivo contributo
delle mostre d’arte organizzate in occasione dei
Prelittoriali dell’Urbe.
Militerà poi nel PCI del quale sarà prima
consigliere comunale della capitale e poi deputato al
Parlamento della prima repubblica.
V
come VALLETTA Vittorio
VALLETTA Vittorio.
Industriale, consigliere delegato e poi presidente della
FIAT.
Osservante fascista, compendia il suo giudizio sul DUCE e
sulla “rivoluzione” in queste frasi incluse nello sfarzoso
volume pubblicato per il Decennale della Marcia su Roma
(Pensieri d’italiani eminenti raccolti a cura di Paolo
Orano, 1932, Editrice Pinciana):
“Ogni italiano che si volga a considerare
il cammino compiuto dall’Italia dal 1922 ad oggi, non può
non provare un vivido sentimento di riconoscenza ed
orgoglio; riconoscenza al Duce; orgoglio di appartenenza ad
una Nazione che in tempi universalmente tanto difficili dona
al mondo le più generose idee di intelligenza politica e di
solidarietà sociale…
Fiducia che in tutti gli Italiani consapevoli è oggi atto di
fede nel Fascismo e nel suo Duce”.
È
lui a sollecitare l’onore di presentare a Mussolini, in
Villa Torlonia, il primo esemplare della “Balilla” come
autovettura tipo del regime.
È lui a chiedere ed ottenere la
fondazione straordinaria di una sezione del PNF dentro gli
stabilimenti FIAT di Torino.
È lui ad indire la grandiosa
manifestazione del maggio 1939 per la visita del dittatore
alla Mirafiori, facendolo applaudire freneticamente dai
cinquantamila operai ammassati di fronte ad una immensa
incudine siglata dalla “M” fatidica.
Pochi
anni dopo la “bufera” della guerra travolge tutto. Valletta
cambia politica.
Quando andrà a deporre al processo Graziani racconterà ai
giudici: “La
difesa degli impianti fu concreta e manovrata fra noi della
direzione, le formazioni partigiane e i servizi segreti
americano ed inglese.
Si fece in modo che gli operai fossero sempre occupati e che
nel lavoro non producessero.
Per non produrre concertammo degli attacchi aerei da parte
dell’aviazione americana e inglese per modo che si potesse
avere il pretesto di portare altrove i macchinari.”
(cfr. Giornale d’Italia, 12 Gennaio 1949).
Alcuni anni dopo, il presidente
della Repubblica Saragat (socialdemocratico) nominerà
Valletta, anche per questi meriti, Senatore a Vita.
Uomo dotato della viva riconoscenza e
stima della vecchia e nuova famiglia Agnelli; anche lui come
troppi altri degno rappresentante della “Repubblica nata
dalla Resistenza”.
V
come VITTORINI Elio
Vittorini Elio.
Scrittore Giornalista. La sua partecipazione al fascismo
prima (passione durata 14 anni), al “comunismo” dopo, fu già
oggetto di controversie.
L’accusa di eterodossia
lo colpì tanto sotto Mussolini che sotto Togliatti.
Ma tanto per Mussolini quanto per
Togliatti scrisse pagine che ne testimoniano l’indubbia
militanza prima fascista e, poi, travestita di rosso,
opportunista, quindi piccìsta.
Ovviamente, in epoca antifascista, furono
esperiti tutti gli espedienti per sostenere che Vittorini
portava fin dagli anni Trenta il fazzoletto rosso, che fu
perseguitato dal regime, che libri ed articoli pubblicati
durante il Ventennio debbano essere letti “in chiave di
intolleranza e di fronda….
La realtà È diversa.
In Elio Vittorini covavano sollecitazione
alla Malaparte, per una rivoluzione integrale che, sottola
guida di Mussolini (“questo signore protetto da Dio”),
avrebbe dovuto restaurare i caratteri storici e
controriformistici degli italiani.
Quanto è poi ANCHE stato
scritto da Claudio Quarantotto (“Il Fascista Vittorini”,
edizioni del Borghese 1976) dimostra l’arbitrarietà di ogni
tentativo di retrodatazione del sinistrismo dello scrittore
o di cancellazione delle sue impronte fasciste.
Vittorini (il Togliattiano…) raggiunse
invece il delirio con punte estremistiche di ultrafascismo.
Lo confermano le larghe collaborazioni alla stampa periodica
del regime.
Vittorini considerava Mussolini “il Primo” tra gli scrittori
italiani e “non più soltanto il Duce”.
Scrisse anche della propria concitata
partecipazione alla Marcia su Roma… quando avrebbe pianto
“lacrime di rabbia” pur di essere caricato, nonostante
l’immatura età, sul convoglio di squadristi in partenza
dalla Sicilia.
Sarà la lobby ex-fascista "di sinistra" ad imporre ed
accostare il suo nome a quello di Cesare Pavese nella
letteratura italiana, compiendo l’ennesimo sfregio alla
cultura ed alla memoria.
Z
come ZAVATTINI Cesare
Zavattini Cesare.
Scrittore, giornalista, cineasta. Durante il fascismo,
Zavattini NON è un escluso, né un resistente.
Collabora attivamente alla stampa del
Ventennio.
Nel 1932 riceve in DENARO
uno dei Premi Mussolini.
È direttore editoriale
del Tempo mondadoriano, nell’epoca in cui il settimanale
sfoggia un ALLINEAMENTO BOVINO ai miti, alle imprese, agli
uomini del regime.
Restano di lui frasi esaltatrici del ministro della cultura
popolare Alessandro Pavolini e del direttore della
cinematografia Luigi Freddi.
Scrive su Primato Fascista di Bottai e su
Cinema di Vittorio Mussolini fino agli ultimi anni della
guerra. Dalla
cinematografia fascista pretende un forte impegno educativo:
“Il 1939 si è chiuso con un grande successo e con un
altro grande successo si è aperto il 1940. Non sulla linea
della retorica, ma secondo le leggi del mestiere dell’arte.
Il Cinema non è più un’avventura… nasce l’ordine! … Il
centro sperimentale assolve il suo compito moralizzatore…”.
Caduto il fascismo, cambiano i suoi toni
apologetici. Diviene prima socialista, poi PCIsta, sostiene
il populismo più demagogico e le sue falsità saranno anche
imposte, nelle scuole, ai bambini. Ancora oggi fa "Kult"… a
"sinistra".
MA C'È DI PIU'. MOLTO DI PIU':
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