L'AntiCritica - parte III

Materialismo scientifico

e demolizione delle analisi psicologiche "deboli".

Consapevolezze indispensabili per un superamento dell'infezione metafisica.

2. Le basi biologiche del comportamento.

Definiamo "comportamento" il complesso delle attività dell’organismo vivente che siano osservabili dall’esterno da parte di altri organismi viventi per mezzo delle capacità dei loro sistemi di senso.

Una delle funzioni primarie del comportamento è l’interazione e la comunicazione tra gli organismi viventi.

Qualunque sia la forma di comportamento considerata, essa è sempre riconducibile, in prima analisi, all’attività di strutture biologiche ben definite.

La natura muscolare e/o ghiandolare delle attività comportamentali è praticamente assoluta nei mammiferi, incluso l’uomo. Ma la descrizione del cervello sia in linguaggio ordinario che scientifico, utilizza termini che quasi mai fanno riferimento diretto alle sue basi biologiche, anatomiche, fisiologiche.

Ciò per l’economia della descrizione, laddove un solo termine racchiude un’organizzazione complessa di attività di molecole, proteine, cellule, tessuti, organi, apparati, organismi viventi.

Ogni comportamento si espleta in un determinato ambiente i cui eventi elicitano attività muscolari e/o ghiandolari (criterio causale), ciò ci consente quindi di affermare:

Qualunque sia l'attività di una struttura biologica che genera un comportamento, essa è sempre riconducibile all'ambiente in cui opera o tenta di operare. (b)

L'Identificazione delle conseguenze di un comportamento ci consente di accertare che certe forme di comportamento sono finalizzate al conseguimento di una situazione e/o di stimoli ambientali, allorchè si esauriscono non appena conseguiti: ad es. un’attività motoria apparentemente disordinata non correlabile a stimoli ambientali che si placa quando l’organismo vivente viene a contatto con il cibo, acquisisce significato in relazione a questa sua conseguenza. Onde tale attività viene definita "ricerca di cibo".

L’analisi delle attività cerebrali indica come il comportamento abbia una funzione generale di adattamento nei confronti dell’ambiente. Piaget definisce l’intelligenza "una forma di adattamento". Ora i mezzi che l’uomo, come la maggior parte delle specie animali, ha a disposizione per adattarsi all’ambiente sono essenzialmente due: l’evoluzione biologica e l’apprendimento.

L’evoluzione biologica legata al corredo cromosomico, è un processo lento misurabile in termini di milioni di anni negli organismi viventi superiori nella scala tassonomica; ‘apprendimento" è invece un processo rapido che si compie nell’arco della vita di un organismo.

Per sopravvivere un organismo deve essere in grado di discriminare certe relazioni chiave tra situazioni ed eventi esterni. Vi sono due possibilità per approdare a queste conoscenze: la capacità di distinguere fra due alternative può essere programmata congenitamente nel sistema nervoso centrale, oppure può essere acquisita tramite l’apprendimento.

Gli organismi semplici come ad es. i nematodi, dotati di un sistema nervoso elementare esibiscono un repertorio comportamentale fisso mentre gli organismi più complessi sono in grado di adattarsi alle nuove situazioni che si presentano nel corso della loro esistenza. Questa capacità di adattamento deriva dal fatto che l’esperienza può modificare il sistema nervoso e quindi il comportamento dell’animale. In questo concetto di adattabilità è racchiuso il significato dei termini "apprendimento " e "memoria".

Secondo Larry Squire dell’Università della California, per "apprendimento intendiamo il processo attraverso il quale un organismo acquisisce nuove informazioni"; la memoria è l’immagazzinamento di queste informazioni nel sistema nervoso centrale in modo che possano essere successivamente utilizzate. In tal modo l’animale trae vantaggio dall’esperienza ed il suo cervello futuro risulterà più adatto all’ambiente in cui esso vive.

Le attività comportamentali possono così essere distinte e classificate in base ai processi di selezione e mutazione attraverso cui si sono evolute e mantenute nel corso della filogenesi e dell’ontogenesi. L’organismo vivente non può essere considerato semplicemente come una scatola chiusa che assorbe stimoli dall’ambiente ed emette comportamenti spontanei e provocati.

L’esistere stesso del cervello indica che l’organismo nel suo interno riceve, analizza, gli stimoli esterni, immagazzina le informazioni, elabora programmi d’azione e infine, come risultato finale di questi processi attiva gli effettori muscolari e ghiandolari le cui attività costituiscono il cervello.

Sappiamo oggi con certezza che tutte queste funzioni che si espletano all’interno dell’organismo sono presiedute dal sistema nervoso. Quindi, l’analisi del comportamento, deve prendere in esame i meccanismi nervosi la cui funzione principale è il controllo del comportamento.

3. Il comportamento è il risultato finale dell’attività globale del sistema nervoso. [*]

Un punto focale delle neuroscienze è il legame tra sistema nervoso centrale e pensiero, sentimenti, emozioni etc. [Fondamenti anatomo - fisiologici dell’attività psichica.]

Per condurre questa indagine sono stati compiuti percorsi eterogenei; uno di questi consiste nell’ analisi delle strutture cerebrali che presiedono a certe funzioni specifiche. Uno dei più grandi esploratori del sistema nervoso centrale in questo secolo è stato Paul MacLean.

The National Instituts of Health ha creato per lui nei pressi di Washington un centro per l’allevamento e lo studio di animali di varie specie in condizioni seminaturali che si è rivelato un terreno adatto per interessanti osservazioni dal vivo . Durante i molti anni di lavoro MacLean ha saggiato il sistema nervoso centrale. in profondità, micron per micron, mediante sonde elettriche sottili e precise; ciò gli ha permesso di disegnare una mappa funzionale del cervello a cui le neuroscienze fanno tutt’ora riferimento.

L’esplorazione è un lavoro lungo ma dopo anni di ricerche P. Mac Lean riesce ad individuare nel "sistema limbico" molte funzioni ad esso correlate: aggressività, fame, eccitamento sessuale, sonno, dominanza.

Questa mappatura ha trovato una verifica indiretta negli esperimenti condotti da Josè Delgado, neurofisiologo spagnolo immigrato negli U.S.A. Pioniere della dimostrazione sperimentale del fatto che il cervello controlla sentimenti, passioni ed istinti, Delgado condusse negli anni sessanta numerosi esperimenti sul comportamento di animali di specie diverse: stimolando elettricamente mediante un telecomando specifiche aree cerebrali, aumentava o riduceva uno specifico comportamento (aggressività, appetito, dominanza ecc.)

Secondo MacLean è possibile identificare nel sistema libico degli animali sei distinte forme di comportamento paragonabili ad altrettanti tipi elementari di emozioni negli esseri umani: il cercare, l’irritazione, la difesa, la depressione, la gratificazione, il giocare (peculiarità dei mammiferi).

Le emozioni, tutto quello che i poeti e la tradizione metafisica vogliono annidati nel segreto del cuore, dell’anima, dello spirito.

Ma la scienza, ironica interlocutrice dei poeti, grazie alle più recenti acquisizioni, dimostra che senza dubbio, l’organo da cui traggono origine i sentimenti è il sistema nervoso centrale.

È proprio a questo livello, infatti, che nell’intricato svolgersi di circuiti, arborizzazioni e sinapsi vengono elaborati tutti i dati necessari a creare i sentimenti.

Dall’uso di sostanze chimiche come la reserpina e la dopamina sul s.n.c. si è inferito che il cervello stesso produce le sue proprie sostanze chimiche: i neurotrasmettitori, che trasportano i messaggi tra i neuroni del cervello i quali sono dotati di siti specifici, i recettori, in grado di riconoscere e ricevere le specifiche sostanze che regolano gli stati d’ "animo", la percezione del dolore.

Allo stesso modo, nel cervello agiscono altri sistemi chimici che regolano tutte le altre funzioni cerebrali, comprese le emozioni.

Un tipico esempio è quello delle catecolamine, coinvolte nella regolazione del nostro, umore.

La scoperta che il cervello produce le sue proprie sostanze chimiche la cui funzione può essere riprodotta da farmaci ha permesso di creare negli animali modelli sperimentali, scientificamente attendibili per studiare il labirinto dei sentimenti che viviamo nella nostra vita quotidiana.

Tutto ciò che noi siamo soliti definire "vita affettiva", "pensiero", "coscienza di sé" "Io", "amore" è quindi il prodotto di un complicatissimo processo di elaborazione e mediazione di sostanze chimiche.

Questo preoccupa molti.

Se il nostro cervello adopera le stesse sostanze chimiche che usa il cervello di altri animali qual’è la differenza insita nel s.n.c, di un essere umano, che ci fa uomini, dov’è l’ "Io" nel nostro cervello?

Il cervello umano è di gran lunga più complicato del cervello di qualsiasi altro animale finora studiato, possiede molte più cellule, dispone di molte più connessioni ma non per questo funziona in base a principi diversi rispetto al cervello di qualsiasi altro animale.

Il nostro s.n.c, funziona in base a principi simili ma poiché abbiamo una base anatomica, morfologica, fisiologica più complessa, anche l’attività psichica che ne scaturisce risulta più complessa.

Prendere in esame tutto il s.n.c. globalmente presenterebbe eccessive difficoltà, ecco quindi che per studiarlo è necessario isolarne alcune parti e talune sostanze chimiche sono strumenti molto efficaci a tal fine. Il modo in cui un neurone è collegato ad un altro neurone ovvero il modo in cui uno comunica con l’altro è chiamato "sinapsi". Nello spazio sinaptico un neurone entra in comunicazione con un altro neurone secernendo una sostanza chimica.

A livello delle sinapsi si stabilisce un contatto fisico tra due neuroni ed il modo in cui comunicano è la secrezione di un messaggio chimico: il neurotrasmettitore. Le molecole che costituiscono i neurotrasmettitori sono immagazzinate in vescicole, sacchetti prodotti attorno al nucleo del neurone; quando uno stimolo afferente, sotto forma d’impulso elettrico o chimico, raggiunge il neurone, le vescicole migrano lungo l’assone fino al rigonfiamento terminale denominato bottone terminale.

Per effetto dell’impulso, alcune vescicole si attaccano nella membrana della terminazione, si aprono e rilasciano il loro contenuto.

Le molecole del neurotrasmettitore interagiscono con un sito chiamato recettore. Il neurotrasmettitore può considerarsi esplicativamente una parola in codice di cui il neurone si serve per inviare messaggi ad altri neuroni con i quali comunica.

Il recettore riconosce quello specifico neurotrasmettitore per la sua composizione chimica: soltanto quel neurotrasmettitore potrà essere riconosciuto, quindi ricevuto da quel recettore determinando eccitazione o inibizione.

Una dimostrazione sperimentale a conferma del meccanismo sinaptico quale base della comunicazione neuronale consiste nella somministrazione di sostanze chimiche sia naturali che di sintesi. Le molecole di un farmaco possono agire sia impedendo la trasmissione del messaggio sia facilitandola. [P]

Uno studioso di neuroscienze statunitense, Carlson sperimentò su sé stesso gli effetti derivati dall’assunzione di antagonisti della dopamina. Intervistato egli confessò: "quello che provai fu davvero penoso, ve lo assicuro. Un vero e proprio rallentamento del corso dei pensieri, un sentirsi la testa completamente svuotata; ed in questa testa vuota non mi veniva alcuna idea neanche la più piccola. Per questo motivo mi convinsi che la dopamina era molto importante per la creatività."

Di contro, aumentando i livelli di dopamina, con alcune sostanze come amfetamine, cocaina che incrementano il livello di dopamina nel cervello, si induce l’effetto opposto.

Sperimentando sugli animali, abbiamo visto che questi farmaci stimolano il loro movimento, e producono lo stesso effetto anche negli esseri umani.

In questi ultimi, i processi ideativi sono fortemente stimolati, vengono in mente idee grandiose, ci si sente importanti, grandi; ci si avvicina alla condizione nota come mania.

Se il livello di dopamina cerebrale viene ulteriormente elevato, la nostra capacità di giudizio comincia a deteriorarsi e si configura un comportamento alterato: ad esempio acquistare oggetti anche costosi ed inutili, o rovinare la nostra condizione economica in pochissimo tempo, oppure ritrovarci in situazioni sentimentali delle quali più tardi potremmo pentirci.

Segnaliamo a questo proposito il lavoro del dott. Michael R. Liebowitz , dal titolo particolarmente indicativo: "The Chemistry of love" (La chimica dell’amore). [L]

Liebowitz è un ricercatore in ambito psichiatrico, ed è professore assistente alla clinica psichiatrica della Columbia University di Fisica e Chirurgia.

La sua scoperta si basa in parte sulle ricerche condotte al Columbia Presbyterian Medical Center dell’Istituto Psichiatrico di New York, in collaborazione con il dott. F. Klein, direttore dell’istituto.

La dopamina e la norepinefrina sono due delle circa trenta sostanze che i biochimici chiamano neurotrasmettitori. Sono portatori di messaggi che collegano i miliardi di cellule nervose del sistema nervoso, e ne è stato scoperto il ruolo attivo nei processi neurochimici che intervengono nel determinare il cosiddetto innamoramento.

Un probabile ruolo concausale è espletato da un’altra sostanza del tipo amfetaminico, endogena chiamata feniletilamina. L’azione delle sostanze chimiche, analogamente ad un circuito elettrico, stimola la soglia o livello di attivazione del centro del piacere, assembramento neuronali localizzato in un’area del sistema limbico, che provoca le sensazioni tumultuose ben note a chi è innamorato.

Queste poche righe ce ne offrono uno spaccato esaustivo:

"... infine scivolavo sulle catene molecolari delle pregiudicate dopamina norepinefrina feniletilamina che non usano chiedere il consenso al celebrato libero arbitrio prima di straripare nei meandri delle circonvoluzioni" così "... millequattrocento grammi di lipidi dirottavano oltre sessantamila grammi..."

Meno noto è il fatto che tale condizione è simile a quelle esperienze cosiddette "psichedeliche". Si tratta di sensazioni provocate dall’assunzione di sostanze chimiche quali mescalina, LSD, psilocibina il cui tropismo per specifiche aree di strutture cerebrali, elicita una quantità di sistemi chimici del cervello tra cui quelli collegati con la serotonina, un altro neurotrasmettitore. Naturalmente la fase acuta dell’innamoramento ha vita breve.

Scrisse H. L. Mencken nel 1927: "Essere innamorati significa soltanto essere in uno stato di anestesia percettiva". Le sue intuizioni sono suffragate mezzo secolo dopo dalle scoperte delle neuroscienze:

"L’amore dipende da una forte perturbazione della normale chimica del cervello" (M. Liebowitz)

Quindi una malattia della psiche, considerata dalla tradizione metafisica una malattia dello spirito, un invasamento demoniaco, senza quindi una causa materiale, aveva finalmente trovato un’eziologia nell’alterazione di una sostanza chimica, la dopamina. (d)

La scoperta delle endorfine, invece, pone subito un quesito fondamentale: qual’è il motivo per cui il nostro cervello produce una sostanza che attenua il dolore e provoca piacere?

Qual’è l’importanza di una funzione così millenaria?

Bisogna riconoscere che nessuna tra le molteplici sensazioni umane è così primordiale, così profondamente sentita come il dolore o il piacere.

Nessun comportamento è più importante per la sopravvivenza che la fuga dal dolore, il che ci autorizza a pensare che le endorfine siano servite per farci sopravvivere nell’evoluzione: sarebbero sopravvissuti quegli organismi più attrezzati a tollerare il dolore.

Nessun comportamento è più importante che la ricerca del piacere ed è verosimile concludere che le endorfine fungano da veicolo che coinvoglia il piacere e la gioia che riusciamo conquistarci nella nostra esistenza e che il malessere, l’infelicità, la tristezza dipendano da una riduzione della sintesi di endorfine da parte dei neuroni specifici [f].

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(b) Acqua, mare, terra, altitudine, gravità, ossigeno... ma anche Iodio 131 (vedi Cernobyl), gas artificiali, desertificazioni, diossina, carcere, fame, ecc.

[*] Teoria generale del funzionamento del sistema nervoso

Per comprendere l’organizzazione di quest’attività globale è necessaria una teoria scientifica generale del funzionamento del sistema nervoso.

Il paradigma a cui la comunità scientifica fa riferimento è la teoria connessionistica che poggia su dati d’ordine morfologico e funzionale.

Da una parte la neuroanatomia ha chiaramente dimostrato che il tessuto nervoso consta di unità cellulari, i neuroni nettamente separate e distinte, ma che assumono rapporti di stretta contiguità a livello di strutture specifiche: le sinapsi neuronali.

Inoltre esistono sinapsi fra i neuroni e le cellule specializzate a recepire stimoli specifici, recettori e sinapsi tra i neuroni e gli effettori ( le cellule ghiandolari e le fibre muscolari).

La neurofisiologia ha scoperto le leggi generali che regolano l’attivazione e l’inibizione dei singoli neuroni ed i meccanismi della comunicazione tra neuroni tra recettori e neuroni e fra neuroni ed effettori. Tutte queste comunicazioni avvengono a livello delle sinapsi.

Neuroanatomia e neurofisiologia hanno dimostrato che l’attività generale del sistema nervoso è costituita dall’ integrazione e dalla coordinazione di queste unità funzionali e che i processi d’integrazione, e coordinazione sono basati esclusivamente sui principi dell’attivazione e dell’inibizione della trasmissione sinaptica.

[P] Ad esempio, farmaci come la reserpina e la cloropromazina hanno un effetto in comune: con meccanismi diversi entrambi i farmaci bloccano la funzione di certi neuroni dopaminergici, che usano cioè la dopamina come neurotrasmettitore (uno tra i più importanti neurotrasmettitori).

La dopamina è presente in varie zone del cervello, in alcune essa è coinvolta nel controllo dell’equilibrio psichico, in altre è responsabile delle funzioni motorie e del tono muscolare. Il meccanismo d’azione della reserpina consiste nel sottrarre dai depositi del cervello ingenti quantità di dopamina, norepinefrina, serotonina, ed altri neurotrasmettitori.

Il livello di comunicazione viene così ad abbassarsi, in particolare presso zone specifiche del s.n.c. e ciò induce una depressione dello stato emotivo e il soggetto si sente depresso.

Sostanze come le amfetamine, che inducono eccitazione lavorano attivando segnali per il neurotrasmettitore dopamina.

Questo aumento di segnali potenzia l’azione della dopamina, l’eccesso della quale stimolerà eccitazione nel soggetto; ciò nondimeno, se la concentrazione di dopamina supererà la soglia fisiologica, il soggetto esibirà un comportamento di eccitazione di tipo schizofrenico: le sue funzioni sensoriali diventano iperattive al punto da non riuscire più ad interpretare le facce dei suoi simili come volti normali di persone ma li percepirà come minacciosi, ostili a se stesso.

Così con la reserpina (antagonista della dopamina e della noradrenalina) e la cloropromazina che abbassano il livello delle emozioni, determinando tremori, rigidità muscolare, flessibilità cerea, immobilità, posture catatoniche; e con le amfetamine (antagoniste della dopamina) che al contrario lo innalzano, abbiamo due esempi di molti altri effetti farmacologici di sostanze che possono agire sulle sinapsi alterando la comunicazione tra i neuroni ed allo stesso tempo modificare lo stato emozionale delle persone, il loro pensiero, comportamento, movimento.

Prendiamo in considerazione l’attività motoria. Essa è, come ogni altro comportamento, il risultato di una successione di n. azioni e reazioni da parte di cellule nervose che determinano con precisione impeccabile, la contrazione di certi muscoli ed il rilasciamento di altri. La destrezza, la fluidità e dolcezza dei movimenti è controllata dall’azione della dopamina su una zona cerebrale denominata corpo striato in cui risiede l’assembramento neuronale principale per le vie motorie.

I neuroni che elaborano la dopamina sono localizzati in una struttura del s.n.c. chiamata substantia nigra per la pigmentazione particolarmente scura. Quando le cellule della substantia nigra degenerano o muoiono prematuramente ed il loro numero si riduce sensibilmente, viene a mancare la dopamina; in questo caso si perdono dolcezza e fluidità dei movimenti ed insorge una patologia chiamata morbo di Parkinson.

I sintomi sono tremore, rigidità, e difficoltà ad intraprendere i movimenti.

Ma a cosa è dovuta l’importanza della dopamina?

Per rispondere a questa domanda occorre capirne la funzione espletata, il meccanismo d’azione, e in che modo scoprirli. Il modo migliore consiste nel manipolare la dopamina.

Possiamo manipolarne la funzione in senso negativo, usando cioè farmaci antagonisti che ne riducono il rilascio e bloccano i recettori, oppure in senso positivo, stimolando la dopamina con farmaci antagonisti come le amfetamine. Si osservano quindi i movimenti degli animali.

Se ad esempio si prende un topo e lo si mette in un ambiente nuovo, inizia subito ad esplorarlo per scoprire tutto ciò che non conosce. Ma se sono state ridotte anche parzialmente le funzioni della dopamina con farmaci si osserva un comportamento apatico dell’animale verso l’ambiente circostante e cessa l’esplorazione.

Se la funzione dopaminergica viene ridotta in misura maggiore si osserverà che il topo resta immobile, suscettibile di flessibilità cerea, cioè gli si può fare assumere posture in cui esso permane indefinitamente.

Ciò per quanto concerne la funzionalità neuro-motoria.

Per quanto riguarda la sfera intellettiva, una minima assunzione di sostanze antagoniste della dopamina induce un rallentamento dei processi mentali e ciò conferma come la funzione ideativa sia assai più sensibile alla dopamina rispetto a quella motoria.

[L ] La fase anfibolica (declinante) incede incalzante. Essa è a sua volta provocata nel contempo da un progressivo esaurimento dell’emoconcentrazione cerebrale delle sostanze, con graduale riduzione dello stato di ansia, tachicardia, tachipnea, senso di piacere e di benessere, e da una increzione di sostanze endogene, le endorfine o encefaline, la cui funzione narcotica, ristabilisce le condizioni bioneuroendocrinologiche quindi psicologiche del pre-innamoramento.

Un ulteriore effetto dovuto all’incremento della dopamina è lo stato psicotico; ma per arrivare a questo è necessario un incremento notevole.

Quando l’aumento delle funzioni dopaminergiche diventa molto elevato, allora si perde il senso della realtà, i processi intellettivi vengono distorti da pensieri bizzarri e si cominciano a sentire voci che non esistono. Sono questi alcuni dei sintomi tipici dello stato psicotico.

Nel suo articolo intitolato "The biological basis of schizophrenia", comparso sulla rivista New Scientist

Keith Oatley, dell’University of Sussex scrive:" Benché gli specifici processi fisiologici soggiacenti debbano ancora essere identificati, è ampiamente ritenuto che la schizofrenia sia basata su una forma di alterazione della funzione cerebrale, come quella prodotta da certe droghe. I successi della neurofisiologia fanno questo un assunto ragionevole. Il cervello lavora proprio come una specie di macchina elettromeccanica.

Allucinazioni, o la sensazione che i propri pensieri siano trasmessi ad altri, o che i pensieri e le sensazioni siano controllate da fuori, sono tutti considerati come sintomi psicotici o di schizofrenia Qui seguono ad esempio alcune osservazioni cliniche condotte dal dott. Victor Tausk sulle esperienze di pazienti che sentivano se stessi sotto l’influenza di una potente macchina che Tausk ha chiamato "la macchina che influenza lo schizofrenico". I principali effetti della "schizophrenic-influ encing machine" sono i seguenti: fa vedere loro delle immagini; crea e distrugge pensieri; produce manifestazioni motorie nel corpo; crea sensazioni che in parte non possono essere descritte in quanto esse sono strane per il paziente stesso.

Benché i farmaci antipsicotici, (antagonisti della dopamina, n.d.r.) introdotti negli anni 50 abbiano sensibilmente ridotto l’incidenza di tali sintomi, molti schizofrenici parlano ancora in termini di macchine che li influenzano e che sono state impiantate in varie parti dei loro corpi e cervelli.

Forse una parziale spiegazione di questo fenomeno è stata data da John Searle.

Searle argomenta che sebbene le nostre azioni, ed esperienze possano essere causate da meccanismi del cervello, noi le interpretiamo e spieghiamo a noi stessi ed agli altri in termini di intenzioni.

Noi non diremo: "Ho sentito la mano muoversi per effetto delle cellule nervose." Noi diremo probabilmente: "Io volevo salutare". Quando diamo una simile spiegazione, lo facciamo in termini di "libero arbitrio":

La percezione di sé come essere in grado di agire volontario sulla quale abbiamo di solito una convinzione irremovibile, è la sensazione di essere capaci di collegare le nostre azioni alle intenzioni. Ciò che fanno le sostanze a cui fa riferimento Keith Oatley all’inizio del suo articolo, è di stimolare la produzione di dopamina. Ma la DA è coinvolta in un sistema di gratificazione del cervello il quale entra in funzione allorchè siamo riusciti a fare bene qualche cosa: per esempio se abbiamo risolto un problema difficile, oppure se abbiamo trascorso una piacevole serata, o se abbiamo avuto una piacevole esperienza sessuale.

Ricevere una gratificazione è una delle forme immediate di piacere. Esso può scaturire dai consensi ottenuti ed è questo stimolo fondamentale che libera la dopamina nel sistema della ricompensa e quindi rende possibile chimicamente la sensazione di piacere.

Ma quando si assume una sostanza che stimola la produzione di dopamina è come se ci assicurassimo quel tipo di gratificazione così possiamo ottenere tutto il piacere che vogliamo senza avere fatto nulla.

A questo punto ci si può domandare perché la dopamina può influenzare tante e differenti funzioni del cervello.

Secondo Carlson la dopamina è coinvolta in un meccanismo di filtro. Tutti gli stimoli provenienti dal mondo esterno, detti afferenti (somatosensoriali, cutanei, tattili, visivi, acustici, olfattivi ecc.) devono giungere attraverso circuiti neuronali alla corteccia cerebrale, grazie all’attività della quale siamo coscienti del mondo circostante. Ma lungo il percorso verso la corteccia gli stimoli efferenti sono filtrati a livello del talamo che funziona in base ad un sistema di controllo estremamente sofisticato.

È funzionale alla sopravvivenza ed all’adattamento il fatto che la corteccia non venga bombardata da ogni sorta di stimolo esterno banale: è per questo esiste un filtro, per eliminare le informazioni superflue in modo che la corteccia possa focalizzare la sua attività sugli stimoli importanti e utili onde scoprire ed interpretare ciò che è sconosciuto, conosciuto, innocuo, pericoloso.

Quindi si tratta di un sistema di controllo fondamentale. È molto probabile che sia la corteccia associativa stessa a controllare tale filtro: esiste un sistema neuronale che collega la corteccia ai gangli della base e quindi al talamo; la corteccia sollecita i gangli all’attività e questi controllano il filtro.

In questi circuiti che collegano i gangli della base con il talamo è coinvolta la dopamina che ha un effetto inibitorio sui gangli della base: la dopamina induce il filtro ad aprirsi e ciò è utile se si apre entro certi limiti, ma se la dopamina opera a livelli troppo elevati, il filtro si aprirà troppo e la corteccia verrà subissata da troppe informazioni: si produrranno così pensieri bizzarri, allucinazioni ecc..

Questo meccanismo ha giocato un ruolo estremamente importante nell’evoluzione del cervello umano; per potere avere una grande creatività è necessario che il filtro sia aperto il più possibile ma naturalmente la precisione nel processo evolutivo non è sempre sufficiente.

Ciò significa che in alcuni casi il filtro può restare troppo aperto. Questo è interessante perché può significare una relazione tra pazzia e creatività.

Tra i personaggi storici più creativi si riscontra una incidenza molto elevata di malattie mentali.

Sulla base di questi studi si può concludere che nella schizofrenia esiste uno squilibrio spiccato delle funzioni della dopamina, cioè dei neuroni dopaminergici, ma possono essere coinvolti altri neuroni e circuiti neuronali.

(d) Dopo l’evidenza presentata da Carlson della presenza nel cervello di questo neurotrasmettitore e dei suoi recettori, alcuni ricercatori nel mondo hanno cercato di isolare recettori per la dopamina e tra questi Solomon Snaider, direttore del dipartimento di neuroscienze presso l’Università di Baltimora.

Professore di farmacologia e psichiatria, ha scoperto i recettori per gli oppioidi, per la dopamina e per i farmaci antipsicotici.

Ha fornito la prova diretta che tutti i farmaci antipsicotici bloccano i recettori per la dopamina.

Carlson formulò nel 1962 l’ipotesi che i farmaci neurolettici bloccassero i recettori per la dopamina ma non potè provarla poiché in quell’epoca non si potevano misurare i recettori dopaminergici.

Misurare i recettori significa quantizzare la radioattività di un farmaco o di un neurotrasmettitore legato al recettore. Ma ciò non fu possibile fino al 1973, grazie alla scoperta dei recettori per gli oppiacei.

Con le stesse tecniche che avevano permesso la misurazione degli oppiacei si poterono misurare i recettori di svariati farmaci, mediatori chimici, e di diversi neurotrasmettitori.

Nel 1975, si giunse a misurare i recettori per la dopamina utilizzando dopamina radioattiva o farmaci neurolettici radioattivi, misurando come questi si legavano alla membrana delle cellule cerebrali.

La tecnica d’identificazione dei recettori si basa sul tropismo molecolare (affinità chimica) che ciascun recettore ha per uno ed un solo neurotrasmettitore.

Questa tecnica consiste nell’omogeneizzare un frustolo di tessuto nervoso ricco di neuroni dopaminergici. All’omogenato si aggiungono le molecole radioattive della dopamina ed infine l’omogenato viene fatto passare attraverso un filtro dalle maglie così strette che trattengono le molecole dei recettori. Le maglie del filtro sono anche sufficientemente grandi da lasciar passare le piccole molecole della dopamina. Le molecole della DA, cioè passerebbero liberamente nelle maglie del filtro a meno che non vengano agganciate dai recettori.

Come ci si aspettava nell’esperimento di Snaider, le molecole radioattive di DA non passarono il filtro poiché rimasero incastrate nei recettori. E il fatto che le molecole radioattive fossero facilmente riconoscibili permise di identificare anche i recettori.

La stessa tecnica venne impiegata per identificare i presunti recettori di sostanze derivate dall’oppio (alcaloidi naturali o di sintesi come morfina, codeina, diidrocodeina, eroina).

Nel 1973 si individuarono i recettori per gli oppiacei. Essi erano altamente concentrati solo in certe zone del cervello, in particolare in quelle zone che la neurofisiologia ha per molti anni ritenuto quelle in cui giungono gli impulsi dolorifici.

Questo poteva dimostrare per quale ragione gli oppiacei controllano il dolore e perché provocano euforia: la ragione è che i recettori che li riconoscono e che ne permettono l’azione, erano stati localizzati in quelle aree del cervello che regolano appunto il dolore e l’euforia.

Queste esatte localizzazioni dei recettori per gli oppiacei e le loro proprietà, erano così straordinarie che ci si è domandato per quale motivo i recettori per gli oppiacei esistessero, in quanto sicuramente, per il fatto stesso di esistere, assolvono ad una funzione naturale il che è differente rispetto a quando interagiscono con la morfina che è un farmaco estraneo all’organismo.

E si poteva inferire una naturale presenza nel cervello di sostanze simili alla morfina.

Nel contempo, in Scozia un altro studioso di neuroscienze Hans Kosterlitz si era posto la stessa domanda.

Egli studiò gli effetti della morfina su un tessuto muscolare liscio. Il ragionamento da cui prese le mosse fu il seguente: come ben sanno gli eroinomani, la morfina blocca le contrazioni intestinali.

Se si pone un frustolo di tessuto intestinale di cavia a bagno in una soluzione fisiologica, e lo si stimola elettricamente esso si contrae; se però nella soluzione è presente la morfina le contrazioni sono bloccate.

Kosterlitz pensò che se nel cervello era presente un neurotrasmettitore con azione simile a quello della morfina lo avrebbe individuato usando la stessa tecnica.

Infatti trovò ben due morfine endogene di struttura chimico-molecolare molto simile che sono presenti ne cervello di tutti i mammiferi, incluso l’uomo e oggi vengono genericamente chiamate endorfine.

Erano stati scoperti due peptidi nel cervello, se ne conosceva la struttura, erano stati sintetizzati, ed avevano gli stessi effetti degli oppioidi attivi.

[f] Altra sostanza alla base della trasmissione sinaptica è l'acido gamma-ammino butirrico (GABA).

Si tratta di un neurotrasmettitore inibitorio che cioè impedisce o riduce la capacità dei neuroni a rispondere a stimoli.

L’importanza del GABA consiste nel fatto di essere il neurotrasmettitore più diffuso nel s.n.c, dell’uomo, infatti tra i miliardi di comunicazioni che intercorrono tra i neuroni, del nostro cervello, circa il 30% sono mediate da questo aminoacido.

L’effetto del GABA consiste nel produrre una modifica della membrana cellulare il che permette l’ingresso di ioni cloro all'interno del neurone determinandone una riduzione dell’attività.

È importante ricordare che l’inibizione neuronale (cioè un potenziale inibitorio post-sinaptico) non sempre produce un effetto inibitorio sul comportamento.

Per esempio, supponiamo che un assembramento di neuroni inibisca un particolare movimento.

Se questi neuroni vengono inibiti essi non saranno più in grado di sopprimere questo tipo di comportamento quindi: l’effetto netto dell’inibizione di un neurone inibitorio è eccitatoria, sul comportamento finale.

Idem viceversa: l’eccitazione neuronale di assembramenti neuronali che inibiscono un comportamento determinerà un effetto soppressivo su quello specifico comportamento.

Anche per il GABA esistono, e sono state scoperte in due laboratori indipendentemente, uno in Svizzera, l’altro in Danimarca delle sostanze chimiche che ne controllano la funzione agendo in maniera indiretta: le benzodiazepine.

Le benzodiazepine hanno un sito di riconoscimento ad alta affinità nelle membrane del cervello di tutti i mammiferi, uomo incluso. I recettori per le benzodiazepine esistono e sono localizzati nel sistema limbico là dove ha origine l’ansia.

Da ciò si può dedurre agevolmente che il cervello umano è in grado di produrre sostanze chimiche ansiogene in tutte quelle condizioni che impongono all’organismo la necessità di aumentare lo stato di concentrazione, attenzione, vigilanza, di reagire rapidamente ed efficientemente, nello stress o in situazioni bioneuroendocrinologiche analoghe.

Noi abbiamo un sistema nel cervello che produce ansia.

Grazie a sofisticate ed avveniristiche tecniche di registrazione dell’attività elettrica di neuroni in coltura si sono scoperte la sostanza che provoca ansia: la DBI ( inibitore del legame diazepam). L’effetto ansiogenico o ansiolitico di una sostanza può essere studiato grazie ad un modello sperimentale classico:

il ratto viene posto di fronte ad una camera oscura ed esso tende per istinto naturale a penetrarvi. Quando è all’interno della scatola, viene mandata una leggera scarica elettrica, il ratto impara che nell’ambiente buio per lui gratificante, riceverà una punizione: si configura in lui una condizione di conflitto tra il bisogno di entrare ed il ricordo del dolore. Questa ambivalenza crea uno stato di ansia e di paura.

E’ grazie a questi modelli animali che è stato possibile studiare il meccanismo d’azione del DBI sui recettori per le benzodiazepine e la sua influenza sui recettori del GABA. Le sostanze chimiche che hanno un’azione pro-conflitto, se iniettate nell’uomo determinano un episodio di panico cioè uno stato caratterizzato da paure che bloccano il normale agire.

Panico, anti-conflitto, pro-conflitto si spiegano a livello dei recettori per il GABA.

Il recettore per il GABA agisce sugli ioni cloro. La sua attivazione infatti provoca l’ingresso di questi ioni all’interno del neurone inibendone l’attività quindi riducendone l’eccitabilità.

Le benzodiazepine e le betacarboline agiscono su un meccanismo di modulazione grazie al quale aumentano o diminuiscono le probabilità che il GABA apra i canali del cloro.

I modelli sperimentali hanno dimostrato che è possibile attraverso stimoli artificiali riprodurre sentimenti e desideri che noi proviamo normalmente.

Nella nostra vita quotidiana, un fatto un incontro sollecita il nostro cervello come gli stimoli artificiali che la comunità scientifica utilizza nei suoi esperimenti suscitando in noi amore, tristezza, felicità, angoscia, gratificazione, conflitto, frustrazione ecc...

Ciò significa che se i meccanismi biologici sono gli stessi, fuori dai laboratori è l’esperienza che influenza l’attività delle cellule cerebrali ed innesca i meccanismi neurochimici sin qui contemplati.



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